martedì 25 marzo 2008

Trincee per difendersi dallo "psicologismo"

Chi guarda al mondo con il cannocchiale messo a disposizione dagli economisti, non puo' fare a meno di adottare l' assunzione relativa all' Homo Economicus, ovvero, non puo' che adottare il postulato della razionalità: l' agente economico compie le sue scelte seguendo criteri razionali.

Ma questo assunto è stato spesso contestato, soprattutto dagli psicologi, i quali rilevano come, nella realtà dei fatti, esso sia inconsistente. Possiamo ricondurre la contestazione più circostanziata all' opera di Daniel Kahneman, recente premio Nobel. Già in passato, ricordiamo i paradossi di Allais e Ellsberg, un attacco era stato tentato. Il filone della cosiddetta "economia comportamentale" è oggi abbastanza seguito.

Una premessa essenziale per confutare sperimentalmente l' assunto consiste nel sostanziarlo, cioè nello specificare in che cosa si esplica la razionalità dell' operatore. Kahneman chiede una definizione ristretta e sostanziale di razionalità, una volta fornita potrà confutarne l' esistenza attraverso i suoi esperimenti.

Molti libertari temono l' attacco "psicologista2 poichè è fuoriero di "paternalismo": se l' individuo ha comportamenti irrazionali sarà possibile correggerlo per il suo stesso bene.

Come si è reagito a questo attacco contro i paradigmi neoclassici e non solo? Vediamo alcune risposte.

Mises. La razionalità è un assunto formale e quindi di per sè inconfutabile. Eventuali debolezze possono essere neutralizzate mediante l' assunto parallelo del soggettivismo radicale. Esempio: domando a Tizio se preferisce A o B, lui mi risponde A. Poi ripeto la domanda invertendo l' ordine, lui mi risponde B. Anzichè concludere che le preferenze di Tizio sono incoerenti posso sempre dire che le ha cambiate nel frattempo, oppure che esiste una preferenza dominante consistente nello scegliere il primo termine di un dilemma.

Hayek. Si adottano posizioni razionali solo attraverso processi evolutivi. Al cambiare della realtà si cambiano le proprie posizioni sperimentalmente fino a che si viene condotti su posizioni razionali di equilibrio. Chi nega la razionalità degli operatori, in realtà, sopravvaluta i residui dovuti al transito da una posizione all' altra, considera errore cio' che in realtà è adattamento. Ecco un caso.

Friedman. Poichè l' economia è una scienza convenzionale non ha rilevanza confutarne le ipotesi quando il modello funzioni bene. Ha invece rilevanza confutarne gli effetti. A proposito dobbiamo notare che gli effetti di base della teoria del consumatore sono confermati nel lavoro di un economista sperimentale premiato con il Nobel assieme a Kahnamen, parlo di Vernon Smith.

Stigler/Becker. La razionalità va sostanziata diversamente rispetto a quanto fa Kahnamen. Due punti fermi devono essere mantenuti: la stabilità dei gusti e la loro omogeneità nel tempo e nello spazio. L' omogeneità significa che statisticamente siamo abbastanza simili nelle preferenze. Se una popolazione presenta differenze, queste non sono imputabili ai gusti, bensì a differenze nei prezzi relativi prodotti dall' ambiente in cui vive. Il consumatore è visto come un produttore di utilità, in quanto tale ha una sua funzione di produzione e un costo da minimizzare e in questo processo non rientrano solo considerazioni intorno al prodotto specifico oggetto di scelta ma anche intorno al capitale umano e ad altre variabili. S/B applicano la loro nuova teoria del consumatore a casi tipici in cui il consumatore sembra agire in modo irrazionale: moda, dipendenza, pubblicità, rischio, tradizione.

sabato 22 marzo 2008

Ancora su famiglia e politiche previdenziali

Tanto per dissipare ogni equivoco, riformulo meglio prendendo ad esempio il sistema previdenziale, asse portante del nostro welfare. Ecco due soluzioni stilizzate e alternative.



SOLUZIONE A: Il sistema previdenziale viene "socializzato" e ad ogni cittadino che superi una certa soglia di età (60 anni) viene garantito un vitalizio mensile pari al suo ultimo stipendio.



SOLUZIONE B: Il sistema previdenziale viene fondato su più "pilastri". Un ruolo è giocato anche dal settore assicurativo privato. Viengono garantite solo prestazioni minime e regole che rendano concorrenziale ed efficiente il sistema finanziario.



Di seguito derivo un paio di conseguenze a cui probabilmente andrà incontro la comunità che decide di passare senza traumi dalla SOLUZIONE A alla SOLUZIONE B.



CONSEGUENZA 1: i bisogni previdenziali saranno soddisfatti in modo più efficiente.

CONSEGUENZA 2: il valore economico dei figli crescerà e la fertilità sarà incentivata.



Se le conseguenze sono davvero queste qualcuno riterrà con il "passaggio" di avere colto due piccioni con una fava.



Magari l' Utilitarista e il Cattolico faranno comunella per sponsorizzare la riforma. Con una fava del genere ci sarà cacciagione da dividersi in modo proficuo per entrambi.



Altri, terrorizzati dall' apparire della CONSEGUENZA 2, riterranno che stiamo importando il "Modello Africano" con tutte le sue iatture. Tra il serio e il faceto equipareranno i danni di una simile riforma ai danni della malaria.



Quest' ultima conclusione, che ho caricato nei toni, avrebbe qualche senso se la causa di tutti i guai dell' Africa fosse l' alto valore economico dato alla prole e quindi l' alta fertilità.



Ma stiamo per l' appunto commentando una lettera che proprio a questa necessaria premessa sembrerebbe opporsi!

venerdì 21 marzo 2008

L' assasinio: una via per la democrazia

Le probabilità di democratizzazione crescono se gli attentati hanno successo. La via dell' assassinio paga.

Le tasse fanno male

Un' altra "schippettata".

La croce sulle piccole imprese

La bassa produttività di cui soffre il sistema italiano viene da molti imputata ad una struttura in cui prevalgono le piccole imprese. Ma le piccole imprese non sono di per sè scarsamente innovative. Anzi, in certi settori sono le più innovative come chiarisce questo studio. Inoltre, il vero nucleo dinamico del sistema è formato dalle medie imprese che sono state anche piccole. Allora bisognerebbe chiedersi cosa da noi faccia da ostacolo a queste dinamiche che altrove sembrano essere naturali.


Il primo colpevole sembrerebbe essere il nostro sistema pensionistico: altissimi oneri contributivi finiscono per rendere conveniente un outsourcing esagerato. Da lì la nascita di microimprese a bassa produttività. Se a questo si assomma la soffocante sindacalizzazione nella medio-grande impresa, si capisce come pur di fuggire da quell' incubo si battano tutte le piste disponibili.

Il microcredito fa bene? Panico

Surowiecki ne dubita, da lì non è mai uscita un' impresa importante. La risposta è pronta: giudicare il microcredito alla stregua di una politica industriale è sviante, trattasi di politica di welfare e come tale funziona abbastanza bene.


Lo stesso argomento si puo' adottare contro chi scrolla la testa nell' osservare la struttura del nostro sistema produttivo ed esclama "...troppe microimprese!!". Vero, e molte cause potrebbero essere rimosse. Però, per quanto sulla micro impresa che non si sviluppa puo' essere emessa una sentenza di condanna produttiva, bisogna invece decantarne le qualità welferistiche. Il piccolo fruttivendolo che presidia il terrirorio con il suo negozietto dai margini minimi, dà spesso sostentamento minimo e significato ad un paio di vite che hanno fatto tutta la vita quel lavoro.

L' inesistente conflitto d' interessi fiscale

Richiamandosi alle pratiche d' oltroceano molti, per combattere l' evasione fiscale, invocano detrazioni su misura che inneschino un conflitto d' interesse tra i contribuenti.
Ma questi rimandi ai sistemi fiscali stranieri non hanno consistenza. Negli USA esistono molte detrazioni ma sono tutte previste per agevolare i contribuenti, praticamente nessuna per far emergere evasione.
Studio SOGEI Dino Pesole sul sole p.33 21.3.08

E la "classe" non c' è più

In un puntata di Fahre che riprende un articolo sulla Stampa che riprende un articolo sul Time, si parla di classi sociali. Le classi come le intendeva Marx non esisterebbero più. Ci si aggragherebbe ormai per gusto ed educazione personale, elementi interclassisti. Mi è venuta voglia di opinare sul punto.



Innanzitutto un chiarimento. La classe marxista non era concepita per "stare in compagnia e andare al cinema tutti insieme appassionatamente". Era concepita per il conflitto materiale in una visione per cui "io posso arrichirmi solo impoverendoti". Rivelatosi un pensiero logicamente incoerente e storicamente fallimentare, il pensiero del conflitto è stato sostituito dal pensiero dell' accordo pacifico (di mercato). Ma questo cambio della guardia è avvenuto decenni fa. Anche se da noi lo strascico è stato insopportabilmente lungo, le classi in senso marxista sono sparite da tempo.



Quanto alle più generiche "stratificazioni sociali" individuo due elementi che possono minarle attraverso un rimescolamento.



  1. Elevata mobilità sociale. Il povero che spera con fondamento di potersi elevare con le sue forze, potrebbe anche sentirsi più affine a colui che ce l' ha fatta piuttosto che al barbone rassegnato che si trascina ovunque spettacolarizzando il suo piagnisteo.


  2. L' inutilmente colto. Colui che, aiutato dalle distorsioni di un apparato formativo autoreferenziale, si è caricato di saperi utili solo a titillare la propria sensibile anima, rinunciando a sacrificare anche solo una minima parte delle sue ispirazioni e voglie (e capricci) in favore di una preparazione più idonea allo scambio sociale (leggi: ha fatto scienze delle comunicazioni o lettere o giurisprudenza anzichè chimica). Costui presumibilmente stagnerà in condizioni economiche di basso cabotaggio. Eppure avrà i mezzi e le competenze per interloquire anche con le classi dirigenti del Paese. Anzi, sarà più attratto da un dialogo con loro che con il suo collega di decile reddituale alienato da un lavoro massificante e in perenne attesa di sfogarsi con 15 giorni a Gardaland.



Direi che il punto 1 intercetta un fattore salutare di rimescolamento mentre il punto 2 ne individua uno patologico. E infatti da noi, se una qualche forma di mantecato sociale affiora qua e là, lo dobbiamo esclusivamente al secondo.

Più figli meno sussidi

In Italia si fanno pochi figli. Dopo pochi secondi che lo si è detto, ecco che sale alto il reclamo di un sussidio nelle forme più svariate. A mo' di esercizio elenco qualche riserva in proposito.

  1. La cultura potrebbe contare in questioni come queste. Le donne da noi partecipano poco al lavoro, non c' è paragone con i paesi scandinavi dove possono usufruire di parecchie facilities. Il gap resta però costante se si esaminano gruppi di donne italiane e scandinave che vivolno in paesi terzi, esempio gli USA (vedi Alesina). La cultura conta.

  2. Se le donne partecipano poco al lavoro e, in più, la loro fertilità è bassa, forse cio' significano che la loro scarsa attitudine a filiare non dipende solo da motivi carrieristici.

  3. Il difetto principale del nostro welfare consiste nel non trasferire risorse dai ricchi ai poveri. Una misura generica a favore dei figli rafforzerebbe questa tara (vedi anche punto 3).

  4. Chi sopporterebbe il costo dei sussidi? Se lo sopportassero i più affluenti sarebbe l' ennesimo disincentivo all' efficenza. Se lo sopportassero i meni abbienti sarebbe l' ennesimo finanziamento dei poveri verso i ricchi. Se lo sopportasse la classe media sarebbe l' ennesimo fenomeno di churning dove a guadagnare sarebbe solo il realizzatore del trasferimento con le sue ampie percentuali trattenute.

  5. Si sussidia il figlio perchè il figlio "pesa" sulla famiglia. Ma il figlio è anche una ricchezza! Chi lo considera per cio' che deve essere, ovvero una ricchezza, ha già gli incentivi giusti. Si finirebbe per sussidiare la nascita dei figli del "capriccio" e del "conformismo".

  6. Vedere i figli come "bene di consumo" porta a considerarli un capriccio. Per ribaltare questa visione le misure ci sono: basta riformare il sistema pensionistico abbassando le prestazioni. I figli torneranno lentamente ad essereun bene d' investimento.

  7. Rendere più "costoso" l' aborto potrebbe alzare la natalità.

  8. Avere pochi figli è un male per la società? Secondo molti punti di vista no. Secondo molti altri è addirittura un bene.

  9. Una misura alternativa a costo zero sarebbe quella di concedere in custodia ai genitori il diritto di voto dei figli.

giovedì 20 marzo 2008

I rischi di una Cina democratica

Ma siamo sicuri che una Cina democratica qui ed ora sia auspicabile?

Il gradualismo alla cinese ha finora dato buoni risultati, perchè liquidarlo con indignazione proprio quando in ballo ci sono le questioni delicate della politica.

Ormai sembra accertato che i grandi risultati economici conseguiti dal colosso asiatico non possano essere interamente accreditati alla sua crescente apertura commerciale. In parte bisogna riconoscere il ruolo giocato da una saldissima leadership che stava dietro alla rivoluzione liberista. Nel bene e nel male la riduzione delle incertezza ha un valore radiante.

Che questo ruolo ci sia ed abbia contato ce lo confermano miracoli affini, per esempio quello del Vietnam. Ce lo confermano anche storie differenti conclusesi in modo antitetico, per esempio la storia di Haiti con le sue esemplari liberalizzazioni e le sue fragili istituzioni. Per non parlare della Russia, la democratizzazione a tappe forzate incagliò la ristrutturazione del sistema economico.

Con questo non voglio dire che le istituzioni democratiche siano meno efficaci come propellente per lo sviluppo. Al contrario, sono altrettanto efficaci se non di più. E, in aggiunta, ridimensionano i rischi in un ambiente iper-dinamico. Il fatto è che non sto parlando di "Istituzioni democratiche", sto parlando di "Istituzioni deboli". Sì perchè, una metamorfosi necessariamente traumatica come l' abbattimento di un potere centralizzato ormai incancrenito in questa forma da secoli, non puo' che sfociare in Istituzioni fragili. L' effetto del turbo cinese montato su una simile precaria carozzeria potrebbe destare preoccupazioni.

Riflessioni scaturite dalla lettura di Rodrik OEMR P.216. Lì trovi abbondanza di studi empirici sui fatti che suffragano simili dubbi. Sappiamo bene l' importanza dei fatti, unica vera egida di fronte allo scatenarsi delle furie pc.

Preoccuparsi di demografia. Ovvero, leggere i libri partendo dall' ultima pagina

Cominciare la cura ai paesi poveri accanendosi sull' aspetto demografico significa cominciare dalla fine. Non mi sembra un buon metodo. Sempre meglio ricordarlo nel paese dei "sartori".



Segue il tentativo di rintuzzare qualche obiezione, più la solita ideina impraticabile ma che è sempre bene pensare facendola filare al meglio, così, tanto per sgranchirsi un po'.

Giardini: ...mi limito a mettere in dubbio la spiegazione prevalentemente "economica" di un fenomeno che invece è complesso, perché collegato anche a tantissimi altri aspetti, religiosi, psicologici, culturali, nonché tribali...

Attenzione alla natura con cui si manifesta la razionalità economica. Non è certo un calcolo fatto a tavolino da ciascuno degli interessati. Si tratta molto semplicemente di comportamenti vincenti (perchè ragionevoli) che poi si diffondono attraverso tradizioni, attitudini psicologiche ecc. La cultura conta, anche per l' economista, specie laddove deve progettare delle riforme. Cio' non toglie che la ragione mantenga un suo dominio.

Passando ad altro.

C' è chi soffre dei problemi relativi ad una fertilità eccessiva ma c' è anche chi è nella condizione opposta, penso all' Italia. Per chi reputa la denatalità un ostacolo, come ovviare? Con sussidi a raffica? Il liberale è colto subito da istintiva repulsione e va in cerca di alternative. Quanto detto nell' articolo potrebbe darci un suggerimento: ritrasformare i bambini da "beni di consumo" a "beni d' investimento". In quanto beni di consumo, infatti, subiscono una concorrenza troppo serrata e la sottoproduzione, per chi la reputa tale, è certa. Il passaggio auspicato non puo' poi certo avvenire reintroducendo i tipici costi di transazione che rendevano convenienti economie di tipo domestico. Sicuro che invece, un abbassamento delle garanzie intorno alle future prestazioni pensionistiche e sanitarie, oltre a sviluppare i mercati che forniscono questi servizi, potrebbero rivelarsi anche un' efficiente politica famigliare. Due piccioni con una fava.

Giustizia italiana, cosa c' è che non va (riforme) *

Un quadro della giustizia italiana alla ricerca delle radici del male.

Anche qui (disponibilità prossima) si puo' ascoltare un' analisi del bubbone.

Veniamo a conoscenza di come si spalmino silenziosi i costi di questo malfunzionamento. Perchè il mutuo da noi costa di più? Anche perchè la banca spende di più per pignorare la casa all' insolvente. Perchè le assicurazioni costano una cifra? Perchè i loro uffici legali costano una cifra.

E' nelle cancellerie che il vero disastro si realizza. Perveniamo ad una sintesi.

  1. I giudici lavorano con il freno a mano tirato. Se non smettessero alle 14.00 le Cancellerie non potrebbero mai smaltire i loro carichi di lavoro.
  2. Hai voglia a punire i recidivi. Per la giustizia molti super recidivi non sono tali. Le Cancellerie non hanno il tempo di registrarli!
  3. Calma con l' abolizione degli appelli. Prima dare un' occhiata alla percentuale delle sentenze riformate.
  4. Le colpe della giustizia molto spesso non sono altro che colpe da girare ad un legislatore ipertrofico.
  5. I tempi della giustizia sono allungati dai tempi morti.
  6. La domanda di giustizia che alluviona i nostri tribunali è eccessiva. Semplificazione e outsourcing.
  7. Troppi diritti, troppa domanda di giustizia. Troppo casino legislativo, troppo azzardo morale degli avvocati.

Da quanto detto i problemi sono soprattutto di natura organizzativa, come del resto era lecito attendersi. In questi casi l' economista forse ha qualcosa da dire. Anzi, avrà sempre le stesse cose da dire. In genere gli converrà fare uso di termini quali "responsabilizzazione". E' questa infatti una parola che, non si sa il motivo, suona tanto dolce a tutte le orecchie. Un' ottima maschera che riesce a celare il suo significato più intimo, ovvero incentivazione, ovvero privatizzazione.

Facciamo qualche piccolo esempio di soluzione pratica. Si tratta di sogni sognati tra il letto e il tavolino. Il decalogo è questo:

  1. Favorire l' accordo transazionale tra le parti. Prendere ad esempio lo spaventoso smaltimento semi instantaneo di cui ha beneficiato la giustizia tributaria con l' introduzione di varie forme di concordato.
  2. Favorire la scelta di tribunali alternativi (ADR).
  3. Correlare il compenso dei giudici alla quantità del lavoro svolto e alla qualità dello stesso.
  4. Separare la carriera di giudici e pm (c' è ancora bisogno di dirlo?)
  5. Foro libero (e concorrenza tra fori). Non dico di arrivare ad una giustizia liberale in cui 1)ciascun cittadino deve iscriversi ad un “tribunale” 2) ciascun tribunale deve accordarsi con gli altri per “regolare i conti” dei rispettivi clienti 3) si possono trasferire le pretese risarcitorie-, ma almeno ad un' approssimazione.
  6. Taglie. Si trovi un modo più civile per dirlo (delatore civico?9 ma ci siamo capiti. I processi con prove chiare dovrebbero essere più semplici e veloci.
  7. Buoni giustizia.
  8. Carriera dei magistrati da legare alla scelta del foro da parte di soggetti "fuori distretto". Oppure al ripiego su ADR dei soggetti distrettuali.
  9. Responsabilità dei giudici: incentivi monetari (Landsburg cap. 7)
  10. Respnsabilità degli avvocati: affittare le aule L;
  11. Incentivo ai PM: budget per gli anni di carcere L;
  12. Aumentare le condanne e rendere meno severe le pene L;
  13. Prove irregolarmente ottenute ed altri errori formali: miltare ma non archiviare
  14. Carceri private e depenalizzare. La seconda misura è necessaria visto il sovraconsumo del primo bene.
  15. Mettere in vendita la penalizzazione e vincolare i contributi da destinare alla giustizia.
  16. Informatizzazione delle cancellerie.
  17. Lavori forzati e sequestro: finalizzare tutto al risarcimento.
  18. Elettività della magistratura. E' un modo per dire via all' obbligatorietà dell' azione giudiziaria. Oggi la politica giudiziaria, nei fatti, la fa gente estranea ad ogni forma di consenso.
  19. Patto quota-lite: deflaziona le cause.

Anti semitismo laico - Voltaire: Juifs

Esisterà pure un anti-semitismo cattolico, recentemente se n' è parlato in occasione del ripristino della messa in latino. Difficilmente però è comparabile all' anti semitismo protestante professato con odio furioso da Lutero, oppure a quello laico di un Voltaire.

Quest' ultimo puo' ben dirsi il padre dell' anti semitismo moderno. Tolleranza e anti semitismo hanno dunque il medesimo ascendente. Meditate gente.

La requisitoria del francese è tutta pervasa da un sentimento di orrore, non bieco e agguerrito ma calmo e sarcastico. La causticità tiene alla larga le collere più convulse anche se il disprezzo e il sentimento di superiore civiltà affiorano di continuo e vengono ripetutamente affermati con grande trasporto.

Come l' Oddifreddi di qualche mese fa, anche Voltaire accusa il suo nemico di avere gli occhi incrostati dal pregiudizio, a suo dire basterebbe leggere il loro testo sacro per accrgersene. E qui scopriamo che Voltaire, come Oddifreddi, è completamente analfabeta di fronte alla Bibbia; molto semplicemente, non sapendo leggerla, si infila di continuo in vicoli ciechi anche un po' comici.

"...La Bibbia non è nè un mito nè una telenovela, dove i ruoli sono sempre inequivocabilmente definiti. Scritta in un arco di tempo che fa impallidire la nostra civiltà e il suo larvale decorso, la Bibbia ha avuto modo di depositarsi, di lasciarsi decantare, di far maturare atti e parole. Per questo i suoi personaggi sono così umani, carichi di luce ma anche di ombre..." .

Questa umanità, questa versatilità di chi oggi ci appare come "giusto" ma domani potrebbe cedere alla tentazione, sfugge a chi affronta il testo armato di squadra e righello, custui finirà presto per vedere solo incongruenze dovute in realtà alla misera dimensione a cui pretende di appiattire tutto, una dimensione incapace di ascoltare una storia con tutta la sua diacronicità.

Altro svarione volterriano che ha lasciato lunga traccia è l' assoluta incompetenza con la quale viene interpretato il ruolo la tradizione. Sprovvisto della nozione di complessità, Voltaire non riesce a spiegarsi il ruolo di usi e costumi astrusi. E' costretto, di conseguenza, a relegare tutte queste pratiche nel limbo delle fantasticherie illogiche e nocive, tutta roba da rimuovere immantinente. Denuncia le incomprensibili "cerimonie legali" degli ebrei senza neanche accorgersi che quei codici conservano gelosamente anche raccomandazioni del tutto impraticabili a quel tempo. Sorvolare su questi fatti elementari non gli consente di porsi il tema della Tradizione. Oggi che sappiamo molto di più della complessità, del ruolo della ridondanza e della tradizione, ad apparirci ingenui e disarmati sono i Voltaire e stupidi coloro i quali, a secoli di distanza continuano ad ignorare i nuovi saperi e seguono le ingannevoli tracce del francese incuranti delle smentite che possono ripetersi ormai solo in una forma annoiata.

mercoledì 19 marzo 2008

Piovene fa centro

Con un folgorante lampo al magnesio Piovene fotografa la realtà del grande Brancati. Il vicentino rilevava come a dominare i personaggi fosse un "sentimento religioso della paura", tanto della morte quanto della vita, che porta a rinchiudersi in una "vita calcolata e modesta", un' aureas mediocritas. Essi sono prigionieri di un doloroso distacco speculativo che, secondo Piovene, Brancati avrebbe ereditato dalla lezione di Pirandello. Lezione di Pirandello a parte, il disvelamento è completo.

Rianimare i classici

"...mi chiedo se il rifiuto del nostro Ottocento non sia da identificare in una distanza linguistica e ideologico-sociale..."



Certo che se un libro lo addomestichi privandolo della sua "lingua", poi lo spogli pure delle sue "idee" e, per non sentirlo troppo lontano, neutralizzi anche il contesto sociale che lo ha visto nascere, allora mi sa che finisci per trovarti in mano qualcosa di leggermente diverso.



In fondo, se è vero che il sapere letterario non sia cumulativo nella misura in cui lo è invece quello scientifico, forse il miglior modo di cogliere in presa diretta il nucleo bruciante dei "classici" resta quello di leggersi e lasciarsi scottare dai "grandi" contemporanei anzichè dai "traduttori".



Faccio alcuni esempi concreti. L' irresolutezza di Amleto la si sente meglio nella forma spoglia e tragi-comica di Zeno Cosini piuttosto che in un Amleto "tradotto". Il neo-paganesimo di Boccaccio lo colgo con più vivacità nei pepati racconti provinciali di un Piero Chiara anzichè in un Boccaccio pre-masticasto. Sia le rabbie cupide di un Macbeth che le collere rancorose di un Otello, preferisco farmele raccontare da un Cioran o da un Bernhard. I surrealismi di Ariosto vengono meglio ai suoi colleghi padani di oggi (Cavezzoni, Scabia...). Le Tragedie greche le leggo per decifrare il "paradosso di Clitennestra" ma se voglio godere della loro forza dilaniante preferisco lasciarmi investire da una "diademata" di Testori. Per assaporare al massimo le festosità coprlaliche di un Rablais mi affido a dario Fo anzichè ad una riduzione del classico; se invece voglio figurarmi i suoi furori farfuglianti, cosa c' è di meglio che un Celine? Penetro più a fondo la sensualità estenuata di un Gongora attraverso quella rappresentata da Huysman, capisco meglio la non gratuità del suo barocchismo involuto leggendo Gadda. E si potrebbe continuare.



Poichè all' innovatore va reso merito trovo giusto che gli studiosi risalgano alle fonti e glorifichino il classico greco-latino-medioevale-moderno. Ma il puro godimento estetico, io, da lì non riesco più a trarlo se non con l' annacquatura di mille mediazioni attraverso le quali si perde ogni fragranza.



Una cosa è certa, alcune attitudini attraversano il tempo indenni molto più che altre. Per restare al nostro ottocento, il sarcasmo parodistico di un Belli o di un Porta potrebbe fare bella mostra di sè anche nello Zelig di venerdì prossimo senza tanti ritocchi. E, in questo settore, si puo' arretrare fino a Petronio e a Aristofane. Anche lo scavo psicologico al di fuori del contesto narrativo si mantiene bene nei secoli. I moralisti francesi sono uno spasso anche oggi e i "Caratteri" di Teofrasto valgono per freschezza quelli di Canetti.



P.S. pensando all' ottocento italiano penso a Pinocchio. Regge magnificamente senza traduzioni o traslazioni. A proposito, anche pensando ad "Alta Voce" mi viene in mente Pinocchio. Mi sa che per il primato Busi se la debba vedere con Poli.

Il seme della prosperità

Cerchiamo in due righe di riprodurre lo stato dell' arte.

AJR tentano di districare questo web rifacendosi alla storia coloniale dei paesi poveri: dove i colonizzatori si sono ambientati meglio (proxy: la mortalità dei settlers) sono sorte istituzioni di qualità superiore.

Ma c' è un problema: la variabilità dei redditi pro-capite osservata nei paesi che non hanno subito alcuna colonizzazione è pressochè la medesima.

Sachs, sia da solo che con altri, punta tutto sulla geografia.

Diamond e Clark, evoluzionisti di ferro, s' instradano su una via parallela ma simile.

Sembrano smentiti da Rodrik e altri, per loro "Instituitions rule". Anche se la geografia ha effetti indiretti: sviluppo e distanza dall' equatore sono, per esempio, in correlazione.

Engerman e Solokoloff notano come alle culture su larga scala (es. piantagioni) si abbinano carenze istituzionali. Sala-i-Martin rivela un simile deterioramento quando si è in presenza di risorse abbondanti.

Non bisogna poi dimenticare il ruolo che gioca la cultura (religione, costumi, tradizione...) di una popolazioni. Le riforme istituzionali, anche quando in teoria puntano nella giusta direzione, sono potenzialmente nocivi se non prendono in considerazione questa variabile e i feedback che procura. Il "gradualismo" istituzionale è quindi una via consapevole allo sviluppo.

Alla fine una cosa è certa: contano molto le istituzioni ma la fortuna continua a giocare un suo ruolo.

Rodrik OEMR p. 185

martedì 18 marzo 2008

Il preservativo dei classici

Purtroppo devo fare una confessione, non sono mai riuscito a stabilire un vero contatto con i classici (parlo ora di testi precedenti al XIX secolo), ho sempre sentito la presenza di un' intercapedine che m' impediva di aderire completamente alla storia narrata. Un po' come se questi grandi libri fossero avvolti in un preservativo e arrivassero solo attraverso una mediazione.

Faccio un esempio, recentemente ho letto il Don Giovanni in Sicilia di Vitaliano Brancati con una partecipazione emotiva che non saprei mai ricavare da un "classico".

Cio' non significa che i capolavori del passato non rechino altri doni, ma sono per lo più di natura cerebrale. Nell' ultimo anno ho sfogliato La Guerra del Peloponneso imparando quanto aggressive ed espansioniste possano essere le democrazie; ho lette "Les Juifs" di Voltaire per tenere ben a mente come non sia un caso che le radici dell' anti-semitismo moderno affondino nel terreno dissodato dal "padre della tolleranza"; ho letto "Il Mercante di Venezia" ma solo per constatare come la demagogia del perdono possa fare velo sulla giustizia e come la grande arte teatrale possa rendere odioso un personaggio che ha tutte le ragioni dalla sua. Potrei proseguire con il fascinoso ma siderale dogmatismo di padre Dante che stando lassù, faccia a faccia con Dio, non riesco a sentirmelo veramente prossimo.

Intrattenimenti un po' troppo cerebrali per suscitare autentico entusiasmo, quindi.

Anche il ripasso dei Promessi Sposi che feci qualche anno fa mi ha lasciato una mirabile lezione di economia nel capitolo sull' assalto ai forni e una altrettanto grande di psicologia di massa nel capitolo sulla peste. Lezioni di economia, di psicologia e di filosofia morale...ma - salvo alcune fulminanti intuizioni sulla codardia di Don Abbondio - poche autentiche scosse emotive.

Eppure, sia chiaro, l' ottocento è un secolo che non metto nel preservativo di cui sopra, è un secolo che non metto in conto, c' è di tutto, anche roba che "sento" molto vicina: se la questione dei matrimoni contrastati mi sembra un po' distante, le questioni sulla roba (Verga) sono assai più vicine. Non parliamo poi delle tensioni intorno all' eredità! I Vicerè me li sono bevuti come un romanzo contemporaneo. L' ascendenza del genitore opprimente come la narra il Fogazzare mi ha sinceramente colpito. Ma il massimo sono le burocrazie zariste di Checov e Gogol, assomigliano tanto alle nostre; come pure gli eterni pervertiti del prolisso Dostoijevskij. Flaubert e il Tolsoij meno mistico poi...non no, l' ottocento annulla spesso la fredda distanza che mi pervade non appena sento menzionare la parola "classico".

Sviluppo senza proprietà

Noi adoratori della proprietà privata restiamo piuttosto interdetti allorchè constatiamo come in Russia il pronto riconoscimento di questo diritto non si puo' certo dire che abbia incentivato gli investimenti privati. Al contrario, in Cina, anche al tempo in cui il diritto non era legalizzato, si assisteva ad un boom di investimenti. Ma come?

Quel che conta, evidentemente, è la sicurezza che l' investitore sente attorno a sè e non certo la struttura formale dell' ordinamento giuridico in cui opera.

Ma come mai l' investitore "russo" si sentiva tanto insicuro? Probabilmente il riconoscimento legale della sua proprietà non gli bastava.

L' investitore cinese era in tutt' altre condizioni. Poteva aggregarsi al business solo in compartecipazione con i governi locali. Legando i suoi interessi a quelli di un' autorità istituzionale consolidata si sentiva le spalle coperte. Queste forme di associazione sono state un trampolino di lancio efficacissimo.

Si potrebbe continuare nel descrivere il gradualismo cinese pensando ai liberi commerci.
Non furino affatto il frutto di una liberalizzazione di settori commerciali specifici. Le politiche di pianificazione e delle quote continuarono a lungo e alla grande. Il libero commercio era consentito ai produttori ma solo "al margine" delle quote. Vennero poi semplicemente istituite delle enclaves sperimentali, all' inizio quasi dei "giochi" che via via furono allargate fino ad esplodere in tutto il paese.

R OEMR p.189

Congetture temerarie

Sto leggendo I Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer. Mi sono deciso poichè il critico Harld Bloom li inseriva nel suo prezioso "Canone Occidentale" e, nei libri in lista, era tra quelli che non avevo mai affrontato. Ora mi è venuto un sospetto. Vuoi vedere che l' americano, nel compilare il suo stringato compendio della letteratura occidentale più influente, ci ha infilato Chaucer per scalzare chi sarebbe entrato più comodamente, ovvero il Boccaccio? C' era già l' ineludibile Dante e due italiani, probabilmente, gli sembravano troppi.

A Davide che, dopo essermi espresso come sopra, mi rimprovera con il pregnante argomento..."...il Bloom avrà avuto le sue buone ragioni visto che i suoi titoli sono in ordine e i suoi concorsi se gli è vinti tutti senza recriminazioni..."...

Purtroppo capita spesso che la "professionalità letteraria" sia al servizio delle simpatie, specie laddove il critico è militante, specie laddove è difficile reperire punti di riferimento oggettivi, specie laddove la scelta è tra due vertici pressochè indistinguibili della letteratura. Del resto, lo stesso Chaucer, nel ricostruire arbitrariamente una sua genealogia, trascura a sorpresa di fare il nome del Boccaccio, pur se le affinità, le precedenze e la conoscenza, siano elementi ben noti. Da ultimo, anche i libri di critica letteraria più referenziati si leggono con maggiore passione quando, liberando una certa impertinenza, si evita di lasciare all' autore l' ultima parola. Tu la lasceresti al grande Eliot mentre stronca l' Amleto di Shakespeare bollandolo come opera monca? Allora, azzardiamo pure nei nostri francobolli forumistici, ci è concesso una volta che si riconosca e si riverisca senza sottomissioni lo sterminato sapere dell' esperto.

lunedì 17 marzo 2008

No...l' esaurimento delle risorse no...(bazzicando compagnie anti-liberali)

EMERGENZA TERRA" ric - 25/09/2006 17:16 Non sapevo che una delle "emergenze terra" fosse il "tasso di crescita eccessivo".

A questo punto devo pensare che la soluzione consista in una diffusione della povertà.

A parte qualche originale "sociologo dell' impoverimento"(il circo Touraine tanto per intenderci), non penso che in molti siano disposti a prendere sul serio queste vie di fuga un po' bizzarre.

Se permettete continuo a pensare che, a parità di tutto il resto, un ricco abbia maggiori possibilità di risolvere un problema rispetto al povero in canna. Quanti più ricchi circolano dalle nostre parti, tanto più crescono le nostre speranze.

Quando qualcuno trova molto faticoso convincere il prossimo e rispettarne i diritti, ecco che se ne esce tutti i momenti con espressioni altisonanti come "genere umano", oppure "problema-terra", dopodichè si passa al prossimo collasso del sistema solare...e via sfumando verso territori sempre più sfocati dove tutti gli ostacoli possono essere sormontati con due sinuosi pensierucci apocalittici apocalittici.

I problemi così presentati da chi predilige queste visioni grandiose, consentiranno di adottare soluzioni che trattino il proprio vicino come ha sempre sognato: una pedina (ostaggio di "interessi superiori e planetari").

Questo modo di procedere produce vicoli ciechi di cui Kyoto è un buon esempio.

Occhio anche a prendere con le pinze i democatastrofisti che, pur condannati a ripetizione dalla storia delle idee, tornano regolarmente alla carica.

RE: RE: EMERGENZA TERRA" ric - 27/09/2006 08:59 Caro Florestan, anche la tua nozione di "risorsa" mi convince dei mille equivoci in cui ti trascini.

L' economista ci dice che la risorsa è essenzialmente un' idea. La parte materiale di questo concetto è secondaria.

Il petrolio era una fanghiglia maleodorante senza l' idea che lo rese risorsa.

Purtroppo la "fisica delle idee" è una materia complessa, molto più della fisica naturale.

Di sicuro, però, è l' unica fisica che ci interessa davvero affrontando i problemi legati alla scarsità.

Con un eufemismo, mi si lasci dire che queste elementari verità (abc) nell' approccio del circo "Touraine" non sono tenute nel debito conto.

Ma è normale visto che non si tiene conto dell' uomo e lo si considera alla stregua di uno zombie a cui dobbiamo prendere le misure con qualche metro statistico, manco fossimo in sartoria. Troppo facile.

EMERGENZA TERRA" ric - 28/09/2006 11:52

Un mondo povero e mummificato, in genere, produce poche idee e poche soluzioni ottimali.


TERRA" ric - 28/09/2006 16:32

Un saluto a Matteo. Mi dici "...nesusno vuole l'impoverimento, ma è altrettanto impensabile che tutti sulla terra possano consumare la stessa cosa senza esaurirla in poco tempo...".

Per non correre questo pericolo esiste una soluzione che finora non ha mai fallito: il sistema dei prezzi.

Non è tanto la ricchezza ad aguzzare l' igegno. E' l' ingegno che produce ricchezza. Poi, in un circolo virtuoso, la ricchezza mette a disposizione dell' ingegno sempre più mezzi.

Per questo che li trovi a spasso sempre insieme a bracetto da buoni amici. Pensare a questa storiella come ragionevole, ed in fondo non è poi così difficile farlo, puo' risultare molto consolatorio.