lunedì 22 giugno 2015

Tamar Kushnir su quello che ci insegnano i bambini: la curiosità

Non c'è accordo su cosa sia la curiosità, sappiamo solo che si manifesta soprattutto nei bambini, instancabili ricercatori "tormentati" dai perchè".

Punta sulle informazioni trascurando le bizzarrie. Il bimbo nn è attratto dalle stranezze scollegate dalla sua esperienza bensì dalle variazioni sul pregresso.

Ogni approfondimento comporta un rischio a cui siamo sempre più sensibili invecchiando. La paura ci paralizza, l'esempio dei bimbi è costruttivo: tra loro, quando la curiosità s'impone, n è + possibile distinguere i timidi dagli intraprendenti.

Non avere fretta. Spesso la soluzione sta intorno a noi piuttosto che davanti a noi.

I bambini sono un vortice di "perchè", chiedono finchè nn ricevono risposte soddisfacenti ma soprattutto chiedono a chi sa, all'adulto. Anche noi dovremmo chiedere a chi si occupa da una vita del problema che ci interessa.

Il valore della conoscenza supera quello dei beni materiali. Il bimbo che sceglie il cassetto con una caramella nn è dispiaciuto quando scopre che nell'altro ce n'erano 3. L'importante x lui è sapere.

La curiosità è correlata con l'apertura mentale e favorisce la conoscena x serendipity, forse la + attendibile. Consiglio: lasciate a casa il GPS (ogni tanto) girate facendovi guidare dalla curiosità e dall'intuito.

La curiosità crea tensione con le credenze pregresse

 il curioso 1 riconosce il nuovo 2 sa ridurlo

strategia x riconoscere il nuovo: 1 mind the gap. 2 le cose nn si ripetono mai

strategia x domare il nuovo: siate accoglienti verso chi è confuso

da cosa nasce cosa: mai vero come oggi... ambiente ideale x il curioso

il curioso sa conversare e adattarsi è socialmente una risorsa... elenco dei benefici

elenco rischiè felice il curioso?curiosità e inteligenza sono correlate

Una teoria del cazzeggio

L'uomo, come  molte altre specie animali, dedica molto tempo al gioco, ovvero ad un'attività in cui, in un ambiente sicuro, impara a muoversi nel rispetto di regole date. E’ un allenamento quanto mai prezioso per affrontare preparati la vita adulta, ovvero quella che si svolgerà all’esterno del “recinto sicuro”.
Ora, si può giocare a scacchi, a nascondino ma si può anche “giocare a parlare", ovvero a cazzeggiare.
Il cazzeggiatore dimostra di dominare le regole del linguaggio e per lo più a questo fine si cimenta su tematiche poco serie.
Tuttavia, capita spesso - spessissimo - che eserciti le sue abilità acrobatiche su argomenti seri, e qui la funzione del gioco cambia leggermente, in questi casi ci si allena a "violare" con classe una regola sociale prevalente.
Mi spiego meglio: cazzeggiando su argomenti "seri" si è autorizzati a dire cose che in un contesto serioso ci attirerebbero mille guai. In un certo senso si è sempre giustificati poichè possiamo sempre far passare per ottuso chi ci critica nel merito. Il critico, in questi casi, molto semplicemente “non capisce" l'aria di cazzeggio che pervade la conversazione in corso. Non c'arriva, è limitato, non è brillante (come noi cazzeggiatori).
L'abilità del cazzeggiatore consiste nel barcamenarsi tra i diversi livelli del linguaggio affinché l'opinione espressa sia sempre messo al riparo da ogni critica grazie alla produzione di un abile tono semiserio che pur facendo passare un messaggio squalifichi in anticipo ogni possibile obiezione. In questo modo puo' "partecipare al dibattito" restandone fuori.
L'umorismo è l'esito inevitabile del cazzeggio.
L'umorismo allena alla comunicazione indiretta, al messaggio obliquo, alla creazione di codici personali, alla creazione di un meta-linguaggio comprensibile solo agli “amici”. I “nemici”, quando intervengono nel merito per difendersi perché magari si sentono chiamati in causa, intervengono per definizione fuori luogo: dimostrano di non avere senso dell'umorismo.
nerd, per esempio, sono le classiche vittime degli umoristi: la  tendenza autistica conferisce loro un solo livello di comunicazione, un po’ come i robot, e ciò li rende facili prede di chi invece è abile nell'esprimersi su molteplici livelli.
Forse esagerando si puo' dire che l’umorismo è un residuo del dogmatismo passato. Se ieri chi criticava un dogma commetteva  peccato, oggi chi si attarda a criticare l'idea sottesa ad una "battuta" viene additato come “privo di senso dell'umorismo”, il che è la massima scomunica del nostro tempo. Cosicché nei talk show della TV capita spesso di vedere il povero politico beota di schieramento avverso a quello per cui simpatizza il conduttore costretto a primi piani col riso forzato mentre viene messo alla berlina dal “satiro” di turno ingaggiato dagli autori e fatto esibire a pochi metri da lui. In questa morra l'umorismo è sempre vincente e la capacità di infliggere danni asimmetrica.
Non voglio con questo dire che non esistano sedi dove “l’idea sottesa ad una battuta” non possa essere discussa apertamente e in modo serio, tuttavia il momento umoristico resta un limbo corazzato per definizione, impenetrabile ad ogni dissenso, monologante nella sua essenza. Proprio come i dogmi: criticarli si puo’, chi dice il contrario sbaglia, purché lo si faccia nelle sedi opportune. Per esempio nelle segrete stanze del Concistoro o dei tinelli di casa propria.
L'ipocrita è particolarmente simpatetico all'umorismo. E si capisce, il mondo della comunicazione polisemica, il mondo dalle mille uscite di sicurezza è l'acqua in cui nuota da sempre. Ed sono le stesse acque in cui si esercita l'umorista.
Nell’umorismo l’uomo si allena ed esibisce le sue potenzialità nel produrre ipocrisie (esercizio quanto mai fruttuoso allorché si tratterà di cavarsela nella "seria"). In entrambe le attività è preziosa la capacità di creare un linguaggio ellittico, multistrato, dove tutti i livelli si mescolino in modo apparentemente incongruo. Una matassa che solo gli adepti sanno sbrogliare. Dobbiamo saper tenere un discorso che in realtà sono più discorsi contemporanei con destinatari diversi.
Il riso è la palestra principale dove si allena l' Homo Hypocritus.
Siamo molto legati a chi ci fa ridere perchè sentiamo che con lui si apre un canale di comunicazione privilegiata fatta con un codice esclusivo, intimo. Con chi condivide il nostro senso dell’umorismo possiamo “cospirare” al sicuro. Vuoi far innamorare una donna? Falla ridere!
La buona fama del riso è recente, nella storia è sempre stato visto con sospetto dai moralisti; a partire da Aristotele per lo più lo si considerava prerogativa dell'arrogante, dello sprezzante, del superbo. Ridere in pubblico era esecrabile. Oggi invece viene invece  considerato un appannaggio del "simpatico". Perchè questa completa inversione di rotta? Forse oggi un bene come quello della "fiducia" è meno prezioso visto che lo garantisce dall’alto lo stato. L’umorismo, infatti, con le sue mille ambiguità, la sua mancanza di trasparenza, mette sempre a rischio la produzione comunitaria di fiducia reciproca.
Chiudo con il dato fondamentale delle ricerche sul riso: l'80% dei nostri sorrisi non si materializzano in contesti comici bensì in contesti socializzanti. Chi parla, per esempio, ride molto di più di chi ascolta (negli spettacoli comici avviene il contrario).  In sintesi: secondo Rod Martin il riso è in prima istanza una vocalizzazione socializzante (ricerca di complici) e non una reazione a situazioni comiche. Le donne ridono molto di più degli uomini (il 126% in più), si ritiene sia un segno di sottomissione; per contro gli uomini sono fonte di riso molto più delle donne, pensate solo a chi era il buffone della classe quando eravate al liceo.
P.S. Per approfondire rinvio alla tag "humor" del blog Overcoming Bias.
 P.S. Teorie alternative:
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=bjWnJGGQYro]

Ammetto di non aver mai sentito il fascino delle teorie filosofiche legate al riso – da Aristotele a Bergson –, semmai ho trovato più convincenti quelle antropologico-evoluzioniste testate per quanto possibile sul campo.

Dalla mia ricognizione sembra
 allora che l’ipotesi più accreditata leghi a doppio filo l’umorismo con l’ipocrisia, l’esoterismo e la capacità di evadere talune norme sociali restando impuniti.

Mi spiego meglio, a quanto pare l’uomo è un essere che gioca, anche con le parole: anzi, in età adulta gioca prevalentemente con le parole e i pensieri. Possedere qualità umoristiche richiede un dominio inusitato sul linguaggio, nonché una particolare competenza sulle espressioni ambivalenti e allusive. Si tratta di doti preziose che vengono sempre buone. Un esempio: parlare contemporaneamente a Tizio e a Caio facendo passare messaggi differenti ai due destinatari - magari il primo per rabbonire un “guardiano” e il secondo per allearsi con un complice - puo’ essere una grande risorsa: la capacità di controllare le sfumature linguistiche, il saper stabilire piani differenti di comunicazione gioca in questo compito un ruolo decisivo. E guarda caso parliamo di competenze particolarmente allenate dall’uomo brillante e di spirito. Insomma, lo humor è senz’altro una risorsa sociale - noi ridiamo molto di più in contesti sociali che in contesti comici, inoltre chi parla ride mediamente di più di chi ascolta – ma non per questo è per definizione sempre cosa buona: ci si fa complici condividendo un codice anche per compiere misfatti.

Non c'è da sorprendersi se in passato i severi moralisti non avevano un grande concetto della comicità, e lo credo bene: la difficile quanto essenziale produzione di fiducia richiedeva a tutti un parlar chiaro ai limiti della piattezza, le allusioni imprecisate dell’ "umorista" erano malviste. Oggi la fiducia è prodotta invece da uno stato centralizzato che arriva ovunque con i suoi tentacoli coercitivi, e non a caso in un contesto del genere le facoltà tipiche dell’umorista sono state sdoganate fino ad un’ammirazione sconfinata.

Si dirà: va bene indagare sull’origine delle facoltà umoristiche ma questo che ci dice dell’oggi? Qualche residuo di questa origine poco nobile ancora lo sperimentiamo in un uso improprio dell'umorismo che però viene molto naturale, preciso: l'umorismo allena alla comunicazione indiretta, al messaggio obliquo, alla creazione di codici personali, alla creazione di un meta-linguaggio comprensibile solo agli “amici”. I “nemici”, quando intervengono nel merito per difendersi perché magari si sentono chiamati in causa, intervengono per definizione fuori luogo: hanno la coda di paglia, dimostrano di “non avere senso dell'umorismo”, una vera e propria bolla di scomunica nella società contemporanea. La sfumatura umoristica/ironica, in altri termini, ti mette al riparo da ogni critica: affermi tra le righe il tuo messaggio e chi ha da ridire è a priori un ottuso privo della capacità di “cogliere” lo spirito.

A questo punto c’è sempre chi richiama una distinzione tra ironia e umorismo. E’ utile farla? Forse, ma secondo me no: i due fenomeni sono senz’altro differenti ma anche molto correlati tra loro, il più delle volte laddove c’è umorismo, prima o poi salta fuori l’ironia, puoi scommetterci. Chesterton, tanto per dire, è un grande umorista ma quante stoccate riserva agli atei? Infinite. Dire che il mondo si divide tra “credenti” e “creduloni” è una raffinata e dolorosa bacchettata ai suoi nemici atei e la dobbiamo proprio a quel genio che sta alle scaturigini del suo sempre godibile umorismo.

Ho scritto un casino! Scusa, ora passo alla lettura. Grazie del link sul "nichilismo estetico".

domenica 21 giugno 2015

Tomas Transtromer: I ricordi mi riguardano

  1. Il primo ricordo:... ho appena compiuto tre anni e mi hanno detto che è qualcosa di molto importante, che adesso sono diventato grande...
  2. Papà:... i suoi scoppi d’ira non venivano mai presi veramente sul serio... L’aggressività a lungo termine gli era del tutto estranea... Voleva essere in buoni rapporti anche con gli assenti di cui capitava di parlar male in una normale conversazione. “Ma papà, devi almeno essere d’accordo sul fatto che X è un mascalzone!” “Senti, io non ne so proprio niente.”
  3. Il mistero dei vicini: ... le risate omeriche e il saltare di tappi, non sembravano accordarsi a quell’ometto di un pallore spettrale che ogni tanto incontravo in ascensore...
  4. Fasi: ... dopo qualche tempo le visite al museo cessarono. Ero entrato in una fase in cui avevo una paura inaudita degli scheletri...
  5. Maestri: ... intavolammo subito una conversazione sui molluschi. Era così distratto o privo di pregiudizi che mi trattava come un adulto...
  6. A caccia di farfalle: ero sempre fuori in perenni spedizioni. Una vita all’aria aperta senza il minimo interesse salutistico...
  7. La maestra: una signorina nubile e molto curata che cambiava vestito ogni giorno...
  8. Didattica: ... fioccavano spesso tirate di capelli e sberle, anche se mai a me che ero figlio di una maestra.
  9. Scuola fabbrica del conformismo:... Il mio compito principale nel primo trimestre fu di starmene zitto e fermo nel mio banco... Non si dovevano avere difficoltà inattese nell’imparare qualcosa. In generale non si doveva fare niente di inatteso. Una bambina che se la faceva addosso per la paura e la vergogna non poteva aspettarsi nessuna pietà...
  10. Strategie anti-bullismo: Hasse, un ragazzo scuro e alto che era cinque volte più forte di me, aveva l’abitudine di buttarmi a terra a ogni intervallo, il primo anno di scuola. All’inizio opponevo una fiera resistenza, ma non serviva a niente, lui mi atterrava comunque e trionfava. Alla fine trovai il modo di frustrarlo: una totale rilassatezza. Quando si avvicinava, fingevo che il mio io se ne fosse volato via e avesse lasciato soltanto un cadavere, uno straccio senza vita che lui poteva calpestare quanto voleva. Si stufò. Penso a quanto possa avere significato per me, più avanti nella vita, il metodo di trasformarsi in uno straccio senza vita. L’arte di lasciarsi calpestare senza perdere l’autostima. Non l’ho usata troppo spesso? A volte funziona, a volte no.
  11. L'offensiva nazista sui giornali... era raffigurata con frecce nere. Le frecce penetravano nel cuore della Francia e vivevano come parassiti anche nel nostro corpo di nemici di Hitler. Io mi includevo realmente nel numero. Non mi sono mai più impegnato con tanta passione in politica!
  12. Definizione di "comunista": chi teneva per la Russia.
  13. Destra: la si votava se si era ricchi...
  14. I ricchi... possedevano giocattoli di  incredibili dimensioni...
  15. I poveri: dovevano fare pipì in una casseruola di fortuna che la mamma vuotava nell’acquaio in cucina. Era un dettaglio pittoresco.
  16. Inconvenienti della militanza: quando scoprivo che qualcuno che mi piaceva in effetti era «filotedesco», sentivo immediatamente un terribile peso sul petto. Tutto era rovinato.
  17. Radio Londra: ...la voce calma dello speaker, con un lieve accento straniero, si rivolgeva direttamente a me da un mondo di simpatici eroi che continuavano a dedicarsi tranquillamente alle loro occupazioni benché piovessero bombe.
  18. I professori... dei divi collerici che potevano dedicare la maggior parte della lezione a costruire una torre di indignazione isterica soltanto per poter sfogare la loro rabbia... Facevano sempre un’entrata drammatica in classe, gettavano la cartella sulla cattedra e già dopo qualche secondo era chiaro se l’umore era buono o cattivo.
  19. Il Preside: è possibile che le sue grandi esplosioni non si verificassero più di tre o quattro volte al mese. Ma era soprattutto su quei momenti che si fondava la sua grande autorità... il fulmine si muoveva avanti e indietro sopra il paesaggio. Si sapeva che doveva cadere, ma non dove.
  20. Cooperazione genitori-insegnanti?... per tutto il mio periodo scolastico mi sforzai di tenere separati il mondo della scuola e il mondo di casa. Se i due mondi cominciavano a filtrare uno nell’altro, la casa sarebbe stata contaminata. Non avrei più avuto un vero rifugio.
  21. Extramoenia: non sapevamo quasi nulla della vita privata dei nostri insegnanti, sebbene la maggior parte di loro abitasse nei dintorni della scuola... Un giorno d’autunno Målle era arrivato in classe con una rossola in mano. Mise il fungo sulla cattedra. Liberatorio e scioccante – si era intravisto uno scorcio della sua vita privata! Målle dunque raccoglieva funghi...
  22. L'allegria dei vent'anni: ... allora la dimensione più importante dell’esistenza era la Malattia. Il mondo era un immenso ospedale... Vedevo davanti a me persone sfigurate nel corpo e nell’anima. La lampada era accesa e cercava di tenere lontani quei volti spaventosi, ma ogni tanto mi assopivo, le palpebre si abbassavano e i volti spaventosi mi erano improvvisamente addosso... ogni tanto il silenzio era rotto da uno schiocco nelle pareti. Provocato da cosa? Da me? Le pareti risuonavano perché lo volevano i miei pensieri malati!
  23. La scoperta della poesia nelle parafrasi dei somari interrogati dal prof. di  latino:... questa alternanzatra una sgangherata banalità e un icastico sublime mi insegnò molto. Erano i presupposti della poesia. Attraverso la forma (la Forma!) si poteva elevare qualcosa. Le zampette del bruco erano sparite, si aprivano le ali.


sabato 20 giugno 2015

Peccato originale e teoria del peccato originale

  1. Peccato originale - Lewis lo considerava il concetto della teologia cristiana che presenta l' evidenza empirica più sontuosa. Puoi interpretarlo così: la tendenza dell'uomo a violare norme che ritiene giuste (predicare bene e razzolare male. C'è poi la teoria del peccato originale che indaga sulle sue origini e le rintraccia nella libertà umana: i nostri padri hanno sbagliato e sono stati giustamente puniti. Penso che la ricostruzione possa quadrare con i valori del nostro buon senso attuale: anche noi ammettiamo come giusto che taluni errori dei padri abbiano conseguenze sui figli: se mio padre sbaglia un investimento, l'eredità che mi spetta sarà probabilmente meno cospicua. Non ha senso gridare all'ingiustizia, è corretto che sia così.

Jean Clair: L'hiver del culture

  1. L' arte classica rinviava a qualcosa d' altro, era una metafora dell'infinito oggi si specchia in se stessa, al limite diventa un monumento all'artista, il quale, attraverso di essa si autodeifica attirando su di sè il culto.
  2. la cultura del culto: la cultura che rinvia all' infinito e metaforizza l' infinito; il culto della cultura: autoreferenzialità, rinvio a se stessi.
  3. nel mondo della cultura prospera un linguaggio burocratico (risorse umane) diretta eredità dei regimi anni 30. L'ingegneria sociale spopola.
  4. La mania estetica è ovunque e ha preso il posto dell'arte. La mania estetica è una lallazione narcisa dove l'ego ipertrofico  rinvia in modo imbarazzante a quello del bambino.
  5. Nel chiasso le bellezze si elidono rimanendoci indifferenti, tolto qualche fremito di breve durata dovuto più che altro alla curiosità.
  6. E' il trionfo di Duchamp. Il successo di questo artista in america ci ammaestra: la nuova arte chiede il deserto per poter apparire; l'america lo fornisce, km e km di territori senza un' opera architettonica degna di nota. L'arte deve spogliarsi del suo portato religioso, politico estetico, deve restare sola, nuda, vergine e sterile al contempo. L'arte minimale costantemente ci ripete che nn c è niente da leggere nella sua forma, niente da interpretare, si tratta di un'arte tautologica e insensata. Tutto si sprofonda in un'immensa amnesia, in una tabula rasa che riparte da zero. L'america incarna questo vuoto senza interrogazione.
  7. Antonello da Messina, il Veronese... la pittura italiana porta il luogo nel nome, l'origine, la storia di una provenienza. Tutto cio' è sintomatico di un'aurea che oggi l'arte ha perso.
  8. Esperimento: un archeologo deve ricostruire la nostra civiltà indagando sui reperti che rinviene. Come potrà mai riconoscere un museo? Non è possibile poiché l'architettura che lo contraddistingue è anonima, e non potrebbe essere altrimenti visto che non sappiamo più a cosa debba servire un museo. 

venerdì 19 giugno 2015

Facebook ci rende stupidi?

http://www.arnoldkling.com/blog/ideology-and-keynesian-economics/

In parte sì poichè induce reazioni immediate e spesso poco meditate. La cosa migliore consisterebbe nel far decantare almeno per un giorno i propri post al fine di potwr rwrtifficarli prima dell'invio. Tornare sui propri passi poi è difficile, l'istinto prevalente ci porta a difendere la posizione presa.

Certo che difendere posi
zioni stupide resta un buon allenamento per la nostra intelligenza.

Thomas Kuhn: The structure of scientific revolutio,

Introduzione.

  1. ci concentriamo un po' troppo sulle teorie finite, e questo ci trae in inganno, se guardassimo alla loro graduale formazione ci faremmo un'immagine ben diversa della scienza. in qs senso i manuali sono come guide turistiche
  2. La tipica caricatura della scienza: la scienza è fatta di osservazioni formalizzabili da cui fuoriescono formule generali. la conoscenza cresce gradualmente x fasi successive e la storia si limita a documentare qs crescita... lo storico deve stabilire chi ha fatto cosa ed elencare le scoperte che descrivono la crescita del nostro sapere.
  3. Eppure noi non potremmo rispondere alla domanda "chi ha scoperto l'ossigeno?". Perché? Perché quella appena fatta è una caricatura. nemmeno è così semplice distinguere la componente scientifica di un' attività. 
  4. la fisica aristotelica era un mito? no. ma se era scienza allora la scienza nn è propriamente quello che crediamo.
  5. le nuove ricerche storiche nn hanno uno sguardo "verticale": nn si guarda alla relazione tra galileo e noi ma a quella coi suoi colleghi. La comunità scientifica ha un ruolo centrale e questo dovrebbe dirci qualcosa sui complessi processi che informano un'attività apparentemente banale e in grado di staccarsi nettamente dalla mitologia.
  6. come emerge la teoria vincente?: studiando con lo stesso metodo lo stesso fenomeno (es. la luce) si può giungere ad esiti molto diversi. più che il metodo, per giustificare il proprio percorso, contano allora gli a priori l' esperienza passata (cosa si è studiato), cosa colpisce la nostra curiosità, perché privilegiamo certi esperimenti su altri. Tutte le possibili strade sono egualmente scientifiche ma in buona parte incommensurabili tra loro: non si puo' rispondere in modo determinato a questi perché.
  7. Le osservazione hanno un ruolo necessario ma tutt'altro che esclusivo. Altrettanto importante è l'idea condivisa sugli elementi costitutivi dell'universo e su come interagiscano con i nostri sensi. Ogni paradigma ha le sue basi e cresce su quelle, in esse c è una parte di arbitrio e la resistenza di una troria dipende anche dall affezione della comunità a quel paradigma. Quando il paradigma cede parliamo di rivoluzione scientifica. Si noti che il paradigma si propone sia come premessa che come conclusione, infatti, gli elementi base e il modo in cui reagiscono con i nostri sensi puo' essere "scoperto" ma è anche alla base delle nostre "scoperte".
  8. La teoria e i fatti nn sono facilmente separabili, innanzitutto per il motivo di cui al punto precedente: certi paradigmi teorici ci guidano inevitabilmente a vedere certi fatti piuttosto che altri. Spesso poi taluni fatti debbono essere congetturati e naturalmente lo si fa in modo conforme al paradigma adottato.

giovedì 18 giugno 2015

Nicholas Wade: A troublesome inheritance

Una sintesi per punti
  1. La verità divulgata: 1) le razze non esistono e 2) non esiste evoluzione recente in grado di diversificare l'uomo. Le affermazioni di Lewotin sorreggono il primo punto: le variazioni genetiche sono minime, meramente cosmetiche e del tutto irrilevanti. Gould è alla base del secondo: dacchè l'uomo è uscito dall'Africa non c'è stato il tempo materiale per avere differenziazioni significative. L'analisi del genoma ha ribaltato queste credenze. C'è poi l'argomento avanzato da Jared Diamond: poichè esistono criteri diversi per individuare le potenziali razze e questi criteri giungono a conclusioni diverse ciò significa che tutti questi criteri sono inattendibili. Esempio: perchè non consideriamo una razza quella composta da nigeriani+italiani+greci? Tutti e tre qs popoli posseggono il gene antimalaria!
  2. Partiamo da Diamond, il suo argomenta non sembra maolto serio ma motivato dal desiderio di gettare confusione. 1) nessuno ha mai tentato dimisolare le razze  sulla base di un singolo tratto. Esiste il concetto di cluster omogeneo. È con quello che si lavora. 2) il carattere proposto da Diamond, poi, è una mutazione recente (4-6000 anni) e superficiale che non può certo costituire un elemento di distinzione razziale. La diaspora del continente africano è ben più vecchia.
  3. Un esperimento è bastato a confutare Lewotin, sebbene la sua obiezione sia più seria rispetto a quella di Diamond. Frammenti di genoma sono stati sottoposti a un pc col compito di raggruppare i 5 cluster più rilevanti. Ebbene coincidevano con le 5 razze e i 5 continenti. Si tratta quindi di differenziazioni cardine, altro che irrilevanti. Ma soprattutto si tratta di differenziazioni costanti e correlate con l'ipotetica razza e quindi altamente esplicativi. Inoltre in altri animali differenziali simili a quelli umani vengono ritenuti più che sufficienti a introdurre più specie.
  4. Per quanto riguarda Gould oggi sappiamo che i tempi evolutivi sono molto più rapidi di quanto pensavamo: i tibetani, tanto per farr un esempio presentano adattamento genetico all altitudine a neanche 3000 anni dal loro insediamento.  Non solo, sappiamo anche che dalla diaspora almeno il 15% del genoma è sotto pressione evolutiva e sono ed esso ricomprende anche geni correlati allo sviluppo cerebrale.
  5. Il fatto che le razze abbiano una base biologica non implica che abbiano una base genetica. I geni sono sequenze proteiche che si trasmettono attraverso la riproduzione. Le sequenze esatte non sono sempre conosciute (nn si sa con esattezza dove un gene inizia e dove finisce) e a volte tale conoscenza è trascurabile. Naturalmente le sequenze più brevi sono anche le più facilmente controllabili e le più facilmente trasmissibili. Ebbene, tutte le razze condividono gli stessi geni (persino gli stessi alleli, ovvero le variazioni sui geni base). Ciò che cambia è la frequenza con cui si presentano taluni alleli. La differenza è dunque di tipo statistico.
  6. C'è un esperimento semplice semplice ma molto indicativo. Si considerano tot. genomi umani e si classificano in base alla ricorrenza di certi alleli componendo così dei cluster omogenei. I cinque maggiori coincidono con i 5 continenti che coincidono con le 5 razze. Tutto ciò nn può essere un caso? I geni prescelti nell'esperimento sono per così dire "neutrali", incidono poco sulla personalità ma noi sappiamo che 1) molti geni decisivi sono sotto pressione evolutiva (ovvero tendono a differenziarsi) 2) i tempi evolutivi sono molto più bre i di quel che pensavamo (2-3000 anni anzichè 30-40000) risultando compatibili con la differenziazione razziale della specie umana e 3) la pressione evolutiva si esercita a livello regionale.
  7. Per classificare l'uomo il metodo migliore consiste nel procedere con il concetto di razza, esattamente come aveva intuito Linneo.
  8. L'avversione verso questi studi è comprensibile, spesso hanno suscitato o si sono accompagnati a teorie sociali discutibili se non ripugnanti. Ciò non toglie che la scienza resti bloccata ancora a lungo.  L'eugenetica non è lo sbocco necessario dello studio delle razze, in fondo noi sappiamo quali caratteri beneficiano di più la società. IMHO: esistono anche motivi etici, eh.
  9. Il razzista tende ad ordinare gerarchicamente le razze in modo immutabile. In un certo senso nn è un ignorante, va distinto da chi nutre semplicemente dei pregiudizi. Ma soprattutto il razzista non ragiona in termini statistici bensì individuali.
  10. L'innovazione di questo libro rispetto a quelli suoi "compagni"(pinker, deary, murray): partire dal genotipo anzichè dal fenotipo.

Derek Thompson sull' effective altruism

Derek Thompson:

  1. di cosa si tratta? della scienza e razionalità combinate con la filantropia, di una specie di generosità autistica
  2. vuoi essere generoso? cerca lavoro a wall street anziché in una onlus. poi doni metà del tuo stipendio. un caposaldo dell'e.a. consiste nel produrre la ricchezza che si vuol donare
  3. e.a. sembra contraddire i principi egoistici dell'evoluzione e in effetti il dilemma permane. imho: e.a. è un' esibizione di intelligenza più che di generosità
  4. i più ricchi possono fare la differenza. guadagni più di 45000 euro? allora prendi coscienza di essere nell'1% più ricco della popolazione mondiale. prendi coscienza anche del moltiplicatore 100? il moltiplicatore ci dice che se l'1% più ricco donasse l'1% della sua ricchezza raddoppierebbe i redditi e la felicità nel mondo.
  5. esperimento mentale di peter singer: un bimbo affoga in un lago. vi buttate sapendo di indossare il vestito buono? naturalmente direte di sì ma sappiate che tutti i giorni vi si presenta l'occasione ma non lo fate per il semplice fatto che vi girate dall'altra parte per non vedere.
  6. altro principio: la scienza fa la differenza. esempio: come rinforzare la partecipazione scolastica in kenya? mandando testi migliori? mandando insegnanti migliori? costruendo scuole migliori? no: deverminizzando i bimbi. solo grazie ai random trials abbiamo potuto saperlo. eppure le onlus di deverminizzazione ricevono molto meno di quelle per il supporto scolastico.
  7. critica a e.a.: così si privilegiano le cause facilmente quantificabili. anche se in teoria tutto è misurabile in termini probabilistici la critica appare in buona parte fondata. come misurare l'impatto della libera stampa, dei diritti alle donne, dei...
  8. terzo principio: non conta sapere qual è la causa più preziosa ma sapere dove è più utile il dollaro che ho in mano e intendo donare. meglio harvard o il congo? per questo non vale mai la pena di donare in caso di disastri naturali: già donano gli altri.
  9. il problema morale è sempre dietro l'angolo: meglio salvare una vita in congo o alleviare la povertà in india? ognuno ha le sue preferenze, anche il rischio è una preferenza. per ogni donatore ci vorrebbe un' unità di misura e dei calcoli su misura.
  10. givewell è meta-filatropia: misura 8con tutti i limiti) l'efficacia della filantropia altrui. i migliori sono givedirectly e againstmalaria. in molti casi il modo più efficiente di fare filantropia è donare ad enti meta-filantropici.
  11. le storie motivano più dei numeri, questo ci è ovvio. mostrare il volto di un bimbo sofferente vale 100 statistiche. ecco allora un' altra critica all'approccio e.a.: toglie empatia e quindi demotiva. risposta: puo' essere vero ma d'altra parte sapere di fare del bene vero puo' essere altrettanto motivante.
continua.

mercoledì 17 giugno 2015

Temi d'esame 2015

Ai temi d'esame una traccia proponeva un brano tratto da Italo Calvino

Una ragazza interpellata diceva di aver rinunciato a quel tema perchè l'autore non era stato approfondito in classe.

Al che un professore commentava che una giustificazione del genere era insensata, la conoscenza dell'autore non era richiesta per affrontare il tema, bastava concentrarsi sul brano proposto e svolgere una riflessione, basta cioè capire e farsi un'idea su quel che si legge, organizzare questa idea ed esprimerla: oggi viviamo nella scuola delle competenze e non della conoscenza.

Ecco, questo scambio mi chiarisce meglio il significato di termini a volte per me misteriosi, mi riferisco naturalmente a "competenze" e "conoscenza".

David Stove: Darwinian fairytales. I

  • Darwin ha un problema. Spiegare l'altruismo. Per lui la vita è una competizione per sopravvivere. Ma allora, perchè gli ospedali? Perchè i sussidi di disoccupazione? Forse Darwin può spiegare in termini di scambio l'altruismo tra vicini ma quello puro dell'"effective altruism"? Deriva genetica? La religione cristiana è davvero contronatura?
  • C'è chi reagisce dicendo che la lotta darwiniana riguardava i nostri antenati. Ok ma il darwinismo nn era una teoria generale? Huxley ci invita a guardare alla lotta degli stati per le colonie, oppure alla lotta ferina tra i poveri, laddove la pressione è più acuta. Conclude dicendo che comunque la Storia presenta anche degli intervalli. Le sue osserva. Le sue osservazioni nn sembrano molto convincenti.
  • Forse la "via ipocrita" offre qualche spunto in più: se i fatti contraddicono Darwin allora peggio per i fatti. Essi non esistono, sono mere illusioni. Certi comportamenti nascondono una profonda ipocrisia, l'uomo è essenzialmente ipo rita. I darwinisti so iali aderiscono a qs. indirizzo e chiedono di togliere di mezzo le ipocrisie per giocare a carte scoperte. Ma sono loro i primi a schermirsi dicendo che aiutare i poveri è controproducente anzichè dire che è contronatura. Inoltre nn si vede una rabione valida che giustifichi la loro battaglia: perchè mai dovrebbero promuovere l'inevitabile?  Considera i promotori dell'eugenetica, si preoccupano che "i più adatti" nn si riproducano abbastanza.
  • Infine ci sono i distratti. Sono acculturati e scolarizzati, sanno bene che si DEVE credere al darwinismo ma nemmeno vogliono negare che esistano ospedali e sussidi ai più bisognosi. Ma come risolvono il dilemma? Semplicemente se ne disinteressano, tirano dritti per la loro strada, la cosa in fondo nn è affar loro.
  • IMHO: il dilemma proposto non mi sembra mettere all'angolo la posizione "ipocriticista". Essa riesce a giustificare anche l'altruismo più radicale, il cosiddetto "altruismo nerd" o "effective altruism". In questi casi il soggetto intende essere altruista in modo astratto, ovvero scegliendo i beneficiari sulla carta senza farsi coinvolgere dall'empatia che anzi, per una scelta razionale diventa un ostacolo. Ebbene, l'ipocriticista può sempre dire che questi soggetti non intendono esibire la propria bontà ma la propria intelligenza (e nn c'è dubbio che anche questo è un attributo apprezzato), in particolare il proprio dominio sulle emozioni: non è facile trattare il mio bambino alla stregua di uno sconosciuto africano che rovista nelle discariche di Nairobi, ci vuole una certa freddezza e doti del genere venvono spesso utili nella lotta per la sopravvivenza cosicchè diventa vantaggioso farne mostra.

martedì 16 giugno 2015

Alcuni motivi per non redistribuire la ricchezza

In ordine sparso:
  1. Gli incentivi contano
  2. Il governo è inefficiente
  3. I costi del risentimento pesano
  4. Esiste un effetto dotazione per cui chi perde soffre più di quanto non goda chi guadagna
  5. Probabilmente l'utilitarismo è falso e redistribuire rappresenta un rischio etico
Continua

Tre morivi contro la redistribuzione

http://econlog.econlib.org/archives/2015/06/not_so_hard_to.html

Richard Swinburne su Hume, Kant e la teologia naturale

  1. La critica di Kant e Hume alla teologia naturale è sostanzialmente una critica all' induttivismo. Purtroppo i due non considerano la conoscenza bayesiana che è poi quella improntata sul metodo scientifico, in particolare trascurano il ruolo dell'analogia nella formulazione di ipotesi sensate.
  2. Teologia naturale (t.n.): dal mondo fisico a quello divino. Nella tradizione è a disposizione per chi dubita ma oggi, in un mondo di "acculturati", la sua importanza cresce
  3. Sotto il programma "i limiti della conoscenza", t.n. è stata screditata da Hume nel mondo anglosassone e da Kant in quello continentale
  4. La proposizione di Hume: non c'è nulla nell'intelletto che prima non sia nei sensi, Problema ma quanto possono essere generali le idee ricavate dai sensi? Come si passa da uomo del 700 a uomo di tutti i tempi? Sì perchè Hume pretende di parlare di quest'ultimo senza che la sua filosofia lo autorizzi in modo chiaro.  Evidentemente il punto di partenza di Hume non sembra impedire generalizzazioni anche vaste.
  5. Altro argomento di Hume: la causa non è altro che una successione regolare ma poichè la creazione divina è unica non può essere inferita da alcuna regolarità. E il big bang? Hume trascura il ruolo delle analogie, esse ci aiutano a formulare ipotesi probabilistiche, in fondo ogni evento è unico e irripetibile! Noi sperimentiamo anche noi stessi come causa, ovvero sperimentiamo la spiegazione personale e l'atto libero, il  che è una potente analogia della creazione divina.
  6. Kant: sebbene possediamo un'idea di assoluto ci è impedito di ragionarci su senza ricadere nelle antinomie della ragione(paradossi...). Nel ragionare applichiamo categorie formate sulla nostra esperienza, la loro applicazione è lecita solo se ha per oggetto enti affini. Assoluto e relativo sono enti sostanzialmente differenti e quando noi tentiamo di passare dal secondo al primo la ragione incorre in paradossi irrisolvibili (per ogni argomento "contro" ce n'è uno "pro" altrettanto fondato).
  7. In realtà non è affatto detto che le "alternative equivalenti" di Kant siano altrettanto "equivalenti", spesso una è più probabile dell'altra. La cosa è evidente nel pensiero scientifico, secondo la prima antinomia noi non possiamo sapere se abitiamo uno spazio finito (qualcuno potrebbe ipotizzarlo poiché tutta la nostra esperienza riguarda oggetti finiti), esiste infatti un anti-tesi altrettanto probabile fondata sul fatto che nella nostra esperienza se lo spazio fosse finito dovrebbe esistere qualcosa al di là di esso. Ebbene, il big bang postula uno spazio finito mentre modelli diversi (inflazionistico e stazionario) ipotizzano un universo infinito. Si tratta di ipotesi assurde in quanto equivalenti per definizione? Non sembrerebbe proprio, tant'è che le varie scoperte alimentano ora l'uno ora l'altro modello costringendoci ad aggiornare le nostre credenze.
  8. Esempi avanzati da Kant a sostegno dei limiti della ragione: poiché viviamo in un unico spazio euclideo e le nostre categorie sono informate a questo tipo di realtàente, noi non possiamo ragionare su più spazi, non riusciamo ad immaginarli come logicamente possibili. L'esempio non sembra felice visto che la scienza negli anni successivi ha ripetutamente ragionato anche su spazi curvi, su multiversi e altro. Posso anche svegliarmi e pensare di essere in un nuovo spazio parallelo. Dal punto di vista logico non c'è nulla che me lo impedisce, posso facilmente immaginarmi spazi paralleli e sliding doors.
  9. Critica a Kant: si concentra sulla conoscenza pura anzichè su quella probabilistica, è solo sulla prima a che si applicano i paradossi logici. Ma noi utilizziamo la seconda conoscenza per fare ipotesi intorno al difficilmente osservabile partendo dall'osservabile. La scienza procede allo stesso modo e non di rado postula nelle sue teorie realtà inferite ma non osservabili, da Dalton alle particelle subatomiche gli esempi sono disponibili in abbondanza. Se solo Kant fosse nato dopo Dalton, forse il primo scienziato a compiere in modo palese operazioni del genere, forse avrebbe rivisto la sua teoria dei "limiti", era infatti un grande ammiratore della scienza. Da Dalton in poi gli scienziati hanno sempre piùspesso teorizzato sull'infinitamente piccolo, sull'infinitamente grande, sull'infinitamente distante... Tutti "infinitamente" che rendevano l'oggetto delle speculazioni inosservabile e purtuttavia queste speculazioni restavano sensate e in costante evoluzione poiché fondate sulla logica bayesiana.

lunedì 15 giugno 2015

Frences Volley sulla pedagogia dei beni pubblici

Punti:

  1. scopo del saggio: enfatizzare il legame lasco tra teoria dei beni pubblici e spesa pubblica. Eppure, stante la pedagogia attuale, il legame sembrerebbe invece decisivo.Evidentemente questa teoria ha dei limiti.
  2. Perché si vuol far apparire questo legame come importante: per non apparire dei moralisti ma degli efficientisti.
  3. nel collegamento bene pubblico/spesa pubblica si mescolano il concetto di non-escludibilità (non è possibile escludere dei consumatori e cio' incentiva comportamenti opportunistici. Soluzione ideale: trasferimenti volontari) e il concetto di non-rivalità nel consumo (non è desiderabile escludere è un caso particolare di monopolio naturale, il problema sta nella discriminazione dei consumatori). C' è poi un problema di finanza pubblica: come quantificare la spesa confrontando le utilità soggettive dei consumatori.
  4. Questo intasamento concettuale viola i principi pedagogici primari. In particolare, quello per il quale si insegna un principio alla volta. E poi quello per cui nell'insegnamento occorre procedere per gradi.
  5. Esempio di pedagogia ordinata del welfare: 1) concorrenza perfetta 2) buon senso del monopolista naturale 3) regolatore onnisciente 4) buon senso dei cittadini sulla produzione di beni non escludibili 5) tassatore onnisciente. Il tutto facendo notare come 3 e 5 ostacolano l'evoluzione verso 2 e 4.
  6. Per quanto riguarda il principio di non-rivalità: 1) ci sono beni che sono in concorrenza inaspettata con altri (es. libri) e 2) l'intervento governativo, quand'anche fosse necessario, sarebbe cmq solo di ordine regolativo. In altri termini: la spesa pubblica ha a che fare solo con i beni non escludibili
  7. guardando meglio i beni non escludibili scopriamo che non sono altro che esternalità ma cio' crea imbarazzo per il semplice fatto che noi viviamo immersi in esternalità che trattiamo senza il bisogno di tassare e finanziare alcunché. Evidentemente anche il legame beni non escludibili e spesa pubblica appare tutt'altro che nitido, giocano un ruolo buon senso, tradizione eccetera.
  8. se il buon senso dei cittadini e del monopolista appaiono una chimera perché mai dovrebbe essere realistico postulare l'onniscienza del governante e la sua infinita bontà? 
  9. A titolo esemplificativo guardiamo alla generosità, i cittadini donano e donano tanto (l'economia non se lo spiega), inoltre non donano ai governi ma ad altri enti, evidentemente quando sono chiamati alla prova dei fatti 1) reagiscono anche se la teoria non lo prevede e 2) orientano altrove le loro preferenze rispetto al soggetto designato dalla teoria.
  10. Conclusione: il legame tra beni pubblici e spesa pubblica è talmente lasco che per rendere conto di quest'ultima occorrono teorie alternative.
  11. Dicevamo della tesi di fondo: lo stato non puo' essere giustificato come produttore di beni pubblici. Argomento: ci sono beni pubblici puri che lo stato non si sogna di produrre. Esempio? La prevenzione contro gli asteroidi.

L'ipotesi teistica

Ipotesi scientifiche alternative:

  1. Ipotesi Feynman: esistono infiniti universi, cosicché il fatto che esista anche il nostro non è un caso straordinario e inspiegabile.
  2. Ipotesi Tegmark: l' universo è un'entità matematica (e quindi eterna). La matematica non descrive l'universo, la matematica è l'universo.
  3. Ipotesi Smolin: la legge dell'evoluzione si applica anche alle leggi della fisica, cosicché le attuali leggi sono solo un pacchetto tra i tanti possibili.
  4. Ipotesi Hawking: l'universo origina da un salto quantico, è quindi una fenomeno casuale.
  5. Ipotesi Einstein: ovvero ipotesi panteistica: l'universo ha un'unica anima di cui noi facciamo parte.
  6. Ipotesi Nietzsche: (padre dei relativisti): l'universo è un prodotto della mente dei "superuomini" che lo ha costruito così e avrebbe potuto costruirlo diversamente.
continua.

domenica 14 giugno 2015

Nicholas Shalcke: the vacuity of postmodernism

Punti

  1. Il postmod tenta di sminuire il valore della verità al fine di liberare contraddizioni creative e utili
  2. NPP. No Position Position. Affermare è sempre negativo, una protervia che implica violenza. La verità è violenta e i buoni argomenti oppressivi
  3. La razionalità ha una sua storia che ne definisce la costruzione. Il che implica una costruzione differente e secondo diverse convenienze
  4. il fox trot di Rorty: la verità è un aspetto secondario della mia posizione in ogni caso nn puoi confutarmi poichè io non ho una posizione NPP. Credere alla ragione è una fede religiosa
  5. risposta a rorty: certo, anche la ragione parte da premesse autoevidenti e indimostrabili ma tali premesse, contrariamente a NPP, sono condivise
  6. NPP è coerente fintantochè nessuno l'avanza, cosicchè il postmod non parla in modo esplicito ma allude con discorsi obliqui che dovrebbero risultare convincenti
  7. Accuse a NPP: 1 è comoda 2 è autorimuovente 3 è indimostrata (quindi trascendentale)
  8. Bloor: premesse simili possono condurre sia a conclusioni false che vere. Accusa alla razionalità: introduce elementi sopranaturali, noi dobbiamo essere naturalisti integrali. Consideriamo corretto il ns programma ma evitiamo di dirlo per nn cadere in contraddizione introducendo elementi razionali e quindi sovranaturali
  9. Obiezione a Bloor: non si capisce perchè bloor ragioni con noi o risponda alle ns obiezioni viste le premesse da cui parte che implicano un rifiuto della ragione.
  10. Spesso la critica postmod alla ragione si risolve nell'introduzione dei soliti paradossi, quasi fossero distruttivi. Ma così nn è, e basterebbe guardare alla storia: l'introduzione dei paradossi logici è spessostata occasione di miglioramento della ragione e non di empasse.
  11. Postmod è un relativista assoluto e si difende saltando da un'affermazione ambigua all'altra. La retorica è la sua arma insieme all'allusione, al non detto e al discorso ellittico.

venerdì 12 giugno 2015

Sul salario minimo

http://econlog.econlib.org/archives/2013/03/the_vice_of_sel.html

The Language Hoax: Why the World Looks the Same in Any Language John H. McWhorter

Capitolo 1

  1. neowhorfismo: teoria per la quale il linguaggio modella il pensiero. il libro si pone come obbiettivo quello di ridimensionare una simile tesi
  2. spesso gli esperimenti neowhor sono anche accurati ma si prestano ad una presentazione distorta da parte dei media, la critica, più che gli esperimenti, critica la loro pessima divulgazione
  3. le conclusioni neowhor vengono tratte da esperimenti tipo questo: in inglese il tempo è misurato come una lunghezza mentre i giapponesi lo rappresentano come una quantità. ebbene, gli inglesi sono più abili nel predirre quando un corpo in movimento raggiungerà un certo obbiettivo mentre i giapponesi quando un contenitore dove si riversa la sabbia si riempirà completamente. esperimenti sui colori: i russi hanno nomi diversi per diverse sfumature di blu e, forse in virtù del loro linguaggio, sono più veloci a compiere certi abbinamenti.
  4. domanda: ma davvero qualche millesimo di secondo di differenza nel compiere certi abbinamenti tra i colori puo' essere la base per dire che il linguaggio dei russi conferisce loro una diversa visione della vita? Sembrerebbe proprio di no.
  5. quando le differenze cominciano ad essere interessanti scopriamo che non è il linguaggio a guidare i parlanti ma piuttosto la cultura. si dice:"i piraha non hanno parole per i numeri e quindi sono scarsi in matematica". Assurdo, sarebbe come dire che "i tizi non hanno gambe né parole che designino le gambe e quindi non riescono a correre". gli eschimesi hanno 30 parole per designare la neve, nulla di speciale: vivono al polo! il loro ambiente pone delle esigenze su cui si modella il loro linguaggio. i guguu esprimono la posizione coi punti cardinali anzichè con parole tipo dietro, davanti ecc., nulla di speciale: vivono nel deserto dove ci sono certe esigenze di orientamento. L'ambiente incide sulla cultura la quale modella il linguaggio.
  6. linguaggio e cultura, cosa viene prima? E' un dilemma in stile uovo/gallina. No, per almeno tre motivi: 1) i guguu sradicati dal loro ambiente cessano di esprimersi utilizzando i punti cardinali 2) nessuno nella foresta parla il linguaggio dei guguu 3) i vicini dei guguu magari non hanno il liro stesso linguaggio ma possiedono processi mentali molto simili. e qui cade anche la tipica difesa neowhorf: esistono popoli che condividono l'ambiente ma non il linguaggio. ma nessuno sostiene che condividere l'ambiente porti necessariamente allo stesso linguaggio.
  7. conclusione: il linguaggio modella il pensiero? ma cosa si intende per pensiero? se si intende quella facoltà in virtù della quale noi possediamo una certa visione del mondo, la tesi è da respingere. il linguaggio puo' al limite condizionare certi comportamenti minimi che possiamo tranquillamente considerare trascurabili.
continua

mercoledì 10 giugno 2015

Robin Hanson su cazzeggio e umorismo

  1. L'uomo, come  altre specie animali, dedica molto tempo al gioco, ovvero ad un'attività in cui, in un ambiente sicuro si impara a muoversi nel rispetto di alcune regole.
  2. Si può giocare a scacchi, a nascondino ma si può anche giocare "a parlare", o a cazzeggiare. Il cazzeggiatore domina le regole del linguaggio e per lo più parla di cose poco serie. Ma può anche darsi che affronti argomenti seri e qui la funzione del gioco cambia leggermente: ci si esercita a dominare le regole per violare una regola, magari in modo benigno. Cazzeggiando su argomenti seri si è autorizzati a dire cose che non si possono dire in un contesto di serietà. In un certo senso si è sempre giustificati poichè possiamo far passare per ottuso chi ci critica poichè "non capisce" l'aria di cazzeggio della conversazione. L'abilità del cazzeggiatore consiste nel barcamenarsi tra i diversi livelli del linguaggio affinchè il messaggio espresso sia sempre messo al riparo da un abile tono semiserio.
  3. L'umorismo è l'esito inevitabile del cazzeggiatore. L'umorismo allena alla comunicazione indiretta, al messaggio obliquo, alla creazione di codici personali, a un livello di comunicazione  che sia comprensibile solo agli amici. I nemici, quando intervengono per difendersi, intervengono per definizione fuori luogo: dimostrano di non avere senso dell'umorismo. I nerd, per esempio, sono le classiche vittime degli umoristi: hanno un solo livello di comunicazione e ciò gli rende facili prede di chi invece è abile nell'esprimersi su più livelli. L'umorismo è un residuo del dogmatismo del passato. Se ieri chi criticava un dogma co metteva un peccato, oggi chi si attarda a criticare l'idea sottostante una battuta viene additato come privo di senso dell'umorismo, il che è la massima scomunica del nostro tempo.
  4. L'ipocrita invece è simpatetico all'umorismo. E si capisce, il mondo della comunicazione polisemica, il mondo dalle mille uscite di sicurezza è il suo regno. L'umorismo è un'attività in cui alleniamo ed esibiamo le nostre potenzialità di produrre ipocrisia, ovvero un linguaggio ellittico, multistrato, dove tutti i livelli si mescolano in modo apparentemente incongruo. Il riso è una caratteristica basilare dell' Homo Hipochritus.
  5. Siamo molto legati a chi ci fa ridere perchè sentiamo che con lui si apre una comunicazione privilegiata fatta con un codice esclusivo. L'umorismo ci allena per la ricerca di complici nella violazione benigna di norme.
  6. Storia del riso. Nella storia dell'umanità il riso è stato sempre visto con sospetto dai moralisti, un segno di arroganza, di disprezzo, di superiorità e di derisione. Oggi invece viene per lo più considerato con simpatia. Perchè? Forse oggi un bene come quello della fiducia è meno ricercato visto che lo garantisce lo stato. Il riso, infatti, con le sue mille ambiguità, mette sempre a rischio la produzione di fiducia trasparente.
  7. Alcuni dati delle ricerche sul riso. Il riso non è una reazione a situazioni comiche bensì una vocalizzazione socievole: l'80% delle nostre risate non avvengono in contesti comici ma in contesti socializzanti. Chi parla, per esempio, ride molto di più di chi ascolta. Le donne ridono molto di più degli uomini, si ritiene sia un segno di sottomissione. Gli uomini per contro sono fonte di riso molto più delle donne, pensate solo a chi era il buffone della classe quando eravate al liceo.