L’ innovazione sussidiata non aumenta gli “innovatori” ma solo il loro stipendio.
http://marginalrevolution.com/marginalrevolution/2011/12/college-subsidies-fuel-salaries.html
L’ innovazione sussidiata non aumenta gli “innovatori” ma solo il loro stipendio.
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Non è facile suonare col fiatone mentre si va su e giù per le scale. Eppure questa versatile fanfara metropolitana riesce a farlo coniugando potenza bersagliera e qualità accademica. Non solo, ha saputo ricreare mondi disparati e originali.
L’ inflazione creativa di Zappa.
La stupidera di Bregovic.
Il lirismo alcolico di Mingus.
I gusci vuoti di Meshugga
La piacioneria pimpante dei Rodewald
Le iper-ballate di Bjork
Le fantasmagorie a cristalli liquidi di Braxton (non Anthony ma Tyondai).
Genealogia: Ordinaires, Lester Bowie brass band, Polkadot.
Qui fanno Frank Zappa…
… e qui Goran Bregovic.
Asphalt Orchestra – Asphalt Orchestra
Nell’ ormai strafamoso discorso a Stanford, SJ insiste sul concetto di “never settles”: insegui il tuo sogno (e non scendere mai a compromessi). E’ una buona strategia? C’ è chi ritiene che serva più che altro a segnalare (magari bleffando) il proprio talento.
Now try to imagine a world where eri averyone actually tried to follow this advice. And notice that we have an awful lot of things that need doing which are unlikely to be anyone’s dream job. So a few folks would be really happy, but most everyone else wouldn’t stay long on any job, and most stuff would get done pretty badly. Not a pretty scenario.
Now notice: doing what you love, and never settling until you find it, is a costly signal of your career prospects. Since following this advice tends to go better for really capable people, they pay a smaller price for following it. So endorsing this strategy in a way that makes you more likely to follow it is a way to signal your status.
Dopo la stoccata, l’ omaggio:
I once thought his success was mostly a matter of luck. Anyone can be at the right place at the right time.
But then he did it again.
And again.
And again.
And again.
He was my only hero.
Lo storico Deaton indaga sulle diseguaglianze nell’ aspettativa di vita.
Ci sono e ci sono sempre state, ma non riguardano tanto il divario tra poveri e ricchi…
It is sometimes supposed … that rich people have always lived healthier and longer lives than poor people. That this supposition is generally false is vividly shown by Harris who compares the life expectancies at birth of the general population in England with that of [rich] ducal families. From the middle of the 16th to the middle of the 19th century, there was little obvious trend in general life expectancy. For the ducal families up to 1750, life expectancy was no higher than, and sometimes lower than, the life expectancy of the general population. However, during the century after 1750, the life prospects of the aristocrats pulled away from those of the general population, and by 1850–74, they had an advantage of about 20 years. After 1850, the modern increase in life expectancy became established in the general population. Johansson tells a similar story for the British royals compared to the general population, though the royals began with an even lower life expectancy at birth. …
… quanto tra uomo e donna:
Men die at higher rates than women at all ages after conception. Although women around the world report higher morbidity [= sickness] than men, their mortality [= death] rates are usually around half of those of men. … Women get sick and men get dead. … Biology cannot be the whole explanation. The female advantage in life expectancy in the US is now smaller than for many years, 5.3 years in 2008 compared with 7.8 years in 1979, and it has been argued that there was little or no differential in the preindustrial world. The contemporary decline in female advantage is largely driven by cigarette smoking; women were slower to start smoking than men, and have been slower to quit.
Come intende intervenire l’ egalitarista?
llI heard Armen Alchian say in class that it was very hard to ascertain how the enormous tuitions at Ivy League-type schools were justifed by education, alone. He stated that he thought most of the value was from helping talented and motivated students find other talented and motivated people to marry.
Il sistema dei vouchers è il migliore per finanziare l’ educazione. Innovazione e efficienza saranno spinte al massimo.
Sebbene la qualità dell’ “outcome” ottenuto nelle scuole private sia mediamente migliore, meglio non imbarcarsi in una crociata su questo punto visto che i dati sono ancora troppo altalenanti. E’ però abbastanza evidente che dall’ introduzione della “scelta” ci guadagna l’ intero sistema.
C’ è l’ aspetto legato all’ efficienza: nessuno mette in dubbio che il privato li governa molto meglio.
Non ci sono paragoni poi nell’ ambito della consumer satisfaction, forse l’ unica cosa che alla fine conta veramente.
La desindacalizzazione delle scuole è un altro obiettivo più alla portata di tutti grazie ai vouchers.
C’ è chi teme forme di segregazione. Assurdo, molte scuole private già oggi implementano rigorose , fffirmative action.
In ogni caso, sebbene la cosa migliore consista nel far piazza pulita delle scuole statali attraverso un’ immissione massiccia di vouchers, si potrebbe iniziare con l’ assegnazione riservata ai soggetti più poveri.
Tyler, Greg and Brad all forget the Coase theorem – all externalities are dual. The solution to envy is not to tax the rich but to tax the envious. To be envied is unpleasant. People want to be admired but not envied. To be envied is one step from being hated. (Consider how much crime is motivated by envy.) It’s envy which imposes an externality on the rich. Make the envious pay for their ugly preferences.Surprising analysis? Not really – should gays be taxed because they make some people uncomfortable? Hell no. Tax the bigots for making gays feel unwelcome.
13 Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». 14 Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 E Gesù gli disse: «Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. 18 E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli». 20 Allora ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo
Cedo la parola a un incazzatissimo Pietro De Marco, il quale non commenterà il Vangelo, bensì una, a suo dire, stomacante predica a quel vangelo, una di quelle non rare prediche che si rischia di ascoltare laddove il prevosto è un po’ “troppo preparato”.
La garbata omelia, di fronte a un pubblico di fedeli numeroso – è falso che le chiese siano “sempre più vuote” – è dedicata al “dialogo”, all’attraente “dialogare” tra Maestro e discepoli, che sembra rendere la pagina evangelica alla portata della nostra vita.
Così ci viene detto che, in Mt 16, Gesù rivelerebbe un umanissimo bisogno di riconoscimento e Pietro affermerebbe con calore, con personale veracità (cose che il testo non dice), la fede nel Figlio del Dio vivente, che ha dinanzi. Gesù riconosce e premia Pietro non tanto per l’esattezza, la verità, della professione di fede quanto per la sua vitalità esistenziale, affettiva. Con l’immancabile evocazione del filosofo Lévinas, il predicatore elogia di Pietro non la conoscenza, che “imprigiona l’Altro” (insopportabile novecentismo, creduto ormai solo da letterati e teologi), ma la scoperta.
Il dialogo di Mt 16, di enorme portata nella storia e fede cristiana, viene così piegato all’incontro tra due psicologie, nel migliore dei casi tra due persone particolari, dando sfogo ai predicabili conseguenti: la nostra fragilità e la sincerità reciproca, il giudizio di una vita (”cosa sono per te”). Solo poi, dalla lettura della preghiera dei fedeli, i presenti scoprono che la liturgia della domenica è infine dedicata a Pietro (”Tu es Petrus”, “non prævalebunt”, il potere delle chiavi sono in Mt 16), e che la “lex orandi” di questa domenica guarda al vescovo di Roma. Ma, anche tollerando la sottovalutazione dei contenuti cattolici delle parole di Gesù, restano drammaticamente in ombra i significati della confessione dell’apostolo: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”; un sapere decisivo per noi, e non certo perché Mt 16 sarebbe un buon esempio di dichiarazione d’amore e di scoperta dell’Altro. E perché ignorare ciò che Gesù dice a Pietro: “Né carne né sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio”? Il cuore di Mt 16 è teocentrico, anzi trinitario; perché farne una fiaba relazionale per l’esistenza cristiana, che è molto di più ed è anche intelletto?
Dietro la perdonabile retorica che fa dire dal pulpito: “È più importante in Pietro l’accento che il contenuto del ‘Tu sei il Cristo’, più la risposta del cuore che la verità della mente” – per cui a rigore qualsiasi cosa detta da Pietro con la stessa intensità soggettiva sarebbe “vera” –, si riconosce la rottura postconciliare dell’unità necessaria tra “fides quae” e “fides qua”
E questo sarebbe fede vivente! Ma tra la fede che è creduta, cioè il canone di fede, la “analogia fidei”, e la fede con cui si crede, ovvero tra la verità e l’atto di assenso ad essa, il rapporto è inscindibile. Non è il tono dell’assenso che fa la verità. Non esiste assenso senza il suo oggetto, non “fides qua creditur” senza “fides quae creditur” che la precede; la fede non è generata, né autenticata, dall’atto o dal sentimento individuale.
Non lo si creda chiarimento superfluo. Su questo vi è un penoso disordine nelle Chiese cristiane. Ma se le verità del “Tu es Christus” come del “Tu es Petrus” si riducessero davvero a figure o parabole per vivere meglio piccole vite, piccole biografie, sarebbe coerente smettere di confessare Cristo, Figlio del Dio vivente.
1. L’ inno ufficiale:
… non è pietoso come dicono gli umani, Amore,
ma sordo e crudele quando desidera la preda.
Come un uccello che in pugno serriamo
si dibatte e le ali agita,
così ella s’ oppose tremante;
la lotta (come quella che creò il mondo) generò un mondo altro di gioia ignota.
Inganni ovunque nella sua mente, e a concedersi con astuzia intese.
Non sembrando vinta, vinta ella fu alla fine.
Cristopher Marlowe
2. Lo stupro come buona notizia:
3. Spiegare lo stupro. C’ è chi ci prova con le analogie:
Eppure non capisco: o c' è la pistola o c' è l' analogia.William Lane Craig – On guard
Lo so, un cristiano con la spada sguainata e sempre in posizione di “guardia” non fa una bella impressione dalle nostre parti. Un evangelico tutto sillogismi, Bibbia e amido, non è certo fatto per accattivarsi le scettiche platee accademiche. Quando, invitato controvoglia, mette piede negli atenei europei, il suo sorriso smagliante da venditore d’ auto usate, non attira certo l’ approvazione dei grandi miopi nostrani.
Alla fin fine però bisogna ammetterlo, pochi filosofi combattono con il coltello tra i denti come William Lane Craig.
Povero cristo, gira le Università di mezzo mondo per difendere con verve nientemeno che la “causa di Dio”.
Sono dibattiti impegnativi quelli che vertono su fede e ragione, soprattutto perché non ho in mente uno spazio pieno di tonache come il Cortile dei Gentili del rassicurante ravasi, ho in mente Università secolarizzate con il ddt (praticamente il tempio del Demonio).
Soprattutto in questi tempi di new-atheism irridente, ci vuole un bel coraggio per non tirarsi indietro. Ma con il cow-boy William Lane Craig questo rischio non si corre: quando fiuta la presenza dell’ ateo-razionalista si illumina e comincia a zompettare tutto intorno come un’ unità cinofila in cerca del manicotto.
Si corre piuttosto il rischio contrario, ovvero che lo “smart” di turno declini e non si presenti.
Forte di un’ esperienza decennale, Craig, nella sua vecchiaia di quarantenne, ha ora scritto un’ apologetica per parare i colpi dell’ infedele. Ma perché farlo? perché impegnarsi così a fondo in una difesa razionale di Dio?
Innanzitutto, parole sue, è un impegno che rafforza la fede; poi, contribuisce a creare un ambiente culturale in cui il cristiano possa sentirsi a suo agio. Oggi i cristiani si aggirano per le università con la circospezione di chi ha appena strozzato il proprio gatto, e non hanno certo bisogno che il gallo canti per rinnegare solennemente la loro appartenenza; di sicuro è così in Europa, e nelle università è ancora più vero.
Da ultimo serve come opera di conversione. D’ istinto si dubita sul potere della ragione nelle scelte di fede, ma basta guardare alla storia per capire che la cosa puo’ succedere. C. S. Lewis era un ateo e si è convertito al cristianesimo “ragionando” su Dio. Considerata la potenza dei servigi successivamente resi alla causa, basterebbe anche solo quell’ unico caso. Basterebbe per beatificare chi ha “ragionato” nei modi opportuni con lui di Dio.
Insomma… dal cervello, grandi ali…
Dopo i concisi preliminari, Craig attacca la solfa chiedendosi se un mondo senza Dio sarebbe differente.
Certo che lo sarebbe, si risponde. Sarebbe un mondo assurdo. Un mondo in cui siamo autorizzati a ogni misfatto.
Il matematico russo Andrei Grib disse che la passione religiosa post-muro dei suoi connazionali era dovuta al fatto che avevano vissuto sulla loro pelle una “dimostrazione per assurdo” dell’ esistenza di Dio.
Cerchiamo di non equivocare, nessuno vuole dire che l’ ateo sia un delinquente che vive “al di là del bene e del male”, si vuole solo dire che quando non lo fa è incoerente.
Molti, poi, non si sentono minimamente toccati da un simile rilievo, ma un ateo sedicente razionalista potrebbe anche esserlo.
Sartre e Camus erano dei buoni atei, infatti credevano che “vivere” fosse assurdo. Per loro il “suicidio” era la questione centrale della filosofia.
Anche Nietzsche, togliendo ogni valenza ai comandi morali, si dimostrò un fulgido esempio per l’ aspirante ateo.
Oggi molti atei ci appaiono come noiosi moralisti, l’ immoralità ostentata, a quanto pare, non giova alla causa, meglio allora sacrificarla sull’ altare della coerenza.
Meglio per il “mondo”, ma peggio per il loro pensiero (e per i dibattiti che dovranno affrontare con il dott. Craig che li aspetta al varco).
Fin qui solo preamboli, nei capitoli successivi si passa al piatto forte. Il dott. Craig, infatti, ha un debole per la prova cosmologica dell’ esistenza di Dio, specie nella versione Leibniziana. Ricordate? L’ esistenza di ogni cosa o è necessaria o si spiega con una causa; poiché l’ esistenza dell’ universo non è necessaria dobbiamo spiegarla con una causa necessaria (che ovviamente chiamiamo Dio).
Ottimo, senonché dopo qualche secolo qualcuno ha obiettato a sorpresa che l’ esistenza dell’ universo potesse essere necessaria. “Necessaria”, che linguaggio “antico” e incomprensibile. Per capirci meglio potremmo dire che l’ universo è lì da sempre, non ha una “causa”, non è mai stato creato.
Sono appena stato al bar e posso dire che proprio oggi esce il libro di Roger Penrose in cui l’ insigne matematico sostiene una teoria ciclica dell’ universo. Trattasi di teorie eterodosse, ma è solo un caso tra i tanti di universo pensato come “eterno”.
Ma contro l’ “universo eterno” Craig assesta la sua stoccata, ovvero l’ argomento di Kalam. E’ un prestito richiesto ai mussulmani dell’ antichità (in questo frangente vige una “Santa alleanza” contro l’ infedele).
In effetti “Dio”, come spiegazione, potrebbe essere accantonato e sostituito con una serie di cause che, “regredendo all’ infinito”, rendano eterno l’ universo (ciclico o non ciclico poco importa). Pensare il concetto di “infinito” non crea problemi, cosa c’ è di più semplice? Anche pensare una serie infinita di numeri è facile (ricordo che giocavamo con questi concetti a 10 anni). Invece, pensare una collezione infinita di oggetti materiali è un gran casino. Ma l’ universo infinito ed eterno è proprio quello: una collezione infinita di oggetti materiali.
A prima vista ci si chiede dove siano tutti questi problemi. Eppure ci sono, e possiamo dare loro il nome di paradossi.
Un modo per illustrarli velocemente è quello di pensare all’ Hotel di Hilbert: un Hotel con un numero infinito di camere (correte pure su wikipedia). Ammettiamo che sia “completo” e voi piombate alla reception chiedendo una camera. Vi verrà cortesemente risposto che l’ Hotel è pieno e che quindi verrà subito il ragazzo ad accompagnarvi nella stanza 1, che è libera. Non preoccupatevi, tutto è sotto controllo, nel mondo degli oggetti infiniti funziona così. Per liberare una camera basterà infatti spostare nella 2 l’ ospite della 1 e via così per tutti gli altri ospiti. Facile.
E’ paradossale che ci siano camere libere in un Hotel “completo”, invece ce n’ è a iosa, non solo per voi ma anche per i vostri amici. E non conta se ne avete un’ infinità!
Attenzione, cio’ che è paradossale non è impossibile. Queste storielle non “dimostrano” che immaginare un universo infinito sia impossibile o contraddittorio, dimostrano solo che è problematico poiché i paradossi spuntano da ogni parte: portando all’ attenzione il caso dell’ hotel di Hilbert abbiamo solo iniziato a enumerarli.
Quindi? quindi chiediamoci: a parità di contenuto veritativo, meglio una spiegazione piana (come quella offerta dal concetto di “Dio”) o una spiegazione che genera paradossi a go go (come quella offerta dal concetto di “universo infinito”)?
Craig consiglia caldamente di non fare i cretini e prendere esempio dagli scienziati i quali, in casi analoghi, optano per la soluzione più semplice.
Quel che segue non è farina del sacco/Craig, ma è sempre un buon ripasso.
Si passa infatti alla prova teleologica, il filosofo di riferimento è l’ ateo John Leslie. Come mai esiste questo universo e non un altro? Necessità, coincidenza o disegno?
Pensare di aver vinto la lotteria puo’ essere una spiegazione ma, ammettiamolo, ci lascia decisamente insoddisfatti. La “necessità”, d’ altro canto, richiede di ipotizzare che esistano infiniti i “many worlds”: se i mondi sono infiniti è necessario che esista anche il nostro. Il fatto è che l’ ipotesi “many worlds” puzza terribilmente di ipotesi fatta ad hoc. Non resta che il Disegno.
E’ qui che mette becco Dawkins chiedendo: chi ha disegnato il disegnatore (The God Delusion)?
Craig glielo chiude facendo notare che per individuare la spiegazione migliore non ha senso pretendere la spiegazione della spiegazione, in caso contrario non conosceremo mai niente.
[… se degli archeologi rinvengono dei manufatti ipotizzano una presenza umana piuttosto che una particolare sedimentazione… e questo a prescindere dall’ esistenza o meno di argomenti validi a giustificare quella presenza in quel posto…]
“Dio” oltretutto è un concetto semplice: essendo una mente senza corpo non consiste nemmeno in parti che si articolano tra loro. E quindi è anche una spiegazione semplice. E’ sempre un affare produttivo spiegare qualcosa di complesso con qualcosa di semplice. E pensare che Dawkins ritenva Dio qualcosa di “complicatissimo”. Evidentemente confondeva la mente con i suoi pensieri. In questo genere di considerazioni affidatevi al filosofo oxionense Richard Swinbourne.
Si passa all’ argomento morale: no-dio / no-morale / no-party.
Ma non è detto che i senza dio debbano rinunciare al party, delle alternative ci sono: il relativismo (la morale è una mera convenzione) e il naturalismo (i valori sono plasmati dall’ evoluzione).
Ma ci sono anche le confutazioni, e qui si sguinzagliano due rabbiosi cani da caccia.
Nel 1985 David Stove ha premiato l’ argomento alla base del relativismo come “Worst Argument in the World” (un po’ l’ IG Nobel della filosofia). In quell’ occasione si è esibito in… “satiriche confutazioni” poiché non riteneva molto professionale restare seri.
Della seconda alternativa si occupa invece il meticoloso Alvin Plantinga nel devastante Naturalism defeated. E noi non abbiamo niente da aggiungere.
A questo punto Craig comincia a parlare di Gesù, del perché e del percome sia lui il vero Dio, ma io scendo qui. Penso che la ragione ci ha portato già lontano, meglio non abusarne.
Prima di entrare in commercio i medicinali, così come altri prodotti, devono essere testati da un’ agenzia governativa. Il trattamento è ritenuto essenziale per garantire la massima sicurezza.
Peccato che una simile procedura renda i prodotti più costosi e disponibili in ritardo (con costi di vite umane). Un esempio? L’ aspirina contro gli attacchi cardiaci.
Un bias dirotta i controlli verso un eccessiva prudenza che non verrà mai rinfacciata.
Per contro il mercato possiede almeno un paio di meccanismi che aggirano questi inconvenienti: 1. la competizione e 2. il rating privato (per es. a cura delle associazioni di consumatori.
Del resto i consumatori non sono tutti uguali e una regola one fit all è inefficiente.
L’ evidenza poi non supporta i controlli preventivi: molti medicinali già oggi vengono prescritti senza inconvenienti per usi diversi dal loro uso standard.
Un’ alternativa all'a regolamentazione c’ è e si chiama responsabilità civile.
La casa-Italia scricchiola, e nelle crepe appaiono presenze inquietanti.
Che conforto la “lettera segreta” recentemente spuntata con la quale la BCE ci indica la via da seguire per i restauri del caso.
- tagliare gli stipendi e dipendenti pubblici;
- tagliare le pensioni;
- privatizzare i servizi pubblici;
- flessibilizzare il mercato del lavoro in entrata e in uscita.
Wow, voto per la BCE, voto per Draghi… (se non se ne fosse scappato in Europa…).
Una volta questo si sarebbe chiamato “Washington Consensus”.
Qualcuno invece l’ ha presa male: “Ma chi sono questi qua? Dettano legge in casa nostra? Siamo forse un paese sotto tutela?…”
Per favore, non scherziamo. Siamo piuttosto un paese mendicante che bussa a tutte le porte in cerca disperata di tutele. Non lamentiamoci se poi chi ci fa l' elemosina butta lì un "... e non andarteli a bere"
Ma ecco che a sorpresa Perotti si dichiara in disaccordo con la ricetta, preferirebbe non somministrarla (parla di Grecia ma guarda a noi, che siamo i prossimi).
E perché mai?
… il fantomatico Washington consensus (che in realtà non esiste più, se mai è esistito) verrà accusato ancora una volta di essere la causa vera della recessione greca, quando in realtà la causa fondamentale è che nessun Paese può vivere per anni al di sopra delle proprie possibilità e sperare di non pagare il conto. Quel poco di cultura di mercato che si stava diffondendo nell'Europa meridionale verrà ulteriormente messo in discussione.
L'immagine della troika che scende dalla scaletta dell'aereo e chiede al Governo di licenziare decine di migliaia di dipendenti pubblici non fa che fomentare reazioni populistiche e scomposte, come è avvenuto in altri Paesi in passato.
Forse anche per questo sarebbe meglio prendere atto della situazione, e lasciar dichiarare un default. Dato che niente può salvarla, forse è meglio evitare di generare la convinzione che il crollo della Grecia sia dovuto alla pesante condizionalità della troika.
Ah ecco, e mi sembrava.
Alcuni sono propensi a considerare l’ evasore come un ladro, altri come un soggetto che difende la sua roba.
Non c’ è che dire, la prima immagine affascina molti.
In realtà, a guardarla bene da vicino, è ottenuta sovrapponendo elementi alquanto distorti.
Diciamo allora che a volte (spesso?) la seconda ipotesi puo’ anche essere presa in considerazione, ha una sua logica interna. Ma la prima non potrà mai stare in piedi sulle sue gambe.
Il perché lo spiega bene Gerry Gaus:
If the state is in the business of determining the shape of property, it may seem that everything it does – including taxing as it sees fit – is part of this job of specifying property rights. If so, it might appear that nobody could be in a position to argue that the state is taking away his property since until the state specifies it, there really is no effective right to property. There is, in this way of thinking, no Archimedean point outside of the state’s determinations of your property rights (or any other rights?) from which to criticize the state’s legislation, in particular its revenue legislation, as taking away what is yours, for its decisions determine what is yours.
This conclusion does not follow from recognizing that effective property rights are conventional and depend on the state. All laws are to be justified. This justification occurs against a background of one’s already justified rights, what I have called the order of justification. Now property rights, if not the most basic rights in the liberal order of justification, are certainly prior to many state laws and policies such as, say, funding museums. Hobbes, Locke, Rousseau, and Kant all recognized that distinguishing “mine” and “thine” is one of the first requisites of an effective social order. In seeking to fund museums, representatives of the state cannot simply say that citizens have no entitlement to their incomes because they, the representatives, determine property rights, and so they may tax for these purposes without justification. “Without us, there would be no property, so you have no property claims against us!” Once property rights have been justified, they form the background for further justifications; they can be justifiably overridden in order to tax, but this must be justified.
Pensate infatti al negozietto di Pincopalla, ogni anno produce 100 e il Sig. Stato chiede 26 per garantire la sicurezza nel quartiere. Ma anche il Sig. Corleone chiede 26 per offrire un servizio analogo. Il povero Pincopallo deve però vedersela anche con Turiddu e Scarface che, non essendo degli esosi, si uniformano alla tariffa di mercato: 26 a cranio.
I quattro formulano la loro proposta (facendo notare con alcune smorfie della faccia come sia da considerare “irrifiutabile”). “Irrifiutabile”? Ma allora si tratta di “tributi”, non di “prezzi”.
Richiesto o non richiesto, il servizio è comunque reso diligentemente. Gli uomini delle quattro bande pattugliano il territorio e la pace regna sovrana. Ricordo anche una notte in cui dei malintenzionati giravano da quelle parti. Il mattino dopo erano appesi ai lampioni. Caspita, che efficienza!
Ora però accade che Pincopalla, nonstante “goda” di queste amorevoli cure, evada tutti e quattro i tributi.
Domanda: è un ladro?
Molti sosterrebbero di sì: non pagare una “tassa” a cui corrisponde un servizio significa sottrarre una ricchezza ai legittimi proprietari.
In questo caso l’ assurdità dell’ argomento è evidente: non puo’ esistere una proprietà di 104 (26+26+26+26) quando la ricchezza appropriabile è solo di 100!
Ecco perché gli amanti della logica preferiscono seguire in questi casi la via del filosofo Jerry Gaus: Pincopalla è proprietario di 100 (quindi, quand’ anche si renda evasore, non potrà mai essere considerato un ladro), possono tuttavia essere o meno giustificate talune richieste dei vari Corleone, Turiddu, Stato o Scarface.
Ce lo spiega Harry McGurk: un buono stereo ascoltato a luce spenta è la fonte più fedele. Se proprio vi tocca andare al concerto limitate i danni tenendo gli occhi chiusi.
Già, purtroppo “ascoltare” e “vedere” sono attività incompatibili. E la seconda, essendo dominante, distorce la prima.
Very cool auditory illusion created by visual dominance:
In psicologia sperimentale la teoria degli stereotipi s’ incardina su quattro pilastri. Vista la prosopopea che gira, sempre meglio dare una ripassatina prima d’ infilarsi in impegnative discussioni sul tema.
1. Gli stereotipi su gruppi di persone non aumentano il rischio di razzismo.
2. Gli stereotipi su gruppi di persone sono quasi sempre accurati (hanno un valore di verità molto elevato).
3. Gli stereotipi su gruppi di persone sono adattivi (mutano nel tempo).
4. Gli stereotipi positivi sul “gruppo” di persone a cui apparteniamo difficilmente si traducono in stereotipi negativi su altri “gruppi”.
A quanto pare non sembra che la persona comune abbia in testa solo schifezze, sembra invece che siamo un po’ tutti scienziati in erba.
La miglior chiosa in merito spetta a John Ray:
Pensare per stereotipi è il modo migliore per avvicinarsi al nostro “prossimo” e tentare di conoscerlo meglio. Ma non è nemmeno il caso di dirlo visto che si tratta di sapienza diffusa, tutti adottano questa tecnica in modo più o meno esplicito. Rigettare la possibilità di “generalizzare” o “etichettare” significa rigettare il metodo della scienza, e direi persino del linguaggio.
Interessante anche quanto osserva Steven Pinker a proposito degli stereotipi di genere:
… In so many cases, as Eagly and the Stereotype-Accuracy people point out, the biases are accurate. Also, there's an irony in these discussion of bias. When we test people in the cognitive psychology lab, and we don't call these base rates "gender," we applaud people when they apply them. If people apply the statistics of a group to an individual case, we call it rational Bayesian reasoning, and congratulate ourselves for getting them to overcome the cognitive illusion of base rate neglect. But when people do the same thing in the case of gender, we treat Bayesian reasoning as a cognitive flaw and base-rate neglect as rational!… Alice Eagly and Jussim and Eccles have shown that most of people's gender stereotypes are in fact pretty accurate. Indeed the error people make is in the direction of underpredicting sex differences…
Chi tra coloro che si battono per il matrimoni gay è disposto a battersi per poligamia e incesto?
Saperlo farebbe luce sulle motivazioni della lotta, in particolare aiuterebbe a capire se si tratta di una lotta di libertà o una semplice corsa al privilegio.
Ralph Richard Banks: "What now of the two remaining criminal prohibitions of intimate relationships: incest and polygamy? Even as same sex and interracial relationships are accepted, Americans are now imprisoned for incest or polygamy.
The cases against polygamy and incest are not nearly as strong as most people imagine. Yet they will not become legal anytime soon. To see why, it helps to understand the evolution of moral assessments of interracial and same-sex marriage.
"Courts and legislatures began to invalidate laws against interracial marriage after Hitler gave racism a bad name...
"The categorical prohibitions of incest and polygamy persist in part because people who commit either act are commonly reduced to that act (which is viewed as morally reprehensible) and, in turn, are not viewed as worthy of respect as people. More than a century ago, when the Supreme Court upheld the prohibition of polygamy the court reasoned that it was inimical to American values and identity, in part, the court stated, because polygamy was “almost exclusively a feature of the life of Asiatic and African people.” Historically, both polygamy and incest have been more widely practiced, and accepted, than the Supreme Court, and most Americans, seem to believe.
Over time, our moral assessments of these practices will shift, just as they have with interracial marriage and same sex marriage. We will begin to take seriously questions that now seem beyond the pale: Should a state be permitted to imprison two cousins because they have sex or attempt to marry? Should a man and two wives be permitted to live together as a family when they assert that their religious convictions lead them to do so?"
John Corvino: "Let’s not get ahead of ourselves. Yes, New York’s decision to grant same-sex couples the freedom to marry was a big deal. So was Washington’s before it and New Hampshire’s and Vermont’s and Iowa’s and Connecticut’s and Massachusetts’s. And let’s not forget Maine and California, which had marriage equality and then lost it (for now)....
"Meanwhile, opponents continue to predict a slippery slope to polygamy, polyamory and other “untested, experimental” family forms.
"The grain of truth in their prediction is this: recent progress reminds us that marriage is an evolving institution and that not everyone fits in the neat boxes that existing tradition offers.
"But let’s not confuse issues. Whether it’s a good idea to allow people to marry one partner of the same sex is a separate question from whether it’s a good idea to allow anyone to marry multiple partners — or their siblings, pets, iPhones or whatever else doomsayers toss in. It’s worth remembering that polygamy is quite “traditional,” even biblical. It is no more logically connected to one side of this debate than the other.
"The truth is that New York granted same-sex couples marriage rights not because of a radical idea, but because of an old-fashioned one: when two individuals commit to a lifetime of mutual love and care, it’s good to support them — or at least get out of their way."
… the mistake in applying complexity theory to human relationships such as the education, management, development aid, and helping in general is that the basic problem is NOT that the human “systems” are complex, “messy,” nonlinear, etc.The basic problem, across the whole range of the human helping relationships (like aid) between what might be called the “helper” and the “doer,” is that success lies in achieving more autonomy on the part of the doers, and autonomy is precisely the sort of thing that cannot be externally supplied or provided by the would-be helpers. This is the fundamental conundrum of all human helping relations, and it is the basic reason, not complexity, why engineering approaches and the like don’t work. Thus the application of complexity theory to development aid–as if the basic problem with aid was the complexity of the systems–is “unhelpful” from the get go. I could go on but this is only a comment; one could write a whole book on the topic…
Chris Blattman – esperto aiuti internazionali
Per molti versi “aiutare” il nostro prossimo è una missione impossibile: la mano che tendiamo verso di lui finisce troppo spesso per affondarlo: vorremmo trarlo in salvo ma lo feriamo mortalmente.
Silvio Cattarina è un professionista dell’ aiuto, ha trascorso la vita tra i tossici. E’ invecchiato con loro e loro gli hanno riempito le giornate con una serie infinita d’ imprevisti; anzi, gli hanno fatto scoprire che la vita stessa è un imprevisto e coincide esattamente con cio’ che non possiamo programmare qui e ora. E’ l’ eccedenza alla realtà pianificabile: una sovrabbondanza. Che ricchezza, che groviglio di situazioni procura la vicinanza di persone “pericolanti”! Nel loro dolore vive un mistero da cui è difficile distogliersi.
In questo libro cerca di portare alla luce una dinamica salvifica. Il circuito si compie in questi due passaggi: l’ “accidente” mette in luce i limiti della ragione, e ridimensionare la ragione serve a esaltare la speranza. Ecco allora il vero “carburante” che manda avanti chi aiuta: la speranza.
Ma la speranza è una virtù, e chi spera è un virtuoso. Purtroppo, comunicare l’ invito alla virtù è estremamente problematico.
Per un verso è frustrante ascoltare i guru ciellini: mai che diano un’ dato quantitativo, il loro esistenzialismo non glielo consente. Mai che siano informativi: sono giorni che leggo della comunità di Silvio e non ho la minima idea di quanti se ne salvino (10%? 90%?). Mai un lucido nelle loro conferenze.
Non si tratta d’ imperizia o di improvvisazione, tutt’ altro. Anche nei master Bocconi si insegna ormai l’ approccio motivazionale. Forse anche i manager si sono convinti della sua centralità.
Negli incontri con i santi ciellini, già durante i saluti iniziali, echeggiano le parole che chiuderanno l’ incontro: “adesso basta parlare, lavoriamo!”. Vige il santo timore per ogni “spiegazione”, il “cerebralismo” è uno stigma d’ immaturità, direi quasi un marchio d’ infamia.
[… alle radici della vita tutto è noto a tutti… guardando alla tele “Un giorno in Pretura”, per quanto all’ apparenza inorriditi, non abbiamo difficoltà a comprendere l’ assassino perché siamo tutti un po’ assassini…Nelle questioni d’ amore, tutto quel che c’ è da sapere si sa già. Si sa già che l’ amore è un “riconoscimento” e che il tossico ha bisogno di quello... si sa perché qualsiasi uomo ne fa esperienza: il chierichetto Silvio aiutava con orgoglio don Carlo alla Comunione, la mamma si presentava puntualmente ultima della colonna a occhi bassi e lui spingeva il piattino contro la gola perché, sorridendo furtivamente, alzasse per un attimo lo sguardo e lo “riconoscesse”… tutti sappiamo che nella vita di quaggiù le cose funzionano così… che sono quelle occhiate furtive a renderci felici, forti e a mandarci avanti… inutile perderci tempo con spiegazioni prolisse: esperienza! esperienza! esistenza! esistenza!…]
Lui non ti parlerà mai di “regole”, neanche sotto tortura. Per quanto da qualche parte custodirà pure le sue regole, risulta sempre animato dal proposito di nasconderle e minimizzarle, questo per regalare l’ intera scena alla virtù (ottimismo, speranza…).
La regola rassicura il discente: una volta comunicata, puo’ essere applicata da chiunque; non così la virtù: ormai chi sei sei e difficilmente riuscirai a rifarti da capo. Se ti viene detto “ama” e amerai a comando, non avrai ubbidito. Trattandosi di comandi a cui non è possibile ubbidire, diventa impossibile anche l’ estrazione di regole o di istruzioni.
La speranza è essenziale in una missione impossibile come quella dell’ aiuto: con essa possiamo mentire a noi stessi abbandonandoci nelle braccia di profezie che si autorealizzano.
L’ aiutante è innanzitutto un profeta. Un profeta di profezie che si autorealizzano.
Ma l’ operatore ha domande impellenti: che fare quando ti poni di fronte a chi ha bisogno?
Risposta esistenziale dettata da una vita passata in quella posizione tra i derelitti: nulla, aspetta che succeda qualcosa. Le parole arriveranno, l’ azione sarà ineludibile.
Il buon “operatore” finisce allora per assomigliare a un artista: un fascio d’ intuizioni penetranti e d’ ispirazioni insopprimibili.
Operare diagnosi di fronte allo “scarto umano” è una tentazione da scacciare: “se si presentasse qui Gesù non lo riconosceremmo”. L’ unica regola che vige è quindi enormemente dispersiva, un vero monumento all’ inefficienza: accogliere tutti.
Una specie di “santo spreco” in nome dell’ accoglienza.
Essere accolti è fondamentale: significa essere riconosciuti. La comunità esiste per essere una casa, la casa esiste per toglierti dall’ anonimato.
Ma chi è il tossico? Alla fine della lettura potrei dire che…
Il tossico è un narciso, il problema è che non sopporta il tuo bene perché viene da te e non da lui. Invece, odiando sì che è protagonista. Desidera ardentemente trasformarsi in un “caso”, magari il più impenetrabile della comunità. Se il genitore si lamenta: “a mio figlio non interessa niente di niente”, lui cercherà di diminuire ulteriormente i suo interessi perché quella è la via per “trasformarsi in un caso”.
Il tossico, nella sua debolezza, è un bullo che si sente chiamato alla guerra “solo contro tutti”.
Il tossico è un deluso: si viene al mondo circondati da promesse e se non vengono mantenute ci arrabbiamo, anche molto.
Il tossico è un Pinocchio, duro come un pezzo di legno, fa di tutto per restare burattino; il grillo parlante e i medici al capezzale sono gli psicologi. Dobbiamo far di tutto affinché in questa storia affollata da tanti Mastro Ciliegia (“… che me ne faccio di un pezzo di legno…”), spunti almeno un Mastro Geppetto (“birba d’ un figliolo…”). Dobbiamo far di tutto perché la comunità si trasformi nella pancia della balena: un posto dove padre e figlio possano parlarsi.
Il tossico è un figlio. Essere figlio è una vocazione ma deve esserci qualcuno che ti chiami.
Il tossico ha bisogno di un perdono scevro dalla retorica del perdono. Don Giussani in confessione si sentì dire: “Ho ucciso”, e lui: “quante volte?”. Era già “passato oltre”, aveva perdonato senza la retorica del perdono. Il perdono deve essere supportato dalla bellezza: a ogni perdono deve seguire una festa. L’ operatore deve vigilare di soppiatto e assicurarsi che l’ “ospite” rida. Che rida sempre, che sia felice.
Silvio Cattarina – Torniamo a casa.
24/8/2011, Repubblica (e dove, se no):
… il presidente Napolitano ha detto una cosa essenziale, domenica a Rimini, e niente affatto ovvia: che nella crisi che traversiamo il linguaggio di verità è un´arma fondamentale.
E che se la politica sta fallendo è perché quest´arma l´ha volontariamente ignorata per anni. Per questo siamo «immersi in un angoscioso presente, nell´ansia del giorno dopo»: un popolo tenuto nel buio non vede che buio. A destra la crisi è stata minimizzata, sdrammatizzata, spezzando nell´animo degli italiani la capacità di guardarla in faccia con coraggio e intelligenza…… Il linguaggio della verità è la rivoluzione più urgente da fare…
… Chi ci tiene all´oscuro lo fa con la nostra complicità, tutti abbiamo accettato di essere consumatori ciechi anziché cittadini vedenti…
… Le due forze (speculatori e agenzie di rating; ammutinati delle periferie urbane abbandonate) hanno istinti simili, di branco che s´avventa. Tra i due caos nessun mediatore…
Equilibrismo interessante.
A prima vista dovrei tacere, non è forse l’ invito alla sincerità uno dei pochi moralismi su cui intendo benevolmente sorvolare?
Eppure, no! Sorvolare non si puo’ di fronte a una nuova collezione di banalità messe così doviziosamente in fila. Tacere non è possibile una volta venuti a contatto con la caricaturale realtà dipinta nell’ articolo della profetessa. Un infantile semplificazione operata per poi potersi meglio abbandonare al rozzo tono dell’ invettiva, l’ unico, oltre a quello ruffianesco, a disposizione della penna che scrive.
Il politico ha millanta motivi per mentire, e tutti in nome del bene comune. Una predicatrice che predica la “centralità della politica” dovrebbe saperlo. Se ha studiato qualcosa oltre alla rettorica (scusate l’ impertinenza).
Chi si consegna mani e piedi alla politica, poi, quando elemosina un briciolo di verità, quando piagnucola perché la cortina cali leggermente, dovrebbe farlo a occhi bassi, dovrebbe farlo roso dalla resipiscenza, divorato dal rimorso dell’ esiziale scelta compiuta inizialmente. Invece più la testa di questi soggetti è vuota, più riempiono d’ aria il petto che aziona colossali tromboni da cui esce la ritonda orazione, il forbito predicozzo, l’ appello di civiltà affinché il vero trionfi.
La politica sdogana la menzogna, non perché il politico sia cattivo, ma perché quello è il suo ruolo. Inutile insistere sulla sostanza, basta avere una vaga idea del concetto di “conoscenza profonda” e dei suoi paradossi per capire l’ abc della logica politica.
E’ sul mercato, semmai, che il “vero” paga. Se noi ci siamo disabituati a pretenderlo è perché nella nostra vita quotidiana trattiamo di continuo con il politico o il parapolitico, mentre l’ ignoranza di cosa sia un mercato trionfa.
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