Alessandro Baricco – I barbari -
Finalmente ho letto il libro che altri avevano a suo tempo menzionato come pertinente ad alcune nostre discussioni.
Confesso che certi accorgimenti stilistici dello scrittore-piacione sono per me difficili da digerire: ho in mente le mossette sexy da “scuola di scrittura”, un pervasivo tono “for dummies”, quasi scrivesse proprio per quei barbari le cui invasioni in ogni campo culturale vengono segnalate; ma soprattutto il vezzo di non enunciare mai chiaramente la propria tesi; parlo della perniciosa tentazione, contraria al primo comandamento (*) del buon saggista, di trasformare il proprio scritto in una caccia tesoro per lettori volenterosi.
[ (*) ricordo di passaggio il primo comandamento: se hai in testa una cosa, dilla direttamente senza tanto girarci intorno]
Purtroppo non mancano debolezze di sostanza. Parto da una lacuna generale: Baricco elude il problema. O meglio, non lo formula in termini “interessanti”.
Per capirsi sul punto bisognerebbe prima richiamare i termini della questione: nella società contemporanea il mondo della cultura sembra preda dei “barbari”, ovvero un’ orda senza scrupoli né adeguata preparazione che “consuma” tutto con la foga delle locuste ma limitandosi a brucare in “superficie” senza darsi la pena di “ruminare” mai alcunché.
Il “barbaro” è un “uomo orizzontale” che si limita a “surfare” sull’ oggetto del suo momentaneo interesse senza mostrare alcun interesse per “l’ anima delle cose”. In lui manca il culto della fatica e della preparazione: prende, strappa alla sua preda un godimento effimero e passa ad altro.
In un mondo del genere il “riferimento culturale” si fa ipertrofico, si moltiplica ma rimane a livello meramente epidermico: scivola addosso senza lasciare nulla. Inutile aggiungere che ogni forma di approfondimento latita.
Il “barbaro” lascia la sua impronta digitale ovunque visto che la sua velocità gli consente di stare ovunque, smantella la sacralità della cultura, svelle i significati totemici divenendo il nemico giurato di ogni spirito romantico.
Ebbene, il problema sostanziale consiste nel chiedersi se le cose stanno veramente così, se possiamo prendere sul serio questa descrizione della contemporaneità all’ apparenza verosimile.
A me, lo dico subito, non pare proprio.
Certo, oggi i contatti che ciascuno di noi intrattiene con la “cultura” sono cresciuti in modo esponenziale. Abbiamo “più cose” tra le mani. Abbiamo “più di tutto”. E di sicuro passiamo molto più tempo di prima in superficie.
Ma questo non significa ancora nulla.
Mi spiego con un esempio.
Le petro-trivellatrici che indagano sui giacimenti petroliferi sono navi dedite allo scavo di sonda. Ieri scavavano molto più di oggi – erano costantemente “in profondità” - ma gran parte di quegli scavi erano inani tentativi che finivano in un nulla di fatto. Oggi possiedono una strumentazione più sofisticata che le rende quasi infallibili. Passano molto più tempo in superfice perlustrando il fondo marino e le poche volte che affondano le loro trivelle intraprendono uno scavo lo fanno a colpo sicuro.
Baricco sembra snobbare i quantitativi di petrolio estratto, si limita a constatare che “si passa più tempo in superficie”, e una volta concluso che mai come ora la superficie è il nostro habitat, trae conclusioni indebite circa le quantità di petrolio portato alla luce.
Chi non coglie che qui c’ è qualcosa che mina l’ analisi?
Dicevamo prima che oggi abbiamo “più di tutto”; ebbene, dovremmo aggiungere che abbiamo anche più “petrolio”. Mutilo di questa considerazione il problema affrontato da Baricco resta irrimediabilmente privo d’ interesse.
Peccato perché ci sono sprazzi di lucidità in cui Baricco si avvicina al punto:
… oggi uno scrittore di qualità come Tabucchi vende più di quanto potesse fare, oggettivamente, un Fenoglio ai suoi tempi… quello che ci induce a pensare il contrario è la prospettiva e il gioco delle proporzioni…
A parte il parallelo Tabucchi\Fenoglio che mi disturba anche solo come esempio, a livello concettuale ci siamo: oggi circola molta più qualità, occorrono antenne idonee all’ individuazione, una dotazione fino a ieri superflua.
Ma una volta afferrato il punto Baricco se lo fa sfuggire e l’ osservazione, anziché imbastire il ragionamento viene bellamente lasciata cadere nel vuoto.
Altre lacune sono più specifiche. Penso al passo falso costituito dall’ analisi proposta intorno all’ attacco che i “barbari” hanno portato al pianeta calcio.
L’ analisi è incongrua su un punto nevralgico: dopo aver affermato che il “barbaro” procede a spettacolarizzare tutto cio’ che tocca, si aggiunge che “Baggio in panchina” costituisce il marchio di fabbrica del saccheggio barbarico.
Ma come? Baggio, il numero 10, la fonte di ogni spettacolo, escluso proprio da chi esalta i fuochi d’ artificio?
Baricco si accorge del vicolo cieco in cui si è cacciato e dedica un capitolo intero (Calcio 2) al tentativo di uscirne salvando capra e cavoli. Ma l’ unica uscita possibile è una poco onorevole retromarcia a centottanta gradi, e l’ autore non puo’ permettersela.
Baricco resta comunque uno scrittore più che un sociologo, a lui non chiediamo analisi certosine e il nostro perdono su alcuni passaggi a vuoto è garantito quanto pronto. Chiediamo a lui invece una sequela di “espressioni felici”, un’ immaginazione sgargiante, una bellezza diffusa in grado di allietarci ad ogni pagina. Chiediamo uno stile. Spesso l’ autore, devo dirlo, è all’ altezza del compito. Di seguito riporto alla rinfusa alcuni passaggi degni di menzione. Mi scuserete se cito a memoria personalizzando nel tentativo di migliorare l’ originale.
Parlando di Walter Benjamin:
… ci dava un’ immagine del mondo, fotografava il divenire, anche per questo le sue foto vennero un po’ mosse quindi inutilizzabili da quelle istituzioni che danno uno stipendio…
Facendo una petizione di principio:
… sarà questo un libro a cui non farà schifo niente…
Citando Glenn Gould sulla musica rock
… “non riesco a capire le cose troppo semplici”…”
Sul vino californiano:
… al primo sorso c’ è già tutto… senza tanti tannini fastidiosi o acidità difficili da domare…
Sulla storia della musica:
… da Bach a Beethoven si puo’ dire che lavorassero indefessamente per una furba semplificazione del mondo ricevuto in eredità… contrassero i suoni, le armonie e le forme… accelerando una spettacolarità che nessuno si era mai sognato…
Sulla domenica sera del calciofilo anni settanta:
… la domenica sera… come mesto rituale c’ era la partita registrata (si noti il singolare)… il risultato era noto ma sottaciuto, le riprese notarili… quasi “sovietiche”… il commento impersonale, di tipo medico… il telecronista faceva finta di non sapere… poi, all’ improvviso, un attimo prima del telegiornale, prima di passare la linea… sapeva tutto come per incanto e ci aggiornava frettolosamente sugli eventi congedandosi… era assurdo, mortificante… tentavamo di sintonizzarci su Capodistria o sulla Svizzera per un naturale bisogno d’ aria… come si tentava di valicare il muro di Berlino…
Sul ruolo tradizionale del terzino (giova alla comprensione l’ aver giocato superando il trauma del passaggio dal cortile al campo regolamentare):
… io per anni ho visto la mia squadra far gol in zone del campo lontane e vagamente misteriose… buttarla in fallo laterale andava benissimo… ti applaudivano… la sagoma lenta e paterna del libero… la marcatura a uomo… con tutti i suoi falletti intimidatori… gli scatti a vuoto…
Sui numeri 10 in panca:
… il genio è lento… le tv digitali non hanno il tempo di aspettarlo…
Musica e letteratura nel passato:
… c’ era la “musica classica” prima che inventassero l’ idea di musica classica?… di certo a corte il musicista non contava più del giardiniere… oggi ascoltiamo Bach, Haydn e Mozart alla luce deilla lezione romantica… attribuendo loro, a volte, una spiritualità che forse non si sognarono mai di avere… fu con Beethoven che nacque l’ idea di musica classica come oggi la conosciamo… nel settecento chi leggeva libri erano essenzialmente coloro che li scrivevano…
Sull’ avvento del romanzo ottocentesco:
… il genere del romanzo era da molti concepito come una minaccia sociale, come un oggetto sostanzialmente nocivo…
Nel commentare il ritratto di M. Bertin, ovvero il prototipo della borghesia affaristica francese ottocentesca:
… lo sguardo è quello di chi ascolta attentamente e ha già in mente cosa obiettare… sembra un bolso riccone ed è invece un lottatore destinato a vincere… nel suo mondo ha un ruolo primario la fatica… il piacere delle arti prevede fatica, la profondità della riflessione prevede fatica… la fatica è lavoro e il lavoro è la garanzia della sua affermazione sul vecchio mondo e sull’ aristocrazia…
Sul mutato rapporto con le arti:
… se davvero intendo dedicare tutto il tempo necessario a scendere fino al cuore della Nona è difficile mi resti del tempo per qualsiasi altra cosa… e, per quanto la Nona sia un giacimento immenso di senso, da sola non ne produce a sufficienza alla sopravvivenza dell’ individuo… che te ne fai di aver capito la Nona se poi non vai al cinema o non sai neanche cosa siano i videogame?… è il paradosso che denunciano gli occhi smarriti dei nostri ragazzi a scuola…