venerdì 5 agosto 2011
Vite brevi circondate dal sonno
Perché il nostro linguaggio è vago?
Di questo ostico lavoro accademico mi ha sempre colpito l’ abstract: “Non lo so” .
giovedì 4 agosto 2011
E il colpevole si dileguò
La riforma della giustizia secondo il neuroscienziato David Eagleman (determinista-ala dura):
“… il punto cruciale è che di fronte ad un crimine non ha più senso chiedersi “quanto conta la biologia e quanto conta la persona?”. questo perché sappiamo che non ha più senso disgiungere la biologia di una persona dalle decisioni che prende. Sono cose inseparabili…
… abbiamo un’ idea della “pena” che si fonda ancora sui concetti di ”intenzione” e “colpevolezza”… ma la moderna comprensione del cervello richiede un cambio di paradigma… il concetto di “colpevolezza” deve essere rimosso dal gergo legale… è un concetto del passato irriconciliabile con la rete genetico/ambientale che disegna i comportamenti umani…”
E’ una vera fortuna avere tra noi gente che parla chiaro. E auguri per il nuovo paradigma.
A proposito, il filosofo Saul Smilansky, senza tanti filosofemi, ha cominciato a dire che una simile svolta è impossibile. Dietro l’ angolo della “svolta” non ci sono che burroni.
Ma una scappatoia si offre: basta considerare la pena alla stregua di un trattamento sanitario obbligatorio.
Alcuni di noi sono nati del colore sbagliato e dobbiamo ridipingerli.
Non sarebbe la prima volta, pensiamo all’ inquisizione: si torturava per liberare l’ eretico dai demoni. Ovvero, per curarlo.
Il determinista deve farsi piacere questo paradigma. Cio’ che porta a delinquere è una malattia: la cura per il delinquente effettivo si chiama riabilitazione, quella per il delinquente potenziale si chiama deterrenza.
In questo modo si reintroducono di straforo elementi essenziali per tenere in piedi una società.
Ma affidarsi unicamente alla pura deterrenza (+ riabilitazione) risulta ripugnante al senso comune.
Rothbard sintetizza due classici punti d’ inciampo:
… il criterio della deterrenza implica degli schemi punitivi che la gran parte di noi giudicherebbe grossolani e ripugnanti… Per esempio, in assenza di legislazione molti di noi si asterrebbero spontaneamente dai crimini più orrendi, per esempio l’ omicidio… d’ altro canto potrebbero essere tentati da crimini insignificanti (per esempio il furto di un frutto sulla pianta)… se la funzione della pena si esaurisce nella deterrenza, una punizione più severa è richiesta per quei comportamenti illeciti a cui la gente da poco peso… il furto di una gomma dal tabaccaio da parte di un ragazzino dovrebbe essere punita con la morte… per l’ omicidio basterebbero pochi mesi…
… vorrei aggiungere che se la deterrenza fosse il nostro criterio guida sarebbe perfettamente legittimo che l’ autorità giudiziaria condanni chi sa essere innocente previa verifica dell’ esistenza nell’ opinione pubblica di un generalizzato sentimento di colpevolezza… la pubblica esecuzione di un innocente – purché la sua innocenza venga tenuta nascosta – avrebbe un effetto deterrente pari a quella di un colpevole,,, ma questo viola qualsiasi standard di giustizia concepibile…
… il fatto che chiunque consideri le due conclusioni precedenti come grottesche, per quanto soddisfino il criterio di deterrenza, mostra in modo palpabile che la gente è interessata a qualcosa di più che alla deterrenza…
L’ equivoco della meritocrazia
Dopo decenni la sinistra ha scoperto la meritocrazia.
Peccato non abbia scoperto il mercato, e c’ è da chiedersi se senza mercato la meritocrazia abbia un senso.
Le “valutazioni ingegneristiche” danno luogo a paradossi spiazzanti: meno ricerca, abbassamento della qualità, conflitti d’ interesse…
mercoledì 3 agosto 2011
Cronisti declamanti
… vorrei sommessamente chiedere ai miei connazionali: meno letteratura, per favore!…
As economic theorists, we organize our thoughts using what we call models.
The word “model” sounds more scientific than “fable” or “fairy tale” although I do not see much difference between them. The author of a fable draws a parallel to a situation in real life. He has some moral he wishes to impart to the reader. The fable is an imaginary situation that is somewhere between fantasy and reality. Any fable can be dismissed as being unrealistic or simplistic, but this is also the fable’s advantage. Being something between fantasy and reality, a fable is free of extraneous details and annoying diversions. In this unencumbered state, we can clearly discern what cannot always be seen in the real world. On our return to reality, we are in possession of some sound advice or a relevant argument that can be used in the real world. We do exactly the same thing in economic theory. A good model in economic theory, like a good fable, identifies a number of themes and elucidates them We perform thought exercises that are only loosely connected to reality and that have been stripped of most of their real-life characteristics. However, in a good model, as in a good fable, something significant remains.Like us, the teller of fables confronts the dilemma of absurd conclusions,
because the logic of his story may also lead to absurd conclusions.Like us, the teller of fables confronts the dilemma of response to evidence. He wants to maintain a connection between his fable and what he observes; there is a fine line between an amusing fantasy and a fable with a message.Like us, the teller of fables is frustrated by the dilemma of fableless regularity when he realizes that sometimes his fables are not needed to obtain insightful observations.Like us, the teller of fables confronts the dilemma of relevance. He wants to influence the world, but knows that his fable is only a theoretical argument.As in the case of fables, absurd conclusions reveal contexts in which the model produces unreasonable results, but this may not necessarily make the model uninteresting.
As in the case of fables, models in economic theory are derived from observations of the real world, but are not meant to be testable.
As in the case of fables, models have limited scope.
As in the case of a good fable, a good model can have an enormous influence on the real world, not by providing advice or by predicting the future, but rather by influencing culture.
Yes, I do think we are simply the tellers of fables, but is that not wonderful.
martedì 2 agosto 2011
Perché siamo molto più poveri di quel che raccontano le statistiche?
Spesso sento parlare delle inadeguatezze del PIL come misuratore del benessere.
Chi puo’ negare talune insufficienze? Le statistiche spesso mentono, e in questo ambito lo fanno spesso e volentieri.
Senonché, chi esprime dubbi in merito si butta successivamente a capofitto in proposte quanto meno dubbie. La radice ideologica di suggeritori tutt’ altro che disinteressati è evidente.
L’ immagine che danno costoro è quella di dottori che, al capezzale di un lebbroso, si consultano su come curare un’ influenzina collaterale e per di più ineliminabile.
A latere dei grossi guai di salute, magari c’ è pure l’ influenzina di cui sopra. La mia impressione è che, comunque, nelle mani di questi dottori sia destinata a degenerare.
Ma oggi il punto non è questo. Oggi vorrei occuparmi invece della “lebbra”. Ovvero di quelle croste che i solerti “dottori” della stampa popolare trascurano in favore di inezie più funzionali “all’ altro mondo possibile”.
Partiamo allora con alcune considerazioni sulla spesa governativa in generale.
… Per comprendere quanto siano inaffidabili le talvolta rassicuranti misurazioni della produttività economica nelle nazioni sviluppate, basta prestare attenzione a come il PIL viene calcolato…
… per partire con un semplice esempio consideriamo il fruttivendolo sottocasa: se ci vende una mela a 1 euro il PIL incrementa di 1 euro… puo’ darsi che la mela venduta sia la proverbiale “mela marcia” ma se continuiamo a comprare probabilmente le cose stanno diversamente e la misurazione fatta deve ritenersi affidabile…
Ora concentriamoci sull’ azione di governo: se il governo spende 1 milione di euro per una strada come misureremo il suo contributo al PIL? Diversamente dalla mela, nessuno comprerà mai quella strada!… per convenzione si è deciso di ritenere che il contributo governativo al PIL sia pari ai costi sostenuti: più si spende, più si crea ricchezza… per definizione…
… Talvolta i beni e i servizi governativi valgono ampiamente il loro costo ma non sempre è così… nel tempo il ruolo dei governi si è enormemente allargato… oggi possiamo dire che 1 euro speso in più non sarà speso in settori chiave dell’ attività pubblica ma in settori collaterali… cosicché cresce il dubbio che il contributo al PIL sia sovrastimato…
“Al margine” i governi diventano sempre meno produttivi… tuttavia le convenzioni statistiche non fanno differenza tra l’ euro speso negli anni cinquanta, quanto il Governo si concentrava sulle sue funzioni caratteristiche, e l’ euro speso oggi… Detto in altri termini: l’ euro speso per allargare una strada di montagna perennemente deserta, in termini di ricchezza misurata, vale quanto quello speso per costruire un’ arteria viabilistica che collega importanti centri commerciali…
Ora confrontiamo tutto questo con la spesa che facciamo dal fruttivendolo… come nel caso della spesa governativa, anche nel nostro caso una mela in più ha (forse) meno valore della mela ricevuta per prima… ma cio’ si ripercuote sul prezzo esercitando una pressione al ribasso: più mele in circolazione, prezzi più bassi e minor contribuzione al PIL e alla produttività misurata… qui possiamo considerare i prezzi e non i costi!… tuttavia cio’ non è possibile nel settore pubblico, dove un euro sprecato vale necessariamente con un euro essenziale…
… Ricordiamoci allora di una massima ovvia per gli economisti, meno per i profani:
…Più ampio è il ruolo dei governi nell’ economia, più le misura del PIL sovrastimano il benessere del cittadino…
… Chiudo segnalando cio’ che invece anche i profani dovrebbero sapere, ovvero che da noi negli ultimi 50 anni il ruolo dei governi nell’ economia si è notevolmente accresciuto…
Ora sappiamo meglio perché gli incrementi di produttività che talvolta vengono segnalati non siano poi così affidabili: derivano da una contabilità afflitta dai limiti di cui abbiamo appena parlato… l’ ipotesi che siamo in mezzo ad una “grande stagnazione” regge anche in presenza di quelle cifre…
Tyler Cowen – The great stagnation
Passando a qualche esempio concreto, occupiamoci di sanità.
… La spesa governativa nel settore sanitario è elevata… ma qui c’ è di più… noi sappiamo riconoscere una mela cattiva evitandone l’ acquisto, ma difficilmente riusciamo a valutare i servizi di un medico o l’ efficacia reale di una medicina… nel dubbio “compriamo” anche perché, in caso contrario, “segnaleremmo” la scarsa cura che abbiamo per la nostra salute e per quella dei nostri famigliari… avere speranza e segnalare di avere speranza anche contro le evidenze diventa cruciale… così facendo teniamo un comportamento irrazionale che per questo prodotto vanifica il market-test… e senza “market-test”, anche la misurazione del PIL diviene inaffidabile… non ne faccio un discorso ideologico, un bias del genere affligge sia i sistemi pubblici che quelli privati…
… gli Stati Uniti hanno una spesa medica molto elevata se comparata a quella di altri paesi… eppure il loro sistema sanitario non sembra chiaramente superiore… ma in generale sembrerebbe che, a parità del resto, spendere di più in prodotti sanitari non renda le persone più sane…
… I ciprioti e i greci spendono infinitamente meno senza ripercussioni sulla loro salute… certo, la dieta, gli esercizi e lo stile di vita conta… in più possiamo dire che negli USA gli ospedali sono più carini, i trattamenti più specializzati e le medicine più variegate… possiamo dire che solo negli USA riceverete “cure di frontiera” altrove inaccessibili… possiamo dire molte cose ma resta fondamentale sapere che la spesa sanitaria, per sua natura, è particolarmente inefficiente… tanto è vero che la speranza di vita non varia con le cure ricevute…
… inutile aggiungere che uno dei settori maggiormente in crescita nelle nostre economie è quello sanitario… un settore che si presta poco al market-test e che quindi falsa pesantemente la misurazione della nostra ricchezza…
Tyler Cowen – The great stagnation
Il discorso cambia poco quando si passa a parlare di scuola:
… La nostra spesa in servizi educativi è cresciuta “enormemente”, ha dunque senso chiedersi se i nostri ragazzi siano “enormemente” più istruiti che in passato?… risponde il National Assessment of Educational Progress: “nella lettura il punteggio medio di un diciasettenne oggi è sostanzialmente pari a quello riportato nel 1971”… in matematica idem…
… dobbiamo anche considerare che la scuola di oggi lavora con ragazzi più intelligenti (Flynn effect) e che vivono in un contesto socio-economico migliore…
… aggiungo che i tassi di completamento degli studi si sono abbassati dopo aver raggiunto il loro picco a fine anni sessanta…
… tutto cio’ a fronte di una spesa che non ha mai cessato di innalzarsi… rispetto al 1970 oggi spendiamo il doppio per ogni allievo…
… forse i miglioramenti non sono misurabili dai test… tuttavia l minimo da dire è che in questo campo non esiste una chiara correlazione tra spesa e risultati…
… la gran parte della spesa educativa è nelle mani dello Stato… cosicché, diversamente dai servigi del fruttivendolo, non esiste un market-test che renda credibile la contribuzione al PIL di questo settore…
… un’ assunzione di personale in più si rifletterà in una maggiore ricchezza del paese in termini di PIL, anche se quell’ insegnante non insegnerà mai nulla a nessuno limitandosi a percepire lo stipendio…
… è sorprendente che di anno in anno spendiamo in modo crescente per la nostra scuola in assenza di risultati chiari… riuscite a pensare a qualcosa del genere che vi tocchi direttamente?… che riguardi magari il vostro pc, o il ristorante, o i vestiti, o l’ automobile…
Tyler Cowen – The great stagnation
Una conclusione s’ impone:
Tre dei settori di spesa tra più notevoli e dall’ importanza crescete si riflettono in modo distorto sul PIL gonfiandolo a dismisura senza averne chiaro titolo… per me da tutto cio’ dobbiamo trarre una conclusione drastica: i numeri mentono, siamo molto più poveri di quel che ci raccontano.
Lotta impari
Ci vuole un governo tecnico?
Forse.
Per ora – comunque – i tecnici (della BCE) ci stanno rovinando.
Due caveat: 1. c’ abbiamo messo del nostro 2. combattere contro una cattiva idea come la “moneta unica” è una lotta impari.
Poligami con le pezze al culo
Perché proibire la poligamia?
Non so francamente se esistano in merito argomenti seri fondati sui fatti.
L’ unico che sento ripetere in modo convinto suona all’ incirca così: i molti uomini che resterebbero senza compagna sarebbero attratti dal crimine.
Ma ha un inconveniente a sinistra: vale anche contro il lesbismo (e il nubilato).
E un inconveniente a destra: vale anche “a favore” della poliandria.
Non resta che rassegnarsi ad una spiegazione “politically incorrect”: i difensori della poligamia, contrariamente ai difensori dell’ omosessualità, godono ai nostri occhi di un basso “status” sociale.
lunedì 1 agosto 2011
I Jetsons traditi
A parte le magie apparenti di internet, in termini materiali la nostra vita non è molto diversa da cio’ che era negli anni cinquanta… guidiamo ancora auto, usiamo frigoriferi… e accendiamo la luce con l’ interruttore, anche se forse molti di noi ce l’ hanno graduale…
… Le meraviglie illustrate nel cartone dei Jetson, che risale agli anni sessanta, non si sono mai realizzate. Non viviamo per sempre, non visitiamo colonie su Marte, non viaggiamo su piccole navicelle personali… La vita è migliorata e abbiamo più cose, ma l’ innovazione ha rallentato fortemente la sua corsa tradendo le aspettative che si potevano nutrire ancora solo poche generazioni fa…
… La mia vita migliorerebbe di molto se avessi a disposizione una macchina del teletrasporto… ma avere a disposizione frigo sempre più ampi che tritano il ghiaccio costituisce un miglioramento quasi irrilevante a cui pochi sono realmente interessati…
… molti pensano all’ allunaggio del 1969 come ad un punto divisivo che ha segnato l’ inizio di una grande stagnazione…
… oggi “cresce” solo chi è indietro e puo’ seguire le nostre orme (catch-up growth)… ma chi ha raggiunto la frontiera tecnologica è condannato ai piccoli passi (magari all’ indietro)…
… Credete forse che le crisi a ripetizione di questi anni non siano correlate con questa grande stagnazione tecnologica?… non è così, abbiamo raccolto tutti i frutti della precedente innovazione e ora avanzare è tremendamente difficile… di volta in volta ci illudiamo di poterlo fare con internet o con le nuove tecnologie finanziarie ma, puntualmente, scoppia una bolla che ci risbatte al punto di partenza… quando ci sembra di “avanzare” spediti capiamo presto che le cose stanno diversamente: ci si arricchisce a debito (destra) oppure investendo su improduttivi “big government” (sinistra)… si tratta di illusioni ciclicamente disvelate… sarebbe meglio rassegnarsi a considerare terminata un’ età dell’ oro e, eventualmente, a mettere le basi per la prossima… ma “mettere le basi” non è esattamente un compito a cui la politica si presta con docilità…
Tyler Cowen – The great stagnation
Dunque la distinzione tra e-book e libro cartaceo non puo’ essere paragonata a quella che esiste tra lavatrice e lavatoio. Consideravamo i nostri genitori come abitanti di una foresta pietrificata e ora scopriamo che sono stati loro a vivere in un mondo realmente rivoluzionario, un mondo in cui la vita delle persone cambiava realmente da un anno all’ altro.
Rileggendo queste parole mi vengono in mente certi economisti della “decrescita” felice, secondo loro la crescita economica non porta a ad un maggior benessere. Lo sostengono riferendosi implicitamente alle molte ansie della modernità.
In realtà siamo reduci da decenni di stagnazione e non sembra che la cosa abbia reso poi tanto “felici” i protagonisti.
Sarebbe forse più assennato e più aderente ai fatti sostenere che il nostro benessere non cresce proprio perché i tempi d’ oro dello sviluppo sono finiti da un pezzo, almeno nelle nazioni più avanzate.
sabato 30 luglio 2011
Libertarianism A-Z: too big to fail
Alcune banche sono talmente grandi che si ritiene opportuno salvarle dal fallimento, siamo di fronte al cosiddetto too big to fail. Ma anche il too big to fail ha le sue controindicazioni.
Vediamo le distinzioni tra fallimento e salvataggio.
1. effetti redistributivi: in caso di fallimento il peso è sopportato da proprietà, dipendenti, creditori ecc. nel caso di salvataggio il peso passa al contribuente.
2. effetti sull’ efficienza: il salvataggio incentiva attività azzardo morale e attività eccessivamente rischiose.
3. effetto contagio: il salvataggio lo azzera, anche se l’ evidenza empirica è debole e gli inconvenienti maggiori possono essere evitati da un’ accorta politica monetaria.
Conclusione: il fallimento deve essere preso in seria considerazione come la migliore tra le soluzioni possibili.
Libertarianism A-Z utilities
Autostrade, acquedotti, gas… spesso vengono scambiate per beni pubblici e si chiede che di esse si occupi lo stato.
In realtà lo stato deve limitarsi a regolare una concorrenza che sarebbe problematica per la natura stessa di questi beni, stando ben attento a non intromettersi nella gestione.
Libertarianism A-Z: esternalità
Le esternalità sono ovunque, talmente ovunque che rintracciarle è compito improbo. Anche come porvi rimedio è problematico.
Pigou propone di tassare e risarcire cadendo nel nirvana fallacy.
Coase fa presente che spesso la contrattualistica privata risolve il problema.
Hayek aggiunge che spesso la competizione tra gruppi favorisce una soluzione individualista.
Meditazione razionale del Padre nostro
Che sei nei cieli - Che sei onnopotente, onnisciente ed eterno. Che abiti la dimensione infinita dei supereroi. regno dei cieli = regno di dio. da non intendere necessariamente come spirituale.
Sia fatta la tua volontà, così in Cielo, così in Terra - In modo ci sia dato di abitare il migliore dei mondi possibili.
Sia fatta la tua volontà, così in cielo, così in terra - In praise of passivity. Per una passività partecipata. E' il concetto di provvidenza che fa capolino.
Sia fatta la tua volontà, così in Cielo, così in Terra - si auspica l'avvento terreno del regno di Dio. Gesù in fondo era un profeta ebraico apocalittico, probabilmente aveva in testa un progetto terreno prima ancora che meramente spirituale.
Sia fatta la tua volontà, così in Cielo, così in Terra - una professione di umiltà del soggetto di fronte alla realtà e al suo piano più ampio… ci si impegna di fronte al reale e al rischio di auto-suggestione… “non indurci in tentazione”: … un’ ammissione di debolezza volta a mettere in guardia il fedele arrogante (robert trivers)
Dacci oggi il nostro pane quotidiano - Ispira la nostra ragione affinché organizzi una convivenza fruttuosa
Dacci oggi il nostro pane quotidiano - buttati nelle avventure (es. avere un figlio), sarà lui a garantirti il pane quotidiano (Giovanni Donna D'aldonico).
Rimetti a noi i nostri debiti - Perdonaci attraverso la Grazia.
Come noi li rimettiamo ai nostri debitori - Nel nostro sforzo di imitare il tuo modello di perdono compatibile con la giustizia, vedi dottrina del perdono.
E non ci indurre in tentazione - Mettici alla prova secondo le nostre capacità in modo da giudicarci rettamente.
Ma liberaci dal Male - basilare il "dal", indica che il male è un interferenza privilegiando così la libertà dal male piuttosto che la libertà del bene (Iaiah Berlin e Giovanni Donna d'Aldonico).
***
Il Padre Nostro nell'analisi di Robert Trivers
- Padre nostro. Diviso in tre parti.
- 1 assertion of humility: “hallowed be thy name” and “thy will be done.”
- 2 you may ask that your own sins be forgiven but only insofar as you forgive those of others. This is critical: no blanket amnesty. You must give to get; you must forgive to be forgiven. This binds you to a psychological
- 3 ask not to be led into temptation—really an injunction against allowing yourself to be tempted—and to be protected from all evil (self-induced included). La tentazione dell'autoinganno.
Libertarianism A-Z: federalismo
La difesa nazionale deve essere fornita a livello nazionale ma per le altre politiche si puo’ scegliere anche il livello locale.
La tendenza all’ accentramento si giustifica sulla base del fatto che “one fit all”: la stessa politica funziona ovunque. Oppure sulla base del concetto di “race to the bottom”.
Eppure la sperimentazione locale e la varietà favoriscono la scoperta e l’ innovazione.
La concorrenza è decisiva nel limitare la centralità della politica, e per i liberali questo è un vero chiodo fisso. Senza contare che la race to the bottom non si è praticamente mai registrata.
C’ è anche una riduzione nel rischio quando si decentra.
Non solo, l’ autogoverno smussa i risentimenti tra i popoli e le odiose ingerenze, ancora più odiose se chi le compie ha l’ arroganza di chiamarle umanitarie..
venerdì 29 luglio 2011
Libertarianism A-Z: ambiente
La crescita economica spinta dal capitalismo puo’ devastare l’ ambiente, bisogna intervenire per prevenire una simile tragedia.
Vero, a volte basta intervenire con più capitalismo e più crescita economica: è ormai accertato che ricchezza e calori ambientalistici vanno di pari passo.
Il resto è un problema noto: le esternalità.
Gran parte della devastazione ambientale deriva da attività governative. Bisogna fermarle. L’ Unione Sovietica è un classico esempio di ambiente devastato.
Altre esternalità, però, si realizzano perché non esistono diritti di proprietà privata ben definiti. E allora: privatizzare tutto il privatizzabile. Mi vengono in mente le riserve naturali africane.
Resta sempre qualcosa che non è facile privatizzare, qualcosa per cui non è disponibile una tecnologia adeguata. La cosa migliore allora consiste nel tassare gli inquinatori e redistribuire agli inquinati (carbon tax): meglio se la cosa si realizza in automatico con dei crediti d’ imposta in modo tale che burocrati e politici non annusino nemmeno quel flusso di ricchezza.
Chiariamo subito che la carbon tax è un’ extrema ratio a causa delle distorsioni che provoca: resta pur sempre un prezzo di mercato fissato fuori dal mercato, Si spera solo che le distorsioni da carbon tax siano inferiori alle distorsioni ambientali dovute alle esternalità.
Libertarianism A-Z: utilitarismo
Il metodo utilitarista impone di massimizza la felicità. Per quanto sia un metodo promettente e ragionevole, presto i guai vengono a galla: non è facile quantificare la felicità.
L’ unico modo sensato per applicare il metodo utilitaristico consiste nell’ abbinarlo al metodo della scelta: cio’ che scelgo mi è più utile di cio’ che scarto pur avendo la possibilità di sceglierlo.
Niente redistribuzioni utilitaristiche, quindi.
E’ all’ atto di giustificare le redistribuzioni che l’ arbitrio di molti utilitaristi emerge: c’ è chi dà scarso valore alla felicità di alcuni grubbi sociali: ebrei, non-*comunisti, neri, ricchi, eccetera.
Oggi mi sono dimenticato
Carlo Carabba – Canti dell’ abbandono
Cosa c’ è?
C’ è un momento privilegiato da indagare: il risveglio.
L’ apertura degli occhi. Chi sono? Dove sono? Ah, ecco… sono dove non devo.
E poi?
C’ è sempre un’ identità minacciata… del fumo che forse è fuoco…
Un’ identità labile e compressa: … conosco solo il qui, non il là… e sono sempre dove sono e mai altrove…
Per rimarcarla ci si rifugia nel “ciclo” sperando che il “ruotare” sia un “ruotare” intorno a qualcosa: ritorna lo scirocco e gli abiti leggeri…
Un virus si propaga, colpisce in pieno giorno, perlopiù le anime dei possessori di motorini: al semaforo si affianca un’ auto… cattivo presagio… “stai attento potresti morire”… si riparte di filata, con il cavalletto ancora a terra che fa scintille…
Ogni passeggiata, lo si sappia, è condannata a riempirsi di svolte sbagliate e giri a vuoto.
C’ è poi una cosa che nei poeti italiani difficilmente manca: una disgregazione in atto a cui resistere (o a cui abbandonarsi):
… ho lasciato che il dolore mi sperdesse come il vento la neve sulle ali di un aereo…
Ma anche tanta voglia di farla finita, innanzitutto con la tragicommedia dello scrivere: niente più pensieri, niente storie…
Dopo la dispersione, ogni giorno, puntuale, fa capolino lo stupore del ritrovarsi: … sempre la stessa mano che passa sullo stesso libro…
E subito dopo si fa viva la fatica di coordinarsi per combinare qualcosa:
non so calibrare i miei moti / su quelli regolari della terra / e il ritmo stagionale non si accorda / al flusso diseguale dei miei umori…
Ah, poi ci sono i viaggi. Viaggi a volontà.
Nel tempo…
Specie all’ indietro, alla notte prima dell’ operazione, con le mani sulla tovaglia a quadri azzurri mentre si chiacchiera con il padre: ogni parola tace.
… la paura d’ esserti figlio sotto condizioni / riceverò solo se ti sarò piaciuto…
E dove c’ è un padre ci sono delle reminiscenze:
con te portavi doni / giochi pupazzi e qualche scatto d’ ira / che più tardi ho imitato…
E poi ancora indietro, fino alla notte dell’ eclissi: un lampione, solo padrone della scena, pareva lui la luna. Che c’ entra l’ eclissi con il mio condominio?
Nelle cose…
Tutti i poeti hanno un debole per gli oggetti. La missione è quella di salvare i loro “protetti” dal bieco funzionalismo: sacrifichiamo i quadranti degli orologi!… noi che possediamo una pelle che segna l’ ora esatta…
Dal soggiorno una luce azzurrina illumina l’ aria sulla quarta corda: documentari per bambini avidi di conoscenza e per disperati aviti di torpore… documentari popolati da bruchi che crescono ad ogni morso fino a raggiungere lunghezze insopportabili… vertigine di segmenti che paiono conformi a scopo senza scopo…
Sui mezzi…
Sul treno: … che prosegue la sua corsa e non mi lascia abbandonare il posto…
Sull’ autobus: quelle facce stanche del mattino… quei corpi troppo coperti che s’ inchinano ad ogni rosso…
Non c’ è viaggio senza incidente.
Un secondo dopo lo scontro: la ragnatela sotto i due tergicristallo scampati al disastro…
Due secondi dopo lo scontro: le domande provenienti dal ginocchio spezzato… perché proprio qui ed ora? … perché non prima o dopo? … le risposte cattive: … per tutte quelle volte che non c’ ero e sei sopravvissuto… per tutte quelle volte che non sei morto…
Nella dimensione…
In sogno: per afferrare meglio le cose respiro un po’ più forte.
Nell’ immaginazione: di quanti incontro invento la storia e sbaglio sempre.
***
Dopo tanta vita, dopo tanti righi, dopo tanta riflessione, ecco spuntare la Saggezza.
La sua imponenza si dispiega: a un giorno meno lieto ne succede uno lieto, e viceversa…
Subito affondata dalla sua futilità: dovrei saperlo… ma oggi me lo sono scordato, e ieri anche, credo…
giovedì 28 luglio 2011
Libertarianism A-Z: corruzione
La corruzione è un male endemico delle democrazie.
L’ eziologia è chiara: laddove si pongono ostacoli al profitto privato e al libero scambio, la corruzione prospera.
Tasse, licenze, appalti pubblici costituiscono un focolaio per la corruzione.
Grazie alla corruzione un’ economia puo’ diventare più efficiente, esiste infatti un tasso ottimale di corruzione. Questo perché gli interventi governativi sono spesso inefficienti.
La cura è chiara: intervenire meno. Meno interventi, meno corruzione. E se proprio degli interventi sono dovuti, che siano indiretti. Prendiamo l’ edilizia popolare: mica è necessario edificare gli immobili, basterebbe assegnare ai beneficiari dei vouchers.
Libertarianism A-Z: protezione del consumatore
Molti paesi sentono l’ esigenza di proteggere il consumatore per la ragione fondamentale che lo ritengono un ingenuo.
Ma chi è trattato da stupido tende a instupidirsi, e questo è proprio quello che succede in questi paesi dove l’ incentivo a vigilare sulla qualità dei propri acquisti si perde del tutto. E purtroppo non c’ è legge che possa tutelare un consumatore stupido.
Gli obblighi connessi a queste leggi hanno poi un costo che rincara i prodotti a tutto svantaggio dei consumatori vigile che avrebbero saputo discernere per conto loro. E a tutto svantaggio dei “piccoli” produttori che non godono di economie di scala. Pensiamo solo agli obblighi di “etichettatura”.
Meglio sarebbe puntare sulla competizione: le imprese con pratiche migliori sarebbero senz’ altro premiate.
Senza contare che esiste una responsabilità civile per il prodotto venduto: il consumatore ingiustamente danneggiato puo’ accedere a un risarcimento.
Scienza e pubblicità
Some studies suggest we care more about rational ads for things we need, like medicine, and are more receptive to emotional ads for things we simply want, like clothes. But another study by Aimee Drolet & Patti Williams & Loraine Lau-Gesk showed that, whereas younger consumers prefer emotional ads for "hedonic" products (beer and cologne) and fact-based ads for "utilitarian" products (pain relievers and investment plans), older consumers prefer affective ads for just about everything…
Paternalismo dottrinario
Il fumo uccide, si sa.
Ma forse non tutti lo sanno, cosicché anime solerti ci tengono a rendere edotto il prossimo stampigliando l’ informazione a caratteri cubitali con tanto di teschio dei pirati sul pacchetto di sigarette. Manca solo che aprendolo fuoriesca un bau bau a molla.
Ultimamente lo stesso scrupolo informativo dei benefattori sembra rivolgersi ai… panini.
Fanno di tutto per impedire che la gente ci sbatta la testa. Come sono bravi!
Le riflessioni in merito di Mike Munger.
Dubbio: sono in campo due campagne informative, la prima vorrebbe apporre immagini ed etichette sui pacchetti di sigarette.... e ora sui panini. La seconda smania per assicurarsi che le donne prossime all’ aborto prendano visione del feto che portano in grembo.
Stranamente tra chi partecipa entusiasta alla prima campagna, pochi s’ impegnano a fondo nella seconda.
Il sacro principio della “scelta informata” sembra molto più sacro in certe circostanze piuttosto che in altre.
Domanda: come mai i paternalisti che vorrebbero forzarci a guardare negli occhi il teschio sui pacchetti di sigarette ci tengono così poco a farci vedere negli occhi il feto che stiamo sopprimendo?
Io sono un libertario e penso che le persone debbano essere libere di informarsi come credono; ma tu, integerrimo Uomo della Sinistra, tu che ragioni sempre avendo in testa un’ umanità fatta da idioti da mettere al guinzaglio dell’ informazione corretta, perché quando spunta un feto fai subito una precipitosa marcia indietro? Perché una volta tanto non fai la persona coerente?
Quanta retorica per dire quel che tutti dovrebbero sapere: il paternalismo è una crosta che occulta pudicamente ideologia e interessi. Di certo ha ben poco a che vedere con la "cura per il prossimo”.
mercoledì 27 luglio 2011
Il testimone
Dario Fo – Mistero buffo
Puntuale, prima di ogni scenetta, ci piomba addosso un prologo didascalico imperniato su lacunose ricostruzioni storiche; lo si ascolta sempre dubitando se lo spettacolo debba considerarsi iniziato, se siamo dentro o fuori la giullarata.
Forse siamo proprio nel bel mezzo, visto che l’ artista ci tratta come tanti scolaretti in fila per due da redarguire e indottrinare, trattamento che ha del verosimile solo a patto di sostituire la pedana della cattedra con quella ancor più elevata del palcoscenico.
Poi, finalmente, entrati nel vivo la musica cambia.
Si parte subito con il piede giusto evitando di mitigare alcune scomode verità: in un mondo razzista i bambini sono i più razzisti, in un mondo egoista l’ oppresso è il più egoista. La simpatia per il popolo minuto non attenua la sua somma sgradevolezza.
Chi supera lo straccione quanto ad inclinazione reazionaria?; è schifato alla sola idea di iscriversi a un club che accogliesse gente che sguazza nel fango come lui.
Dovendo scegliersi un Salvatore lo pretende di classe superiore… un aristocratico, un re, un re dei re annunciato da trombe argentate.
Alla fine, posto di fronte al Salvatore reale, non si sofferma sull’ umiltà, nota piuttosto la sua eleganza nel vestire e nei modi, il suo fascino e la sua capacità di stare a proprio agio tra i dignitari della città.
Per non parlare della Madonna “… proprio una gran bèla dona…”.
A lui, a Gesù, più che la vita eterna si sollecita il sollazzo del vino (Cana) e i giochi di prestigio (Lazzaro).
Il primitivismo richiede un Dio biblico: geloso, desiderante, generoso, eccessivo.
Inseguito da questa richiesta Fo plasma il suo pezzo forte, un Gesù bambino che è un dio biblico in miniatura stracolmo di paure e voglie. Voglia di giocare, di imparare, di provare, di comandare, di integrarsi… Voglie sempre al confine con il capriccio.
Anche dalla Croce sembra pendere un Gesù Bambino che chiama mammà tra i lacrimotti (… oh mama… mama… indùa at sètt, mama… ol végn scur… hàit frèc, mama… mama…).
La curiosità impertinente fa di questo bimbetto emigrato sulla terra (“terùn”) il protagonista ideale che si aggira in un mondo tutto da scoprire.
E i Misteri sono tanti, c’ è quello doloroso, quello gaudioso e quello glorioso. Ma fuori scena si tiene tutti i giorni un mistero particolare, quello buffo.
E’ un mistero fatto di normalità feriale: di pialle, di seghe, di prezzi, di contrattazioni. Piacerebbe all’ Opus Dei.
Per penetrarlo bisogna frequentare gli interstizi e chiedersi a cosa attende il signor Gesù quando non fa miracoli, quando non impartisce insegnamenti, quando non pronuncia profezie, quando non racconta parabole.
Cosa fa quando esce dalle quinte dei Vangeli canonici?
E la Madonna?
Forse fa quello che fa una mamma qualsiasi: passa mentre va a far la spesa.
Vive il dramma di una mamma qualsiasi che passando casualmente per la via nota con crescente terrore che è proprio suo figlio il tale coinvolto nell' incidente in fondo alla strada (ma quello a terra è il suo motorino!), un tuffo al cuore la paralizza.
E così pure la Madonna, quando scorge che quel tale insultato sotto il legno del supplizio è il suo bambino, precipita negli abissi di un Mistero Doloroso.
Ma un attimo prima in cosa era impegnata? Forse stava spettegolando sui prezzi del mercato con le tre Marie. Era in pieno Mistero buffo.
Il cozzo tra i due Misteri fa scattare una scintilla che illumina le lettere prealpine.
In quel preciso istante il testimone passa dalle mani di Dario Fo a quelle di Giovanni Testori.
Quest’ artista ideale che contende a si passa la palla dobbiamo proprio immaginarcelo come una sola persona con il corpaccione a Sangiano e la crapa a Novate, avrebbe meritato un Nobel all’ anno ed è il parto più notevole della letteratura tra Milano e Lugano.
Dallo sghignazzo scompisciato si passerà così all’ immattimento esistenziale illustrando così la vicenda umana in tutte le sue apparentemente incompatibili sfumature.
A unire i due è innanzitutto il linguaggio; un linguaggio faticoso che entrambi estraggono da un brodo primordiale perturbato da gorgoglii e sfiati (bergamaschi?).
Ai loro protagonisti è successo qualcosa che li spinge ad articolare cio’ che fino a prima era solo un ribollire indistinto.
Non si puo’ più tacere, bisogna farsi capire! Abbiamo assistito a cose straordinarie e ora dobbiamo testimoniare. Noi, i muti, dobbiamo testimoniare.
Come fare?
Tentando, imitando, inventando, iterando, rabberciando, improvvisando, ritentando. Con le labbra, con la lingua, con la glottide, con le viscere, sbracciando, sputando…
Armati di pleonasmi e ridondanze in qualche modo forgeremo una lingua passe-partotut nuova di zecca, senza regole e che, periclitante, stia in piedi solo grazie al venire incontro dell’ orecchio altrui.
***
Cio’ che disturba in Fo è come risolve goffamente il dilemma canonico in cui s’ imbatte chi imbocca la strada da lui scelta: il giullare è un folle-libero-pensatore o un tipo grottesco e inattendibile schiavo dei sue pensate bislacche?
Qui lo sciagurato Fo perde la necessaria ambiguità, il suo braccio si accorcia e non arriva a consegnare il testimone a Testori: vuole fortemente la prima soluzione spingendo fuori dalla porta la seconda che, a quel punto, solo nei momenti migliori e di straforo rientra felicemente dalla finestra.
Come nel testoriano episodio de “La strage degli innocenti”, con quella mamma obnubilata a cui hanno appena scannato il pargoletto.
In compagnia dei soldati assistiamo pietrificati al suo impazzimento (… chi l’ è? l’ è vuna che ol s’ è ruersà ol cerveèl par ol dulur che gh’ èm cupàt ol fiolìn…)
La sua è una follia-rifugio, l’ opposto della follia erasmiana; una follia da cui promana impotenza, non saggezza; che non disvela strategie ma l’ abisso di un cuore; non istiga all’ azione ma alla pietà.
La rincontreremo calma e intenerita con un fagottino, c’ è qualcosa che lì dentro lo scialle ancora insanguinato: ha tra le braccia un agnello (péguritt… agnus dei). Un presentimento ci ghiaccia mentre assistiamo a quella gioia demente.
Deambulando senza meta, con l’ alibi della follia, bestemmiava il Padreterno per la disgrazia che le aveva mandato, finché, passando davanti l’ ovile, nella sua allucinazione, ha sentito il pianto del suo bimbo…
[… de bòt… me son sentìda ciamàr del me fiolìn… ho voltà i ogi e dènter a l’ uvìl, in mèz ai pegurì, ho descoverto ol me bambìn che ol piagnéva! Me ciamava bèèèèè, bèèèèè ‘me ‘na pegura… a l’ era el me fiolìn… ma cossa ghe faseva el me fiolìn tra i péguri?! A l’ era lì a gatoni… l’ hait catàt in brazi… l’ ho stringiùo… l’ ho basàt e ho scomensà a piàgnere de consulaziùn… at te domandi perdono Segnùr misericordiùs par sti bruti paròli che t’ hait criàt, che mi non le penzava miga… l’ è stai ol diavul… che ti te set tanto buono che me t’ hait salvà ol fiòl de mi…]
In un crescendo schizofrenico ascoltiamo questo strano giullare in gonnella raccontare tra le strizzatine d’ occhio di come ha beffato i soldati e salvato la prole zoccoluta che ora coccola senza sosta.
La disgraziata spinge per stare al fianco della sciùra Madonna in qualità di unica mamma con il bambinello scampato.
La sentiamo lodare la sua gioia (varda chi… l’ ha già mess su duu dencitt).
Qui si respira il grande teatro, viene in mente il Cristo eroinomane che crepa nel suo vomito barricato in un cesso della Centrale (In exitu).
Noi non siamo certo divertiti dalla stramberia, ma nemmeno ci sentiamo ammaestrati e istruiti.
L’ effetto che fanno queste scene quando arrivano è quello di mettere addosso una strana voglia di amare.
Una voglia volatile, s’ intende, destinata a sgabbiare non appena nella calca all’ uscita da teatro un cretino ci pesterà il piede calloso. Ma intanto possiamo testimoniare (a noi stessi) che esiste, che vale la pena di provarla una o due volte l’ anno e che in questo caso vale, oltre al prezzo del biglietto, un applauso spaccapalme.
p.s. l’ ormai “mitico” primo miracolo di Gesù Bambino parte all’ altezza di 1:12:40
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=hiz5MFRZtVM]
martedì 26 luglio 2011
Brevi manu
1. date solo denaro;
2. date solo a chi non se l’ aspetta;
3. date senza vincolare il beneficiario.
So cosa vi frena: le poor choices.
Ma non preoccupatevi oltremodo, spesso il problema è sottovalutato (i rimedi sono fatica sprecata) o sottovalutato (i poveri non sono scemi come li fate voi). In entrambi i casi la strategia proposta resta vincente.
GiveDirectly intentionally provides unconditional, rather than conditional, cash transfers. We do this for three reasons. First, empowering the poor to make their own decisions advances our core value of respect. Second, it lets recipients purchase the things they need most, enhancing impact. Third, imposing conditions on the use of funds requires that costly monitoring and enforcement structures be put in place. One detailed estimate put the administrative costs of a conditional cash transfer scheme at 63% of the transfers made over the first three years of the program (Caldes & Maluccio 2005)
lunedì 25 luglio 2011
Perché la donna del XIX secolo era più libera.
Solo due avvertenze prima di leggere.
Without a doubt, women lived much harder lives in 1880 than they do today. So did men. In those days, almost everyone endured long hours of back-breaking toil. But of course the standard libertarian take on this is that while freedom causes prosperity in the long-run, prosperity and freedom aren't the same.
In what ways, then, were American women in 1880 less free than men? Most non-libertarians will naturally answer that women couldn't vote. But from a libertarian point of view, voting is at most instrumentally valuable. Will Wilkinson seems aware of this when he writes:
[W]omen in 1880 had almost no meaningful rights to political participation, ensuring that they were unable to demand recognition and protection of their basic liberty rights through the political system.
Under traditional English common law an adult unmarried woman was considered to have the legal status of feme sole, while a married woman had the status of feme covert...A feme sole had the right to own property and make contracts in her own name. A feme covert was not recognized as having legal rights and obligations distinct from those of her husband in most respects. Instead, through marriage a woman's existence was incorporated into that of her husband, so that she had very few recognized individual rights of her own.As it has been pithily expressed, husband and wife were one person as far as the law was concerned, and that person was the husband. A married woman could not own property, sign legal documents or enter into a contract, obtain an education against her husband's wishes, or keep a salary for herself. If a wife was permitted to work, under the laws of coverture she was required to relinquish her wages to her husband. In certain cases, a woman did not have individual legal liability for her misdeeds, since it was legally assumed that she was acting under the orders of her husband, and generally a husband and wife were not allowed to testify either for or against each other. Judges and lawyers referred to the overall principle as "coverture".
1. Marriage was still voluntary. From a libertarian standpoint, coverture would only have been a serious problem if parties were not legally allowed to write alternative marital agreements. As far as I can tell, such alternatives were legal:
One exception to the feme covert rule was in the instance of a prenuptial contract. All colonies accepted these contracts, but few couples signed them. Sometimes, parents of wealthy daughters insisted on a contract to keep family property in a trust for their daughter and her heirs (daughters had no control over trusted property, however). Widows often drew up prenuptial contracts before marrying again, but they had to obtain their new husband's consent in order to keep the property inherited from their first marriage through a contract.
But did coverture capture how couples in the Gilded Age defined marriage? I'm not sure, but it's actually pretty plausible. Example: At the time, almost all married women kept house and raised children. When a couple decided to marry, this sexual division of labor was probably what both of them had in mind. For a women to work outside the home against her husband's will was probably almost as contrary to their mutual expectations as adultery.
3. While it's tempting to dismiss pre-modern legal doctrines as blind sexism, it's often unfair. As the economics of the family teaches us, the traditional family made a lot of sense in traditional times. In economies with primitive technology and big families, it makes perfect sense for men to specialize in strength-intensive market labor and women to specialize in housework and childcare - and for default rules to reflect this economic logic.
4. Even if you think you can condemn coverture on libertarian grounds, the letter of the law rarely makes a difference in marriage. In modern marriages, spouses can't legally "forbid" each other to take a job, but as a practical matter they still need each others' permission. Husbands aren't legally required to hand over their earnings to their wives, but if a guy suddenly stops depositing his paycheck in their joint checking account, he can't avoid dire consequences by protesting, "I'm within my legal rights!" Coverture might have made a difference in a few marriages - especially in the upper classes. But it's hard to see how this legal doctrine could have done much to restrict 19th-century women's freedom.
I know that my qualified defense of coverture isn't going to make libertarians more popular with modern audiences. Still, truth comes first. Women of the Gilded Age were very poor compared to women today. But from a libertarian standpoint, they were freer than they are on Sex and the City.
sabato 23 luglio 2011
Libertarianism A-Z: responsabilità civile
Ogni produttore è responsabile per il prodotto che fornisce: questo principio universale elimina tonnellate di regolamentazione specifica (politicizzata) premiando le imprese responsabili. Evita l’ assunzione di burocrati e evita anche di mandare falsi segnali di sicurezza: caveat emptor!
Ma c’ è di più: nelle materie complicate i principi sono da preferire alle regole. consegnando la discussione alla giurisprudenza e alle consuetudini emerge una rule of law naturale.
Libertarianism A-Z: albi e licenze
Per proteggere il cliente spesso è necessaria una licenza.
Esempio, per fare il dottore occorre una laurea, una specializzazione e l’ iscrizione presso un albo.
Le licenze aumentano la qualità media ma diminuiscono la quantità. Chi ci dice che abbiamo bisogno di questo?
Immaginatevi se sul mercato dell’ auto venissero vendute solo Ferrari, sarebbe una tragedia.
Spesso meccanismi quali la reputazione e la responsabilità civile sono più che sufficienti per svolgere il ruolo di albi e licenze. Per non contare il ruolo informativo delle associazioni dei consumatori.
Alla lunga gli albi si trasformano in vere e proprie barriere alla competizione perdendo persino il loro ruolo originario. E’ il corporativismo, qualcosa che non necessita spiegazioni se uno è nato e ha vissuto in Italia.
venerdì 22 luglio 2011
Alpe di Lemna (gita aziendale)
Scott Sumner: i colpevoli e gli eroi della crisi economica
La crisi economica contrassegna i nostri anni, se ne parla sui blog, sui giornali, in treno, al bar. Adesso poi che vengono giù anche gli stati come birilli, l’ affare s’ ingrossa.
Sia chi ama “capire”, sia chi ama stare al centro dell’ attenzione dovrebbe fare un minimo sforzo di approfondimento.
In questi Scott Sumner è il vostro uomo e questo suo post andrebbe recitato nelle università come un’ orazione laica.
Io mi limito a segnalare una quadripletta di passaggi eludendo la parte più tecnica.
Innanzitutto Scott ci ricorda come per le grandi crisi del passato le spiegazioni politicizzate affondarono quelle scientifiche nel tentativo disperato di connettere crisi finanziaria e crisi economica. Questa maledetta mania di dare tutte le colpe alla finanza!
In the history books it says the 1929 stock market crash triggered the Depression. After an nearly identical crash in 1987 had zero effect on GDP, we learned that was false. But it’s hard to blame historians for connecting a high profile financial collapse, with an economic collapse that was barely underway, and suddenly got much worse. Economists should know better.
La confusione maggiore, poi, deriva poi dal fatto che viviamo più crisi contemporaneamente. Ma soprattutto – sorpresa! – che non riusciamo a cogliere l’ indipendenza di queste crisi multiple.
Unfortunately, not everyone is talking about the same crisis. Some are talking about the housing bubble/crash, some are talking about the late 2008 financial crisis, and I believe both groups have the 2011 unemployment crisis in the backs of their minds (otherwise why is the debate seen as being so important?)
But the link between the housing bubble and the severe financial panic is much weaker than people realize. And the link between the severe financial panic and high unemployment in 2011 is almost nonexistent.
Sarebbe stupido negare che i privati abbiano commesso molti errori. Più istruttivo è risalire alle cause.
The errors of the private banking system were due to both misjudgment (they did lose money after all) and bad incentives (moral hazard due to various government backstops.)
E adesso fuori i nomi dei colpevoli e degli eroi:
As far as the high unemployment crisis, the proximate cause is low NGDP, which means the Fed is to blame. Then we can apportion some blame to Obama for not putting more of his people on the Fed, and not doing it sooner. But ultimately we macroeconomists are to blame, as both the Fed and Obama take their lead from us. We were mostly silent on the need for vigorous monetary stimulus in the last half of 2008, and many have remained silent ever since. The hero is the Efficient Market Hipotesys (EMH), as markets warned the Fed that money was way too tight in September 2008.
Adesso ditemi, c’ è in circolazione un resoconto migliore? Una storia più coerente al suo interno e con i fatti? Una storia che, al pari di questa, fosse formulata prima degli eventi?
Certo, la si puo’ affinare (qui e qui i miei ritocchi preferiti), ma per me la narrazione di Sumner resta insuperata, anche per questo gli consegno senza indugio la palma di cicerone ufficiale della crisi economica.
Povera “povertà”
Povertà reale. E' la povertà, quella "vera". Quella a cui sembra così poco interessato chi si occupa solo di allargare il “campo semantico”. Quella che ci parla di chi non accede a beni che consideriamo essenziali (cibo, vestiti, riparo, riscaldamento...). Qui si entra in case dove si cucina la suola delle scarpe. Bene, la parte seria del discorso è già finita, ora possiamo scatenare la fantasia.
Povertà assoluta di reddito. Valgono i ragionamenti precedenti, salvo sostituire il concetto di "consumo" con quello di "reddito". Il che, come è evidente, ci allontana ancora un passettino dal corretto significato di "povertà". Chi ha un reddito basso ma, per qualsiasi motivo, ha accesso a molti beni, non puo’ dirsi “povero” nel vero senso della parola (ovvero il primo).
Povertà relativa nei redditi. In questo caso è povero chi detiene redditi inferiori ad 1:3 del reddito mediano della popolazione osservata. Nota Bene: un ricco puo’ farsi chiamare "povero" mentre un povero puo' essere considerato "ricco". Basta che abitino in condomini opportunamente scelti. Ovvero: parole, parole, parole... La "relativizzazione" impazza nelle "statistiche democratiche", e come potrebbe essere altrimenti?
A rischio di povertà. Se volete guadagnare la scena è importante a questo punto fare attenzione e seguire una ricetta gustosa: prendete la quota di popolazione "relativamente povera", aggiungete X al fine di ottenere un' aliquota che possa impressionare la platea della conferenza stampa da convocare al più presto. Se qualcuno avrà l' ardire di chiedere lumi su quell' X arbitrario, non preoccupatevi, direte che se anche non si riferisce a poveri si riferisce pur sempre a famiglie "a rischio povertà". Il metodo funziona e porta dritti dritti sulle prime pagine dei giornali (chiedere alla Caritas).
Povertà percepita. Lo sapevate che per qualcuno basta considerarsi poveri per diventarlo automaticamente nelle loro statistiche? Come se non bastasse, i "furboni" in genere s' informano in questo modo: "si ritiene soddisfatto del suo reddito". Al "no" scatta automatico l' incasellamento tra i morti di fame.
Ipotesi 1: chi di mestiere "allevia" la povertà, ha bisogno che ce ne sia sempre in abbondanza ed è stimolato a "lavorare" sulle parole per dare questa impressione.
Ipotesi 2: l' invidia non gode di buona stampa, meglio allora per gli invidiosi presentarsi come "poveri" se vogliono raccattare qualche privilegio.
Ipotesi 3: tutti i barbuti di casa nostra, non gli ayatollah ma i nostalgici del bell' egalitarismo d' antan, con un piccolo inganno lessicale possono continuare indisturbati le loro romantiche lotte di livellamento (verso il basso).
giovedì 21 luglio 2011
Lo scrollone di internet
Negli USA il reddito medio stagna dal 1980, così come è sensibilmente rallentato il tasso d’ innovazione tecnologica.
La stessa dinamica si registra un po’ ovunque nei paesi ricchi.
Cosa sta succedendo all’ Occidente?
Ecco l’ idea di Cowen: le grandi innovazioni del XVIII e XIX secolo hanno dato una scrollata all’ albero. I grandi governi del secolo XX hanno raccolto i frutti a terra.
Ora di frutti in terra non ce ne sono più molti e la raccolta sembra esaurirsi, senonché gli uomini del governo esteso non hanno nessuna voglia di cedere nuovamente la pianta nelle mani degli scrollatori.
Per avere un’ idea di “low-hanging-fruit” ci si concentri per un attimo sull’ istruzione: rendere più produttivo un analfabeta è relativamente facile ma legare oggi gli investimenti educativi alla crescita economica è praticamente impossibile. Al di là di ogni retorica, chi potrebbe negarlo?
Qualcuno opina osservando che internet è un’ innovazione di portata almeno pari all’ elettricità. In questo senso il suo scrollone è imponente e manda all’ aria molte cose, tra cui la tesi che stiamo discutendo.
Staremo a vedere, sta di fatto che per ora non sembra proprio, e di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia ormai.
Ad oggi l’ avvento di Internet si riflette poco nelle statistiche legate allo sviluppo: l’ Ipod ha creato 14000 posti di lavoro e Facebook meno di 2000. Quisquilie.
Perché?
Forse internet, più che uno strumento, è un fine. Non serve ad investire, quanto a consumare.
Mi spiego meglio con un esempio banale.
Prima potevi tagliare i ponti e chiuderti in casa massimo per un paio di giorni, dopodiché, pena il soffocamento, era giocoforza uscire per una boccata d’ aria e di contatto umano. Oggi puoi barricarti in cameretta doppiando la settimana, il tempo vola e tu viaggi con la mente senza mai atterrare.
Esagero?
Cio’ non toglie che internet favorisca l’ isolamento e l’ introversione, cosicché l’ “isolato” e l’ “introverso” sono i maggiori beneficiati; sono loro gli "eroi sociali" del nostro tempo. Nel nuovo mondo i timidi vanno a nozze (anche nel vero senso della parola).
Alla fine bisogna concludere con un certo sconcerto che chi utilizza la rete per progettare e costruire concretamente qualcosa gratta solo la superfice dell’ innovazione finendo per trattarla come un telefono superveloce o un’ adunata oceanica. Cose che in fondo c’ erano anche prima.
La profonda natura del nuovo si disvela con ritrosia a chi non sacrifica la propria socialità divenendo un po’ “più autistico”.
Internet resta un fattore liberante, ma un fattore interiore: i Grandi Governi regolano ogni forma di vita ma difficilmente avranno accesso alla nostra vita interiore.
Detto questo, vediamo ora come queste considerazioni si riflettano poi sulle statistiche produttive.
Un patito potrebbe decidere di rinunciare alle vacanze per starsene quindici giorni ipnotizzato dalla realtà virtuale di internet. In un caso del genere il PIL di quel paese diminuirebbe per effetto dell’ innovazione. Un concetto spiazzante che non viene subito afferrato poiché di solito associamo in automatico innovazione-sviluppo-pil.
Questo esempio estremo rende chiaro cosa intende Cowen quando si mostra scettico sulla portata economica della rete. Somiglia troppo ad una droga per essere realmente produttiva.
***
Se questo è il mondo in cui viviamo la domanda diventa: dobbiamo tornare alla stagione degli scrollatori selvaggi?
Possiamo davvero farlo? O è meglio rassegnarci e vivere felici (e autistici) nella stagnazione?
Tyler Cowen - The Great Stagnation