sabato 25 gennaio 2020

IL VIDEO GIOCO DEGLI SCIENZIATI

IL VIDEO GIOCO DEGLI SCIENZIATI


Qual è la differenza tra un filosofo della scienza e uno scienziato che fa filosofia cercando di interpretare una teoria scientifica?

La differenza è che il filosofo di solito ha fatto i compiti a casa. Le uscite di Richard Dawkins, Jerry Coyne, Stephen Hawking e altri stanno lì ad attestarlo.

Hawking, per esempio, dice che "la filosofia non ha tenuto il passo con gli sviluppi moderni della scienza, in particolare della fisica". Strano perché la fisica è ferma da decenni mentre la filosofia della fisica ha prodotto una mole considerevole di volumi. E' un po' dura "non tenere il passo" in queste condizioni. E' più probabile che Hawking non sappia di cosa parli. E perché dovrebbe saperlo? E' del tutto normali non essere esperti in materie che non sono la propria. Perché mai dovrebbe passare il suo tempo a leggere libri di filosofia anziché di fisica? Sarebbe molto difficile per lui. Probabilmente, quindi, è solo disinformato.

Eppure molti grandi scienziati non mollano la presa: non solo pontificano di filosofia ma fanno filosofia, scrivono interi libri di "pseudo-filosofia", ma si vede che sono libri dilettanteschi. Se un filosofo provasse a fare della fisica privo delle basi, nessun fisico sarebbe altrettanto indulgente con loro!

I fisici, da quasi cent'anni, sono stati dissuasi dal pensare alle domande fondamentali. La maggior parte di loro direbbe giustamente "ho gli strumenti per risolvere un'equazione differenziale ma non per rispondere a domande sul tempo". Porsi le domande fondamentali della fisica non fa più parte del loro addestramento.

Il problema è che la meccanica quantistica è stata sviluppata come uno strumento matematico. I fisici hanno capito come usarlo in quanto tale per fare previsioni, ma senza una comprensione di ciò che ci stavano dicendo sul mondo fisico. Questo è chiaro quando li senti parlare. Da questa lacuna già Einstein era sconvolto, ma anche Schrodinger. La meccanica quantistica era semplicemente una tecnica di calcolo senza una teoria ben compresa. Bohr e Heisenberg, anzi, sostennero che una chiara teoria non doveva esserci, quindi non c'era nulla da capire. La "comprensione" di una teoria rappresentava un concetto obsoleto, se non nel senso di "saper fare previsioni". Ma si sbagliavano, oggi possiamo dirlo. D'altro canto, il loro atteggiamento fu quello vincente e chiuse lo spazio a domande perfettamente legittime, come quelle di Bell. Speriamo di uscirne al più presto.

C'è anche chi ritiene che Bohr e Heisenberg in realtà presero una posizione filosofica intorno alla natura del caso, e poiché gli argomenti della fisica non la giustificavano avrebbero dovuto necessariamente ricorrere ad argomenti filosofici, ma questo avrebbe implicato l'esistenza di un discorso razionale che non fosse il discorso scientifico. La filosofia si puo' fare bene o si puo' fare male, fingere di non farla significa solo farla male: la filosofia seppellisce sempre i suoi becchini.

Esempio: alcuni fisici muoiono dalla voglia di fare grandi affermazioni sul "tempo"; Sean Carroll, ad esempio, è irremovibile nel dire che il tempo è reale. Altri dicono invece che sia illusorio, che in realtà non esiste una direzione temporale e così via. Ma l'impressione è che questi scienziati siano furviati dalla matematica che usano per descrivere la realtà. Gli oggetti matematici, come noto, non stanno nel tempo, e se usi quel tipo di rappresentazione per descrivere il mondo rischi di confonderli con il mondo. E' un po' come il bimbetto che vive sui video giochi fino a mescolare il reale e il virtuale. Scambiare la matematica con la realtà è la tipica trappola in cui cade lo scientista. Dirlo chiaramente non implica che la matematica non descriva in modo sorprendente la realtà; il punto è che non ci fornisce una descrizione esaustiva della realtà, ma è piuttosto un'astrazione da una realtà che in sé è più ricca.

La stessa affermazione di molti filosofi secondo cui la fisica ha dimostrato che il cambiamento è illusorio, è in ogni caso seriamente problematica. Come notò Karl Popper, Einstein, interpretato da Minkowski, riprende Parmenide. Ma ciò significa che la relatività, se interpretata come implicante l'illusione di ogni cambiamento, erediterebbe tutti i problemi tipici di Parmenide. Ora, nessuno crede che la fisica moderna abbia davvero dimostrato che non esiste un vero cambiamento nel mondo fisico esterno. Ma anche supponendo per amor di discussione che lo abbia fatto, ci troveremmi di fronte ad un altro caso in cui la scienza tenta di unificare i fenomeni relativizzando le differenze apparenti con il senso comune. Quindi "calore", "suono", "rosso", "verde", ecc. vengono ridefiniti mentre il senso comune viene relegato nel mondo del mentale soggettivo. Per la scienza il suono non esiste, è ovvio, esiste solo una muta frequenza d'onda, ma possiamo con questo dire che il suono non esista anche se continuiamo a sentirlo? Possiamo davvero dire che esiste solo cio' che è rappresentabile in un modello quantitativo? Ovviamente no. Molto più ragionevole dire che la matematica rappresenta meravigliosamente la realtà senza per questo coglierla nella sua interezza. Allo stesso modo, il tempo e il cambiamento, se trattati come se non esistessero realmente nel mondo esterno, sono relativizzati nel mentale dell'osservatore; ma possiamo con questo davvero dire che non esistono? Non si può aggirare il fatto che il cambiamento si verifichi davvero, almeno nella coscienza dell'osservatore stesso. Negare ciò significa implicitamente negare la base probatoria empirica su cui si suppone che la stessa teoria fisica poggi. Quindi, se Einstein fosse davvero Parmenide redivivo, la sua posizione affronterebbe le medesime incoerenze. Se siamo soggetti a simili macroscopiche illusioni, chissà quali altre illusioni ci hanno fuorviato nell'eleaborare la sofisticata teoria einsetiana. In alternativa, potremmo adottare una visione dualista secondo la quale il soggetto cosciente non fa parte di quel mondo. Ciò ci salverà dall'icoerenza, ma a costo di spostare semplicemente il cambiamento piuttosto che eliminarlo, e, ovviamente, anche a costo di lasciarci con il problema di spiegare come il soggetto cosciente sia collegato al mondo naturale, visto che non fa parte di esso.