JUBA, Sudan – A city shaped like a giraffe? A rhino-shaped town? Even one that looks from above like a pineapple? Southern Sudan has unveiled ambitious plans...
I nuovi ingegneri sociali ci danno dentro...
venerdì 20 agosto 2010
Tre moltitudini
Molti affermano che "il mercato ha bisogno di regole".
Molti non sanno dissimulare la loro diffidenza verso il mercato.
Molti non capiscono nemmeno cosa sia il mercato.
Ecco, queste tre moltitudini tendono a coincidere.
Vernon Smith è forse la persona più idonea per illustrare questa coincidenza, è forse la persona più idonea ad illustrare la razionalità intrinseca dell' economia.
***
A volte ci si scorda che le "regole" tanto invocate dovrebbero giungere dalla politica.
Ma tutti noi ammettiamo che l' unica "politica" sana sia quella di matrice democratica.
Spingendo oltre la riflessione si deve ammettere che questa preferenza deriva dal fatto che i regimi democratici prevedono una competizione.
Solo la presenza di un elemento competitivo "salva" la Politica.
Ecco, ma se le cose stanno così, è proprio accentuando questo elemento che la politica migliora.
Ma accentuare questo elemento trasforma lentamente la Politica in Economia. Il mercato è infatti il luogo deputato per la competizione.
In ultima analisi è dunque il "mercato" che deve dare regole al mercato.
Un esempio tanto per capirci: il mercato necessita di regole, la politica le fornisce, la globalizzazione spinge la politica verso alcune regole piuttosto che altre.
Ma cio' che chiamiamo "globalizzazione" non è altro che il mercato internazionale.
Cosa è successo? E' successo che il mercato ha regolato il mercato.
Adesso intravvediamo meglio cosa intende vernon Smith quando dice che "l' economia ha una sua razionalità interna".
E magari capiamo anche meglio la coincidenza delle tre moltitudini.
Molti non sanno dissimulare la loro diffidenza verso il mercato.
Molti non capiscono nemmeno cosa sia il mercato.
Ecco, queste tre moltitudini tendono a coincidere.
Vernon Smith è forse la persona più idonea per illustrare questa coincidenza, è forse la persona più idonea ad illustrare la razionalità intrinseca dell' economia.
***
A volte ci si scorda che le "regole" tanto invocate dovrebbero giungere dalla politica.
Ma tutti noi ammettiamo che l' unica "politica" sana sia quella di matrice democratica.
Spingendo oltre la riflessione si deve ammettere che questa preferenza deriva dal fatto che i regimi democratici prevedono una competizione.
Solo la presenza di un elemento competitivo "salva" la Politica.
Ecco, ma se le cose stanno così, è proprio accentuando questo elemento che la politica migliora.
Ma accentuare questo elemento trasforma lentamente la Politica in Economia. Il mercato è infatti il luogo deputato per la competizione.
In ultima analisi è dunque il "mercato" che deve dare regole al mercato.
Un esempio tanto per capirci: il mercato necessita di regole, la politica le fornisce, la globalizzazione spinge la politica verso alcune regole piuttosto che altre.
Ma cio' che chiamiamo "globalizzazione" non è altro che il mercato internazionale.
Cosa è successo? E' successo che il mercato ha regolato il mercato.
Adesso intravvediamo meglio cosa intende vernon Smith quando dice che "l' economia ha una sua razionalità interna".
E magari capiamo anche meglio la coincidenza delle tre moltitudini.
giovedì 19 agosto 2010
Uè uè
Il mondo culturale contemporaneo è ipertrofico ma dispersivo.
C' è molto di tutto: molta cultura, molti libri, molta spazzatura, molta qualità, molto pop e molto elitarismo con la puzza sotto il naso.
Il mondo letterario non fa eccezione.
Da un lato il regno dell' abbondanza ci rassicura e ci esalta, dall' altro ci angoscia facendo uscire il nostro lato reazionario.
E' diventata centrale la capacità di scegliere: passiamo più tempo a scegliere che a consumare.
Fortunatamente il teorema Alchian/Allen ci rassicura: la qualità oggi conviene pù che in passato. Il motivo? lo stesso per cui il vino italiano consumato dagli australiani è di qualità migliore rispetto al vino italiano consumato dagli italiani.
Ma intanto l' ansia di dover scegliere resta.
E' un po' come per il telefono: dopo la privatizzazione una ridda crescente di offerte e di alternative hanno offuscato il nostro orizzonte una volta felicemente sgomberato dalla penuria.
C' è perfino chi ha rimpianto il monopolio con recondite motivazioni molto simili a chi rimpiange l' infanzia: che bello quando altri sceglievano per noi!
La libertà porta con sè la responsabilità e per questo molti la odiano senza poterla odiare direttamente per via della buona stampa di cui gode.
Non è solo il tiranno a limitare le nostre libertà positive, anche la penuria puo' fare la sua parte: niente da mangiare, nessun menù da cui scegliere.
Alzare un peana al dittatore non è elegante, per contro un inno alla carestia è ancora concesso. E' così che l' angosciato dall' abbondanza puo' ancora trovare un idolo a cui rivolgersi.
L' "angosciato" che fa più chiasso in questo periodo è il critico letterario Giulio Ferroni, anche oggi scrive l' elzeviro del Corriere.
Ha le carte in regola per trattare il tema visto che l' ha già fatto oggetto di un famoso libro: "Dopo la fine" (Donzelli).
Ferroni non arriva a dire "che bello quando altri sceglievano per noi", si limita ad un più modesto "che bello quando non c' era granchè da scegliere".
Ferroni si occupa di narrativa, lamenta la "costipazione dei numeri", la "plateale impossibilità di fare il punto della situazione".
Le colpe vengono fatte ricadere sulla prepotente abbondanza, sull' elefantiasi della produzione.
Non ha mica tempo di leggere tutto, Ferroni.
Le rassegne critiche che cercano di isolare il meglio della nostra produzione letteraria, come quella recente curata sul supplemento del 24 ore, appaiono a Ferroni come altamente inaffidabili. Il motivo è esmpre lo stesso e potete leggerlo retrocedendo di qualche capoverso.
A Ferroni viene il capogiro se pensa a tutto quanto viene scritto e detto ogni giorno.
Il titolo dell' articolo suona così: "Critica e qualità uccise dal mercato".
Ma il contenuto dell' articolo non accenna alla qualità, è solo una testimonianza del disorientamento che subisce l' angosciato in preda ai suoi impulsi reazionari.
La gente ha voglia di leggere. E tutto cio' sembra di essere di grave nocumento alla letteratura e alla critica letteraria.
Che bello se uscisse un libro all'anno!
Ferroni potrebbe ritirarsi in campagna, fumare i suoi sigari e nelle volute distillare una pagina al giorno del capolavoro. Lasciarla decantare per un anno, dopodichè far cadere dall' alto la sua ingegnosa chiosa.
Leggere Ferroni non mi fa tanto pensare al panorama letterario italiano, in fondo tutti siamo al corrente della frenetica produzione libraria, mi fa piuttosto pensare a Ferroni. E non sono bei pensieri.
A me Ferroni sembra un po' spudorato.
Senza soffrire di un certo delirio di onniscienza, mi dico, non si puo' soffrire l' abbondanza come la soffre Ferroni.
Ferroni mi appare come quei matti che hanno la mania di avere tutto sotto controllo. Io li rispetto, la sofferenza è sofferenza. Ma anche la pazzia è pazzia.
Non si puo' avere tutto sotto controllo, se oggi lo si puo' ancor meno di ieri la sostanza non cambia.
Ma Ferroni non è matto, cos' è allora?
Forse è un bambino capriccioso. In più spudorato perchè incapace di non esibire il suo capriccio.
Ferroni in fondo rimpiange di non essere onnisciente, di non avere tutto in testa.
Rimpiange che tutti i libri del mondo non riescano a stare sulla sua scrivania. Rimpiange che si scrive troppo e lui non riesce più ad imparare tutto a memoria, si è rotto l' incantesimo.
E' un po' come se mio figlio rimpiangesse di essere nato nel 2010: "se fossi nato nel medioevo a scuola dovrei studiare molta meno Storia!".
Chiunque reagirebbe dicendo: "bambinate!".
E infatti al lamento di Ferroni cade presto il travestimento per assumere alle mie orecchie il tono lamentoso di un puerile uè uè.
Ma caro Ferroni, cosa vuoi che ti dica, in questa abbondanza usa le tue antenne (i tuoi filtri, direbbero Alchian/Allen) per isolare gli autori che ritieni degni e presentaceli.
Abbandona le tue ammorbanti volute di fumo campagnole e datti da fare per costruire dei buoni filtri.
Se qualcun altro ci presenterà autori alternativi che tu non conosci nemmeno, mordi il manicotto e soffri in silenzio.
Devi sapere che non si tratta di una nobile sofferenza, molto più probabilmente è solo invidia cagionata da metodi di cernita che non sono all' altezza.
E' un genere di sofferenza che la gente dotata di un minimo di senso del pudore cerca di nascondere in quanto disonorevole, un segnale della grettezza d' animo.
Inutile esibirla limitandosi ad un camuffamento raffazzonato che vorrebbe vendercela come "critica all' abbondanza" del moderno.
++++
link
C' è molto di tutto: molta cultura, molti libri, molta spazzatura, molta qualità, molto pop e molto elitarismo con la puzza sotto il naso.
Il mondo letterario non fa eccezione.
Da un lato il regno dell' abbondanza ci rassicura e ci esalta, dall' altro ci angoscia facendo uscire il nostro lato reazionario.
E' diventata centrale la capacità di scegliere: passiamo più tempo a scegliere che a consumare.
Fortunatamente il teorema Alchian/Allen ci rassicura: la qualità oggi conviene pù che in passato. Il motivo? lo stesso per cui il vino italiano consumato dagli australiani è di qualità migliore rispetto al vino italiano consumato dagli italiani.
Ma intanto l' ansia di dover scegliere resta.
E' un po' come per il telefono: dopo la privatizzazione una ridda crescente di offerte e di alternative hanno offuscato il nostro orizzonte una volta felicemente sgomberato dalla penuria.
C' è perfino chi ha rimpianto il monopolio con recondite motivazioni molto simili a chi rimpiange l' infanzia: che bello quando altri sceglievano per noi!
La libertà porta con sè la responsabilità e per questo molti la odiano senza poterla odiare direttamente per via della buona stampa di cui gode.
Non è solo il tiranno a limitare le nostre libertà positive, anche la penuria puo' fare la sua parte: niente da mangiare, nessun menù da cui scegliere.
Alzare un peana al dittatore non è elegante, per contro un inno alla carestia è ancora concesso. E' così che l' angosciato dall' abbondanza puo' ancora trovare un idolo a cui rivolgersi.
L' "angosciato" che fa più chiasso in questo periodo è il critico letterario Giulio Ferroni, anche oggi scrive l' elzeviro del Corriere.
Ha le carte in regola per trattare il tema visto che l' ha già fatto oggetto di un famoso libro: "Dopo la fine" (Donzelli).
Ferroni non arriva a dire "che bello quando altri sceglievano per noi", si limita ad un più modesto "che bello quando non c' era granchè da scegliere".
Ferroni si occupa di narrativa, lamenta la "costipazione dei numeri", la "plateale impossibilità di fare il punto della situazione".
Le colpe vengono fatte ricadere sulla prepotente abbondanza, sull' elefantiasi della produzione.
Non ha mica tempo di leggere tutto, Ferroni.
Le rassegne critiche che cercano di isolare il meglio della nostra produzione letteraria, come quella recente curata sul supplemento del 24 ore, appaiono a Ferroni come altamente inaffidabili. Il motivo è esmpre lo stesso e potete leggerlo retrocedendo di qualche capoverso.
A Ferroni viene il capogiro se pensa a tutto quanto viene scritto e detto ogni giorno.
Il titolo dell' articolo suona così: "Critica e qualità uccise dal mercato".
Ma il contenuto dell' articolo non accenna alla qualità, è solo una testimonianza del disorientamento che subisce l' angosciato in preda ai suoi impulsi reazionari.
La gente ha voglia di leggere. E tutto cio' sembra di essere di grave nocumento alla letteratura e alla critica letteraria.
Che bello se uscisse un libro all'anno!
Ferroni potrebbe ritirarsi in campagna, fumare i suoi sigari e nelle volute distillare una pagina al giorno del capolavoro. Lasciarla decantare per un anno, dopodichè far cadere dall' alto la sua ingegnosa chiosa.
Leggere Ferroni non mi fa tanto pensare al panorama letterario italiano, in fondo tutti siamo al corrente della frenetica produzione libraria, mi fa piuttosto pensare a Ferroni. E non sono bei pensieri.
A me Ferroni sembra un po' spudorato.
Senza soffrire di un certo delirio di onniscienza, mi dico, non si puo' soffrire l' abbondanza come la soffre Ferroni.
Ferroni mi appare come quei matti che hanno la mania di avere tutto sotto controllo. Io li rispetto, la sofferenza è sofferenza. Ma anche la pazzia è pazzia.
Non si puo' avere tutto sotto controllo, se oggi lo si puo' ancor meno di ieri la sostanza non cambia.
Ma Ferroni non è matto, cos' è allora?
Forse è un bambino capriccioso. In più spudorato perchè incapace di non esibire il suo capriccio.
Ferroni in fondo rimpiange di non essere onnisciente, di non avere tutto in testa.
Rimpiange che tutti i libri del mondo non riescano a stare sulla sua scrivania. Rimpiange che si scrive troppo e lui non riesce più ad imparare tutto a memoria, si è rotto l' incantesimo.
E' un po' come se mio figlio rimpiangesse di essere nato nel 2010: "se fossi nato nel medioevo a scuola dovrei studiare molta meno Storia!".
Chiunque reagirebbe dicendo: "bambinate!".
E infatti al lamento di Ferroni cade presto il travestimento per assumere alle mie orecchie il tono lamentoso di un puerile uè uè.
Ma caro Ferroni, cosa vuoi che ti dica, in questa abbondanza usa le tue antenne (i tuoi filtri, direbbero Alchian/Allen) per isolare gli autori che ritieni degni e presentaceli.
Abbandona le tue ammorbanti volute di fumo campagnole e datti da fare per costruire dei buoni filtri.
Se qualcun altro ci presenterà autori alternativi che tu non conosci nemmeno, mordi il manicotto e soffri in silenzio.
Devi sapere che non si tratta di una nobile sofferenza, molto più probabilmente è solo invidia cagionata da metodi di cernita che non sono all' altezza.
E' un genere di sofferenza che la gente dotata di un minimo di senso del pudore cerca di nascondere in quanto disonorevole, un segnale della grettezza d' animo.
Inutile esibirla limitandosi ad un camuffamento raffazzonato che vorrebbe vendercela come "critica all' abbondanza" del moderno.
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mercoledì 18 agosto 2010
Relevant techniques for figuring out my ideology--if I'm dead
E' abbastanza noto che un po' in tutto il mondo i giornali presentino una "distorsione a sinistra", è il cosiddetto "liberal bias", difficile da misurare ma facile da constatare.
Recentemente David Henderson ha toccato con mano ancora una volta questa caratteristica dei media americani.
Recentemente David Henderson ha toccato con mano ancora una volta questa caratteristica dei media americani.
La verità del reale
Se volete capire come passa la giornata in un Gulag per indignarvi con più veemenza, allora non vi aiuterà molto leggere i "Racconti della Kolyma", uno dei migliori libri scritti sui Gulag siberiani.
Qui troverete solo un vero scrittore che narra veri racconti. Qui troverete alta letteratura.
Il gulag è lontano, almeno quanto lo è la Rivoluzione industriale in Dickens.
In un certo senso l' arte sopraffina di Varlam Salamov penalizza il suo ruolo di testimone. La scrittura fabulistica ci avvince alle storie facendoci dimenticare il posto terribile dove siamo capitati.
Quando accenno alla "fabula" non penso tanto all' incanto di un sogno ad occhi aperti, quanto all' esilio claustrofobico in un' altra dimensione.
Il "reale" sembra essere l' unica via per cogliere il "terribile", ma Salamov sceglie una via alternativa.
I prigionieri, dimentichi e quindi esiliati dal loro passato e dal loro triste destino, sono assorbiti unicamente dalla loro irrilevante lotta quotidiana per giungere a fine giornata, domani si vedrà.
Quando non ha senso formulare un progetto che vada al di là di due giorni, come puo' avere senso... la "dimensione storica" della vicenda?
Il gulag, Stalin, la Siberia, l' Unione Sovietica sono concetti che fuggono per svanire nel nulla, dapprima fuggono dalla testa dei prigionieri, subito dopo dalla pagina dell' autore, e presto anche dalla testa del lettore.
Eccoci in esilio da ogni dimensione storica, eccoci in grado di cogliere la minuscola prigione in cui lo spirito umano viene rinchiuso quando il corpo è rinchiuso nell' enorme carcere siberiano.
In un luogo tanto mostruoso la cosa facile sarebbe quella di indugiare su sentimenti mostruosi, ma i sentimenti descritti da Salamov li abbiamo su per giù provati anche noi sui banchi di scuola o nei luoghi di lavoro.
Perchè l' uomo dia il peggio di sè non sembra necessario che pesi 35 kg e attenda alle sue 20 ore di lavoro giornaliere a meno 50 gradi.
Pesare un terzo del proprio peso forma quando fuori ci sono 50 gradi sotto zero significa stare all' inferno. Cos' ha allora di caratteristico l' Inferno?
Una cosa negativa: predomina il sentimento dell' odio. Ma per fortuna l' odio è solo un sentimento, e allora soccorre la seconda caratteristica, forse positiva: il sentimento non puo' essere coltivato, nemmeno provato a lungo, emerge brevemente per poi scomparire. La vendetta è intorpidita fino ad essere abortita. I pallidi colori pastello dell' invidia ne fanno un fantasma incosistente.
Ciascun racconto occupa poche pagine, è un piccolo ed effimero francobollo.
Si conclude sempre in modo compassato consegnando al silenzio l' essenziale.
Il "terribile" è scontato e mai menzionato, solo l' epifenomeno desta interesse, solo la nota a margine ci parla con tono di verità.
Levi e Trouffaut l' hanno insegnato: svelare un trucco è oggi cento volte più appassionante che narreare le gesta eroiche del santo o quelle blasfeme del diavolo.
Salamov esegue e supera i maestri.
Forse ora anche noi suoi fedeli lettori sedotti per sempre saremmo capaci di sbarcare il lunario in un Lager.
Chissà se Salamov voleva essere cio' che è stato per me. In fondo lui andava predicando che la verità del reale è di un genere tutto particolare.
Secondo lui, fino al secolo scorso, lo scrittore non doveva conoscere troppo bene il suo soggetto: in quel caso avrebbe tradito il lettore in favore di quest' ultimo.
Ma i tempi andavano cambiando, diceva, e lo scrittore doveva divenire uno "specialista", doveva conoscere da dentro cio' di cui parlava. E lui, non per niente, aveva una conoscenza di prima mano del gulag.
Tuttavia, nonostante queste intenzioni, la verità di Salamov anzichè avere l' odore della realtà conserva l' odore della letteratura. Dell' alta letteratura.
Qui troverete solo un vero scrittore che narra veri racconti. Qui troverete alta letteratura.
Il gulag è lontano, almeno quanto lo è la Rivoluzione industriale in Dickens.
In un certo senso l' arte sopraffina di Varlam Salamov penalizza il suo ruolo di testimone. La scrittura fabulistica ci avvince alle storie facendoci dimenticare il posto terribile dove siamo capitati.
Quando accenno alla "fabula" non penso tanto all' incanto di un sogno ad occhi aperti, quanto all' esilio claustrofobico in un' altra dimensione.
Il "reale" sembra essere l' unica via per cogliere il "terribile", ma Salamov sceglie una via alternativa.
I prigionieri, dimentichi e quindi esiliati dal loro passato e dal loro triste destino, sono assorbiti unicamente dalla loro irrilevante lotta quotidiana per giungere a fine giornata, domani si vedrà.
Quando non ha senso formulare un progetto che vada al di là di due giorni, come puo' avere senso... la "dimensione storica" della vicenda?
Il gulag, Stalin, la Siberia, l' Unione Sovietica sono concetti che fuggono per svanire nel nulla, dapprima fuggono dalla testa dei prigionieri, subito dopo dalla pagina dell' autore, e presto anche dalla testa del lettore.
Eccoci in esilio da ogni dimensione storica, eccoci in grado di cogliere la minuscola prigione in cui lo spirito umano viene rinchiuso quando il corpo è rinchiuso nell' enorme carcere siberiano.
In un luogo tanto mostruoso la cosa facile sarebbe quella di indugiare su sentimenti mostruosi, ma i sentimenti descritti da Salamov li abbiamo su per giù provati anche noi sui banchi di scuola o nei luoghi di lavoro.
Perchè l' uomo dia il peggio di sè non sembra necessario che pesi 35 kg e attenda alle sue 20 ore di lavoro giornaliere a meno 50 gradi.
Pesare un terzo del proprio peso forma quando fuori ci sono 50 gradi sotto zero significa stare all' inferno. Cos' ha allora di caratteristico l' Inferno?
Una cosa negativa: predomina il sentimento dell' odio. Ma per fortuna l' odio è solo un sentimento, e allora soccorre la seconda caratteristica, forse positiva: il sentimento non puo' essere coltivato, nemmeno provato a lungo, emerge brevemente per poi scomparire. La vendetta è intorpidita fino ad essere abortita. I pallidi colori pastello dell' invidia ne fanno un fantasma incosistente.
Ciascun racconto occupa poche pagine, è un piccolo ed effimero francobollo.
Si conclude sempre in modo compassato consegnando al silenzio l' essenziale.
Il "terribile" è scontato e mai menzionato, solo l' epifenomeno desta interesse, solo la nota a margine ci parla con tono di verità.
Levi e Trouffaut l' hanno insegnato: svelare un trucco è oggi cento volte più appassionante che narreare le gesta eroiche del santo o quelle blasfeme del diavolo.
Salamov esegue e supera i maestri.
Forse ora anche noi suoi fedeli lettori sedotti per sempre saremmo capaci di sbarcare il lunario in un Lager.
Chissà se Salamov voleva essere cio' che è stato per me. In fondo lui andava predicando che la verità del reale è di un genere tutto particolare.
Secondo lui, fino al secolo scorso, lo scrittore non doveva conoscere troppo bene il suo soggetto: in quel caso avrebbe tradito il lettore in favore di quest' ultimo.
Ma i tempi andavano cambiando, diceva, e lo scrittore doveva divenire uno "specialista", doveva conoscere da dentro cio' di cui parlava. E lui, non per niente, aveva una conoscenza di prima mano del gulag.
Tuttavia, nonostante queste intenzioni, la verità di Salamov anzichè avere l' odore della realtà conserva l' odore della letteratura. Dell' alta letteratura.
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Zanna rossa
Jack London è conosciuto da tutti come uno scrittore di libri d' avventura per ragazzi. Chi non ha noleggiato i suoi classici alla bibliotechina scolastica alzi la mano.
La moda di portare in serie A chi milita onestamente in serie B, fa parlare molti di lui come di un "grande scrittore".
Cio' mi ha spinto a rileggerlo, il volume dato via con il giornale conteneva una prefazione commossa dell' Oriana Fallaci, una specie di "posto delle fragole".
Veniva ricordato con la lacrimuccia il posto fisico (in alto a destra) dove erano allocati sullo scaffale fiorentino di papa' i volumi di Zanna Bianca.
In lui però ho rinvenuto quel che mi aspettavo: un' onesta militanza in serie B.
Per carità, non è poco, la compagnia è ottima, al suo fianco c' è Andrea Pazienza, le sorelle Bronte, Liala e anche Umberto Eco, tanto per dire. Mica paglia.
Cio' che non tutti sanno però è che London fu un fervente socialista, si schierò in modo inequivoco in favore della rivoluzione e dell' assassinio della classe dirigente del suo paese.
Ancora più nascosto è il fatto che London fu un razzista tutto di un pezzo: "Prima di tutto sono un uomo bianco, solo dopo sono un socialista".
Questo strano coacervo di ideali potrebbe sembrare il frutto confuso della tipica mente confusa che portano a spasso molti artisti, così incapaci di vedere il mondo com'è, forse per l' eccesso di sensibilità.
Ma London non è uno scrittore di serie A e la sua mente non puo' essere tanto confusa.
E infatti...
Il socialismo è un ideale utopico e chi non difetta del tutto di realismo sa bene che deve procurarsi una vittima sacrificale per far girare quell' innaturale macchina.
Il socialismo è una leva potente ma richiede un solido punto di leva per essere azionata.
Gli esempi si sprecano. Il socialismo di Marx richiedeva in modo petulante l' annientamento della classe borghese, il socialismo di Hitler proclamava a gran voce gli ebrei come suo punto di leva, il socialismo scandinavo puntava tutto sull' eugenetica...
Le magnifiche sorti progressive di London, chiedevano solo di sacrificare "negri" ed altra umanità di scarto. La vogliamo far funzionare o no la nostra amata macchina? E allora, non facciamo tanto gli schifiltosi.
Tutto il resto è chiacchiera da artisti, e chi è abituato alla dura vita sotto zero, delle chiacchere non sa che farsene.
**********
Il London impresentabile è ritratto qui.
Ma la tradizione del razzismo progressista è lunga (anche per i motivi spiegati). Qualche link puo' essere utile.
link
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Cosa si puo' concludere? Mah, forse che solo l' ideologia liberale mette al riparo da ogni razzismo, destra e sinistra possono sempre finire in quella malsana palude immersi fino al collo.
La moda di portare in serie A chi milita onestamente in serie B, fa parlare molti di lui come di un "grande scrittore".
Cio' mi ha spinto a rileggerlo, il volume dato via con il giornale conteneva una prefazione commossa dell' Oriana Fallaci, una specie di "posto delle fragole".
Veniva ricordato con la lacrimuccia il posto fisico (in alto a destra) dove erano allocati sullo scaffale fiorentino di papa' i volumi di Zanna Bianca.
In lui però ho rinvenuto quel che mi aspettavo: un' onesta militanza in serie B.
Per carità, non è poco, la compagnia è ottima, al suo fianco c' è Andrea Pazienza, le sorelle Bronte, Liala e anche Umberto Eco, tanto per dire. Mica paglia.
Cio' che non tutti sanno però è che London fu un fervente socialista, si schierò in modo inequivoco in favore della rivoluzione e dell' assassinio della classe dirigente del suo paese.
Ancora più nascosto è il fatto che London fu un razzista tutto di un pezzo: "Prima di tutto sono un uomo bianco, solo dopo sono un socialista".
Questo strano coacervo di ideali potrebbe sembrare il frutto confuso della tipica mente confusa che portano a spasso molti artisti, così incapaci di vedere il mondo com'è, forse per l' eccesso di sensibilità.
Ma London non è uno scrittore di serie A e la sua mente non puo' essere tanto confusa.
E infatti...
Il socialismo è un ideale utopico e chi non difetta del tutto di realismo sa bene che deve procurarsi una vittima sacrificale per far girare quell' innaturale macchina.
Il socialismo è una leva potente ma richiede un solido punto di leva per essere azionata.
Gli esempi si sprecano. Il socialismo di Marx richiedeva in modo petulante l' annientamento della classe borghese, il socialismo di Hitler proclamava a gran voce gli ebrei come suo punto di leva, il socialismo scandinavo puntava tutto sull' eugenetica...
Le magnifiche sorti progressive di London, chiedevano solo di sacrificare "negri" ed altra umanità di scarto. La vogliamo far funzionare o no la nostra amata macchina? E allora, non facciamo tanto gli schifiltosi.
Tutto il resto è chiacchiera da artisti, e chi è abituato alla dura vita sotto zero, delle chiacchere non sa che farsene.
**********
Il London impresentabile è ritratto qui.
Ma la tradizione del razzismo progressista è lunga (anche per i motivi spiegati). Qualche link puo' essere utile.
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Cosa si puo' concludere? Mah, forse che solo l' ideologia liberale mette al riparo da ogni razzismo, destra e sinistra possono sempre finire in quella malsana palude immersi fino al collo.
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Dopo il divorzio
Dopo la rottura tra Fini e Berlusconi è necessario tornare alle urne o è preferibile ricercare una maggioranza alternativa?
Formalmente s' impone la seconda soluzione, la Carta costituzionale parla chiaro.
Sostanzialmente le cose stanno in modo diverso: ormai, da quando è iniziata la cosiddetta seconda Repubblica, c' è accordo diffuso che la maggioranza destinata a governare sia scelta direttamente dagli italiani il giorno delle votazioni.
Almeno fin qui siamo d' accordo?
Chi si dissocia da questa premessa è autorizzato a non considerare stringente quanto segue. Ma non penso siano in molti a farlo, almeno stando alle opinioni espresse finchè nessun interesse di bottega era comparso all' orizzonte.
Allora proseguiamo.
Quando Forma e Sostanza giuridica collidono, cosa privilegiare?
Dipende, e qui entrano in campo le ideologie.
La prima ideologia la chiamerò AUTORITARIA.
Per gli autoritari prevale sempre la forma. La forma è la lettera della legge e la Legge è la volontà dell' Autorità (inchino, please).
Come si cambia la volontà dell' Autorità?
Semplice, un bel giorno l' Autorità stessa deve alzarsi dal letto con la voglia di cambiare, dopodichè delibera una nuova legislazione che rettifichi la precedente. Et voilà.
La forma mentis degli autoritari non è così complessa da spiegare. Per loro esiste una volontà indiscutibile con la quale l' autorità organizza il reale e lo plasma in conformità al suo progetto intelligente.
Finchè parliamo di società questa Volontà è il valore più alto, nonchè la fonte della Legge destinata a prevalere.
Chi aderisce all' ideologia autoritaria è necessariamente un "creazionista giuridico".
La seconda ideologia in gioco la chiamerò LIBERALE.
Il liberale ha un istinto ben preciso: al "creazionismo" giuridico antepone l' "evoluzionismo" giuridico.
Per il liberale l' Autorità è al servizio del Reale. La legislazione, cioè, "insegue" il reale e lo suggella con i suoi timbri burocratici.
Come si cambia la Legislazione, dunque?
Semplice, il Reale muta evolvendo ed instaurando nuove consuetudini e l' autorità si conforma a questo mutamento rettificando di conseguenza la legislazione di cui è responsabile.
Avete notato che nel descrivere l' ideologia liberale ho usato il termine "Legislazione" e non "Legge"?
L' ho fatto apposta: per il liberale solo il Reale produce Legge attraverso costumi e consuetudini spontaneamente emerse, l' Autorità puo' porre mano solo alla Legislazione, ovvero ai provvedimenti parlamentari.
Per il liberale una Legislazione è legittima solo nella misura in cui si appiattisce sulla Legge.
Bene, detto questo il più è fatto. Inquadrato il problema nella sua cornice teorica non vale neanche la pena di affaticarsi con le conclusioni, ciascuno ormai puo' vedere da sè cosa dovrebbe conseguire dal Divorzio estivo più famoso d' Italia.
Formalmente s' impone la seconda soluzione, la Carta costituzionale parla chiaro.
Sostanzialmente le cose stanno in modo diverso: ormai, da quando è iniziata la cosiddetta seconda Repubblica, c' è accordo diffuso che la maggioranza destinata a governare sia scelta direttamente dagli italiani il giorno delle votazioni.
Almeno fin qui siamo d' accordo?
Chi si dissocia da questa premessa è autorizzato a non considerare stringente quanto segue. Ma non penso siano in molti a farlo, almeno stando alle opinioni espresse finchè nessun interesse di bottega era comparso all' orizzonte.
Allora proseguiamo.
Quando Forma e Sostanza giuridica collidono, cosa privilegiare?
Dipende, e qui entrano in campo le ideologie.
La prima ideologia la chiamerò AUTORITARIA.
Per gli autoritari prevale sempre la forma. La forma è la lettera della legge e la Legge è la volontà dell' Autorità (inchino, please).
Come si cambia la volontà dell' Autorità?
Semplice, un bel giorno l' Autorità stessa deve alzarsi dal letto con la voglia di cambiare, dopodichè delibera una nuova legislazione che rettifichi la precedente. Et voilà.
La forma mentis degli autoritari non è così complessa da spiegare. Per loro esiste una volontà indiscutibile con la quale l' autorità organizza il reale e lo plasma in conformità al suo progetto intelligente.
Finchè parliamo di società questa Volontà è il valore più alto, nonchè la fonte della Legge destinata a prevalere.
Chi aderisce all' ideologia autoritaria è necessariamente un "creazionista giuridico".
La seconda ideologia in gioco la chiamerò LIBERALE.
Il liberale ha un istinto ben preciso: al "creazionismo" giuridico antepone l' "evoluzionismo" giuridico.
Per il liberale l' Autorità è al servizio del Reale. La legislazione, cioè, "insegue" il reale e lo suggella con i suoi timbri burocratici.
Come si cambia la Legislazione, dunque?
Semplice, il Reale muta evolvendo ed instaurando nuove consuetudini e l' autorità si conforma a questo mutamento rettificando di conseguenza la legislazione di cui è responsabile.
Avete notato che nel descrivere l' ideologia liberale ho usato il termine "Legislazione" e non "Legge"?
L' ho fatto apposta: per il liberale solo il Reale produce Legge attraverso costumi e consuetudini spontaneamente emerse, l' Autorità puo' porre mano solo alla Legislazione, ovvero ai provvedimenti parlamentari.
Per il liberale una Legislazione è legittima solo nella misura in cui si appiattisce sulla Legge.
Bene, detto questo il più è fatto. Inquadrato il problema nella sua cornice teorica non vale neanche la pena di affaticarsi con le conclusioni, ciascuno ormai puo' vedere da sè cosa dovrebbe conseguire dal Divorzio estivo più famoso d' Italia.
domenica 15 agosto 2010
Indovina chi viene a pranzo
Buon ferragosto ai Broncobillis, con questo pranzo scaciato ma prelibato romano, che è un vero gioiello di umorismo e umanità.
(Il trailer americano è migliore - più chiaro e immediato, al solito.)
sabato 14 agosto 2010
La questione di Dio
Ho postato tanto in merito ma alla fine cosa abbiamo concluso? Vediamo di fare il punto.
Innanzitutto vorrei dire che sulla questione di Dio intendo giudicare come su ogni altra questione, impegnando le medesime facoltà mentali che metto in campo per scegliere le pere all' Esselunga.
In altre parole, anche qui possiamo ridurre tutto ad un affare di probabilità, esattamente come tutte le questioni, comprese quelle scientifiche.
E' il reverendo Bayes che ci insegna a maneggiare con rigore questo genere di faccende.
Diffidate degli altri, in particolare dei "frequentisti", è gente che propaganda metodiche semplificate partendo dall' assunto che la probabilità sia una misura oggettiva (casi vincenticasi possibili).
E' una via scorretta ma più semplice, utile ma falsa.
Il bayesiano doc sa bene invece che ogni calcolo probabilistico deve rifarsi ad una probabilità a priori, che nelle questioni complesse è sempre soggettiva. La scommessa è il paradigma di cui si serve per illustrare al meglio il concetto di probabilità.
Far cadere la maschera al "frequentista" non è poi così difficile, mi permetto di riproporre il solito caso, è troppo eloquente per rinunciarvi.
Se un test medico ha un falso positivo del 5% e voi risultate positivi, quale sarà la probabilità di essere malati?
Per un frequentista la risposta è semplice: 95%.
Ma è anche una risposta falsa proprio perchè non tiene conto della probabilità a priori, ovvero della percentuale di malati che conta la popolazione.
L' errore non è da poco: se ritengo che solo l' 1% della popolazione sia malato, il test mi dice in realtà che sono malato con una probabilità del 10%.
Frequentisti: 95% (sbagliato), bayesiani 10% (corretto). Capita la differenza?
Solo il bayesiano "spiega" la scienza, in particolare spiega la presenza di disaccordi, di posizioni alternative, di discussioni, di avvicinamenti. Un frequentista rischia di concepire una scienza robotizzata: si contano le frequenze e fine, nessun disaccordo, nessuna soggettività.
Nella scienza non esistono nè test infallibili, nè esperimenti criciali, ecco allora che diventa decisiva una probabilità soggettiva come quella a priori.
La questione di Dio è simile.
Persino se ammettessimo l' esistenza di test in grado di darci un qualche responso sull' esistenza di Dio, rimarrebbe cruciale l' aspetto soggettivo della faccenda, la probabilità a priori.
Il test potrebbe persino dirci con una probabilità del 95% che Dio non esiste, ma la probabilità su cui l' uomo razionale fa la sua scelta è un' altra e tiene conto della probabilità a priori, ovvero la probabilità soggettiva che il buon senso assegna all' esistenza di Dio.
Se i numeri fossero quelli dell' esempio precedente dovremmo concludere che Dio esiste con una probabilità del 90%!
Insomma, il buon senso ha un ruolo chiave sia nella scienze dove le occasioni di sperimentazioni sono rare e imprecise (le scienze umane, per esempio) sia nella questione di Dio, dove test attendibili probabilmente non esistono nemmeno e non esisteranno mai.
Dicevo per inciso che la probabilità soggettiva si forma con il buon senso, il che è vero. Faccio presente che il buon senso attinge pur sempre alla ragione.
Ora parlo per me.
Il mio buon senso mi dice che Dio esiste, potrei tentare di spiegarlo in modo semplice o in modo più sofisticato ma è proprio così che mi parla.
Forse Davide ha ragione quando contesta il termine "dimostrazione", si tratta comunque di qualcosa a cui la ragione non puo' che essere sensibile.
Innanzitutto vorrei dire che sulla questione di Dio intendo giudicare come su ogni altra questione, impegnando le medesime facoltà mentali che metto in campo per scegliere le pere all' Esselunga.
In altre parole, anche qui possiamo ridurre tutto ad un affare di probabilità, esattamente come tutte le questioni, comprese quelle scientifiche.
E' il reverendo Bayes che ci insegna a maneggiare con rigore questo genere di faccende.
Diffidate degli altri, in particolare dei "frequentisti", è gente che propaganda metodiche semplificate partendo dall' assunto che la probabilità sia una misura oggettiva (casi vincenticasi possibili).
E' una via scorretta ma più semplice, utile ma falsa.
Il bayesiano doc sa bene invece che ogni calcolo probabilistico deve rifarsi ad una probabilità a priori, che nelle questioni complesse è sempre soggettiva. La scommessa è il paradigma di cui si serve per illustrare al meglio il concetto di probabilità.
Far cadere la maschera al "frequentista" non è poi così difficile, mi permetto di riproporre il solito caso, è troppo eloquente per rinunciarvi.
Se un test medico ha un falso positivo del 5% e voi risultate positivi, quale sarà la probabilità di essere malati?
Per un frequentista la risposta è semplice: 95%.
Ma è anche una risposta falsa proprio perchè non tiene conto della probabilità a priori, ovvero della percentuale di malati che conta la popolazione.
L' errore non è da poco: se ritengo che solo l' 1% della popolazione sia malato, il test mi dice in realtà che sono malato con una probabilità del 10%.
Frequentisti: 95% (sbagliato), bayesiani 10% (corretto). Capita la differenza?
Solo il bayesiano "spiega" la scienza, in particolare spiega la presenza di disaccordi, di posizioni alternative, di discussioni, di avvicinamenti. Un frequentista rischia di concepire una scienza robotizzata: si contano le frequenze e fine, nessun disaccordo, nessuna soggettività.
Nella scienza non esistono nè test infallibili, nè esperimenti criciali, ecco allora che diventa decisiva una probabilità soggettiva come quella a priori.
La questione di Dio è simile.
Persino se ammettessimo l' esistenza di test in grado di darci un qualche responso sull' esistenza di Dio, rimarrebbe cruciale l' aspetto soggettivo della faccenda, la probabilità a priori.
Il test potrebbe persino dirci con una probabilità del 95% che Dio non esiste, ma la probabilità su cui l' uomo razionale fa la sua scelta è un' altra e tiene conto della probabilità a priori, ovvero la probabilità soggettiva che il buon senso assegna all' esistenza di Dio.
Se i numeri fossero quelli dell' esempio precedente dovremmo concludere che Dio esiste con una probabilità del 90%!
Insomma, il buon senso ha un ruolo chiave sia nella scienze dove le occasioni di sperimentazioni sono rare e imprecise (le scienze umane, per esempio) sia nella questione di Dio, dove test attendibili probabilmente non esistono nemmeno e non esisteranno mai.
Dicevo per inciso che la probabilità soggettiva si forma con il buon senso, il che è vero. Faccio presente che il buon senso attinge pur sempre alla ragione.
Ora parlo per me.
Il mio buon senso mi dice che Dio esiste, potrei tentare di spiegarlo in modo semplice o in modo più sofisticato ma è proprio così che mi parla.
Forse Davide ha ragione quando contesta il termine "dimostrazione", si tratta comunque di qualcosa a cui la ragione non puo' che essere sensibile.
Pregare previene l' alcolismo
Quando parte il programma pubblico? Lo mettiamo nella prossima finanziaria? Fatemelo sapere.
Scherzo? Per legami molto meno evidenti si spendono miliardi.
link
Scherzo? Per legami molto meno evidenti si spendono miliardi.
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Marilynne Robinson
Una maestrina che scrive fiabe fa la lezione a Richard Dawkins, Daniel Dennett, Steven Pinker, E.O. Wilson.
Ascolteranno?
No, ma deporre l' astio ed affidarsi alla bellezza e alla semplicità puo' sempre aiutare.
Una maestrina che scrive fiabe fa la lezione a Richard Dawkins, Daniel Dennett, Steven Pinker, E.O. Wilson.
Ascolteranno?
No, ma deporre l' astio ed affidarsi alla bellezza e alla semplicità puo' sempre aiutare.
Il video di una sua conferenza a Yale.
Ascolteranno?
No, ma deporre l' astio ed affidarsi alla bellezza e alla semplicità puo' sempre aiutare.
Una maestrina che scrive fiabe fa la lezione a Richard Dawkins, Daniel Dennett, Steven Pinker, E.O. Wilson.
Ascolteranno?
No, ma deporre l' astio ed affidarsi alla bellezza e alla semplicità puo' sempre aiutare.
Il video di una sua conferenza a Yale.
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i 10 nemici del liberalismo
Secondo Boudon.
1 - Chi crede che la vita sia un gioco a somma zero, si prende a chi ha: il liberalismo punta sulla creazione della ricchezza.
2 - I nostalgici che sognano il mondo della loro infanzia: il liberalismo è perenne trasformazione.
3 - Quelle Chiese sempre pronte ad enfatizzare gli effetti perversi delle società liberali.
4 - I Nazionalisti, che vedono il cittadino umile servitore della Patria: il liberalismo vede lo Stato al servizio dell' individuo.
5 - I romantici disperati dal fatto che la ricchezza attenua la dimensione drammatica della vita: il liberalismo pone l' accento sulla conciliazione.
6 - Gli spirituali che vedono l' uomo libero come un uomo gretto ed egoista: il liberalismo dice che l' uomo libero è semplicemente cio' che è nella realtà.
7 - I comunitaristi che antepongono la comunità all' individuo.
8 - Gli amanti dell' identità: secondo costoro un maghrabino nato in Francia con moglie svedese i cui figli studiano a Londra dovrebbe essere... un signor nessuno. Secondo i liberali invece è un signore punto e basta.
9 - Coloro che sono in cerca di soluzioni per ogni problema: il liberalismo quasi sempre ha solo una pseudo-soluzione: fate come credete.
10 - Gli amanti delle escatologie: il liberalismo prevede una ricerca infinita e senza approdi, mal si concilia con la "fine della storia".
1 - Chi crede che la vita sia un gioco a somma zero, si prende a chi ha: il liberalismo punta sulla creazione della ricchezza.
2 - I nostalgici che sognano il mondo della loro infanzia: il liberalismo è perenne trasformazione.
3 - Quelle Chiese sempre pronte ad enfatizzare gli effetti perversi delle società liberali.
4 - I Nazionalisti, che vedono il cittadino umile servitore della Patria: il liberalismo vede lo Stato al servizio dell' individuo.
5 - I romantici disperati dal fatto che la ricchezza attenua la dimensione drammatica della vita: il liberalismo pone l' accento sulla conciliazione.
6 - Gli spirituali che vedono l' uomo libero come un uomo gretto ed egoista: il liberalismo dice che l' uomo libero è semplicemente cio' che è nella realtà.
7 - I comunitaristi che antepongono la comunità all' individuo.
8 - Gli amanti dell' identità: secondo costoro un maghrabino nato in Francia con moglie svedese i cui figli studiano a Londra dovrebbe essere... un signor nessuno. Secondo i liberali invece è un signore punto e basta.
9 - Coloro che sono in cerca di soluzioni per ogni problema: il liberalismo quasi sempre ha solo una pseudo-soluzione: fate come credete.
10 - Gli amanti delle escatologie: il liberalismo prevede una ricerca infinita e senza approdi, mal si concilia con la "fine della storia".
La tesi "Duhem-Quine"
Ci dice che non esiste nulla di più facile che costruirsi una teoria vera.
Questo per un semplice motivo: nessuna ipotesi puo' essere verificata isolatamente.
Una teoria è considerata vera se confermata da alcuni fatti e non subisce confutazioni. Ma è sempre possibile trovare argomentazioni che permettono di opporsi ad una obiezione, è sempre possibile rendere la propria teoria impermeabile alle critiche. Cio' discende appunto dalla tesi Duhem-Quine.
Nessuna ipotesi è verificabile isolatamente, dicevamo, cio' significa che una teoria (T1) puo' essere vera anche se le ipotesi che ne stanno alla base (H1a;H1b) sono false: basta che gli errori indotti dalla falsità delle ipotesi si compensino.
Se una teoria (T2) viene falsificata, nulla di completo sappiamo ancora sulla verità delle sue ipotesi (H2a;H2b), solo che in esse c' è qualcosa che non va. Ma chi ama sia la verità che T2 non deve preoccuparsi, esiste sempre un' ipotesi ausiliaria (H2c) che rende vera T2.
Esiste sempre, anche se magari H2c si limita, grazie al nuovo "errore" che introduce, a compensare i vecchi errori. Ma che H2c sia sbagliata non puo' essere verificato proprio per la tesi Duhem-Quine: nessuna ipotesi è verificabile isolatamente.
Tolomeo fu confutato da Copernico, ma attraverso l' ipotesi degli epicicli la sua teoria continuia ad essere valida anche se s' incasina non poco.
la dottrina comunista sembrò confutata dai collassi di Ungheria e Cecoslovacchia. Bastò introdurre ipotesi ausiliarie per raddrizzare il castello. In quel caso H2c = agenti CIA s' infiltrano e sobillano la popolazione.
Non si puo' nemmeno dire, come fece Popper, che l' introduzione di ipotesi ausiliarie (nel nostro caso H2c) sia una pratica anti-scientifica.
Uno storico della scienza avrà buon gioco a dimostrare che molte teorie vincenti del passato furono difese, specie al loro insorgere, tramite l' introduzione di ipotesi ausiliarie talvolta smaccate.
Galileo è l' esempio preclaro: la testardaggine del Toscano nel difendere cio' che appariva ormai confutato fu provvidenziale.
L' antropologo Durkheim con sbalorditiva lucidità ha mostrato che le procedure cognitive del "pensiero magico" non sono di natura diversa da quelle del "pensiero scientifico".
La testa del Mago della Pioggia si comporta come la testa di Galileo, è solo "ancora più" testardo e agisce privo di una reale concorrenza.
Cosa sia scienza e cosa sia "pensiero magico" è qualcosa da affidare dunque al buon senso, non esiste una formuletta come crede l' ingenuo.
Non esistendo una formula per stabilire cosa sia scienza, capiamo anche perchè la scienza non sarà mai un' attività demandabile ai robot.
Se cio' che non ci mancherà mai sono le teorie vere, e questo sembra dimostrato, significa forse che la scienza non ha accresciuto in niente la nostra conoscenza? Significa che il nostro sapere non è cumulabile?
Questa ipotesi è piuttosto ingenua, almeno quanto quella della scienza "robotizzabile", direi che non supera il giggle test bayesiano.
La tesi "Duhem-Quine" puo' essere conciliata con la tesi del "sapere cumulativo" solo grazie, ripeto, al senso comune: definire la scienza in modo rigoroso è impresa disperata, lasciamo perdere chi crede nella scienza robotizzata, il buon senso ci farà discernere il sapere autentico da quello farlocco, ben consci che tale discernimente è faticoso, mai definitivo e soprattutto richiede di essere realizzato in un ambiente dove non scarseggino "libertà", "tolleranza" e "concorrenza".
Dici poco.
Questo per un semplice motivo: nessuna ipotesi puo' essere verificata isolatamente.
Una teoria è considerata vera se confermata da alcuni fatti e non subisce confutazioni. Ma è sempre possibile trovare argomentazioni che permettono di opporsi ad una obiezione, è sempre possibile rendere la propria teoria impermeabile alle critiche. Cio' discende appunto dalla tesi Duhem-Quine.
Nessuna ipotesi è verificabile isolatamente, dicevamo, cio' significa che una teoria (T1) puo' essere vera anche se le ipotesi che ne stanno alla base (H1a;H1b) sono false: basta che gli errori indotti dalla falsità delle ipotesi si compensino.
Se una teoria (T2) viene falsificata, nulla di completo sappiamo ancora sulla verità delle sue ipotesi (H2a;H2b), solo che in esse c' è qualcosa che non va. Ma chi ama sia la verità che T2 non deve preoccuparsi, esiste sempre un' ipotesi ausiliaria (H2c) che rende vera T2.
Esiste sempre, anche se magari H2c si limita, grazie al nuovo "errore" che introduce, a compensare i vecchi errori. Ma che H2c sia sbagliata non puo' essere verificato proprio per la tesi Duhem-Quine: nessuna ipotesi è verificabile isolatamente.
Tolomeo fu confutato da Copernico, ma attraverso l' ipotesi degli epicicli la sua teoria continuia ad essere valida anche se s' incasina non poco.
la dottrina comunista sembrò confutata dai collassi di Ungheria e Cecoslovacchia. Bastò introdurre ipotesi ausiliarie per raddrizzare il castello. In quel caso H2c = agenti CIA s' infiltrano e sobillano la popolazione.
Non si puo' nemmeno dire, come fece Popper, che l' introduzione di ipotesi ausiliarie (nel nostro caso H2c) sia una pratica anti-scientifica.
Uno storico della scienza avrà buon gioco a dimostrare che molte teorie vincenti del passato furono difese, specie al loro insorgere, tramite l' introduzione di ipotesi ausiliarie talvolta smaccate.
Galileo è l' esempio preclaro: la testardaggine del Toscano nel difendere cio' che appariva ormai confutato fu provvidenziale.
L' antropologo Durkheim con sbalorditiva lucidità ha mostrato che le procedure cognitive del "pensiero magico" non sono di natura diversa da quelle del "pensiero scientifico".
La testa del Mago della Pioggia si comporta come la testa di Galileo, è solo "ancora più" testardo e agisce privo di una reale concorrenza.
Cosa sia scienza e cosa sia "pensiero magico" è qualcosa da affidare dunque al buon senso, non esiste una formuletta come crede l' ingenuo.
Non esistendo una formula per stabilire cosa sia scienza, capiamo anche perchè la scienza non sarà mai un' attività demandabile ai robot.
Se cio' che non ci mancherà mai sono le teorie vere, e questo sembra dimostrato, significa forse che la scienza non ha accresciuto in niente la nostra conoscenza? Significa che il nostro sapere non è cumulabile?
Questa ipotesi è piuttosto ingenua, almeno quanto quella della scienza "robotizzabile", direi che non supera il giggle test bayesiano.
La tesi "Duhem-Quine" puo' essere conciliata con la tesi del "sapere cumulativo" solo grazie, ripeto, al senso comune: definire la scienza in modo rigoroso è impresa disperata, lasciamo perdere chi crede nella scienza robotizzata, il buon senso ci farà discernere il sapere autentico da quello farlocco, ben consci che tale discernimente è faticoso, mai definitivo e soprattutto richiede di essere realizzato in un ambiente dove non scarseggino "libertà", "tolleranza" e "concorrenza".
Dici poco.
Il maestro di Stalin
L' ex comunista nostrano che non ha fatto i conti con la sua storia lo riconosci subito: anzichè parlare di "comunismo" parla di... "stalinismo".
Come se un fascista parlasse di "mussolinismo".
A Radio Tre l' uso del termine autoassolutorio va per la maggiore. Quando si enumerano con ribrezzo i totalitarismi del novecento, s' intona sempre la solita filastrocca: Fascismo, Nazismo e... (pausa incerta e abbassamento del tono)... Stalinismo.
Ma lo vuoi capire, caro conduttore di Radio Tre, che lo Stalinismo sta al Comunismo come l' Hitlerismo sta al Nazismo?
Io te lo posso spiegare al bar e mentre te lo spiego mi confondo pure e faccio errori, tu hai la lingua sciolta e ridacchi, sei più che autorizzato a non prendermi sul serio.
Fattelo spiegare allora da Sergej Petrovic Mel' gunov, fatti spiegare che nessuno più di Lenin fu maestro a Stalin, fatti spiegare per filo e per segno quando iniziò "il regno delle tenebre".
E dopo le spiegazioni spero che ti deciderai - non dico a fare i conti con il passato, quelli sono affari tuoi - ma perlomeno a cambiare l' oscena filastrocca che reciti ancora oggi - 2010 - dai pubblici microfoni: non Stalinismo ma Comunismo, please!
Come se un fascista parlasse di "mussolinismo".
A Radio Tre l' uso del termine autoassolutorio va per la maggiore. Quando si enumerano con ribrezzo i totalitarismi del novecento, s' intona sempre la solita filastrocca: Fascismo, Nazismo e... (pausa incerta e abbassamento del tono)... Stalinismo.
Ma lo vuoi capire, caro conduttore di Radio Tre, che lo Stalinismo sta al Comunismo come l' Hitlerismo sta al Nazismo?
Io te lo posso spiegare al bar e mentre te lo spiego mi confondo pure e faccio errori, tu hai la lingua sciolta e ridacchi, sei più che autorizzato a non prendermi sul serio.
Fattelo spiegare allora da Sergej Petrovic Mel' gunov, fatti spiegare che nessuno più di Lenin fu maestro a Stalin, fatti spiegare per filo e per segno quando iniziò "il regno delle tenebre".
E dopo le spiegazioni spero che ti deciderai - non dico a fare i conti con il passato, quelli sono affari tuoi - ma perlomeno a cambiare l' oscena filastrocca che reciti ancora oggi - 2010 - dai pubblici microfoni: non Stalinismo ma Comunismo, please!
Le colpe dell' Africa
Ne ha molte, ma forse lo schiavismo è la principale. Nella storia, di questa pratica è stata regina incontrastata.
Ma come? L' Africa è stata vittima dello schiavismo, non colpevole!
Da tempo cercavo un testo sulla storia dell' Africa. Questo sembra essere il più completo in circolazione e spiegherebbe anche il perchè della colpevolezza. I bianchi sfruttarono solo un fenomeno già radicato e fiorente.
Ma come? L' Africa è stata vittima dello schiavismo, non colpevole!
Da tempo cercavo un testo sulla storia dell' Africa. Questo sembra essere il più completo in circolazione e spiegherebbe anche il perchè della colpevolezza. I bianchi sfruttarono solo un fenomeno già radicato e fiorente.
Fuori lo Stato dal business dei matrimoni
Ah... quante polemiche sarebbero immediatamente silenziate.
A volte mi chiedo se i nemici della libertà non la combattano perchè, se si imponesse, cesserebbero una lunga serie di appassionanti discussioni.
Se lo stato uscisse dal business della scuola ognuno sceglierebbe programmi e metodi di suo gusto... e non ci sarebbero tante discussioni su quali sono i programmi e i metodi migliori.
Se lo stato uscisse dal business dei matrimoni, ognuno soppeserebbe i pro e i contro del matrimonio che intende contrarre... e non ci sarebbero tutte quelle discussioni sui matrimoni che funzionano e quelli che non funzionano.
Devo proseguire? Risparmiatemelo!
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A volte mi chiedo se i nemici della libertà non la combattano perchè, se si imponesse, cesserebbero una lunga serie di appassionanti discussioni.
Se lo stato uscisse dal business della scuola ognuno sceglierebbe programmi e metodi di suo gusto... e non ci sarebbero tante discussioni su quali sono i programmi e i metodi migliori.
Se lo stato uscisse dal business dei matrimoni, ognuno soppeserebbe i pro e i contro del matrimonio che intende contrarre... e non ci sarebbero tutte quelle discussioni sui matrimoni che funzionano e quelli che non funzionano.
Devo proseguire? Risparmiatemelo!
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Senza la verità non resta che il moralismo arrembante
Sembra che ci sia un solido nesso tra relativismo e moralismo. Lo scontro è quello tra teorie vere e teorie utili:
"A partire dagli anni 60 si comincia a pensare, in circoli sempre più ampi di persone, che l' oggettività sarebbe un' illusione. Di qui deriva la convinzione che non ha alcun senso parlare di "sapere" e di "conoscenza", mentre si dovrebbe parlare solo di "punti di vista". Non di fatti ma solo di interpretazioni... E' con queste premesse che il "moralismo" ha cominciato ad espandersi presso gli intellettuali e gli insegnanti fino a diventare l' atteggiamento di gran lunga prevalente in questi ambienti... comiciano a diffondersi gli intellettuali organici, costoro non credono che il sapere possa essere fondato oggettivamente, cio' non toglie che le scienze umane possano giocare un ruolo politico importante... il concetto di "teoria utile" soppianta quello di "teoria vera"... Un episodio estremo ma emblematico di questa mentalità: in Quebec, all' università di Montreal, le femministe hanno proposto di diminuire gli standard di valutazione negli esami di dottorato a vantaggio delle candidate di sesso femminile, sostenendo che il sapere è sempre incerto mentre le esigenze morali sono indiscutibili... una conclusione che suona assurda ma in realtà in linea con le premesse... La svalutazione del sapere si accompagna quasi sempre con una sovravalutazione della morale o, più esattamente, con una esasperazione delle esigenze di uguaglianza... Già Hegel segnalava il meccanismo in questione parlando dell' intellettuale "buon anima". Le "buone anime" sono responsabili della sindrome della "conoscenza inutile" (J.F. Revel) o del "fallimento del pensiero" (A. Finkielkraut)... La proliferazione di "anime buone" spiega l' incredibile intolleranza intellettuale, spesso feroce quanto discreta, che vige in molte università. Un brillante professore italiano mi ha recentemente confidato che si sentiva implicitamente obbligato a sottolineare ai suoi colleghi, mettendolo fra parentesi, con discreti accenni o incisi, che era un "progressista". Da quando aveva smesso di conformarsi a questo obbligo, aveva l' impressione di essere trattato nell' indifferenza più totale, ci si dimenticava di "citarlo", di salutarlo perfino. La "fine delle ideologie" non era certo andata di pari passo con la fine dell' intolleranza..."
Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo - Rubettino
Mi tocca confermare: a Radio Tre, l' unico ambiente "colto" e vitale che frequento, aleggia sempre l' intemerata dal pulpito ( i poveri, gli ultimi, il modello imposto, la corruzione, la legalità...) e il sentimento di indignazione arieggia sempre quei corridoi.
Un altro fenomeno singolare è l' acerrimo moralismo che pervade i miei amici materialisti (Boudon li chiamerebbe "positivisti").
Ma come? Loro che, non ammettendo nemmeno l' esistenza di una coscienza e, per conseguenza, non dovrebbero dare alcun senso ad un concetto quale quello di Verità, come possono poi infervorarsi tanto? Coda di paglia?
Anche qui Boudon illumina.
"A partire dagli anni 60 si comincia a pensare, in circoli sempre più ampi di persone, che l' oggettività sarebbe un' illusione. Di qui deriva la convinzione che non ha alcun senso parlare di "sapere" e di "conoscenza", mentre si dovrebbe parlare solo di "punti di vista". Non di fatti ma solo di interpretazioni... E' con queste premesse che il "moralismo" ha cominciato ad espandersi presso gli intellettuali e gli insegnanti fino a diventare l' atteggiamento di gran lunga prevalente in questi ambienti... comiciano a diffondersi gli intellettuali organici, costoro non credono che il sapere possa essere fondato oggettivamente, cio' non toglie che le scienze umane possano giocare un ruolo politico importante... il concetto di "teoria utile" soppianta quello di "teoria vera"... Un episodio estremo ma emblematico di questa mentalità: in Quebec, all' università di Montreal, le femministe hanno proposto di diminuire gli standard di valutazione negli esami di dottorato a vantaggio delle candidate di sesso femminile, sostenendo che il sapere è sempre incerto mentre le esigenze morali sono indiscutibili... una conclusione che suona assurda ma in realtà in linea con le premesse... La svalutazione del sapere si accompagna quasi sempre con una sovravalutazione della morale o, più esattamente, con una esasperazione delle esigenze di uguaglianza... Già Hegel segnalava il meccanismo in questione parlando dell' intellettuale "buon anima". Le "buone anime" sono responsabili della sindrome della "conoscenza inutile" (J.F. Revel) o del "fallimento del pensiero" (A. Finkielkraut)... La proliferazione di "anime buone" spiega l' incredibile intolleranza intellettuale, spesso feroce quanto discreta, che vige in molte università. Un brillante professore italiano mi ha recentemente confidato che si sentiva implicitamente obbligato a sottolineare ai suoi colleghi, mettendolo fra parentesi, con discreti accenni o incisi, che era un "progressista". Da quando aveva smesso di conformarsi a questo obbligo, aveva l' impressione di essere trattato nell' indifferenza più totale, ci si dimenticava di "citarlo", di salutarlo perfino. La "fine delle ideologie" non era certo andata di pari passo con la fine dell' intolleranza..."
Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo - Rubettino
Mi tocca confermare: a Radio Tre, l' unico ambiente "colto" e vitale che frequento, aleggia sempre l' intemerata dal pulpito ( i poveri, gli ultimi, il modello imposto, la corruzione, la legalità...) e il sentimento di indignazione arieggia sempre quei corridoi.
Un altro fenomeno singolare è l' acerrimo moralismo che pervade i miei amici materialisti (Boudon li chiamerebbe "positivisti").
Ma come? Loro che, non ammettendo nemmeno l' esistenza di una coscienza e, per conseguenza, non dovrebbero dare alcun senso ad un concetto quale quello di Verità, come possono poi infervorarsi tanto? Coda di paglia?
Anche qui Boudon illumina.
venerdì 13 agosto 2010
Le accuse contro Nori
Qualche mese fa lo scrittore Paolo Nori fu attaccato perchè comincio' una collaborazione con il quotidiano "Libero".
Qui si difende, sembra avere in mano delle buone carte.
Ma dove tracciare una linea? Dove il Diverso si trasforma da semplice "controparte" in "nemico" da osteggiare con tutti i mezzi?
Qui si difende, sembra avere in mano delle buone carte.
Ma dove tracciare una linea? Dove il Diverso si trasforma da semplice "controparte" in "nemico" da osteggiare con tutti i mezzi?
Spinoza vs. Cartesio
Di fronte al bias cognitivo si puo' prendere la strada di Cartesio (liberale) o quella di Spinoza (positivista). Boudon non ha dubbi.
"La psicologia cognitiva ha progettato brillanti situazioni sperimentali che fanno emergere l' esistenza di bias cognitivi. L' esistenza di queste distorsioni è interpretata dai positivisti come l' effetto di "montaggi" della mente di cui non si è esitato a supporre che siano l' esito dell' evoluzione biologica. Se si chiede ad un soggetto di prevedere i risultati di una partita del gioco che consiste nel lanciare una moneta dicendogli che la moneta è truccata in modo da far uscire otto "testa" a fronte di due "croce", costui farà una cattiva previsione optando per puntare otto volte su "testa" e due volte su "croce", così facendo vincerà con una probabilità pari al 68% mentre se avesse puntato sempre testa la probabilità sarebbe stata dell' 80%. Benchè la strategia scelta non sia ottimale è giustificabile con "buone ragioni". Queste distorsioni si spiegano facilmente se le si pensa come il risultato di "considerazioni ragionevoli" anche se poco approfondite, non c' è alcuna necessità di fare appello a effetti altamente speculativi dell' evoluzione biologica. Anche dire che "la terra è piatta" è perfettamente ragionevole quando parla la persona ordinaria che non approfondisce la questione, diverso sarebbe l' errore dello specialista su questo punto, ma questo errore è praticamente inesistente... E' legittimo quindi pensare che "Cartesio ha torto" e "Spinoza ha ragione", per il primo l' uomo pensa, per il secondo l' uomo agisce condizionato dall' ambiente. Più ragionevolmente, si possono attribuire a questi due giganti del pensiero occidentale due "programmi" efficaci, l' uno e l' altro indispensabili, ma la cui efficacia varia a seconda del fenomeno da spiegare. Tocqueville, Weber, Simmel, Pareto, Evans-Pritchard e altri, hanno anbbondantemente dimostrato la forza del programma di Cartesio... Spinoza è certamente fecondo quando è utilizzato dai biologi ma ha introdotto nelle scienze sociali concetti di dubbia veridicità quando non semplicemente banali..."
Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo - Rubettino
"La psicologia cognitiva ha progettato brillanti situazioni sperimentali che fanno emergere l' esistenza di bias cognitivi. L' esistenza di queste distorsioni è interpretata dai positivisti come l' effetto di "montaggi" della mente di cui non si è esitato a supporre che siano l' esito dell' evoluzione biologica. Se si chiede ad un soggetto di prevedere i risultati di una partita del gioco che consiste nel lanciare una moneta dicendogli che la moneta è truccata in modo da far uscire otto "testa" a fronte di due "croce", costui farà una cattiva previsione optando per puntare otto volte su "testa" e due volte su "croce", così facendo vincerà con una probabilità pari al 68% mentre se avesse puntato sempre testa la probabilità sarebbe stata dell' 80%. Benchè la strategia scelta non sia ottimale è giustificabile con "buone ragioni". Queste distorsioni si spiegano facilmente se le si pensa come il risultato di "considerazioni ragionevoli" anche se poco approfondite, non c' è alcuna necessità di fare appello a effetti altamente speculativi dell' evoluzione biologica. Anche dire che "la terra è piatta" è perfettamente ragionevole quando parla la persona ordinaria che non approfondisce la questione, diverso sarebbe l' errore dello specialista su questo punto, ma questo errore è praticamente inesistente... E' legittimo quindi pensare che "Cartesio ha torto" e "Spinoza ha ragione", per il primo l' uomo pensa, per il secondo l' uomo agisce condizionato dall' ambiente. Più ragionevolmente, si possono attribuire a questi due giganti del pensiero occidentale due "programmi" efficaci, l' uno e l' altro indispensabili, ma la cui efficacia varia a seconda del fenomeno da spiegare. Tocqueville, Weber, Simmel, Pareto, Evans-Pritchard e altri, hanno anbbondantemente dimostrato la forza del programma di Cartesio... Spinoza è certamente fecondo quando è utilizzato dai biologi ma ha introdotto nelle scienze sociali concetti di dubbia veridicità quando non semplicemente banali..."
Raymond Boudon - Perchè gli intellettuali non amano il liberalismo - Rubettino
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