martedì 21 giugno 2011

Libertarianism A-Z: ricerca e innovazione

Molti sostengono che la politica debba finanziare la ricerca di base poiché il mercato non è in grado di farlo e da essa dipende anche la ricerca applicata.

Sarà vero?

Galileo, Newton, Cartesio, Darwin, Pasteur, Adam Smith, Milton Friedman… hanno operato senza sovvenzioni. Cio’ dimostra che il privato può produrre ottima ricerca di base.

Non tutti sanno poi che spesso è la ricerca di base che fiorisce da quella applicata.

Resta poi la questione di base: chi decide?

Chi decide se si va sulla luna o si costruisce una pista per elettroni?

Il burocrate, non proprio la persona più adatta, direi.

Per i san Tommaso c’ è poi l’ evidenza: a grandi sovvenzioni statali non corrispondono grandi scoperte. Corrisponde piuttosto uno spiazzamento della ricerca privata che, se continua a esistere, spesso diventa parassitaria.

Libertarianism A-Z: tasse

Le tasse servono a molte cose, ma hanno anche un costo: distorcono le decisioni economiche.

Chi per sua scelta vorrebbe lavorare dieci ore al giorno si rassegna a lavorarne otto una volta resosi conto che il suo salario è decurtato dalle tasse.

L’ unica tassa che non “distorce” è quella per capitazione: mille euro a testa e via. Non è molto diffusa.

Le distorsioni si moltiplicano all’ infinito quando le politiche diventano sempre più “mirate”.

Un altro costo delle tasse è la compliance: farle pagare costa, a volta addirittura più di quel che si raccoglie.

L’ ultimo costo è il più rilevante: l’ inefficienza. Le risorse spese dal burocrate sarebbero state spese con più oculatezza da chi le ha prodotte.

lunedì 20 giugno 2011

Matana

Regredisci e celebra, regredisci e celebra.

Scava e prega, scava e prega.

Chi vorrebbe chiudere le messe in Chiesa, giudica impudica l’ ostensione per strada che Matana fa del suo suono.

Da vera buskers lo prende e lo sbatte sull’ asfalto invitando a guardare e a danzare.

E’ franto e bianco come un osso spezzato. E’ scarnificato come uno scheletro.

Ma sorride paziente, come il bambino insidiato dall’ inedia.

Sbozzato di fresco, comincia a muoversi a scatti, come un pinocchietto. Cerca a mici. Chiama la mamma con urla in cui il capriccio ammanta la disperazione.

Ma perché, Matana, non aggiungi qualcosa a quell’ erba scondita?

Fa rabbia la mancanza di ambizione di certi artisti neri. L’ indolenza della parlata si prolunga puntualmente nello strumento, e non si conclude un discorso.

Orecchiano un groove puerile e vi si abbandonano trascurando il capolavoro che stavano intessendo.

Forse sono troppo concentrati su qualcos’ altro. Qualcosa che a noi religiosi-da-chiesa sfugge una volta fuori, per la strada, a contatto con quelle caco-filastrocche da marciapiede.

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link

Matana Roberts - Coin Coin Chapter One - Gens de Couleur Libre

Ce n’ è voluta per liberarla dal fastidioso imballaggio del quotarosismo, così come dall’ involucro del terzomondismo. Di fronte a certi fenomeni il sospetto è sempre forte e l’ accertamento costoso, di solito mi tocca lasciare perdere e puntare su altro (uomini bianchi, possibilmente nordici). Ma questa volta s’ intuiva qualcosa in più e mi sono dato da fare: dopo pochissima buccia ho potuto già incontrare la sugosa polpa.

sabato 18 giugno 2011

La bestia nera dell’ Economist

Berlusconi è la bestia nera dell’ Economist, che gli dedica l’ ennesima copertine insultante: L’ uomo che ha fregato un intero paese.

Efficace la copertina, pugnace il titolo.

Ma l’ aritmetica è sbagliata:

L' Economist si sbaglia. Berlusconi ha sì «f...o l'Italia», ma non per averne frenato la crescita. Ho calcolato la media aritmetica del tasso di crescita del Pil negli ultimi vent'anni, separatamente per i Governi di centro-destra e di centro-sinistra. È vero, sotto il centro-destra il Paese è rimasto in stagnazione, con una crescita media dello 0,1% all'anno, mentre sotto il centro-sinistra la crescita media è stata dell'1,4 per cento: una differenza apparentemente abissale, se composta su venti anni.

Ma un confronto corretto dovrebbe tener conto della situazione internazionale, e il centro-destra ha governato durante periodi (i primi anni duemila e ovviamente l'ultima recessione) in cui la crescita in tutto il mondo è stata molto più bassa.

La differenza rispetto agli altri Paesi è stata pressoché identica sotto i due schieramenti (anzi, di pochissimo migliore sotto il centro-destra): in entrambi, l'Italia in media è cresciuta di circa l'1,1 % all'anno in meno degli altri Paesi Ue, l'1,2% in meno dei Paesi del G7, e l'1,4% in meno dei Paesi Ocse. Numeri disarmanti, ma bipartisan. E ci dicono che tendiamo a dare troppa importanza ai Governi; appena l'economia va bene, i sostenitori del Governo gli attribuiscono tutti i meriti; quando va male gli oppositori gli attribuiscono tutte le colpe.

In realtà, perché le riforme si riflettano in un miglioramento osservabile della crescita ci vogliono spesso anni. Un Governo, questo sì, può invece rovinare facilmente e velocemente un Paese, come sanno bene per esempio i cittadini di Venezuela e Zimbabwe. Ma fortunatamente nella seconda Repubblica abbiamo avuto ministri dell'Economia competenti che hanno almeno evitato grossi disastri: questa è una differenza rispetto agli anni Settanta e Ottanta di cui spesso non ci rendiamo conto.

Dunque la vera eredità negativa di Berlusconi non è stata l'economia. La prima eredità è stata aver riportato indietro il dibattito sociale di trent'anni. Berlusconi ha confermato e anzi rafforzato l'avversione che la maggioranza degli italiani, di destra e di sinistra, prova istintivamente per il mercato. Ha rafforzato l'innata convinzione di molti che tutte le riforme siano una congiura dei ricchi contro i poveri.

Education and signalling

Istruttivo scambio di battute. Ecco un link ai link.

Il problema è complicato: studiare in effetti rende.

Come districare i guadagni garantiti da un diploma dall’ effettiva produttività del diplomato.

Il nodo sono le false lauree. Quanto rendono?

La bellezza orfana dello sguardo

L’ articolo più originale della nostra Costituzione è il 9:

“… La Repubblica… tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione…”.

Non esiste nulla di simile al mondo, e non è un caso.

L’ idea che la protezione dei beni culturali sia da sottrarre alla buona volontà delle persone è una primizia che l’ Italia ha esportato ovunque.

Ma cosa significa pensare al Colosseo come ad un “bene comune” per tutti noi?

La risposta canonica che si dà a questa domanda divulga un pensiero insidioso autorevolmente esposto da Salvatore Settis: il cuore della nostra identità sta nel nostro patrimonio storico-artistico.

Difendendo la bellezza, difendiamo noi stessi. Anche per questo tali beni devono restare pubblici (=statali).

Per gli appassionati di filosofia potrei tradurre così: è la “struttura” che ci determina!

Poiché Settis è fermamente convinto che sia il contesto a formare il pensiero delle persone e quindi la loro sostanza, l’ azione decisa dello Stato diventa indispensabile in queste faccende. Solo lo Stato ha un qualche controllo sul “contesto”.

Sembra paradossale, ma in qualche modo la nostra identità starebbe innanzitutto fuori da noi.

Nei suoi lavori trabocca dunque il culto dell’ ufficialità. Solo chi riveste incarichi ufficiali è degno di ricevere ascolto in materia. Poi, magari, mentre l’ “organizzazione” ingessata dalla sua autoreferenzialità è impegnata in coffee break, aperitivi di inaugurazione e brochure in filigrana, a salvare la pieve di campagna ci pensa un gruppo di maestre elementari, un laureato precario, il parroco o degli emeriti sconosciuti.

Il rischio è quello di sacrificare le persone sull’ altare della loro supposta identità. Conservare per conservare conserva tutto tranne il senso dell’ oggetto.

Adesso spero sarà chiaro il perché parlavo di “pensiero insidioso”.

Carlo Betocchi, riflettendo sulla bellezza, diceva: “ci occorre un uomo”. Ma, a quanto pare, non per tutti e non sempre un uomo è più interessante di una roccia o di un tramonto.

Don Giussani riteneva che la bellezza fosse portatrice di senso ma affinché svolga la sua funzione è necessario produrre un’ attenzione particolare.

Attenzione, sguardo… parliamo di qualcosa che parte dall’ uomo e investe la cosa.

lu cong boo

Settis inverte le precedenze.

La questione non è da poco: prima le persone o prima i beni? Sono le persone a valorizzare i beni o viceversa.

Lo strutturalista privilegia una direzione ben precisa di questo nesso cruciale e lo strutturalismo di Settis salta fuori in ogni occasione.

Per esempio, celebrando l’ unità d’ Italia, sostiene con coerenza che essa deriva innanzitutto dall’ incommensurabile patrimonio artistico ricevuto dalle generazioni precedenti.

Ma allora la supposta “unità” si fonderebbe solo sul passato, esisterebbe a prescindere da noi.

Questo modo di guardare ai “beni culturali” uccide il singolo consegnandolo ad un flusso nel quale abbandonarsi rassegnato. E non escludo che per molti sia delizioso “abbandonarsi rassegnati”.

Intanto, forti del paradigma vincente, l’ etichetta di “bene culturale” spopola e dove viene apposta cala una sterile campana di vetro.

Lo stesso “Settis Re Mida” gira per il bel paese e qualunque cosa tocchi si trasforma in oro. Ma la lucentezza dura poco visto che dell’ oro acquisisce anche quella tipica immobilità pronta a ricoprirsi di muschio.

Con orrore Settis si volge indietro lamentando il proliferare di una burocrazia che congestiona gli amati tesori, ma, al tempo stesso, si rifiuta di scorgere alcun collegamento con le premesse che lui stesso ha posto con tanta eloquenza.

Intanto, per ragioni in gran parte avulse dalla storiella che ho raccontato, il paradigma dominante accusa un cedimento venendo qua e là sacrificato sull’ altare del profitto, del denaro, dell’ interesse privato.

Le sensibili antenne di Settis percepiscono il pericolo e fanno scattare l’ allarme.

Si potrebbe dire così: oggi una duplice minaccia attenta alla nostra preziosa identità: il negro straccione che sbarca a Lampedusa e il barbaro che entra nel business dei “beni culturali”.

L’ analogia è chiara: per un leghista i confini stabiliscono chi siamo, e vanno preservati a prescindere. Per Settis il patrimonio artistico forgia la nostra identità, e va preservato a prescindere.

In entrambi i casi i soggetti passano in secondo piano: bisogna difendere l’ oggetto che ci fa essere cio’ che siamo, e, se non vogliamo sparire, questa battaglia è prioritaria.

La coerenza ci spingerebbe ad opporci o a sostenere contemporaneamente entrambe le sensibilità. Ci riusciamo?

Sul punto vedo in giro tanta schizofrenia.

Luca Nannipieri – Salvatore Settis e la bellezza ingabbiata. – Edizioni ETS

venerdì 17 giugno 2011

Sei cio’ che mangi!

(o perlomeno del colore di cio’ che mangi)…

Rainbow Ants

,,, e allora non mangiarmi, ti prego…

nate frizzel not

… ti scongiuro…

killercarrot

link

Impossibilità estesa

C’ è una gran voglia di estendere il teorema dell’ impossibilità ai mercati. Ovvero, si vorrebbe che, una volta dimostrata l’ impossibilità di aggregare le preferenze tramite voto, dello stesso male soffrisse anche la scelta di mercato.

Ma la cosa non è possibile: l’ incoerenza della democrazia deriva da un confronto omogeneo tra le scelte, l’ incoerenza dei mercati no: bisogna confrontare l’ esito di scelte di mercato con l’ esito di una scelta politica.

Meglio che a dirlo sia James Buchanan.

L’ asimmetria

Trovo che vivere con la fede renda le cose più facili.

Ma soprattutto renda più facile il pensiero. E’ un po’ come se lo facesse rotolare in discesa.

Non sapendo quale sia la strada giusta, sempre meglio percorrere quella in discesa. O no?

Eppure molti “pensatori” atei non hanno una grande considerazione della fede in Dio. La classificano addirittura alla stregua di una disfunzione cognitiva.

Per Freud era una nevrosi e per Marx una perversione. Per Russell era irrazionale e per Hume contraria all’ evidenza.

Nello sforzo civico d’ indorare la pillola si arriva giusto a dire che il credente pensa con il cuore anziché con la testa.

elephant man

Come previsto, in questi casi il credente più agguerrito non porge l’ altra guancia ma reagisce.

E’ restio ad ammettere umilmente le sue deficienze cognitive, è piuttosto incline a rovesciare l’ accusa: il peccato obnubila le facoltà intellettuali dell’ ateo. Insomma, è l’ altro a ragionare male.

Qui però, secondo me, finisce l’ asimmetria.

Proprio quando lo scontro frontale appare senza sbocchi, una via di uscita si presenta.

Ma solo al credente.

Cosa dobbiamo intendere infatti per “disfunzione cognitiva”, cosa dobbiamo intendere per “funzionamento corretto della ragione”?

La mia auto funziona correttamente se fa quello per cui è stata costruita.

L’ aereo funziona bene se vola e arriva a destinazione.

Il credente, che adora un Dio creatore dell’ universo, ha buon gioco ad avvalersi dell’ analogia servita su un vassoio d’ argento e sostiene che il cervello funziona bene se si adegua al disegno divino.

L’ ateo, invece, su un punto tanto cruciale ammutolisce e stringe i denti.

Potrebbe accennare al fatto che una cosa “funziona bene” se ci aiuta a ottenere cio’ che desideriamo. Oppure se ci aiuta a sopravvivere.

Ma sa anche lui che in entrambi i casi la credenza in Dio non ne uscirebbe affatto sminuita.

p.s. Dettagli: link

giovedì 16 giugno 2011

L’ ottimismo paga!

L’ ottimismo paga!:

New computer simulations show that a false sense of optimism, whether when deciding to go to war or investing in a new stock, can often improve your chances of winning. “There hasn’t been a good explanation for why we are overconfident, and this new model offers a kind of evolutionary logic for that,”

Romanticismo educativo

Il massimo rappresentante su piazza dell’ antidonmilanesismo militante è David Murray, anche se lui, probabilmente, non sa nemmeno chi sia il parroco di Barbiana.
Combattente inesausto contro ogni ipocrisia (le sole crociate con il mio imprimatur), denudatore di imperatori già nudi, nessuno ha fatto le pulci al “romanticismo educativo” con tanto puntiglio.
D’ altronde l’ unica arma da impugnare contro questo seducente blob mellifluo sono i fatti concreti, e i 4 pilastri da cui parte il Murray per discutere il tema, puntano a quello. Vediamoli:
1. Le abilità variano da persona a persona. Non solo, variano molto. Le abilità che di solito valorizzano la vita adulta nella società contemporanea, poi, sono solidamente correlate con l’ IQ.
2. Metà dei bambini sono sotto la media. Non solo, non sappiamo nemmeno come migliorare la loro posizione. Non esiste evidenza di significativi miglioramenti da parte degli ultimi. Producendo il massimo sforzo possiamo giusto fare in modo che un bambino sotto la media si trasformi in un bambino un po’ meno sotto la media.
3. Troppa gente va all’ università. Pensando al minimo che deve saper fare un laureato di solito ci vengono in mente compiti (leggere e capire una pagina della Divina Commedia aperta a caso o l’ incipit di On liberty),  che richiedono abilità possedute dal 10-20% della popolazione giovanile. Il resto che ci fa lì?
4. Il futuro di un paese non dipende tanto dall’ “educazione dei giovani”, come si è soliti sentir dire, quanto dall’ “educazione dei più dotati”.
Vediamo allora di tirare qualche conclusione.
Al mondo la differenza  esiste ed è bella. Esiste anche tra i bambini, e per valorizzarla occorre una scuola varia.
La scuola unica come fa sbaglia: se si appiattisce verso l’ alto, i drop out spuntano da tutte le parti, se si appiattisce verso il basso ci giochiamo i nerd.
nerd nerdy
Per fortuna sappiamo abbastanza bene che le differenze di sostanza sono rilevabili precocemente: 6-10 anni. E sono – forse ma forse – in qualche modo influenzabili, ma solo intervenendo ancor più precocemente: 3-4-5 anni.
Posso anche interrompere qui il mio post. In fondo, se il problema è impostato correttamente, le soluzioni fioccano da sole senza bisogno dei tonitruanti cannoni spara-neve che il Murray mette in campo nel quinto e ultimo capitolo dell’ agile libretto.
David Murray – Real Education – Three River Press.
p.s. Consentitemi una precisazione: non ce l’ ho con il Don Milani operatore scolastico. Lui, probabilmente, nel contesto in cui si trovava, ha agito anche per il meglio. Solo che ha voluto trasformare il suo felice empirismo in metodo, se non in ideologia. Prendere troppo sul serio i suoi scritti ci salva forse la coscienza ma storna gravi danni su terzi, in particolare sulle giovani generazioni. 

mercoledì 15 giugno 2011

Libertarism A-Z: immigrazione

Ma cosa fanno di male gli immigrati?
Ibridano i nostri valori?
Ma questo non è necessariamente negativo. Dall’ ibridazione delle culture sono nate grandi civiltà.
Mettono sotto pressione il nostro welfare?
Smantelliamolo. O, in alternativa, escludiamo gli immigrati dal welfare senza escluderli dal Paese. avranno meno garanzie ma saranno anche più competitivi.
Danneggiano chi sta peggio entrando in competizione con i lavoratori low-skill?
Strano concetto di equità: difendere chi sta male affamando chi sta ancora peggio.
Spesso ci mostriamo preoccupati della povertà nel mondo. Ebbene, si sappia che esiste un modo e uno solo per combatterla in modo efficiente: aprire i confini del mondo ricco agli immigrati.

Torno subito

Quel due giugno di sei anni fa era ancora più noioso ed inutile di una parata militare.

Forse per il solleone, forse perché sotto l’ influsso di eretiche letture, mi venne fatto di elencare nel vecchio forum di fahre 45 ragioni per cui i regimi monarchici si fanno preferire alla repubblica democratica (qui il post originale).

napoleon-throne

In realtà si trattava solo di una lunga domanda senza punto interrogativo (se li metti non ti rispondono o lo fanno senza passione): perché mai dovrei credere nella democrazia?

In assenza di spieghe convincenti (qui la discussione) continuai a coltivare il mio cripto-monarchismo.

Ma anche a tenere ben tese le orecchie in attesa di udire parole illuminanti.

E finalmente, dalla lontana Chicago, una voce si alzò:

Donald Wittman: The myth of democratic failure – The University of Chicago Press

Il meriggiare pallido e assorto doveva essere davvero neghittoso se è vero com’ è vero che le 43 obiezioni potevano in fondo ridursi ad una: in democrazia informarsi non è conveniente per l’ elettore.

Persino recarsi al seggio non è conveniente. Sarà per questo che le gallonate autorità democratiche insistono su questo pseudo dovere ricorrendo ad imbarazzanti argomenti vodoo (gli unici a loro disposizione).

Donald Wittman, è di diversa pasta, non deve reggere uno Stato, di lui ci si puo’ fidare.

Comincia con l’ ammettere: difficilmente l’ elettore democratico andrà mai incontro all’ informazione.

Ma prosegue: anche perché sarà l’ informazione a venire da lui.

Se c’ è un minimo di competizione elettorale i politici (a caccia di rendite enormi) faranno il diavolo a quattro pur d’ inseguire il riluttante elettore ed informarlo sulle malefatte del concorrente.

E in effetti siamo sommersi di sexy-informazioni. Ci si metterebbe in mutande pur di pietire l’ ascolto.

Ma un dubbio continua a mordere: puo’ uno scolaro svogliato imparare la lezione quand’ anche disponga di un precettore disposto ad inseguirlo fino a casa? I vecchi dicevano che l’ asino puo’ essere condotto all’ acqua ma non puo’ essere costretto a bere.

Un dubbio resta, ma le ragioni di Wittman sono potenti. A me convince.

Mi accorgo di sapere più dei ministri che stanno a Roma rispetto agli assessori del Comune che sta a 150 metri dal mio divano. Quando l’ informazione si mette in testa di inseguirti ti bracca. Me ne accorgo e mi convinco.

Convince anche quando fa notare come un elettore razionale tiene conto che il politico è mediamente egoista quanto lui, e vota di conseguenza evitando le trappole.

Wittman, dunque, convince.

Eppure non avrà da me né un’ abiura completa, né una conversione a tracentosessanta gradi.

Ok, è riuscito a smontare in marchingegno ben oliato come quello dell’ “ignoranza razionale”, eppure resta ancora lì, intatto, quello dall’ “irrazionalità razionale”.

Nella sua apologia ha trascurato il sottile fascino esercitato dell’ ideologia: il sistema democratico spinge a non informarsi, ma invita soprattutto ad abbandonarsi all’ ideologia. Ci dice ogni giorno che possiamo permettercelo!

Non è un caso se la Propaganda marchia a fuoco la Democrazia quasi fosse il suo vitellino prediletto.

Professare un’ ideologia puo’ essere bello.

Giuro! Vivi da pascià, la salute migliora a vista d’ occhio. Rifiorisci. Hai da dire la tua su tutto e tutti. La lettura del giornale ti manda in estasi ogni mattino consentendoti di scatenare finte rabbie che attirano l’ attenzione. C’ è anche il brividino dell’ avventura: passi per un tipo con le idee chiare, magari un “estremista” che se lo puo’ permettere, un radicale reso tale dagli approfondimenti che gli hanno svelato il giro del fumo, ora sei una minoranza preziosa in via di estinzione. Dal gregge all’ élite, dall’ élite all’ unicum. L’ importante, comunque, è “essere”. Chiedete a qualsiasi psicologo e ditemi se “essere” è secondario per la salute psico-fisica dell’ individuo. Finalmente ti esprimi gridando a pieni polmoni (i polmoni del dubbioso cogitabondo sono messi peggio di quelli del fumatore). Hai una tua identità mentre prima non eri né carne né pesce.

Vuoi mettere?

Se poi prendi un granchio, niente di male, puoi sorvolare agilmente in assenza di controprove che non verranno mai (“il mondo è così complesso”) ma soprattutto il conto si paga alla romana.

E allora, sotto con le ordinazioni!

Concludendo, caro Wittman, io sono disposto a concessioni importanti, sono disposto a ripetere in coro con te che se noi non “andiamo” dall’ informazione, l’ informazione “verrà” da noi. Ok.
 

Ma, se permetti, continuo anche a pensare che quello dell’ informazione sia un vano tragitto: non ci troverà a casa!

Troverà invece appeso alle porte del cervello un bel cartello con su scritto: “sono in visita presso Signora Ideologia, torno subito dopo le elezioni o forse mai. A presto!”.

Il dogma

Frederick Wiseman ha simpatie radicali e qui gira il basic training dei marines americani in partenza per il Vietman.

Avete presente cosa puo’ fare e dire un radicale quando parla di marines e di Vietman?

Avete presente cosa puo’ fare e dire quando ne parla nel 1970?

Se le Torri le ha stese Bush, e c’ erano migliaia di giornalisti “sul pezzo”, chissà, stando a quella vulgata, cosa diavolo succede nel blindato fortino di Fort Knox. Come minimo si praticano lavaggi del cervello con turni anche di notte e la cupola degli scienziati pazzi si riunisce ogni tre per due con quella dei politici stupidi per varare sempre nuovi piani di conquista e destabilizzazione. L’ immaginazione ideologica puo’ correre libera a briglia sciolta.

Eppure:

1. Eppure, grazie a Wiseman, ora so per certo che l’ Accademia della Guardia di Finanza di Bergamo è luogo molto più alienante e giocosamente oppressivo rispetto al Fort Knox dell’ epoca d’ oro.

2. Eppure, il documentario rimane bello e attendibili (anche se in mancanza di sottotitoli la mia comprensione è inesorabilmente amputata).

Perché?

Onestà intellettuale? Forse.

L’ elemento soggettivo è importante, ma è anche radicato nel soggetto: va solo dove va lui, cammina sulle sue gambe.

più fruttuoso impegnarsi per scovare un elemento oggettivo esportabile ovunque.

E allora faccio la mia ipotesi: perché manca la voce fuori campo. Wiseman gira con un braccio legato privandosi volontariamente di questo espediente.

Averlo avrebbe potuto trasformare tutto in una “gabanellata” a tesi telecomandata.

Di più: manca qualsiasi voce o faccia che non sia quella dei protagonisti.

Di più: manca qualsiasi suono estraneo all’ ambiente.

Un film sul convento dei marines dove parlano solo i marines. Puro montaggio senza altre voci che “riassumono”, “razionalizzano”, “edificano”, “moralizzano”, “inquietano” o “tirano le somme”.

Visione cruda e senza filtri.

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Dovrebbe essere il Dogma triersiano dei documentaristi di ogni tempo..

martedì 14 giugno 2011

L’ asilo conta?

Mica tanto: http://econlog.econlib.org/

Al bar

Scendete ora giù al bar e chiedete a bruciapelo al vostro compagno di bevute quanto fa “171 x 24”, quello vi guarda senza rispondere, strizza gli occhi, corruga la fronte, chiede brancolando carta e penna e si apparta finché s’ è fatta l’ ora dell’ aperitivo.

In effetti non è un’ operazione semplice.

Eppure, se alla stessa persona fate domande molto più complicate – mafari che tirino in ballo centinaia di variabili, magari implicanti valutazioni generali sull’ economia o sulla politica estera – quello non vi farà neanche finire e attaccando con grande verve vi esporrà la sua convinta opinione sui fatti.

Ma come mai sappiamo risolvere tanto velocemente solo i problemi più incasinati?

Per chi difende la libertà la domanda non è pellegrina dato che la libertà trionfa laddove riconosciamo la nostra ignoranza: non esiste soluzione univoca, liberi tutti! Se invece ci districhiamo davvero così bene su questioni tanto complesse, la libertà diventa un orpello inutile: esiste una soluzione, applichiamola!

Purtroppo, a quanto pare, i nostri limiti così evidenti quando trattiamo problemi semplici, spariscono all’ improvviso quando le complicazioni si stratificano.

Il fatto è che una domanda facile (171 x 24) non la si puo’ cambiare, se ne sta lì implacabile davanti a noi come una sfinge sfacciata. Al contrario, una domanda difficile (“quanto bisognerebbe dedicarsi al salvataggio delle specie animali in via di estinzione?”) è proteiforme, sfaccettata. E tu puoi scegliere di rispondere alla faccia più benevola pensando di aver risposto a tutte.

Qualche esempio testato in laboratorio:

Quanto bisognerebbe dedicarsi al salvataggio delle specie in via di estinzione?

Nella nostra testa lentamente si trasforma in:

Come mi sento pensando all’ ultimo panda che tira le cuoia?

Oppure:

Quanto sei felice in questo ultimo periodo?

Diventa:

Come ti senti ora?

Oppure:

Di che popolarità gode il Presidente ora?

Diventa:

Di che popolarità ha goduto il Presidente negli ultimi sei mesi?

Oppure:

Dovrebbero essere punite le banche che hanno consigliato male i pensionati?

Diventa:

Quanto ti monta la rabbia sentendo notizie sulla speculazione?

Oppure:

Questa donna si presenterà alle elezioni, che opportunità avrà di vincere?

Diventa:

Questa donna ha la faccia da vincente?

Conclude lo psicologo:

… le scorciatoie facilitano reazioni rapide a domande che se prese sul serio richiederebbero una notevole mole di duro lavoro… trucchi del genere evitano di farsi toccare con mano le nostre incertezze facendoci scampare l’ ammissione d’ ignoranza…

Ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi:

E’ giusto avere un salario minimo per tutti?

Diventa:

Sarei contento se il padrone desse un aumento a chi guadagna poco?

Oppure:

Quale politica per la crescita?

Diventa:

Quale politica colpirebbe chi mi è antipatico?

Oppure:

L’ art. 18 andrebbe abrogato?

Diventa:

E’ sgradevole essere licenziati?

Oppure:

Come andrebbe graduata la progressività del sistema fiscale?

Diventa:

Ammiro o disprezzo i ricchissimi?

Morale: al bar la libertà è indifendibile.

Peccato che i bar non stiano solo qua sotto: ce ne sono anche in banca, al ministero, in parrocchia… Ma soprattutto ne sono piene le Università.

Musica per omuncoli

Benvenuti nel paradiso dell’ idiotismo elettroacustico.

Qui persino l’ ottusità è sgargiante e diffonde ovunque il buon umore e la cordialità (del cocainomane).

Vietato cantare. Gradite invece le lallazioni prodotte da adulti neonati mentre girano in tondo con accelerazioni da comica finale.

Edward Nino Hernandez

Un mondo sotto spirito che grazie a dosati elettroshock viene rianimato di tanto in tanto per scatenare la sua funebre vivacità marionettistica. Dietro le transenne il popolo dei curiosi lo guarda come uno di quei fiori kitsch che sbocciano ogni dieci anni.

Carim Nahaboo

link

Dan Deacon - Bromst - Cak

p.s. (che non c’ entra niente) auguroni al nostro mitico davide che oggi aggiunge una primavera alla sua saggezza!

Luce dalle crepa

There is a crack in everything. That’s how the light gets in.

Leonard Cohen

Quando una situazione puo’ essere descritta in almeno due modi differenti, entrambi coerenti al loro interno ma tra loro inconciliabili, parliamo di “ambiguità”.

Se una giovane è anche vecchia, siamo in un caso del genere.

giovane vecchia

Di fronte all’ ambiguità molti si sentono mancare la terra sotto i piedi e annaspano. Ultimamente va molto di moda trovare rifugio sul solido terreno delle scienze.

Illusi!

Luogo comune: l’ ambiguità valorizza forse l’ arte, ma quando si pensa seriamente è la chiarezza a divenire un valore.

Tutto giusto. Ma perché allora proprio la scienza cumula una quantità di conoscenze dove l’ ambiguità regna sovrana? E non parlo di curiosità da zoo safari ma di dinamite posta ai piedi dei piloni centrali che reggono l’ edificio del sapere. E’ questo un fallimento?

Di seguito, una dozzina di esempi.

1. Moltiplicazione. 3x2=6. Questo “sei” è un “oggetto” o un’ “operazione”?

2. Variabile X. Rappresenta una qualsiasi delle soluzioni possibili o l’ insieme delle soluzioni possibili?

3. Calcolo. Ogni calcolo integrale è riducibile a calcolo differenziale (e viceversa). Ma cosa si adatta meglio alla realtà?

4. Logica. La logica classica è un’ enorme tautologia e l’ essenza della tautologia sta proprio nella sua ambiguità.

5. Meccanica quantistica. Ma l’ elettrone è un’ onda o una particella?

6. Relatività. La realtà è materia o energia?.

7. Neuroscienze. Pensiamo con il cervello o con la mente? Con il cervello, ci dice la mente.

8. Scienza. Cos’ è? Una collezione di “leggi” o un’ attività umana?

9. Leggi della finanza. Esistono o no? Sembra di sì, ma se ci si adegua si dissolvono.

10. Significato. Lo trovo nel dizionario o nell’ uso?

11. Visione binoculare. L’ immagine reale si forma nell’ occhio destro o nel sinistro?

12. Matematica. I grandi matematici innovarono la loro disciplina attraverso "invenzioni" o attraverso "scoperte".

13. Evoluzionismo. Innesca la vita o è innescato dalla vita?

14 Caso, Infinito… Sono concetti definibili o no?

La risposta migliore è sempre la stessa: entrambe le cose. Anche se non riusciamo e non possiamo pensarle insieme!

Diffidate di chi trascura uno dei due corni del dilemma e tende a svalutarne l' importanza.

Ok, il cervello riconcilia le immagini che abbiamo negli occhi producendo l’ immagine che vediamo. Anche le ambiguità possono essere riconciliate ad un livello superiore, senonché tornano puntualmente a riproporsi anche a quel livello.

Prendiamo il concetto di “matematica”. Il formalista cerca di dimenticarsi della matematica come “attività umana”. Ma poi l’ ambiguità che crede di superare pensando in questo modo la realtà, torna a riproporsi in vesti curiose proprio nel cuore dei suoi teoremi.

Che vita d’ inferno quella dello scienziato che non ama l’ ambiguità.

Ma torniamo alla domanda iniziale. Questa ipertrofia dell’ ambiguo è un fallimento del sapere?

La scienza osserva e poi ragiona a tavolino. Solo che il tavolino su cui ragiona sembra avere tre gambe.

Tutto cio’ potrebbe essere visto come un bene, se esistessero zeppe in grado di fermarlo rischieremmo l’ immobilità assoluta. In questo modo siamo invece condannati al movimento e al cambiamento.

Speriamo che questo “cambiamento” sia anche un “avanzamento”. Ma qui interviene la fede.

Chi è in cerca di precisione e certezze stia dunque alla larga dalla scienza e dal pensiero scientifico, sarebbe una fatica immane quel far finta di non vedere a cui sarebbe costretto. La scienza ci consegna oggetti bellissimi ma anche fatalmente crepati, solo chi apprezza la luce che entra da quelle crepe si troverà a suo agio.

William Byers – The blind spot

lunedì 13 giugno 2011

1+1=2?

Era già un pezzo notevole (il primo di questa playlist); ora una chicca di Frankel prova ad illustrarlo.

Ottima occasione per osservare da vicino l’ incastro tra due bellezze. Come si relazionano?

Sinergia? Conflitto? Erosione?

 

Purtroppo, nell’ investirci, il nuovo prodotto ci chiama a dare delle precedenze, e l’ immagine se la prende senza tanti riguardi.

L’ ambiguità dei suoni risulta amputata, qualcuno ha già scelto per noi.

Il fascino della musica, quello di portarci ad un crocicchio ricco di alternative, si dissolve: siamo incamminati su una strada. E’ bellissima, è asfaltatissima, è scorrevole e ben illuminata. Mille promettenti negozi la costeggiano.

Ma è… “una”. Non l’ abbiamo scelta ed è senza ritorno.

domenica 12 giugno 2011

Libertarianism A-Z: compravendita di organi

Proibire la compravendita di organi umani ha poco senso. Uno scambio migliora la condizione di entrambe le parti ma questo scambio in particolare allevierebbe le sofferenze di molti per non dire delle vite umane che si salverebbero.

Qualcuno obietta che individui disperati o poco lungimiranti ci andrebbero di mezzo. In realtà dottori, ospedali, amici e parenti limiterebbero di molto gli abusi. A tutto cio’ si affiancherebbero regole sicure per il consenso.

Basterebbe un piccolo compenso per aumentare di molto le liste dei donatori. molti sarebbero felici di registrarsi per 100 euro. Compagnie private curerebbero questi registri rivendendoli agliospedali.