La politica italiana si è nutrita a lungo di molti nefasti tabù in tema fiscale, alcuni sono stati spazzati via da Berlusconi, altri restano lì ancora intatti.
E’ un peccato che sia così perché per avere qualche speranza di ridurre il debito sarebbe bene far piazza pulita. Lo sostiene Roberto Perotti che nel suo libro “Status quo” affronta di petto la questione.
Nella prima repubblica il politico italiano medio aveva in grande considerazione “le tasse”. Sembra un’epoca lontana ma un’eco di quell’atteggiamento lo possiamo rinvenire nella sciagurata uscita di Padoa-Schioppa che molti ancora ricordano:
… “La polemica antitasse è irresponsabile. […] Le tasse sono una cosa bellissima.” Tommaso Padoa-Schioppa, ministro dell’Economia dell’ultimo governo Prodi, non c’è più e non può difendersi, e questa sua famosa frase dell’ottobre 2007 è estrapolata da un contesto più articolato e meno odioso. Ma resta il fatto che è difficile immaginare una frase più insensibile e altezzosamente distaccata dalla realtà di decine di milioni di italiani…
Ecco ora il classico ministro delle finanze di allora al suo tavolo da lavoro:
… L’occupazione principale dei ministri era estendere una detrazione dello 0,01 per cento alle persone nate nella seconda metà di giugno degli anni bisestili residenti in comuni il cui nome iniziava con la “f” o la “m”, compensarla con un aumento dell’Iva dello 0,02 per cento sulle macchine fotografiche di un certo peso e di un certo colore, e inventarsi qualche motivo per cui una tale manovra avrebbe dovuto stimolare l’economia…
Poi venne Berlusconi:
… che per primo pose la questione, allora apparentemente rivoluzionaria, della riduzione delle tasse, e mostrò ai guru allibiti che si possono addirittura guadagnare voti con questa bandiera. Nella realtà combinò poco, perché si affidò soprattutto ad annunci a effetto e si scontrò con la dura realtà dei mercati nella tempesta perfetta del 2011…
E infine, finalmente, la “berlusconizzazione” della sinistra:
… È stato un enorme merito di Renzi avere fatto piazza pulita di un atteggiamento perverso della sinistra e centro-sinistra italiani (almeno la maggioranza di essi, perché molti continuano a nutrirsi della vecchia retorica e dei vecchi slogan), e aver riconosciuto apertamente che in Italia le tasse sono troppo alte, la gente le detesta, e qualcosa va fatto…
Esiste però ancora un tabù: tagliare la spesa pubblica (alias: “fare macelleria sociale”).
Qui il messia si fa attendere e cominciamo a disperare.
… Molti di coloro che non vogliono o non sanno tagliare la spesa pubblica sostengono invece che ridurre la spesa non è desiderabile, e nemmeno necessario per diminuire le tasse. Addirittura, per alcuni il metodo migliore per ridurre le tasse è aumentare la spesa pubblica…
Il politico italiano invoca la crescita ed è aperto a molte ricette ma nessuna contempla il taglio della spesa:
… Le diverse versioni si differenziano nel modo di attuare una politica di bilancio espansiva: per alcune aumentando la spesa pubblica, per altre riducendo le tasse. Ma per tutte, ridurre la spesa non è nell’agenda…
Particolarmente avversi sono i “keynesiani”, specie nella loro variante “sudamericana”. A chi mi riferisco? Più che ai loro nomi meglio riferirsi alla loro visione con un’esempio:
… Supponiamo inizialmente che il moltiplicatore della spesa pubblica sia positivo e pari a 1, ciò significa che, se aumento la spesa pubblica di 10 euro, il Pil aumenta di 10 euro. Con un’aliquota media del 50 per cento, le entrate dello stato aumentano di 5 euro, meno della spesa. Il disavanzo e il debito pubblico quindi aumentano. L’aumento della spesa pubblica porta dunque a un aumento del Pil, al prezzo di un lieve deterioramento dei rapporti disavanzo/Pil e debito/Pil. Questa è la posizione che possiamo chiamare “keynesiana della spesa”. Supponiamo ora che il moltiplicatore della spesa sia molto più alto, pari a 3. Il Pil aumenta quindi di 30 euro, e le entrate dello stato di 15 euro, più della spesa; il disavanzo dunque scende. L’aumento della spesa pubblica porta quindi a un aumento del Pil, ma anche a una riduzione dei rapporti disavanzo/Pil e debito/Pil, e persino a una riduzione del disavanzo in termini assoluti. Questa è la posizione che possiamo chiamare “sudamericana”, perché alla base, fra gli altri, degli esperimenti populisti degli anni ottanta e novanta in Sud America…
Il keynesiano/sudamericano prosperava nel parlamento della prima repubblica:
… Non è sorprendente che questo argomento sia stato utilizzato centinaia di volte negli anni settanta e ottanta per far passare aumenti di spesa in Parlamento. Quando si voleva costruire un’autostrada inutile che finiva nella città di origine di qualche politico al governo, il Parlamento fingeva di credere che le coperture sarebbero venute dalle maggiori entrate generate dal maggiore reddito creato dall’autostrada in questione. Sappiamo tutti cosa è successo al disavanzo e al debito pubblico in quegli anni…
Avete visto com’era semplice aggirare il vincolo costituzionale delle “coperture”. Sì, perché la nostra “costituzione-più-bella-del-mondo-che-ha-consentito-il debito-più-alto-del mondo” prevede che ogni spesa sia coperta da un’entrata. A parole.
Oggi, visto che il messia tarda, la (brutta) storia si ripete:
… Graziano Delrio, una persona sensata ed equilibrata, nel discutere un piano di investimenti pubblici di 20 miliardi dichiarava nell’estate del 2015: “Far ripartire i cantieri significa proprio aumentare il gettito fiscale, dare nuove risorse per consentire l’abbassamento delle tasse. Fare manutenzione del territorio, far ripartire grandi e piccole opere consente quindi di diminuire le tasse”.9 Se fosse veramente così, perché limitarsi a 20 miliardi?…
Beninteso, anche i “tagliatori di tasse” tendono un trappolone agli elettori facendo finta di credere che i loro tagli saranno coperti da un’esplosione del PIL e quindi da maggiori entrate fiscali. In questo modo accantonano l’argomento scottante del taglio della spesa. Il trucchetto è noto come vodoo economics.
Ma oggi qual è l’atteggiamento più comune? Forse è meno radicale, senonché il taglio della spesa resta tabù:
… La maggior parte dei politici, degli economisti e dei commentatori probabilmente non sottoscriverebbe le posizioni estreme, “sudamericana” o “lafferiana”. Moltissimi però sostengono una posizione “keynesiana della spesa” o “keynesiana delle tasse”. L’idea è di dare “una scossa” all’economia attraverso una manovra di bilancio espansiva: accettare un lieve aumento dei rapporti debito/Pil e disavanzo/Pil in cambio di un miglioramento della crescita, e poi eventualmente ridurre il disavanzo e il debito tra qualche anno mediante tagli di spesa, quando la ripresa si sarà consolidata…
In poche parole, il taglio viene “rinviato”:
… Inevitabilmente, quando si parla di ridurre la spesa tra qualche anno, si tende a essere vaghi… con indicazioni generiche, quali “si razionalizzerà la spesa per acquisti di beni e servizi”…
Banca d’Italia su questo terreno non è da meno:
… Ogni anno, alla fine di maggio, si compie uno dei riti più inutili e pomposi della vita istituzionale italiana: le Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia. Via Nazionale si riempie delle auto blu di industriali, banchieri, politici, economisti, venuti da ogni parte del paese ad ascoltare una serie di banalità sull’economia italiana che potrebbero benissimo leggere in quindici minuti sul sito web della Banca d’Italia: ma essere lì quel giorno è uno status symbol irrinunciabile per chi vuole contare. Nell’ultima edizione di questo rito, il 31 maggio 2016, il governatore Ignazio Visco ha invocato per l’ennesima volta una riduzione del cuneo fiscale (cioè di tasse e contributi sul lavoro) e un aumento degli investimenti pubblici, il tutto ovviamente senza far salire il debito pubblico. Su come ottenere questo ambizioso risultato, però, anche in questo caso nessun suggerimento concreto…
Persino chi prova in buona fede a fare di meglio non è credibile:
… Un programma … ambizioso propone il mio amico e collega Francesco Giavazzi… Per rassicurare i mercati, Giavazzi suggerisce di ridurre la spesa pubblica in futuro, e avanza due proposte concrete: l’attuazione di un piano di diminuzione del numero delle partecipate pubbliche, e un aumento delle rette universitarie per gli studenti benestanti. Ma anche qui bisogna fare i conti con i numeri. Come vedremo, la riforma delle partecipate, per quanto anch’essa molto auspicabile, può portare al più risparmi minimi, di poche centinaia di milioni, e probabilmente neanche quelli. Far pagare una parte del costo dell’università alle famiglie che possono permetterselo, per finanziare borse di studio o prestiti d’onore per gli studenti meno abbienti, è un’ottima idea, che avanzai anch’io nel mio libro L’università truccata. Ma bisogna essere realisti: non succederà. In Italia, come in tutti gli altri paesi, le famiglie, gli studenti (anche quelli meno abbienti, che avrebbero tutto da guadagnare da questa proposta), i media si sono fatti abbindolare dalla retorica del “diritto allo studio”…
Sul fronte opposto a quello politico, quasi a provocare, ci sono alcuni accademici che – al riparo nelle loro università - parlano di “austerità espansiva”:
… Ma cosa succede se il moltiplicatore della spesa è negativo? In questo caso, per aumentare il Pil bisogna ridurre la spesa pubblica. Questo è esattamente ciò che sostiene la teoria dell’“austerità espansiva”….
A molti questa teoria appare controintuitiva. Dopotutto, la spesa pubblica è una componente del Pil, come è possibile che, riducendola, quest’ultimo aumenti?
… Primo, non tutta la spesa pubblica fa parte del Pil, ma solo la componente “consumi e investimenti pubblici”. Questa componente vale 330 miliardi, il 40 per cento della spesa pubblica totale. Il resto sono pensioni, sussidi alle imprese, assegni di disoccupazione, interessi sul debito ecc., tutti trasferimenti (intermediati dallo stato) da certi cittadini ad altri. Come tali, non fanno parte del Pil. Il secondo errore è che anche ridurre consumi e investimenti pubblici non riduce necessariamente il Pil. È vero che se lo stato riduce la spesa per auto della polizia di un milione, la componente consumi pubblici del Pil scende di un milione, ma in conseguenza di questa decisione si crea lo spazio per ridurre anche le tasse di un milione senza aumentare disavanzo e debito; la riduzione delle tasse, a sua volta, stimola i consumi o gli investimenti privati. È questo il nocciolo della teoria dell’“austerità espansiva”…
Il dibattito è aperto ma se qualcuno pensa di poter risolverlo guardando ai dati, è meglio si ricreda subito: come quasi sempre accade in economia, gli stessi dati possono essere interpretati in maniera opposta.
A questo punto è utile osservare che per rompere il tabù dei tagli non è necessario abbracciare la posizione estrema dell’austerità espansiva: revisione della spesa e austerità, infatti, non sono sinonimi. Si può fare la prima senza imporre la seconda. Come? Basta ridurre le tasse più di quanto si riduca la spesa: il disavanzo di bilancio aumenta, e la politica di bilancio è espansiva.
Lasciamo pure che il bilancio sia espansivo in senso keynesiano, purché si tagli in modo consistente la spesa (insieme alle tasse)! Farlo è fondamentale per almeno cinque motivi:
… 1) È condizione necessaria per smantellare il sottobosco in cui si nutre la commistione tra politica ed economia che ammorba e soffoca la nostra società. Le partecipazioni statali e locali, le posizioni dirigenziali inutili o iperpagate, i sussidi alle imprese, una larga parte dei fondi europei sono per lo più inutili e alimentano appetiti, scambi di favori, affarismi, e pura e semplice corruzione. 2) Molti programmi di spesa sono lievitati in modo casuale, disordinato, per accrescimento legislativo progressivo, senza una ratio, senza un approccio organico. Ci sono, per esempio, tantissimi programmi per gli indigenti che si sovrappongono e non riescono a raggiungere le persone veramente bisognose, mentre spesso vengono erogati a famiglie che non ne hanno necessità. 3) Avrebbe un alto valore simbolico. I compensi scandalosi di politici, ex politici e alcuni dirigenti pubblici, per quanto nel loro complesso non enormi da un punto di vista macroeconomico (ma neanche piccoli, come vedremo), generano cinismo, distacco e risentimento tra i cittadini. 4) Anche se non si vuole applicare una politica di rigore adesso, è importante segnalare ai mercati, agli altri paesi e ai cittadini che il processo è partito. Altrimenti, siamo alle solite: “Ora non è il momento, lo faremo tra due anni”. Ma tra due anni saremo di nuovo allo stesso punto. 5) Infine, bisogna creare spazio per ridurre le tasse il più possibile, ora.
Ultimamente però la politica italiana sembra aver fatto un passo in avanti anche su questo punto: si è passati dal “la spesa non si tocca” al “l’abbiamo già tagliata”.
… “Abbiamo fatto 25 miliardi di tagli,” dichiarava il presidente del Consiglio Matteo Renzi nel febbraio 2016… Pier Carlo Padoan: “La spesa pubblica è stata tagliata di 25 miliardi, abbiamo tagliato molto, tanto che è difficile andare oltre”…
Perché i conti mostrano 4 miliardi (un taglio minimo) e la propaganda parla di 25 miliardi (un taglio buono, almeno per per iniziare)?
… apprendiamo che venticinque miliardi è la riduzione di spesa lorda per il 2016, cioè il totale dei capitoli di spesa che sono diminuiti. Ma ovviamente ciò che permette di creare spazio per tagli di tasse è la riduzione della spesa netta, non di quella lorda. Dalla riga 3, il totale dei capitoli di spesa che sono aumentati è di 20 miliardi. Il netto è appunto 4,5 miliardi. Se faccio una dieta in cui abolisco i dolci ma in compenso mangio solo hamburger e patatine, il mio peso aumenterà, anche se posso sempre vantarmi con gli amici di seguire una dieta ferrea senza dolci…
E purtroppo anche quei miseri 4 miliardi destano preoccupazione, almeno in chi bada alla sostanza:
… inoltre, i risparmi di spesa, sia lordi sia netti, restano comunque sovrastimati, perché ben 5 miliardi sono dovuti a minori trasferimenti dallo stato agli enti locali (regioni, province, comuni). Non c’è alcuna garanzia che questo si traduca in tagli di spesa effettivi: sappiamo già che in alcuni casi sono aumentate le addizionali Irpef comunali e regionali…
Insomma, possiamo con ragione affermare che all’alba del 2016 il tabù del taglio della spesa pubblica è ancora tra noi più vivo che mai.