Samuel Bowels Herbert Gintis – A cooperative species. Human recoprocity and its evolution
A quanto pare c’ è gente che mantiene una condotta moralmente ineccepibile anche al gabinetto, quando nessuno vede.
Tutto cio’ è a dir poco imbarazzante, specie per un darwiniano duro e puro. Come spiegarlo?
Il darwiniano ci prova, beninteso. Punta sui “segnali” e sulle “assicurazioni”.
Dice per esempio che l’ altruista è al suo fondo un ipocrita con secondi fini intento a emettere “segnali” seducenti al fine di procurarsi una rete sociale e una reputazione che consentirà a lui o ai suoi familiari di sfangarla meglio in futuro.
Daje e ridaje, in un ambiente di interazioni ripetute, la strategia dell’ “ipocrita” fa emergere comportamenti altruistici anche in società composte da egoisti.
Molto istruttivo, ma il moralista one shot chiuso in bagno? Verso chi emette i suoi segnali? Con chi sta intessendo la sua rete assicurativa? Eppure è dotato di un’ intelligenza tale che gli consente di capire l’ inanità del suo “moralismo da cesso”.
Le persone possono cooperare perché ne ricavano un reciproco vantaggio (mutualismo), e fin qui la cosa è semplice da spiegare; ma, a quanto pare, cooperano anche con perfetti sconosciuti solo per il piacere di farlo (altruismo). E qui il darwinista si gratta la testa. Come puo’ un tipo del genere sopravvivere al filtro della selezione naturale.
Eppure “un tipo del genere” esiste. E chi non ci crede puo’ verificarne sperimentalmente l’ esistenza: basta digitare su google le paroline “ultimate game”.
Meglio rassegnarsi; e tra i rassegnati annoveriamo oggi personalità di prestigio come i matematici Bowels e Gintis: nel libro hanno smesso di chiedersi se esistono altruisti autentici per chiedersi come mai esistono e si riproducono.
Il loro modello esce dall’ angusto mondo dell’ utilitarismo darwiniano senza per questo rinunciare a baloccarsi con i meccanismi dell’ evoluzione.
Se volete capire come funziona la società umana e per mancanza di tempo siete alla ricerca di un resoconto parsimonioso, mandate a memoria due soli concetti chiave: “mano invisibile” e “dilemma del prigioniero”.
Sociologi, filosofi morali, economisti, sociologi, antropologi, quando arrivano al dunque, non fanno che prendere una posizione sui due punti citati.
La “mano invisibile” di Adam Smith ci spiega come l’ “egoismo” sia “costruttivo” e crei ricchezza. Il “dilemma” di Mancur Olson mostra come l’ assenza di “altruismo” alla lunga sia fatale.
L’ altruista dunque “serve” per superare brillantemente i “dilemmi”, ma come puo’ sopravvivere in un mondo di lupi?
Non ci vuole poi molto per capirlo, giusto tre concetti:
1. competizione tra gruppi;
2. vergogna, ostracismo, boicottaggio;
3. indottrinamento.
I gruppi competono tra loro esattamente come competono i soggetti. Far parte di un gruppo vincente è importante ma un gruppo senza “altruisti” sarà sempre perdente visto che s’ incarta sui “dilemmi”. Ci vuole un mix bene assortito per fare strada.
Gli economisti dimostrano che un sistema di libere interazioni tra egoisti ha un equilibrio ottimale, ma non dimostrano come e se puo’ essere raggiunto. Una cosa è certa: la presenza di altruisti facilità l’ impresa e contribuisce a stabilizzare un sistema siffatto.
Tutto questo gli “egoisti” lo sanno bene e si tengono cari i loro compari altruisti poiché non esiste propellente migliore per sospingere la locomotiva del treno su cui viaggiano.
Ma come li compensano in modo di farli campare (e riprodurre) dignitosamente?
Semplice: svergognando, emarginando e boicottando chi li offende; rendendo poi loro onore attraverso forme di indottrinamento sociale che esaltano i valori incarnati da questa preziosa élite. Dopodiché, non esitano a sacrificarli alla bisogna.
Più che di “altruismo”, allora, abbiamo bisogno di allevare “altruisti” da dare in pasto al Minotauro.
L’ “altruista” sarà anche un aborto dell’ evoluzione, ma il fatto è che viene rianimato, tenuto in vita e fatto riprodurre poiché si scopre quanto sia prezioso il suo apporto nella competizione tra tribù.
Tante tribù, tante guerre, tanti altruisti.
Perché il meccanismo funzioni è necessario che l’ altruista non si accorga di essere “usato” come un veicolo. Ancora meglio se nemmeno l’ egoista è cosciente di “usare” il suo prossimo.
Oltretutto, colpo di scena, la sottile linea che separa altruisti da egoisti non passa tra le persone ma attraverso le persone. Tutti noi siamo divisi più o meno a metà.
Una società prospera solo se incosciente, al punto che delucidazioni in merito devono essere fornite con il silenziatore per non suonare “scandalose”.
L’ ignoranza su questo punto diventa in qualche modo benefica.
Tutto cio’ è leggermente imbarazzante: gli altruisti esistono ma non sono al timone, bensì nel serbatoio, a fungere da carburante; non arriveranno alla meta ma saranno bruciati lungo il percorso; oltretutto, la cosa non puo’ essere detta senza penalizzare gravemente il gruppo in cui siamo imbarcati.
E’ la classica teoria autorimuovente: T1 è vera ma dobbiamo fare come se a essere vera fosse T2.
In questi casi trovo più semplice credere direttamente a T2 abiurando T1. In altri termini, compio la mia scelta epistemologica privilegiando la “semplicità”.
Finale. Se l’ altruismo esiste in natura e la natura puo’ “produrlo”, cio’ ha almeno un paio di conseguenze notevoli.
La prima è politica: l’ anarchia diventa compatibile con la prosperità. Che bisogno avremmo mai di un governo se esiste un senso del dovere che si forma in modo spontaneo grazie ai meccanismi evolutivi? Dai pascoli sulle Ande, alle regole tra balenieri, dalla pulizia dei fiumi alle leggi della filibusta, i casi concreti di produzione spontanea di beni pubblici è molto studiata dagli economisti. Due nomi per eventuali ricerche in rete? Robert Ellikson e (il recente Nobel) Elinor Ostrom.
L’ altra forse è ancor più sorprendente. Secondo la ricostruzione evoluzionistica, l’ “altruismo” si è sviluppato e gli “altruisti” sono stati “allevati” in seno al gruppo grazie all’ ambiente conflittuale in cui il gruppo viveva. Prendiamo un esempio di altruismo estremo, il kamikaze. Che ce ne facciamo se non ci sono guerre da combattere? E se il mondo diventa più pacifico? E se addirittura regnerà una pace universale? Bè, semplice, l’ altruismo e l’ altruista servirà molto meno. Un insulto come “moralista” avrà molto più senso. Un trauma per i molti bigotti ma anche un pericoloso via libera per molti ingenui libertini darwiniani.
Di sicuro un finale triste per i super-eroi che hanno accompagnato l' infanzia di una specie.
super sad superheroes