COSCIENZA NAZIONALE vs IDENTITA' APOLIDE
Nella politica il grande scontro è quello tra "coscienza nazionale" e "identità denazionalizzata", si tratta di concezioni concorrenti sulla natura dell'autorità e dell'identità.
In passato abbiamo vissuto qualcosa di simile quando si contrapponevano valori religiosi e valori laici.
L'anti-populista del XXI secolo inquadra il sentimento nazionale come un pregiudizio obsoleto, pericoloso e irrazionale. Esattamente come il laico bollava ieri il sentimento religioso. Questa posizione ha guadagnato un monopolio esteso nella cultura d'élite, dove il sentimento nazionalista tende a essere deriso e comunque indicato come sinonimo di mentalità ristretta; insomma, una qualità negativa che giustifica perfino la condanna morale.
E' questa una tendenza che arriva da lontano. L'autorevole saggio "Il nazionalismo come religione" di Carlton J. H. Hayes (1926) considerava il nazionalismo come l'equivalente irrazionale della religione e lo associava a pratiche ataviche, mistiche ed emotive. Una specie di "religione civile" che esercita una grande e perniciosa influenza emotiva sulle masse. Un simile atteggiamento segnava la reazione dell'intellighenzia liberale alle devastanti conseguenze della prima guerra mondiale. I nazionalisti diventavano in automatico ignoranti e prevenuti. Insomma, disumani. Più tardi anche John Hobson avvertiva dei pericoli e dei disturbi associati al nazionalismo aggressivo.
L'ascesa dell'aggressione nazista, la catastrofe della seconda guerra mondiale e l'Olocausto sono spesso percepite come l'inevitabile conseguenza del nazionalismo, un'ideologia artificiale e pericolosa perché puo' condurre alla mobilitazione di masse rabbiose e promuovere cause di esclusione a sfondo razziale. Secondo questa concezione "teleologica" del nazionalismo, ciò che inizialmente appare come una manifestazione innocente dell'identità e della lealtà nazionali sfocia poi inevitabilmente in aggressioni e discriminazioni. Il nazionalismo non è solo "potenzialmente pericoloso" se non eccede ma costituisce una minaccia intrinseca alla convivenza. Nazionalismo è ora sinonimo del razzismo più volgare. Ci sono eccezioni? Sì, l'uso del termine in GB identifica ancora un sentimento positivo. ma sul continente la battaglia è aperta.
Purtroppo, non è più possibile affermare dove sia la linea di demarcazione tra nazionalismo benefico e dannoso. Gli sforzi in questo senso assomigliano a sofismi della peggior specie, tanto è vero che a partire dagli anni sessanta la condanna non ha più fatto sconti e il sentimento nazionale ha cominciato lentamente ad essere trattato come una sgradita patologia irrazionale. Autori come Karl Deutsch riuscivano a malapena a nascondere il loro disprezzo per i cultori del sentimento nazionale. Oggi tali sentimenti vengono giudicati dai sostenitori dell'UE alla stregua di un retaggio primordiale, e andrebbero rimpiazzati da un nuovo collante: il legalismo. Il fatto è che dove il nazionalismo domina, prima o poi le tendenze all'esclusione fioriranno.
Un problema simbolico è la Legge fondamentale dell'Ungheria, per il tecnocrate legalista rappresenta un indesiderato ritorno all'irrazionalità di un passato pre-moderno. Qui ho chiamato "tecnocrate" chi in realtà impersona una forma denazionalizzata di identità civica, è lui il nemico dell'Ungheria. Ma la genealogia politica non è limpida, l'ostilità dei liberali nei confronti della lealtà nazionale è uno sviluppo relativamente recente. Gli ideali liberali dell'Illuminismo coincisero con l'ascesa degli stati nazionali, i leader della rivoluzione francese, per esempio, adottarono il linguaggio del nazionalismo, e per loro la lealtà alla Nazione fu sempre un valore di primo piano. Per i rivoluzionari francesi, come per quelli americani, nazione e popolo erano indissolubilmente legati: la sovranità è una, indivisibile, inalienabile e imprescrivibile... e appartiene alla Nazione! Per l'articolo 3 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789 tutta la sovranità risiede essenzialmente nella nazione.
Tuttavia, le cose sono molto cambiate da allora. Oggi gli accademici cosmopoliti considerano la loro attuale crociata contro il nazionalismo come l'equivalente storico della lotta contro la superstizione religiosa. Un classico rappresentante di questo mondo - Ulrich Beck - parla di "teologia nazionale". C'è in questo atteggiamento una reazione all'esperienza negativa della seconda guerra mondiale, in particolare in Germania, dove l'onere della colpa deve essere calato nella mentalità pubblica in modo da rimpiazzare la patria con la legalità e la razionalità. L'astratto legalismo razionale è la cura individuata conto le passioni nazionali, sempre pronte ad intensificarsi divenendo aggressive verso i vicini. La UE ti impone questo e quello? Ma all'origine c'è un voto del tuo parlamento, quindi è tutto legale, non ci sono problemi!
All'indomani della seconda guerra mondiale, uno degli obiettivi immediati fu quello di contenere la rivalità nazionale di lunga data tra Francia e Germania. Per questo l'UE fu percepita fin da subito come un antidoto ai macelli del XX secolo causati dal "nazionalismo". Per Churchill stesso, il presupposto per l'unità europea era la creazione di un "partenariato tra Francia e Germania". Anche per Schuman l'unione delle nazioni d'Europa richiede l'eliminazione della secolare opposizione di Francia e Germania. I primi tentativi di promozione dell'unità europea non erano però esplicitamente diretti contro l'integrità dello stato nazionale, l'unità europea, al più, rappresentava una reazione a ciò che veniva percepito come un eccesso di nazionalismo. Protagonisti dell'operazione furono i cattolici: i valori cristiani e la dedizione all'unità europea erano un mezzo di redenzione per i peccati tedeschi passati. Ancora oggi la CDU è il cardine dell'operazione Europa. I cattolici, si pensava, sono internazionalisti per natura. Ma questo è vero? Mah, nell'800, durante l'ascesa dello stato nazionale, questo poteva anche essere vero: la Chiesa cattolica romana considerava il nazionalismo come una grande minaccia ideologica; ma più tardi i nemici divennero altri: comunismo, secolarismo e consumismo individualista.
Sia come sia, dopo questa fase iniziale dell'unione europea, l'odio culturale verso l'idea nazionale crebbe, nel ventunesimo secolo non è solo il nazionalismo politico, ma il semplice senso dell'orgoglio nazionale, ad essere considerato come problematico. La Merkel stessa, nelle politiche migratorie, ha cercato di stabilire un netto contrasto tra le sue misure e quelle motivate da preoccupazioni nazionaliste. Era importante smarcarsi, anche quando di fatto si facevano le stesse cose; era necessario auto-etichettarsi come "conservatori compassionevoli" per non rientrare tra i "cristiani sovranisti". Non era solo una questione di sicurezza, erano in gioco la differenza fondamentale tra i "cosmopoliti" e i "nazionalisti". Oggi, nemmeno il termine "buon patriota" ha un'accezione positiva nel vocabolario politico delle élite dell'UE. Eppure, per una parte significativa della popolazione dell'Europa orientale, il senso di nazionalità è ancora fondamentale per l'identità che garantisce, e questo sarà un problemone.