venerdì 1 agosto 2008

L' IQ conta?

Ho voluto dare un' occhiata ravvicinata al libro The Bell Curve.

L' ho fatto anche perchè notavo come le opinioni più significative sulla realtà sociologica americana, venivano introdotte in reazione alle tesi di quello scritto. E questo ancora oggi, a quindici e rotti anni di distanza.

Volete un esempio? Ecco David Brooks che sul NYT dell' altro giorno presenta due recenti lavori accademici che scattano, secondo lui, la foto più nitida della realtà americana contemporanea. Conclude indicando in Obama l' uomo giusto per tenerne conto. Ebbene, entrambi gli studi presentano se stessi come una contromossa da leggersi nell' orizzonte tratteggiato da TBC.

L' Introduzione di TBC è meramente descrittiva, presenta il dibattito intorno al concetto di "intelligenza" così come si è svolto nell' agone delle scienze psicologiche. Dichiara senza infingimenti di assumere le posizioni "mainstream" trascurando quelle radicali. Quindi: esiste una sola intelligenza (abilità logica e linguistica) misurabile in modo significativo dall' IQ e, in buona parte, ereditabile.

Cio' non toglie che il valore di una persona dipenda anche da altro; i "talenti" sono molteplici, sebbene ci sia qualcosa di specifico che possiamo chiamare "abilità cognitiva".

Non si entra nel merito del dibattito, ci si limita a descriverlo. Agli autori interessa altro, interessa dimostrare quanto la distribuzione dell' IQ nella popolazione incida sull' evoluzione sociologica delle società di mercato. Loro ritengono che incida parecchio, una nuova "elite cognitiva" si sta isolando.

L' IQ conta a scuola. Il sistema universitario americano è cambiato nel corso del secolo, ora premia in modo crescente la fascia di studenti con IQ elevati. Basta vedere chi fa il suo ingresso nelle Università. Prima la provenienza famigliare era decisiva, così come lo erano le condizioni socio-economiche di partenza.

L' IQ conta sul lavoro. Volendo indovinare il lavoro di Pincopalla, meglio informarsi sul suo IQ da ragazzo che sul numero di anni trascorsi tra i banchi.

L' IQ conta sul mercato. L' intelligenza è strettamente legata alla produttività, anche dopo anni di lavoro la conclusione resta valida. L' IQ predice l' efficienza del lavoratore in modo più accurato di quanto non faccia un colloquio di lavoro. E' molto costoso il provvedimento con cui la Suprema Corte ne ha impedito l' utilizzo.

IQ ed educazione. Studiare un anno in più non incide molto sulle sorti di un basso-IQ, il suo destino nella società mercatista, come direbbe Tremonti, sembra segnato. L' ironia è che parificando le condizioni ambientali, si esaltano ulteriormente le differenze genetiche.

IQ e isolamento. I più intelligenti tendono a sposarsi tra loro. Avendo redditi elevati possono permettersi anche un isolamento fisico.

IQ e povertà. Se nasci in una famiglia povera (ultimo ventile), rischi di restare povero, rischi 8 volte di più rispetto a chi nasce nei ventili superiori. Ma se il tuo IQ è nell' ultimo ventile, il rischio sale al 15%. Anche qui "IQ is the best predictor".

IQ e abbandoni scolastici. Le condizioni socio-economiche incidono sugli abbandoni scolastici ma, in modo significativo, solo se l' IQ dell' interessato è basso.

IQ e disoccupazione. Legame stretto. Anche i lazzaroni non sono quasi mai intelligentoni.

IQ e famiglia. La famiglia tradizionale tiene bene, ma solo tra i più "smart". Costoro tendono a prediligere il matrimonio e il loro tasso di divorzi è ben sotto la media, specie se comparati con i low-IQ. Anche la presenza di prole illegittima è strettamente correlata con le abilità cognitive.

IQ e welfare. Se ricorri all' assistenza pubblica (ragazze madri, sanità...) probabilmente il tuo IQ è sotto la media. Ci puoi scommettere razionalmente una buona cifra.

IQ e genitorialità. Una buona madre probabilmente ha un buon IQ.

IQ e crimine. L' intelligenza media dei criminali è ben al di sotto di quella comune.

IQ e civismo. C' è un solido legame tra partecipazione politica e livello d' istruzione. Ma poi, se vai a grattare, a parità d' istruzione quello che fa la differenza è l' IQ.

IQ ed etnie. Ci sono chiare differenze, inutile girarci intorno. Gli asiatici sopravanzano i bianchi che sopravanzano i neri. In più, facendo la tara con l' IQ, molte diseguagliaze sociali si attenuano.

IQ e demografia. Purtroppo le dinamiche demografiche stanno abbassando l' IQ medio della popolazione. Le donne con istruzione più alta hanno un tasso di natalità basso. La natura dell' immigrazione completa il quadretto.

IQ e problemi sociali. Praticamente tutti i problemi che affliggono le società moderne vedono implicati soggetti a basso IQ.

Politiche: alzare l' IQ. Molto è stato provato: nutrizione, scuola, prescuola, ambiente familiare. Insistere è un dovere, per ora i risultati sono scarsini.

Politiche: pari opportunità nell' educazione. Si sono riprodotti i ghetti anche a scuola e nei college. Inoltre, lo svantaggiato nero finisce per fare concorrenza allo svantaggiato bianco. Meglio aiutare gli svantaggiati che puntare tutto sulle etnie.

Politiche: pari opportunità sul lavoro. Hanno funzionato? Boh, certo che la società le paga care.

Politiche: scuola. La scuola americana ha subito un involuzione. A pagare sono stati soprattutto i "gifted".

Politiche auspicate. Anche se siamo differenti, in una società libera ciascuno trova il suo posto. Aiuto integrativo: semplificare le regole, redistribuire la ricchezza in modo efficiente, selezionare l' immigrazione, incentivare la maternità delle donne istruite, non premiare la maternità delle underclass...

Tutto qui. Le contestazioni sono state assordanti e quasi sempre di scarso momento.

Tra una contestazione e l' altra, la lezione sembra essere stata appresa anche a sinistra: forse una politica delle pari-opportunità non consiste nell' ennesimo corso formativo per il trentenne perennemente disoccupato. Bisogna agire prima, molto prima.