Il problema sembra essere questo: perchè valutando un atteggiamento prudente siamo portati a giudicarlo come razionale mentre invece, quando prendiamo in considerazione gli slanci entusiastici di Tizio o di Caio, li bolliamo come irrazionali?
Effettivamente non c' è ragione che tenga: a priori un comportamento ad alto rischio è tanto razionale quanto un comportamento prudente.
Come giustificare allora la stranezza?
Risponde Vallauri: il Potere da sempre ci vuole timidi, timorosi, rispettosi. Non ci vuole certo scatenati e iperattivi. Per questo, da sempre, associa la razionalità - parola che gode di ottima stampa - alla prudenza guardinga.
Le cose quadrano ma, non so perchè, ancora non convincono.
Sarà che il potere più desideroso di controllo sociale subito da noi italiani nella storia recente, non si presentava certo con queste fattezze. Il fascismo esaltava l' intraprendenza, il rischio, la vitalità, l' ardimento. L' understatement era prerogativa dell' oppositore. Ad essere timido, impacciato e piuttosto pauroso era l' antifascista, con i suoi compassati occhialini...
D' accordo sulle premesse, propongo quindi una spiegazione alternativa: il prudente pensa, l' entusiasta no.
Eh sì, perchè l' errore che commettiamo non è tanto quello di giudicare razionale il prudente e irrazionale l' entusiasta, quanto quello di associare la razionalità al pensiero.
Come dirlo in due parole... dunque, potrei dire che mia mamma è costituzionalmente incapace di pensare o di inferire alcunchè, eppure, se la giudicassi dai suoi comportamenti, è l' essere più razionale al mondo tra quelli che conosco.
E' un illusione ottica ritenere che la razionalità per essere applicata debba essere pensata. La stessa illusione che ci inganna quando giudichiamo il "prudente" e l' "avventato".