William Shakespeare – La tempesta
Riuscite a ricordare senza sbadigli il “metateatro” e la “metaletteratura”?
Quelle cose noiose e cerebrali che ci sono state inflitte per decenni da molti scrittori anche grandi – Pirandello e Calvino, tanto per citare due giganti.
Il Teatro e il Romanzo che parlano di se stessi, che svelano la loro genesi e il loro meccanismo.
L’ uomo moderno è in crisi, non ha più esperienze da raccontare perché le uniche esperienze sono quelle della sua intelligenza enciclopedica.
Ricordate poi il fantasy? Forse intorno ai dieci anni, non oltre, vi siete imbattuti nel genere, un genere che produce libri giganteschi tra il puerile e il truculento, libri su cui in molti si sono annoiati per ore, nonché affaticati nel tentativo eroico di scovare qualche pagina un po’ meno sciatta della media.
Peggio di quei libri ci sono solo i film covati da quelle storie, con tutto il ponderoso carico di effetti speciali che si trascinano dietro nel tentativo di giustificare la loro esistenza. Tanto fracasso fosforescente per produrre spaventi gratuiti alternati ad abbiocchi legittimi.
Ebbene, se il “metateatro” e il “fantasy” non sono nelle vostre corde state alla larga da “La Tempesta”, in caso contrario anche il monumento di Shakespeare potrebbe vacillare.
La finzione qui è esplicita, la teatralità ostentata, il manierismo galoppante. Arte e menzogna si intrecciano, le incongruenze si affollano senza che per il lettore abbia senso perdere tempo con mozioni d’ ordine.
A quel tempo i testi venivano essenzialmente concepiti come copioni da rappresentare, non come opere letterarie. E si vede!
Ogni tanto spunta un monologo fiammeggiante che s’ imprime nella memoria facendo dimenticare la paccottiglia che lo circonda.
Il demiurgo Prospero, grazie ai suoi libri, produce un big bang da cui si dipartono sentieri diritti e tortuosi. Alcuni arrivano in nessun luogo, altri si disperdono nel nulla.
Non capita mai niente, siamo alla corte di un grande illusionista, niente viene fatto sul serio, ci si limita ad inscenarlo; c’ è una vendetta da compiere ma subito vi si rinuncia in nome di non si sa cosa, le situazioni sono falsate, i sentimenti posticci. In più capiamo tutto fin da subito e la beffa non puo’ mai esplodere; gli effetti sorpresa risultano continuamente bruciati. A godere sembra essere solo il manovratore/regista che gioca senza limiti con la sua bacchetta magica, è lui l’ unico appagato.
Prospero, per i suoi continui dietrofront, viene considerato da alcuni commentatori alla stregua di una maschera amletica, ma i suoi cambi di rotta sono scevri da quel senso di stanchezza e di spaesamento che porta il personaggio a ripiegarsi su se stesso, a costruire nella sua fantasia un rifugio assediato da temibili responsabilità.
Qui niente di tutto cio’: Prospero è un Amleto “risolto”.
Ogni soluzione ha il difetto di allentare il morso del reale, consente il titillamento prolungato in una fantasia gratuita. Nei fantasy non c’ è dramma e senza dramma o si ride in modo volgare o si ammirano noiose allegorie.
La prima via, quella del crasso riso è tentata da Calibano. Mi sento di salvare solo questa presenza, l’ unica con una corporeità in grado di offrire resistenze a quel vapore (stuff of dreams) ammorbante.
Le pedanti allegorie appaiono bislacche, senza capo né coda. Ma forse siamo noi ad esserci distratti. Come in sogno non c’ una chiara distinzione tra cio’ che è esteriore e cio’ che è interiore.
Alla fine il cerchio non quadra, i conti non tornano, non si “esce a riveder le stelle” ma ci si ritrova, dopo questo morbido delirio, ai margini di un oceano soporifero.
E’ una vera fortuna che i classici non siano fatti per piacere ma per soppesarne l’ influsso. Se questo è vero, Shakespeare non deve temere, il vertice del canone occidentale gli spetta di diritto. Anche in fatto di metateatro e fantasy è stato maestro. Cattivo maestro ma pur sempre maestro.
Ma forse l’ accomodante genio si è solo adeguato alla voga dell’ epoca che richiedeva toni fantastici e fiabeschi. Naturalmente un talento di tale portata non ce lo si puo’ dimenticare per strada e finisce inevitabilmente in tutto quel che si tocca.
Questa attenzione alla “domanda” me lo rende ancor più simpatico.
D’ altronde, non dimentichiamoci mai chi fu colui che oggi ci appare come un semi-dio: figlio di un ricco borghese (poi travolto da rovesci finanziari) va a Londra per guadagnarsi da vivere, raccoglie con il teatro una giudiziosa fortuna che si guarda bene dal dilapidare, torna a vivere da benestante e rispettabile pensionato al paese d’ origine.
Non proprio genio e sregolatezza.