mercoledì 17 ottobre 2018

Amb 3

STOP AI RICCHI

Prendiamo ora in esame un’ipotesi alternativa sempre avanzata dal mondo ambientalista, quella per cui non dovremmo stoppare la crescita economica nei paesi poveri quanto piuttosto  nei paesi ricchi. Si presenta subito un problema non da poco a cui abbiamo già accennato: la relazione perversa tra crescita, danni ambientali e capacità di fronteggiarli. E’ proprio grazie alla spinta innovativa dei paesi di frontiera, ovvero i più ricchi, che noi abbiamo più opportunità di scoprire una soluzione definitiva al riscaldamento globale: quanto più li freniamo, tanto più questo lieto fine si farà improbabile.

Ma c’è di più. Sembra infatti che nella sensibilità su questi temi ci sia un punto di svolta allorché il PIL pro-capite del paese esaminato supera la soglia dei 9.000 dollari, a questo punto, cioè, si comincia ad inquinare meno. Motivo? Un po’ la tecnologia pulita disponibile ma soprattutto la coscienza ambientale ormai pienamente formata. L’esempio USA parla chiaro: le emissioni di carbonio nel 1900 erano 1,8 tonnellate per 1.000 dollari di PIL (anno riferimento valuta 2005). Hanno poi raggiunto un picco negli anni '30 oscillando intorno alle 2,8 tonnellate per 1.000 dollari di PIL. Da allora sono crollate costantemente, e oggi si aggirano sulle 0,4 tonnellate per 1.000 dollari di PIL.

Potremmo sintetizzare così il concetto di fondo: la cura dell’ambiente è un bene di lusso e come tutti i beni di questo tipo è più richiesto nelle società opulente.

Conclusione: se intervieni sulla crescita dei paesi ricchi: 1) sei poco efficiente poiché i paesi ricchi inquinano già molto poco, 2) impedisci alla coscienza ambientale di formarsi in modo pieno e 3) ridimensioni la probabilità di innovare nel settore delle energie pulite.

TASSARE I RICCHI

Consideriamo ora l’ultima soluzione proposta dal movimento ambientalista: ridurre la crescita complessiva risarcendo della  perdita sopportata i paesi svantaggiati. Si tratterebbe ancora una volta di tassare i ricchi e trasferire ai poveri.

Questa proposta si scontra con un fenomeno spesso dimenticato: i ricchi sono impossibili da tassare. Detto in altri termini, i paesi non sono economie autarchiche, cosicché ciò che accade in uno di loro si ripercuote necessariamente sugli altri. Se un paese ricco sopporta dei costi aggiuntivi non è detto che alla fine sia lui a farsi carico della sofferenza aggiuntiva. Tanto per capirsi, se tasso Paris Hilton lei pagherà l’onere aggiuntivo chiudendo uno dei suoi hotel in Nevada (che non sapeva e non saprà mai nemmeno di avere) e licenziando tutti, non certo rinunciando alla parure di brillanti che tanto agogna.

TRE SOLUZIONI

Tenendo sempre presente il concetto fondamentale per cui ridurre le emissioni e ridurre la crescita sono cose differenti, vediamo ora tre possibili interventi coerenti con quanto detto.

Primo. Ridurre i sussidi ai combustibili fossili. Sembrerebbe ovvio ma se ne parla poco. Le sovvenzioni per i combustibili fossili in tutto il mondo ammontano a circa 500 miliardi di dollari all'anno. La maggior parte di questi vengono elargiti in via di sviluppo, specialmente in quelli ricchi di petrolio come il Venezuela o l'Arabia Saudita.

Secondo. Carbon Tax a tutto campo. Incentiva l’utilizzo di tecnologie meno inquinanti senza distorcere i processi economici di mercato.

Terzo. Favorire l’immigrazione dai paesi in via di sviluppo. Oltre ad essere il programma anti-povertà che funziona meglio, consente agli ultimi di diventare produttivi utilizzando le tecnologie più avanzate e meno inquinanti.