giovedì 9 gennaio 2020

3 Instructions and Incentives + FARE SQUADRA: SCEGLIERE O COMANDARE?

FARE SQUADRA: SCEGLIERE O COMANDARE?

Alcuni miei appunti sul tema.

1) Per fortuna non siamo soli al mondo, ma è come se lo fossimo se non riusciamo a fare squadra. Se non riusciamo a dire: "tu fai questo, io faccio quello e ripartiremo il frutto del nostro lavoro". Dal coordinamento del gruppo dipende il 90% del nostro benessere.

2) Ci sono due metodi per coordinare un'economia: 1) affidarsi ad una mente centrale seguendo le sue istruzioni, 2) costruire un sistema di menti decentrate che interagiscano tramite un sistema dei prezzi.

3) Prova a immaginare un'economia che rifiuta sia i comando dall'alto che i prezzi dal basso. Quello che ottieni è il socialismo utopico: "da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni". Ma i socialisti tendono a sottovalutare la complessità della sfida.

4) Il filosofo Cohen, per perorare la causa del socilismo utopico, usò la metafora del campeggio: è così che ci organizziamo quando partiamo in vacanza con gli amici. Tutto va bene, siamo felici. Perché non adottare la stessa strategia altrove?

5) Ma la metafora fallisce: durante un campeggio noi scegliamo deliberatamente di limitare i nostri consumi ad un livello di sussistenza primitivo. Non ci aspettiamo di ricevere cibo tailandese, di guardare il nostro sport preferito in televisione o di sottoporci ad un'otturazione dentale.

6) In secondo luogo, ci sono relativamnte poche persone. Facile.

7) In terzo luogo, noi iniziamo il viaggio in campeggio con un set di merci già bell'e pronte. Troppo comodo. La nostra vita non è un' "eterna vacanza" come vorrebbe Cohen.
                
8) Altro mproblema: nell'utopia socialista ci sarebbero molti cantanti-chitarristi, attori e tennisti, ma pochi allevatori di polli, operatori sui pozzi petroliferi o addetti alle fognature.

9) Sai costruirti un tostapane partendo da zero? No? Ma guarda che nell'utopia socialista te lo devi fare tu o affidarti al caso.

10) La realtà è lontana mille miglia dall'utopia socialista e presenta caratteristiche che sono una via di mezzo tra centralismo e sistema decentrato: una produzione complessa richiede sia istruzioni all'interno delle imprese, sia un meccanismo di coordinamento tra le imprese basato sui prezzi.

11) Una pura economia di comando si osserva raramente, giusto in condizioni di guerra. Quando l'urgenza è massima e la complessità minima. Quando il mondo puo' essere ridotto su una scacchiera. In guerra, tutti vogliono distruggere il nemico, in pace tutti vogliono cose diverse.

12) Uno sponsor dell'economia centralizzata fu negli anni sessanta l'economista di Harvard John Kenneth Galbraith. Parlava di "nuovo stato industriale" e diceva che i nemici del mercato non sono i socialisti ma la tecnologia avanzata, la specializzazione e le capacità organizzative. Il cervellone che serve al centralista stava arrivando grazie ai computer. JKG si inseriva perfettamente nella tradizione dei pensatori progressisti, che dalla fine del XIX secolo avevano sostenuto che un drammatico aumento delle dimensioni delle imprese aveva reso anacronistica sia l'economia di Adam Smith sia l'idea di governo limitatao.

13) Il crollo economico dell'Unione Sovietica negli anni '80 - un grande esperimento naturale - fu la dimostrazione storica di quanto l'economia di comando centrale fosse ancora più fragile dell'economia dei prezzi.            

14) Ma il colpo più duro alle idee di JKG fu la sparizione dei grandi colossi: i grandi produttori dell'acciaio cominciarono a faticare e furono costretti a trasferirsi nel terzo mondo, le case automobilistiche lottarono e lottano ancora per sopravvivere. Molti giganti contemporanei, come Google e Apple, non assomigliano in niente alle vecchie realtà industriali, si fondano su genio, creatività e idee. Nell'idea galbraitiana i "padroni del mercato" avrebbero dovuto essere immuni dalle forze schumpeteriane di distruzione creativa: non è stato così, la maggior parte delle aziende che erano che dominavano la borsa quando Galbraith scriveva sono scomparse.

15) Un 'economia di comando deve affrontare tre problemi: 1) problema dell'informazione, 2) problema degli incentivi e 3) problema dell'innovazione.

16) Problema dell'informazione. I pianificatori centrali devono decidere al buio quali e quanti prodotti e servizi devono realizzare. In un'economia di comando, non c'è il segnale di prezzo. Certo, alcune tecniche matematiche, per esempio quelle sviluppate dagli economisti del MIT, possono essere utilizzate per costruire quelli che gli economisti chiamano "prezzi ombra", ma l'operazione è difficile. In guerra i pianificatori devono decidere se costruire più navi o più carri armati, il che è fattibile poiché le esigenze sono più facili da decifrare. Ma fuori dall'emergenza, in tempo di pace, la musica cambia, i consumatori non hanno modo di segnalare ai pianificatori le loro esigenze interiori, a volte non le conoscono nemmeno loro; allo stesso modo, i lavoratori non hanno un canale per segnalare di fatto le loro abilità non sfruttate e le loro preferenze. E' improbabile che un'agenzia governativa avrebbe capito che J. K. Rowling sarebbe stata un' eccellente scrittrice di fantasy per ragazzini o che Steve Jobs avrebbe potuto divenire un catalizzatore creativo. Non per altro ma semplicemente perché i pianificatori non hanno il potere di leggere nella mente altrui, non sono in grado di incorporare i giudizi soggettivi degli individui, possono giusto fare qualche sondaggio che perde di significato man mano che il tempo passa.

17) Un'altra fonte di informazioni è la concorrenza, qualcosa che manca all'economia di comando. Qual è il prezzo del latte? Difficile capirlo senza concorrenza e possibilità di fallire.
La concorrenza disciplina anche la gestione organizzaiva. Se un ristorante è gestito male, non fornirà ai clienti un buon rapporto qualità-prezzo e fallirà. In breve, il sistema dei prezzi e la concorrenza in un'economia di mercato forniscono informazioni preziose.

18) Problema degli incentivi. In un'economia di mercato, l'autodisciplina e il duro lavoro tendono ad essere ricompensati da entrate più elevate. Il capo capisce chi sta lavorando e chi si sottrae, e gli conviene farlo in fretta se non vuole pagare lui. Se invece i pianificatori centrali commettono errori, non esiste un meccanismo di correzione. L'elusione delle regole può assumere forme ancora più plateali: in un'economia in stile sovietico, la corruzione tende ad essere dilagante, occorre entrare in qualche modo nelle grazie dei burocrati. Ma la cosa è evidente anche da noi: laddove il governo gioca un ruolo, la minaccia di corruzione è palpabile. In un'economia di mercato, l'incentivo è quello di concentrarsi sulla soddisfazione del cliente. Si avanza ingraziandosi il consumatore, non il burocrate.

19) Lo stesso problema che il governo ha con i burocrati, l'azienda ce l'ha con i manager e i quadri. Ma la concorrenza tra le imprese significa proprio che le imprese che presentano i sistemi di incentivazione e i meccanismi di monitoraggio più efficaci per sfidare la diserzione sono quelle che sopravvivono.

20) Problema dell'innovazione. In assenza di concorrenza, la maggior parte delle organizzazioni preferirebbe non sperimentare nuove idee. È più comodo attenersi alle vecchie abitudini. Ma in un sistema di mercato la minaccia dei nuovi concorrenti mette sotto pressione le organizzazioni esistenti. Quando viene provata una nuova idea di successo, occorre riorganizzare i modelli di specializzazione e commercio nell'economia. Per questo le economie di mercato sono così dinamiche, non si puo' star fermi. Per le economie di comando il cambiamento rappresenta invece una minaccia: anche se i pianificatori centrali dispongono di un metodo per valutare le innovazioni, non sono mai sotto pressione per scartare le idee sbagliate e promuovere quelle giuste. Semmai il contrario: poiché lo status quo li ha portati al vertice, loro tenderanno a favorire il suo rafforzamento.

21) Oggi nessuno osa più riproporre i pianificatori ma ricordiamoci che i regolatori governativi sono, in via di principio, soggetti alle medesime insidie dei loro colleghi socialisti.
3 Instructions and Incentives
Note:3@@@@@@@@@@@@@@@

Yellow highlight | Location: 500
How can specialization be coordinated?
Note:IL PROBLEMA

Yellow highlight | Location: 503
Your father’s occupation became your occupation.
Note:COORDINAMENTO ANCIENT REGIME

Yellow highlight | Location: 504
family name,
Note:VEDI COGNOME

Yellow highlight | Location: 504
the caste system was a detailed, rigid social order
Note:ANCORA OGGI

Yellow highlight | Location: 505
specialization is coordinated by instructions.
Note:ALL INTERNO DI UN IMPRESA

Yellow highlight | Location: 506
coordinated by prices and profits.
Note:FUORI DALL IMPRESA

Yellow highlight | Location: 509
system of incentives
Yellow highlight | Location: 513
Prices serve as signals
Note:FUNZIONE DEI PREZZI...NN SOLO INCENTIVO

Yellow highlight | Location: 516
what determines the boundaries of a firm?
Note:IL PROB.

Yellow highlight | Location: 523
when the value of different tasks can be isolated, specialization will tend to take place
Note:CONDIZIONE APPALTO

Yellow highlight | Location: 537
The surgeon who is very fast at mowing lawns
Note:TAGLIARE O NN TAGLIARE?

Yellow highlight | Location: 538
Profits are another important incentive.
Note:UN INCENTIVO PARTICOLARE

Yellow highlight | Location: 549
Patterns of specialization and trade evolve because of two mechanisms: substitution and innovation.
Note:MOTORI DEL CAMBIAMENTO

Yellow highlight | Location: 552
When corn becomes more expensive than wheat, consumers will respond to the price change
Note:SOSTITUZIONE

Yellow highlight | Location: 558
most of the solutions to market imperfections are launched by private entrepreneurs,
Note:FALLIMENTI DI MERCATO...E NNOVAZIONE

Yellow highlight | Location: 560
First is “experimentation,”
Note:LE DUE FASI DELL INNOVAZIONE

Yellow highlight | Location: 561
Second is “evaluation,”
Yellow highlight | Location: 562
Third is “evolution,” in which successful business models
Note:CAMBIO DEL MODELLO

Yellow highlight | Location: 563
The prospect of profits encourages entrepreneurs to attempt experiments.
Yellow highlight | Location: 565
Profits are a measure of the sustainability of patterns of specialization.
Note:SOSTENIBILITÀ

Yellow highlight | Location: 574
We tend to want to discuss cost as if it were an objective concept,
Note:I COSTI SONO SOGGETTIVI

Yellow highlight | Location: 577
cost of output depends on market conditions and individual judgments
Note:RELATIVISMO

Yellow highlight | Location: 580
Those factors are not directly observable, and they are constantly changing.
Note:MISIRARE I COSTI... IMPOSSIBILE

Yellow highlight | Location: 581
a distant observer is not in a position to evaluate economic performance with certainty.
Note:OSSERVATORE ESTERNO

Yellow highlight | Location: 583
if one method uses more water but requires less of the farmer’s time, then we cannot tell which method is more efficient. It depends on how farmers value their time relative to the cost of water.
Note:ESEMPIO

Yellow highlight | Location: 586
4 Choices and Commands
Note:Ttttttttt

Yellow highlight | Location: 586
centralized commands or by decentralized choices
Note:Due metodi x coordinare l economia

Yellow highlight | Location: 595
Try to imagine specialization coordinated with neither commands nor market prices. Instead, individuals decide for themselves
Note:Primo caso

Yellow highlight | Location: 596
“From each according to his abilities, to each according to his needs.”
Note:Socialismo utopico

Yellow highlight | Location: 598
socialists tend to underestimate the complexity of the challenge
Yellow highlight | Location: 600
Cohen used the metaphor of a camping trip as a model for utopian socialism.
Note:Wht not socialism

Yellow highlight | Location: 604
On a camping trip, we deliberately choose to restrict our consumption to a more primitive level
Note:Xché la metafora é inappropriata

Yellow highlight | Location: 605
we do not expect to be served Thai food, to watch our favorite sport on television, or to have a tooth cavity filled. We
Yellow highlight | Location: 607
there are relatively few people.
Note:2

Yellow highlight | Location: 608
we begin the camping trip with a set of goods that requires millions of tasks to have been performed elsewhere,
Note:3

Yellow highlight | Location: 613
There would be plenty of singer-guitarists, actors, and tennis players, but few chicken farmers, oil well operators, or sanitation workers.
Note:Nell utopia del socialismo

Yellow highlight | Location: 615
Even making an appliance as mundane as a toaster
Note:Impossibile

Yellow highlight | Location: 617
Complex production requires both instructions within firms and a coordination mechanism among firms.
Note:Una via di mezzo

Yellow highlight | Location: 623
A pure command economy is rarely observed, except under conditions of total war.
Note:Altro caso

Yellow highlight | Location: 626
they acquired about half of the total output, rationed many consumer goods, and fixed prices.
Note:Nella ii guerra

Yellow highlight | Location: 627
John Kenneth Galbraith, a Harvard economist
Note | Location: 628
Uno sponsor

Yellow highlight | Location: 628
The New Industrial State,
Yellow highlight | Location: 629
The enemies of the market are not socialists. . . . [They] are advanced technology, the specialization and organization of men
Note:Secondo JKG

Yellow highlight | Location: 635
He was writing in the tradition of Progressive thinkers, who since the end of the 19th century had argued that a dramatic increase in the scale of business enterprise had made both the economics of Adam Smith and the weak central government of the U.S. Constitution anachronistic.
Note:Monopoli

Yellow highlight | Location: 639
The economic collapse of the Soviet Union in the 1980s is a historical demonstration of the failure of a command economy.
Note:Esperimento naturale

Yellow highlight | Location: 641
The nation’s large steel makers disappeared.
Note:Altro colpo a JKG

Yellow highlight | Location: 642
automobile manufacturers have struggled to survive.
Note:Esempio

Yellow highlight | Location: 643
Many contemporary giants, such as Google and Apple, do not resemble the old industrial powerhouses
Yellow highlight | Location: 645
A Galbraithian corporation should have been nearly immune from the Schumpeterian forces of creative destruction.
Note:Nn é stato così

Yellow highlight | Location: 647
the majority of companies that were in the Dow Jones Industrial Average when Galbraith wrote have disappeared
Yellow highlight | Location: 650
A command economy faces three major problems.
Yellow highlight | Location: 650
information problem,
Yellow highlight | Location: 651
Second is an incentive problem.
Yellow highlight | Location: 653
Third is a lack-of-innovation problem.
Yellow highlight | Location: 654
Central planners face an information problem. They must decide what goods and services are produced,
Note:Il primo

Yellow highlight | Location: 656
In a command economy, there is no price signal.
Yellow highlight | Location: 658
the mathematical techniques developed by MIT-style economists can be used
Yellow highlight | Location: 658
Economists call those computed values “shadow prices,”
Yellow highlight | Location: 660
planners must decide whether to try to build more ships or more tanks.
Note:Esempio di guerra

Yellow highlight | Location: 663
That process works less well in a peacetime economy.
Yellow highlight | Location: 670
Consumers have no way of signaling to planners
Yellow highlight | Location: 670
Similarly, workers have no way of signaling to central planners that they have untapped skills.
Yellow highlight | Location: 671
It is unlikely that a government agency would have figured out that J. K. Rowling would make an excellent writer of fantasy
Yellow highlight | Location: 672
or that Steve Jobs would make a creative catalyst
Yellow highlight | Location: 675
Because central planners are not mind readers, they are unable to incorporate the individual’s subjective judgments
Yellow highlight | Location: 676
A command economy suffers from a lack of competition.
Note:Altra fonte d info

Yellow highlight | Location: 677
a milk supplier would be free to charge a much higher price
Yellow highlight | Location: 681
Competition also disciplines management. If a restaurant is poorly run, it will not provide customers with good value for their money.
Yellow highlight | Location: 683
In short, the price system and competition in a market economy provide information.
Yellow highlight | Location: 686
absence of incentives.
Note:Secondo problema

Yellow highlight | Location: 686
In a market economy, self-discipline tends to be rewarded with higher income.
Yellow highlight | Location: 687
the boss figures out who is working and who is shirking.
Yellow highlight | Location: 690
If the central planners make mistakes, then there is no correction mechanism.
Yellow highlight | Location: 692
Gaming the system can take even more flagrant forms. In a Soviet-style economy, bribery and corruption tend to be rampant.
Yellow highlight | Location: 694
in a market economy, the incentive would be to focus on figuring out ways to please customers.
Note:Ingraziarsi il burocrate o il consumatore

Yellow highlight | Location: 696
within any one firm, workers try to game the system.
Note:Stessi prob in azienda

Yellow highlight | Location: 698
Competition among firms means that the firms that come up with the most effective incentive systems and monitoring mechanisms to address gaming are the ones that survive.
Note:Ma

Yellow highlight | Location: 703
ideas
Note:Terzo fattore

Yellow highlight | Location: 705
In the absence of competition, most organizations would prefer not to experiment with new ideas. It is more comfortable to stick with old habits.
Yellow highlight | Location: 707
the threat of new entrants puts pressure on existing organizations
Yellow highlight | Location: 708
When a new idea is tried, it serves to rearrange the patterns of specialization and trade in the economy.
Note:Conseg

Yellow highlight | Location: 712
even if central planners had a method for evaluating innovations, they are not under pressure to discard bad ideas
Yellow highlight | Location: 716
People in powerful positions know that their status can be maintained under the status quo. Change represents a threat.
Yellow highlight | Location: 723
In practice, we observe neither a pure command economy nor a pure market economy. In the United States, many government regulations serve the function of commands.
Note:Di fatto

Yellow highlight | Location: 726
However, in practice, regulators are subject to the same pitfalls as the central planners
https://feedly.com/i/entry//cnXVr/5HNe2pDqTI3udBeVx4AbJSW9TNhacAl8h6Dc=_16f8b1c5efb:f6f954:c1687fcd

Se uno racoglie dati sul funzionamento delle sanzioni economiche si accorgerà dei tanti fallimenti. Deve concludere che dobbiano rinuciarci? No: le sanzioni funzionano, ma prima che vengano prese, non dopo.

Quindi, le sanzioni non funzionano solo nel momento in cui vengono applicata.

Inoltre, funzionano con gli alleati, poco con i nemici che ci odiano e cercano un motivo che li confermi nel loro odio.

RIGORE O MISERICORDIA?

Sono un fan della lotta contro la cultura dello spreco, e oggi il mio obbiettivo è la giustizia penale.
Non esiste giustizia senza pene eque, e non esistono pene eque che non siano anche efficienti. Non per tutti è così: economisti, filosofi morali e giuristi hanno sguardi diversi, ma solo i primi sono ossessionati dalla lotta agli sprechi, quindi è a loro che devo chiedere consiglio.
Ma come usare la teoria economica per costruire una serie efficiente di sanzioni penali?
Cominciamo col dire che l'economista è disturbato dal crimine in quanto atto inefficiente. Esempio: la volontà di acquistare un televisore dimostra che il compratore lo valuta più del venditore, e dunque è giusto che finisca nelle sue mani: la scambio è efficiente! Il ladro, al contrario, lo valuta meno del proprietario, altrimenti lo avrebbe comprato: il furto è inefficiente. Ne consegue che dobbiamo consentire gli scambi e impedire i furti.
Ma anche la pena deve avere un limite, altrimenti si rischiano di colpire anche i crimini efficienti. In prima approssimazione la pena dovrebbe equivalere al danno causato. In questo modo non è altro che una tassa chiamata a combattere i crimini inefficienti.
Non ha senso punire un crimine efficiente, poiché solo i crimini inefficienti generano spreco. Esempio: se porto al pronto soccorso un infartuato, parcheggio a cuor leggero in divieto di sosta, conto sul fatto che la multa sia fissata in modo da impedire solo le infrazioni inefficienti; nel mio caso si tratta di una questione di vita e di morte, pagherò la multa, non c'è problema. Ecco, le multe "eccessive" generano sprechi proprio perché ostacolano le infrazioni efficienti.
Chi non vede lo spreco potrebbe spaventarsi, ma questa logica resta intatta anche se parliamo di omicidi e stupri. Un economista si chiede: ci saranno troppi omicidi o troppo pochi? Ci saranno troppi stupri o troppo pochi? Ci saranno troppi fallimenti o troppo pochi? Ora capiamo meglio perché.
Ma questo modo di fissare le pene resta naif, ignora altri costi. Esiste infatti un costo anche per catturare e punire un colpevole, non dobbiamo dimenticarcelo. Cosa succede, per esempio, se il criminale non puo' risarcire la vittima? Di solito lo si sbatte in galera ma questo peggiora le cose: dobbiamo mantenere il criminale! Non solo non c'è risarcimento ma addirittura c'è un costo supplementare. Certo, sbattere in galera un criminale costituisce un risarcimento morale verso la vittima e non solo, il nostro senso di giustizia è appagato, tuttavia dobbiamo ammettere che un sistema legale privo di sprechi, in queste condizioni, non perseguirà - oltre ai reati efficienti - anche una quota di reati inefficienti. Non ne vale la pena.
Ma non è finita qui, c'è un importante "costo negativo" da considerare: la punizione, per quanto costosa per la società, potrebbe generare un effetto collaterale di deterrenza che previene altri reati. Mentre il costo per infrazione aumenta con l'aumentare della punizione prevista, il numero di infrazioni complessivo diminuisce dal momento che la punizione attesa più alta scoraggia nuovi reati. Il caso del costo negativo è molto semplice: una punizione, anche più costosa dei danni procurati, potrebbe diminuire i crimini totali da punire generando un risparmio.
Per alcuni reati in cui la deterrenza è efficace puo' essere addirittura conveniente punire anche alcuni reati efficienti! Provate a immaginare una società in cui la pena per il taccheggio sia la morte, con il risultato che non ci sarebbero taccheggiatori da punire: problema risolto a costo zero. Purtroppo, una deterrenza così efficace non esiste ma spero che la logica sia chiara.
Ricapitolando, il livello della pena che minimizza gli sprechi dovrebbe essere pari al danno arrecato da un reato (modello naif) solo se il costo marginale di scoraggiare un altro reato è pari a zero. Se la deterrenza è scarsa si potrebbero tollerare anche reati inefficienti, se la deterrenza è notevole si potrebbero punire anche reati efficienti. Il caso classico è quello dei reati poco sensibili alla differenza, per esempio i crimini passionali (tipo il femminicidio). In casi del genere gli sprechi si minimizzano tollerando una quota di reati inefficienti. In altri termini: inutile investire molte risorse in questo ambito. Conclusione: le punizioni ottimali combinano elementi di due diverse intuizioni: una punizione deve essere commisurata al danno procurato e una punizione dovrebbe servire anche a prevenire il reato. La pena genera dei costi: 1) il costo inflitto al colpevole e 2) il costo di catturare e punire. Ma genera anche dei benefici: 1) risarcimento e 2) prevenzione (costi risparmiati per catturare e punire). Minimizzare gli sprechi significa fissare pene solo se c'è un beneficio sociale e in modo che lo massimizzino.
C'è anche chi ha sostenuto che la tendenza del nostro sistema legale a generare una probabilità di condanna inferiore per gli imputati benestanti (colletti bianchi) è prova della sua efficienza. Un mese in prigione o una settimana in tribunale rappresentano un costo immaggiore per chi ha redditi più elevati: il tempo di chi è più produttivo è più prezioso. Equiparare la lunghezza delle pene, a questo punto, vorrebbe dire far pagare di più i colletti bianchi.
Questo è vero se assumiamo il modello ingenuo della pena efficiente, ma come cambiano le cose con il modello più sofisticato che tiene conto della deterrenza? Le conclusioni sono diverse a seconda del reato. Rubare 100 euro beneficia il ladro ricco quanto quello povero, quindi è giusto infliggere una pena più lunga al povero. Alla stessa conclusione giungiamo se il crimine è impegnativo e richiede tempo di progettazione ed esecuzione: in questi casi produrre deterrenza verso i più ricchi è più semplice e bastano pene inferiori. Ma quando anziché denaro si ruba "tempo", come nel caso della violazione dei limiti di velocità? In questo caso, dal momento che il tempo dell'uomo ricco vale più di quello del povero, al fine di produrre la medesima deterrenza dovremmo dare multe più elevate ai redditi più alti. Altra differenza: il ricco puo' sempre risarcire. Questa è un'ottima notizia perché le pene detentive sono costose e sarebbe così più efficiente riservarle solo ai redditi bassi. Una sanzione è una pena più efficace di una pena detentiva e i trasgressori più ricchi possono pagare multe più elevate.
Finora ho considerato pene diverse in base alle condizioni soggettive dell'imputato. Che dire delle condizioni soggettive della vittima?
Prendiamo un caso estremo: la pena di morte: una decisione corretta, secondo il modello "naif", richiederebbe al giudice di bilanciare il valore della vita della vittima con il valore della vita dell'imputato. Certo, l'esecuzione di un determinato assassino non salverà la vita della sua vittima ma la volontà del giudice di condannare un determinato assassino per aver ucciso un particolare tipo di persona può, tuttavia, influire su quanti omicidi simili si verificheranno in futuro, magari non necessariamente nel rapporto uno a uno. Ricordo alcuni casi in cui la pena di morte è stata comminata solo perché la vittima era una mamma, in questo modo si aumentava la protezione verso le madri con bambini piccoli e alle altre vittime la cui morte imporrà grandi costi ai loro sopravvissuti. In casi del genere è razionale punire più severamente chi uccide una donna con figli rispetto a chi uccide una donna senza figli. Certo che se l'assassino non è nelle condizioni di conoscere in anticipo il valore della vita della sua vittima, la deterrenza non avrà corso: la punizione selettiva è logica solo nei casi dove sia possibile una dissuasione selettiva.
fine
Purtroppo nella somministrazione della giustizia si presenta l'imputato come un essere umano vivente che respira e che ha parenti in apprensione e la vittima della mancata deterrenza come un'ombra oscura in un futuro statistico indeterminato; questo amplifica gli sprechi. E le cose vanno ancora peggio quando un simile bias da difetto diventa virtù misericordiosa.

mercoledì 8 gennaio 2020

COME DECIDONO LE API?

COME DECIDONO LE API?


A fine primavera/inizio estate le colonie dell'alveare diventano sovraffollate e molti ospiti cominciano a sciamare. Circa un terzo delle api operaie rimangono a casa per allevare una nuova regina mentre le altre fuoriescono con la vecchia regina per creare una colonia distaccata. Chi se ne va si trasferisce a qualche chilometro di distanza coalizzandosi in un ammasso ("barba") che fungerà da punto di riferimento per le ricerche. Da lì partiranno 300/500 esploratori scelti tra le api più esperte con l'intento di rintracciare un sito adatto per un nuovo e definitivo insediamento.
Dopo aver ispezionato un sito, lo scout d'élite ritorna presso il gruppo principale girovagando lì intorno e inscenando brevi danze. In questo modo "recluta" per imitazione altri scout che pubblicizzeranno il sito rintracciato dallo scout originario. Insieme, faranno la spola tra il sito e il gruppo reclutando altri scout con il loro balletto propagandistico. Il balletto è visto solo da alcune api, quelle che casualmente si trovano nei paraggi e vengono attirate casualmente. Gli scout affiliati in realtà non scelgono, imitano e basta. Il numero di balli diminuisce all'aumentare delle ispezioni, finché si avvicina a zero; a questo punto l'ape smette di svolgere qualsiasi attività di scouting. Al declino della propaganda succede un conflitto aperto tra i diversi danzatori. Le api che sponsorizzano un sito si scontrano con le altre che ne propagano altri. Dopo essere stato colpito dieci volte, uno scout di solito diventa passivo e pronto a seguire la massa. Quando una chiara maggioranza si è formata gli scout vincenti producono un ronzio particolare per segnalare che la ricerca è finita, quindi l'intero sciame si dirige alla nuova casa.
Per le api, la qualità del sito sono importanti: dimensione della cavità, dimensioni e altezza dell'entrata, orientamento della cavità rispetto all'entrata, stato della parete d'appoggio. Non solo, gli sciami delle api sembrano scegliere sempre il miglior sito disponibile su piazza (perlustrano i 30/40 chilometri intorno alla "barba"). Ma come fanno?
Probabilmente, la qualità della danza incorpora la qualità del sito. Ma è la quantità ad essere decisiva, uno scout esegue un totale di 30 balli per un sito scadente, ma 90 balli per un sito eccezionale! Poiché il reclutamento è casuale, il numero dei balletti - e quindi anche il tempo passato a ballare - diventa decisivo: più balli, più gente ti vede ballare. L'intero processo parte da un'élite che rappresenta il 3-5%, ovvero le api esperte che iniziano il primo scouting, le altre sono passive ed esposte a contagio. L'élite inizia senza nessuna opinione, poi se ne fa una in seguito all'ispezione e infine contagia le consorelle incontrate casualmente. Mai nessuna ape cambia opinione, mai nessuna ape considera più di un'opinione, al limite torna passiva dopo aver ricevuto una cospicua dose di "bastonate" dal partito avverso. La chiave di tutto sta nel fatto che le api con un'opinione migliore sono anche le più invasate, non smettono mai di ballare. Le opinioni rivali svaniscono con il tempo e l'intero processo si interrompe quando un corposo campione casuale si allinea sull'opinione vincente. Il ruolo centrale del caso fa sì che a volte la decisione non sia delle migliori: puo' darsi che chi balla un po' meno incontri ugualmente un numero maggiore di consorelle e finisca per prevalere, ma nel 95% dei casi non è così.
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LA PALMA

Quando assisto a un dibattito e non so che pesci prendere, per assegnare ragioni e torti mi baso su questi indicatori (in ordine di importanza):
1) disponibilità a scommettere.
2) Quiz di conoscenza della materia.
3) Avere interessi materiali nelle vicende trattate.
4) Grado di conoscenza della posizione con cui si è in disaccordo.
5) Esperienza sul campo.
6) Razionalità nell'esposizione.
7) IQ di chi espone.
8) Eventuale accordo con me di chi espone.
9) Credenziali.
10) Complessità del ragionamento esposto.
11) Età.
12) Moderazione.
13) Condizione sociale di chi dibatte.
14) Estensione dell'argomento esposto.

martedì 7 gennaio 2020

FREDDO SICILIANO

Avete mai fatto le vacanze invernali in Sicilia? Un freddo dellamadonna, almeno finché stai in casa.
Viene da dire: che tirchi sti siciliani, hanno già un clima favorevole, non potrebbero spendere due lire per scaldare meglio la casa quando è necessario?
Recentemente ho scoperto che la tirchieria non c'entra nulla, è pura razionalità. Si tratta di una legge ben precisa che vale ovunque nel mondo: dove fa freddo, almeno d'inverno, le case sono più calde che dove fa caldo. Un Siciliano troverebbe insolitamente calde le case di Varese, e c'è un motivo ben preciso.
I gusti non c'entrano, ammettiamo che siciliani e lombardi amino le medesime temperature. Ammettiamo anche che non conti la ricchezza. Già sapendo questo sappiamo che tutte le case siciliane e lombarde dovrebbero avere la medesima temperatura.
"Comprare un grado" in Lombardia costa come comprarne uno in Sicilia, ammettiamo che questo prezzo sia pari a X. In Lombardia se ne comprano 20 (la temperatura esterna è 0), in Sicilia 10 (la temperatura esterna è 10). Questa equivalenza deriva dalle preferenze uguali. Tradotto: il grado che mi fa passare da 19 a 20 ha per me lombardo un'utilità pari a 1.000001X, siccome la spesa è X, compro. Ma il siciliano ha le mie stesse preferenze e agisce allo stesso modo: compra! Il grado che mi fa passare da 20 a 21 ha per me lombardo un'utilità pari a 0.99999X, siccome la spesa sarebbe X, non compro. Ma il siciliano ha le mie stesse preferenze e agisce allo stesso modo: non compra! Conclusione: tutte le case lombarde e siciliane hanno la medesima temperatura. Naturalmente un lombardo - vivendo in una regione fredda - spende molto di più di un siciliano, abbiamo appena visto che compra mediamente 20 gradi anziché 10.
A questo punto la spesa in riscaldamento dipende solo dalle caratteristiche della casa: dimensioni e isolamento. Lasciamo perdere le dimensioni e concentriamoci sull'isolamento. Le case lombarde sono meglio isolate, non è questione di tirchieria, è logico che sia così: dovendo comprare più gradi si possono ammortizzare meglio i costi fissi dell'isolamento.
Conclusioni: il prezzo di un grado in lombardia è inferiore rispetto al prezzo siciliano, quindi se ne comprano di più. Ma questo vale ovunque: in inverno, le case dei paesi freddi sono più calde rispetto alle case nei paesi a clima caldo.

domenica 5 gennaio 2020

PERDITE DI TEMPO: LA STORIA DEL PENSIERO

Non mi piace molto la storia, è talmente complessa che ho sempre l'impressione si possa dire quel che si vuole, tanto qualche argomento da qualche parte lo si raccatta sempre. Non so perché ma gli storici scrivono sempre libroni enormi, se l'autore non è uno squisito stilista - e ce ne sono - diventano subito papponi illeggibili. Forse pensano che chi scrive il libro più alto abbia ragione? Quasi quasi trovo più adatti al compito certi giornalisti.
E non faccio eccezione per la storia delle idee, anzi. Per me, ragioniere, è stato un sollievo apprendere che al liceo non si studiava filosofia ma "storia della filosofia". Di colpo le mie frustrazioni sono svanite, da paria sono assurto a uomo libero; non so davvero a cosa serva studiare "storia della filosofia". Non capisco nemmeno perché esista una materia del genere, o per lo meno perché esistono degli specialisti.
Non voglio essere equivocato, i famosi filosofi del passato sono generalmente interessanti, quello che non capisco bene è perché ci siano degli specialisti che si arrovellano tanto su di loro, perché cioè un campo della ricerca accademica sia dedicato alla materia.
Cosa stanno cercando di scoprire questi studiosi? Forse cercano negli archivi degli scritti dimenticati dai geni del passato? In genere no. Forse tracciano le radici storiche di idee particolari? Direi di no. Forse vogliono capire se particolari teorie proposte da personaggi storici siano vere o false? Mmmm... No. Sappiamo già che sono quasi tutte false.
Nella mia esperienza questa gente legge l'opera di un grande filosofo del passato, quindi sceglie un passaggio particolare in uno dei libri e ne discute all'infinito con i suoi pari. Sperano di trovare un'interpretazione nuova, qualcosa a cui nessuno aveva pensato prima. In genere trovano molto divertente negare che il filosofo abbia mai detto qualcosa per cui va famoso.
Le loro tesi sono di questo tenore: "ora sappiamo cosa intendeva il filosofo P con l'espressione E. Voleva dire X e non Y, come vi hanno raccontato". La cosa non ha una grande importanza filosofica, e tu magari hai letto per ore e ore (in effetti, come tutti gli storici, anche gli storici della filosofia scrivono libri dalla lunghezza record).
Certo, potresti pensare che, poiché il grande filosofo pensava X, questa è almeno in parte una prova che X sia vero. Ma sarebbe una prova estremamente debole. Sarebbe infatti molto meglio considerare direttamente quali ragioni filosofiche serie ci sono per credere a X: per un'indagine approfondita basterebbe un libro che sia la metà della metà della metà di quello scritto sul filosofo P. Inoltre, sapere quali pensieri attraversavano il cervello di una certa persona non ha un interesse storico notevole. Lo sforzo non vale la candela: cio' che conta è la ricezione storica di Aristotele, non cio' che lui "pensava veramente".
E così si spendono una marea di energie intellettuali su questioni di poco conto. Non è un problema secondario, parliamo qui di persone intelligenti, ovvero di una risorsa estremamente scarsa. Un vero spreco.
E' difficile che un lavoro del genere trovi una sua retribuzione, in genere si impara la storia della filosofia per poi insegnarla poi ad altri, magari nei licei pubblici, dove la materia è obbligatoria e quindi non occorre trovarsi una clientela. Quando si intende avviare un corso di storia della filosofia, di solito si assume qualcuno specializzato in storia della filosofia. In realtà basterebbero i filosofi ordinari. Lo storico specializzato si pone rebus interpretativi complicati e sottili che rischiano di confondere la platea disinteressata che ha di fronte, piuttosto che renderla edotta.
Ma c'è di più, e scusatemi se arrischio questa analogia un po' provocatoria. Prendiamo una persona religiosa: c'è una buona possibilità che il libro sacro contenga errori o passaggi fuorvianti che l'adepto tenta di razionalizzare a posteriori. Ebbene, gli storici di solito trattano le figure storiche da loro scelte con più rispetto e deferenza di quanto trattino una qualsiasi figura contemporanea che avanza obiezioni su un argomento specifico, questo facilita gli errori.
Siamo nani sulle spalle di giganti, quindi siamo molto più alti dei giganti, vediamo più lontano di loro, vediamo più chiaramente, è del tutto normale che quanto i giganti ci riferiscono di aver visto sia il più delle volte inattendibile ed errato. In passato, la conoscenza umana nel suo insieme era in uno stato completamente diverso. Duecento anni fa nemmeno esisteva la scienza! Era molto più difficile l'accesso al lavoro dei filosofi precedenti e l'interazione fruttuosa con i contemporanei, anche la formazione era meno rigorosa.
Ci sono persone che ancora oggi si dicono seguaci di Aristotele. Ma se Aristotele vivesse oggi, probabilmente non sarebbe un aristotelico. Essere un grande pensatore, anche il più grande, non è così importante come avere accesso alla conoscenza umana accumulata negli ultimi 2000 anni. Questo è il motivo per cui il lavoro di pensatori molto meno grandi nati oggi ha più probabilità di essere corretto rispetto al lavoro di Aristotele. I tomi di logica vergati da Aristotele oggi sono sintetizzabili in quattro paginette.
Nella visione di Aristotele, il mondo è composto da cose che hanno per loro destino una funzione naturale. Noi, invece, vediamo il mondo popolato da oggetti e soggetti (coscienze). Non esiste un destino particolare, almeno per la materia. Questa cosa della teleologia è un po' stupida se vivi nel XXI secolo. L'idea di teleologia - scopi o "funzioni" che esistono in natura - non contribuisce più a nulla oggi. Tutti i fenomeni materiali sono spiegabili per causalità meccanicistica.
Ma perché uno spreca tanto tempo con la storia della filosofia? Boh, forse piace quel senso di insularità che garantisce: entri nel mondo di un autore e vivi protetto in quell'universo, non esiste altro. Se sei un semplice filosofo, le obiezioni fioccano da tutte le parti come bombe, ti contendi uno spazio che tutti vogliono. Il tuo mondo è aperto e continuamente invaso da altri. Lo storico non sta sostenendo che una certa tesi sia vera, sta solo dicendo che alcune tesi filosofiche sono supportate dai testi. Uno storico della filosofia puo' permettersi di vivere con la guardia bassa. La filosofia, per lui, è relax e archivistica, non duello e riflessione.
In conclusione, penso che le persone debbano porsi le grandi domande della filosofia, non perdere tempo con la storia della filosofia. Dovrebbero pensare, ad esempio, a qual è la cosa giusta da fare, non a ciò che Kant reputa la cosa giusta da fare; dovrebbero pensare a ciò che è reale, non a ciò che Platone ha detto essere reale.

UN PICCOLO TRIBUTO A EINSTEIN


UN PICCOLO TRIBUTO A EINSTEIN


Non avremo più scienziati come lui. Non perché fosse un genio eccezionale, ma perchè non c’è più domanda di geni. Mi spiego meglio.

Le persone credono a tutto. Si fanno ingannare da bugiardi, truffatori, seduttori, demagoghi, imbonitori, e chi più ne ha più ne metta. Ma le persone posseggono anche il “logos”: sanno ragionare. Riflettendoci, la prima caratteristica discende dalla seconda: è solo perché ragioniamo, pensiamo e usiamo il linguaggio che possiamo essere ingannati.

Ma c’è di più: se il cristiano devoto ha ragione, allora indù, ebrei, buddisti e atei hanno torto. Dal che discende che ad ingannarsi è quasi sempre la maggioranza. L’inganno è così diffuso che probabilmente rappresenta un vantaggio evolutivo anche in chi “ci casca”. Ci sono inganni che perdurano a lungo senza ragione apparente. Ci sono inganni con cui conviviamo bene, che non siamo affatto interessati a sfatare. Qui vorrei raccontare una storia particolare. No, non riguarda qualche religione dai dogmi inverosimili, riguarda la la meccanica quantistica.

Non pretendete troppo da me, non riesco a tracciare una storia rigorosa, non sono un fisico, non ne ho gli strumenti adatta; dirò comunque qualcosa di generico – spero corretto – cercando di approfondire solo la questione che mi interessa veramente.

Che nelle particelle delle onde elettromagnetiche ci fosse qualcosa che non andava (che non si conciliasse bene con la gravitazione universale) lo aveva già capito Max Planck, il quale però lasciò cadere la cosa sperando si forse che si risolvesse da sé. Nel 1905 Albert Einstein fece un passo decisivo con la sua analisi dell’effetto fotoelettrico, certi fenomeni legati al calore e alla luminosità si manifestavano solo sotto certe frequenze di luce. Perché? Boh. Passo successivo: nel 1913 Niels Bohr ideò l’atomo di Bohr. Gli elettroni orbitano attorno al nucleo proprio come i pianeti che orbitano attorno al sole. Tuttavia, a volte l’elettrone salta su un’orbita differente emettendo luce. Si trattava di capire quando cio’ avveniva. Bohr non riuscì a comprendere bene quale legge governasse questi salti quantici. E con questo enigma si chiudeva il periodo della “vecchia” teoria quantistica.

Poco dopo, 1925, Il formalismo matematico di Heisenberg (a base di matrici) ottenne le previsioni che Bohr aveva cercato, erano di una precisione incredibile, ma restavano di natura statistica. L’enigma si riproponeva in altra veste: perché a volte le cose vanno in un modo e altre volte in un altro? E perché in condizioni differenti ma ininfluenti gli esiti cambiano?

Di fronte a queste domande Bohr avrebbe potuto dire che la teoria non era ancora matura per rispondere, invece prese una decisione diversa e alquanto strana, disse: non è possibile visualizzare ciò che l’elettrone sta facendo perché il micromondo dell’elettrone non è, in linea di principio, visualizzabile. Solo gli “oggetti classici” sono visualizzabili. La definizione di “oggetto classico”, purtroppo, non l’abbiamo. In altri termini, se non sappiamo le cose, la colpa non è nostra ma delle cose. Se le nostre conoscenze sono solo probabilistiche cio’ non implica che siano limitate: è il mondo (il micromondo) ad avere natura probabilistica. C’è una differenza tra una fotografia sfocata e una foto della nebbia. Per Bohr la nostra foto è perfetta, ma stiamo fotografando la nebbia. Di fronte ad una simile posizione l’accusa di sofistico sarebbe scattata immediatamente, ma, per il prestigio dello studioso, non scattò. Anzi, la scuola di Copenaghen si propose come la maggior candidata all’ortodossia.

Nel 1926 Erwin Schrödinger produsse un formalismo matematico differente dal precedente, il suo era a base di equazioni, più classico. Ma era comunque equivalente al precedente. Se le matrici di Haisenberg parlavano di particelle, le equazioni di Schrödinger parlarono di funzioni d’onda. In questo senso il nuovo approccio era più tradizionale e intuitivo. Le onde, stando al linguaggio di Bohr, sono visualizzabili. L’equivalenza dei due formalismo la dobbiamo a Paul Dirac: entrambi i sistemi fanno esattamente le stesse previsioni osservabili.

Piccola digressione epistemologica: per un positivista logico le due impostazioni non sono distinguibili poiché una teoria si definisce in base alle previsioni osservabili che consente di fare. Il positivista si disinteressa di cio’ che non puo’ essere osservato. Il positivismo logico è praticamente una teoria semantica: una teoria non dice altro che le sue conseguenze osservabili. All’epoca tutti erano “positivisti logici”, il positivismo logico emergeva spontaneo nelle menti degli scienziati; ogni volta che veniva “ucciso” risorgeva puntualmente. Se il mondo delle particelle subatomiche si presentava come assurdo, poco importava visto cio’ che consentiva di fare. La situazione, in un certo senso, si è riproposta nell’economia quando Milton Friedman propose di considerare i giocatori di biliardo come geometri, così facendo era possibile prevedere le loro mosse, ovvero i loro tiri. Ma al contempo si trattava di un’ipotesi assurda poiché era chiaro che nessuno dei giocatori di biliardo era geometra! Domanda: la verosimiglianza delle ipotesi conta? Per i positivisti logici no. Contano solo le conseguenze. Oggi nessuno sosterrebbe più una cosa del genere.

Ma torniamo a noi. Nel 1926 la situazione era piuttosto confusa. In che modo il formalismo matematico utilizzato per rappresentare il sistema quantistico entra in contatto con il mondo come mostrato nell’esperienza? E’ l’indovinello “della misurazione”. Ma cosa stiamo misurando? Cosa esiste? La “strana” posizione di Copenaghen si fondava anche sul fatto che noi non abbiamo nessuna esperienza diretta con gli elettroni, come possiamo dire che il senso comune rimaneva sconvolto da certi comportamenti bizzarri? Il senso comune si forma con l’esperienza. Qui però la funzione d’onda di Schrödinger diventa decisiva poiché mostra come sia possibile risalire senza rotture dal mondo delle particelle a quello degli oggetti. In questo senso, anche un gatto, si disse, eredita le proprietà delle particelle subatomiche di cui è composto; anche un gatto, quindi, dovrebbe avere natura probabilistica In uno chema quantistico la sua essenza, almeno quando non lo osserviamo, è quella di essere sia vivo che morto (oppure né vivo né morto). Ma questa è una palese assurdità. La reazione di Bohr: qui si parla dell’invisibile, non di gatti. Ma a questo punto sorge il problema di distinguere gli oggeti classici (i gatti) dagli oggetti invisibili (le particelle). Formulandolo nei termini di Schrödinger: possiamo visualizzare il micromondo: è un’onda. Ma ad un certo punto, le onde ci appaiono come particelle. Quel punto critico è noto come “collasso d’onda” ed è importante conoscere le sue caratteristiche. Quando e come collassa la funzione d’onda?

Qui torna in campo Einstein – siamo alla drammatica quinta conferenza Solvay. Il genio pretende un chiaro resoconto di ciò che sta accadendo nel mondo fisico ma per Bohr è una pretesa assurda, una domanda insensata, è l’espressione “reale mondo fisico” che ha perso di senso: ripeto, contano soltanto le conseguenze prevedibili. Einstein in tutta questa faccenda gioca il ruolo dell’ anti-positivista. La sua posizione è spesso chiamata “realismo”, ma io la chiamerei “buon senso”: crede in un mondo oggettivo. La semplice previsione, non importa quanto precisa, non è sufficiente, manca la descrizione del reale.

Einstein e Bohr erano opposti polarmente nel loro approccio alla fisica, e la resa dei conti si ebbe in quell’epica conferenza. Einstein, un tempo radicale, era diventato un conservatore alla disperata ricerca di recuperare il determinismo classico. Ma come andarono le cose in quel duello finale? Nella vulgata, Einstein capì che doveva concentrare le sue obiezione in qualcosa di facilmente comprensibile e propose un esperimento mentale progettato per mostrare l’insostenibilità delle affermazioni di Bohr (ne ho parlato qui). Bohr gli rispose avvalendosi niente meno che delle armi del nemico, e tirò fuori a sorpresa la relatività. Einstein rimase spiazzato (come si resta di solito quando veniamo rintuzzati da una replica tanto sicura quanto ermetica). Una resa dei conti a valere nei secoli dei secoli. Einstein, sconfitto, trascinò il suo corpo ferito altrove, cambiò di umore, diventò una persona irritabile e smise di fare fisica in termini significativi.

Ma questo resoconto canonico non è molto fedele. Innanzitutto, Einstein non era infastidito più di tanto dall’indeterminismo della meccanica quantistica. Ciò che lo irritava – come diceva ripetutamente – era la “non-località”. Secondo la teoria quantistica di Bohr certi corpi erano in grado di influenzarsi a vicenda senza entrare in contatto. Esempio: se certi microeventi vengono osservati si manifestano in un certo modo, se non vengono osservati in un altro. E questo senza che ci sia un contatto fisico tra osservatore ed osservato. Un assurdità per Einstein. Tutto regolare per Bohr, che in nome delle “conseguenze” (ovvero della capacità predittiva) sarebbe stato disposto anche a credere ai fantasmi. Ma per Einstein, tra il “fatto bruto” di Bohr e i fantasmi non c’era molta differenza, quindi questo stato di cose andava sanato. Un altro modo per descrivere la non-località tira in ballo il collasso d’onda di cui sopra: se un’onda elettromagnetica viene incanalata attraverso un foro molto stretto, quando emerge si diffonderà in tutte le direzioni come le onde prodotte da un sasso scagliato in acqua. Ma nell’esperimento capita che lo schermo emisferico costruito per catturare l’elettrone ad un certo punto non riveli nulla di espanso, bensì un singolo lampo luminoso. Esiste cioè un punto in cui l’onda si trasforma in particella senza però che vi sia alcuna trasformazione descrivibile. Si tratta di una trasformazione istantanea: senza onda non c’è particella ma tra onda e particella non c’è alcuna mediazione fisica. In qualche modo, tutte le parti distanti della funzione d’onda scompaiono istantaneamente, come se viaggiassero più velocemente della luce, cosa impossibile. Si realizza così un’ azione spettrale a distanza, tipo paranormale. Miracolo? Fantasmi? A Bohr non interessa, è un “fatto bruto” che si limita a registrare. Einstein è invece è sconvolto, vuole una spiegazione. Oltretutto, il fenomeno aveva una sua regolarità, non era caotico, in un certo senso si poteva anche pianificare un percorso in grado di spiegare le cose (in seguito lo si farà, anche se in modo inaccettabile per Einstein). C’era qualcosa che stava agendo e metteva in contatto fisico i due fenomeni. Einstein cominciò a parlare di variabile nascosta senza mai riuscire ad esplicitarla.

Ma accettare la posizione di Einstein significa rifiutare la completezza della meccanica quantistica. Bohr si disinteressò della cosa e la sua posizione/non-posizione stava decisamente vincendo la guerra della propaganda. L’anarchismo trionfava. L’oscurantismo filosofico si propagava ovunque. L’incoerenza segnata dal “principio di complementarità” veniva sdoganata. Trionfava l’alleanza tra positivismo soggettivista e dialettica antilogica. Un abbassamento senza precedenti degli standard critici per le teorie scientifiche diveniva norma. Ciò ha portato a una sconfitta della ragione e al culto anarchico dell’ incomprensibile e del caos.

La storia successiva è piuttosto anodina. Nel 1932 la presunta prova matematica di John von Neumann attestava che la meccanica quantistica è completa, non si poteva aggiungere nulla, non c’era spazio per “variabili nascoste”. Nel 1935 Grete Hermann scopre difetti fatali nella prova di von Neumann. Successivamente Einstein ripropone, nel famoso argomento di Einstein-Podolsky-Rosen (EPR), le sue obiezioni; segue risposta incomprensibile e svogliata di Bohr. Nessuno sembra più interessarsi del dibattito teorico, si sfruttano invece le capacità dell’algoritmo quantistico. Bohr vince e diventa l’ortodossia, non perché il suo modello fosse superiore ma perché il suo disinteresse per un modello adeguato incontra bene il disinteresse della comunità scientifica tutta presa a sperimentare l’algoritmo.

Il profano pensa che a tanti anni di distanza le cose si siano messe a posto, che il casino sia stato ricomposto. Ma non lo è mai stato. Negli anni 50 e 60 il misticismo di Copenaghen si era congelato in un comando minaccioso: zitto e calcola (con l’algoritmo che ti abbiamo dato!). Chiunque tentasse di elaborare una teoria migliore faceva una brutta fine in termini di carriera.

Il primo rinnegato fu David Bohm, ipotizzava un’onda pilota in grado di guidare le particelle lungo percorsi prefissati in modo da aggirare la non-località e giungere a una teoria completamente deterministica. Si potrebbe pensare che almeno Einstein potesse accogliere con favore il suo tentativo ma non fu così, probabilmente perché il modello si conciliava male con la relatività (violava, diciamo così, certi limiti di velocità). Ad ogni modo il lavoro di Bohm fu ignorato ed efficacemente soppresso. Circola voce che Oppenheimer abbia detto: “se non possiamo confutare Bohm, allora dobbiamo ignorarlo.”

Un altro rinnegato fu Hugh Everett, sosteneva che per rendere coerente lo schema di fondo occorreva moltiplicare gli universi di riferimento. Il gatto di Schrödinger non doveva essere sia vivo che morto ma vivo in un universo e morto in un universo differente. Bohr si rifiutò di benedirlo e lui lasciò per sempre il mondo accademico.

Il terzo rinnegato fu John Stewart Bell. In realtà agì su un piano diverso, dimostrò cioè che l’imbarazzante “azione a distanza” era inevitabile, mettendo così chiaramente in luce il lato inaccettabile della cosiddetta “teoria” quantistica. Talmente inaccettabile che oggi i filosofi della scienza tentennano nel chiamarla “teoria” preferendo considerarla una lista di postulati con cui ricavare un algoritmo previsionale. Bell dimostrava una volta per tutte che le paure di Einstein erano qui per restare. Come ha reagito la comunità dei fisici a questa scoperta epocale? Con un’alzata di spalle. Sostiene che il risultato di Bell dimostra che l’indeterminismo è inevitabile, dimenticando che Bell stesso era il sostenitore più convinto della teoria deterministica di Bohm.

Certo, il lavoro di Bell ispirò una generazione di fisici teorici ad esaminare i fondamenti della fisica, in questo senso registrò un piccolo successo. Tuttavia, la soppressione della più genuina curiosità scientifica è sicuramente il punto di approdo di tutta la vicenda. Da allora la conoscenza della fisica è diventata secondaria per un fisico, l’unica cosa che conta è andare a Ginevra e infilare la testa nell’ennesimo accelleratore costato milioni di euro e giocare agli autoscontri.

Concludo allora come ho iniziato: non avremo più scienziati alla strega di Einstein. Non perché fosse un genio eccezionale, ma perchè non c’è più nessuna domanda di geni. E spero ora di aver spiegato perché.