Ci vuole un governo tecnico?
Forse.
Per ora – comunque – i tecnici (della BCE) ci stanno rovinando.
Due caveat: 1. c’ abbiamo messo del nostro 2. combattere contro una cattiva idea come la “moneta unica” è una lotta impari.
Ci vuole un governo tecnico?
Forse.
Per ora – comunque – i tecnici (della BCE) ci stanno rovinando.
Due caveat: 1. c’ abbiamo messo del nostro 2. combattere contro una cattiva idea come la “moneta unica” è una lotta impari.
Perché proibire la poligamia?
Non so francamente se esistano in merito argomenti seri fondati sui fatti.
L’ unico che sento ripetere in modo convinto suona all’ incirca così: i molti uomini che resterebbero senza compagna sarebbero attratti dal crimine.
Ma ha un inconveniente a sinistra: vale anche contro il lesbismo (e il nubilato).
E un inconveniente a destra: vale anche “a favore” della poliandria.
Non resta che rassegnarsi ad una spiegazione “politically incorrect”: i difensori della poligamia, contrariamente ai difensori dell’ omosessualità, godono ai nostri occhi di un basso “status” sociale.
A parte le magie apparenti di internet, in termini materiali la nostra vita non è molto diversa da cio’ che era negli anni cinquanta… guidiamo ancora auto, usiamo frigoriferi… e accendiamo la luce con l’ interruttore, anche se forse molti di noi ce l’ hanno graduale…
… Le meraviglie illustrate nel cartone dei Jetson, che risale agli anni sessanta, non si sono mai realizzate. Non viviamo per sempre, non visitiamo colonie su Marte, non viaggiamo su piccole navicelle personali… La vita è migliorata e abbiamo più cose, ma l’ innovazione ha rallentato fortemente la sua corsa tradendo le aspettative che si potevano nutrire ancora solo poche generazioni fa…
… La mia vita migliorerebbe di molto se avessi a disposizione una macchina del teletrasporto… ma avere a disposizione frigo sempre più ampi che tritano il ghiaccio costituisce un miglioramento quasi irrilevante a cui pochi sono realmente interessati…
… molti pensano all’ allunaggio del 1969 come ad un punto divisivo che ha segnato l’ inizio di una grande stagnazione…
… oggi “cresce” solo chi è indietro e puo’ seguire le nostre orme (catch-up growth)… ma chi ha raggiunto la frontiera tecnologica è condannato ai piccoli passi (magari all’ indietro)…
… Credete forse che le crisi a ripetizione di questi anni non siano correlate con questa grande stagnazione tecnologica?… non è così, abbiamo raccolto tutti i frutti della precedente innovazione e ora avanzare è tremendamente difficile… di volta in volta ci illudiamo di poterlo fare con internet o con le nuove tecnologie finanziarie ma, puntualmente, scoppia una bolla che ci risbatte al punto di partenza… quando ci sembra di “avanzare” spediti capiamo presto che le cose stanno diversamente: ci si arricchisce a debito (destra) oppure investendo su improduttivi “big government” (sinistra)… si tratta di illusioni ciclicamente disvelate… sarebbe meglio rassegnarsi a considerare terminata un’ età dell’ oro e, eventualmente, a mettere le basi per la prossima… ma “mettere le basi” non è esattamente un compito a cui la politica si presta con docilità…
Tyler Cowen – The great stagnation
Dunque la distinzione tra e-book e libro cartaceo non puo’ essere paragonata a quella che esiste tra lavatrice e lavatoio. Consideravamo i nostri genitori come abitanti di una foresta pietrificata e ora scopriamo che sono stati loro a vivere in un mondo realmente rivoluzionario, un mondo in cui la vita delle persone cambiava realmente da un anno all’ altro.
Rileggendo queste parole mi vengono in mente certi economisti della “decrescita” felice, secondo loro la crescita economica non porta a ad un maggior benessere. Lo sostengono riferendosi implicitamente alle molte ansie della modernità.
In realtà siamo reduci da decenni di stagnazione e non sembra che la cosa abbia reso poi tanto “felici” i protagonisti.
Sarebbe forse più assennato e più aderente ai fatti sostenere che il nostro benessere non cresce proprio perché i tempi d’ oro dello sviluppo sono finiti da un pezzo, almeno nelle nazioni più avanzate.
Alcune banche sono talmente grandi che si ritiene opportuno salvarle dal fallimento, siamo di fronte al cosiddetto too big to fail. Ma anche il too big to fail ha le sue controindicazioni.
Vediamo le distinzioni tra fallimento e salvataggio.
1. effetti redistributivi: in caso di fallimento il peso è sopportato da proprietà, dipendenti, creditori ecc. nel caso di salvataggio il peso passa al contribuente.
2. effetti sull’ efficienza: il salvataggio incentiva attività azzardo morale e attività eccessivamente rischiose.
3. effetto contagio: il salvataggio lo azzera, anche se l’ evidenza empirica è debole e gli inconvenienti maggiori possono essere evitati da un’ accorta politica monetaria.
Conclusione: il fallimento deve essere preso in seria considerazione come la migliore tra le soluzioni possibili.
Autostrade, acquedotti, gas… spesso vengono scambiate per beni pubblici e si chiede che di esse si occupi lo stato.
In realtà lo stato deve limitarsi a regolare una concorrenza che sarebbe problematica per la natura stessa di questi beni, stando ben attento a non intromettersi nella gestione.
Le esternalità sono ovunque, talmente ovunque che rintracciarle è compito improbo. Anche come porvi rimedio è problematico.
Pigou propone di tassare e risarcire cadendo nel nirvana fallacy.
Coase fa presente che spesso la contrattualistica privata risolve il problema.
Hayek aggiunge che spesso la competizione tra gruppi favorisce una soluzione individualista.
La difesa nazionale deve essere fornita a livello nazionale ma per le altre politiche si puo’ scegliere anche il livello locale.
La tendenza all’ accentramento si giustifica sulla base del fatto che “one fit all”: la stessa politica funziona ovunque. Oppure sulla base del concetto di “race to the bottom”.
Eppure la sperimentazione locale e la varietà favoriscono la scoperta e l’ innovazione.
La concorrenza è decisiva nel limitare la centralità della politica, e per i liberali questo è un vero chiodo fisso. Senza contare che la race to the bottom non si è praticamente mai registrata.
C’ è anche una riduzione nel rischio quando si decentra.
Non solo, l’ autogoverno smussa i risentimenti tra i popoli e le odiose ingerenze, ancora più odiose se chi le compie ha l’ arroganza di chiamarle umanitarie..
La crescita economica spinta dal capitalismo puo’ devastare l’ ambiente, bisogna intervenire per prevenire una simile tragedia.
Vero, a volte basta intervenire con più capitalismo e più crescita economica: è ormai accertato che ricchezza e calori ambientalistici vanno di pari passo.
Il resto è un problema noto: le esternalità.
Gran parte della devastazione ambientale deriva da attività governative. Bisogna fermarle. L’ Unione Sovietica è un classico esempio di ambiente devastato.
Altre esternalità, però, si realizzano perché non esistono diritti di proprietà privata ben definiti. E allora: privatizzare tutto il privatizzabile. Mi vengono in mente le riserve naturali africane.
Resta sempre qualcosa che non è facile privatizzare, qualcosa per cui non è disponibile una tecnologia adeguata. La cosa migliore allora consiste nel tassare gli inquinatori e redistribuire agli inquinati (carbon tax): meglio se la cosa si realizza in automatico con dei crediti d’ imposta in modo tale che burocrati e politici non annusino nemmeno quel flusso di ricchezza.
Chiariamo subito che la carbon tax è un’ extrema ratio a causa delle distorsioni che provoca: resta pur sempre un prezzo di mercato fissato fuori dal mercato, Si spera solo che le distorsioni da carbon tax siano inferiori alle distorsioni ambientali dovute alle esternalità.
Il metodo utilitarista impone di massimizza la felicità. Per quanto sia un metodo promettente e ragionevole, presto i guai vengono a galla: non è facile quantificare la felicità.
L’ unico modo sensato per applicare il metodo utilitaristico consiste nell’ abbinarlo al metodo della scelta: cio’ che scelgo mi è più utile di cio’ che scarto pur avendo la possibilità di sceglierlo.
Niente redistribuzioni utilitaristiche, quindi.
E’ all’ atto di giustificare le redistribuzioni che l’ arbitrio di molti utilitaristi emerge: c’ è chi dà scarso valore alla felicità di alcuni grubbi sociali: ebrei, non-*comunisti, neri, ricchi, eccetera.
Carlo Carabba – Canti dell’ abbandono
Cosa c’ è?
C’ è un momento privilegiato da indagare: il risveglio.
L’ apertura degli occhi. Chi sono? Dove sono? Ah, ecco… sono dove non devo.
E poi?
C’ è sempre un’ identità minacciata… del fumo che forse è fuoco…
Un’ identità labile e compressa: … conosco solo il qui, non il là… e sono sempre dove sono e mai altrove…
Per rimarcarla ci si rifugia nel “ciclo” sperando che il “ruotare” sia un “ruotare” intorno a qualcosa: ritorna lo scirocco e gli abiti leggeri…
Un virus si propaga, colpisce in pieno giorno, perlopiù le anime dei possessori di motorini: al semaforo si affianca un’ auto… cattivo presagio… “stai attento potresti morire”… si riparte di filata, con il cavalletto ancora a terra che fa scintille…
Ogni passeggiata, lo si sappia, è condannata a riempirsi di svolte sbagliate e giri a vuoto.
C’ è poi una cosa che nei poeti italiani difficilmente manca: una disgregazione in atto a cui resistere (o a cui abbandonarsi):
… ho lasciato che il dolore mi sperdesse come il vento la neve sulle ali di un aereo…
Ma anche tanta voglia di farla finita, innanzitutto con la tragicommedia dello scrivere: niente più pensieri, niente storie…
Dopo la dispersione, ogni giorno, puntuale, fa capolino lo stupore del ritrovarsi: … sempre la stessa mano che passa sullo stesso libro…
E subito dopo si fa viva la fatica di coordinarsi per combinare qualcosa:
non so calibrare i miei moti / su quelli regolari della terra / e il ritmo stagionale non si accorda / al flusso diseguale dei miei umori…
Ah, poi ci sono i viaggi. Viaggi a volontà.
Nel tempo…
Specie all’ indietro, alla notte prima dell’ operazione, con le mani sulla tovaglia a quadri azzurri mentre si chiacchiera con il padre: ogni parola tace.
… la paura d’ esserti figlio sotto condizioni / riceverò solo se ti sarò piaciuto…
E dove c’ è un padre ci sono delle reminiscenze:
con te portavi doni / giochi pupazzi e qualche scatto d’ ira / che più tardi ho imitato…
E poi ancora indietro, fino alla notte dell’ eclissi: un lampione, solo padrone della scena, pareva lui la luna. Che c’ entra l’ eclissi con il mio condominio?
Nelle cose…
Tutti i poeti hanno un debole per gli oggetti. La missione è quella di salvare i loro “protetti” dal bieco funzionalismo: sacrifichiamo i quadranti degli orologi!… noi che possediamo una pelle che segna l’ ora esatta…
Dal soggiorno una luce azzurrina illumina l’ aria sulla quarta corda: documentari per bambini avidi di conoscenza e per disperati aviti di torpore… documentari popolati da bruchi che crescono ad ogni morso fino a raggiungere lunghezze insopportabili… vertigine di segmenti che paiono conformi a scopo senza scopo…
Sui mezzi…
Sul treno: … che prosegue la sua corsa e non mi lascia abbandonare il posto…
Sull’ autobus: quelle facce stanche del mattino… quei corpi troppo coperti che s’ inchinano ad ogni rosso…
Non c’ è viaggio senza incidente.
Un secondo dopo lo scontro: la ragnatela sotto i due tergicristallo scampati al disastro…
Due secondi dopo lo scontro: le domande provenienti dal ginocchio spezzato… perché proprio qui ed ora? … perché non prima o dopo? … le risposte cattive: … per tutte quelle volte che non c’ ero e sei sopravvissuto… per tutte quelle volte che non sei morto…
Nella dimensione…
In sogno: per afferrare meglio le cose respiro un po’ più forte.
Nell’ immaginazione: di quanti incontro invento la storia e sbaglio sempre.
***
Dopo tanta vita, dopo tanti righi, dopo tanta riflessione, ecco spuntare la Saggezza.
La sua imponenza si dispiega: a un giorno meno lieto ne succede uno lieto, e viceversa…
Subito affondata dalla sua futilità: dovrei saperlo… ma oggi me lo sono scordato, e ieri anche, credo…
La corruzione è un male endemico delle democrazie.
L’ eziologia è chiara: laddove si pongono ostacoli al profitto privato e al libero scambio, la corruzione prospera.
Tasse, licenze, appalti pubblici costituiscono un focolaio per la corruzione.
Grazie alla corruzione un’ economia puo’ diventare più efficiente, esiste infatti un tasso ottimale di corruzione. Questo perché gli interventi governativi sono spesso inefficienti.
La cura è chiara: intervenire meno. Meno interventi, meno corruzione. E se proprio degli interventi sono dovuti, che siano indiretti. Prendiamo l’ edilizia popolare: mica è necessario edificare gli immobili, basterebbe assegnare ai beneficiari dei vouchers.
Molti paesi sentono l’ esigenza di proteggere il consumatore per la ragione fondamentale che lo ritengono un ingenuo.
Ma chi è trattato da stupido tende a instupidirsi, e questo è proprio quello che succede in questi paesi dove l’ incentivo a vigilare sulla qualità dei propri acquisti si perde del tutto. E purtroppo non c’ è legge che possa tutelare un consumatore stupido.
Gli obblighi connessi a queste leggi hanno poi un costo che rincara i prodotti a tutto svantaggio dei consumatori vigile che avrebbero saputo discernere per conto loro. E a tutto svantaggio dei “piccoli” produttori che non godono di economie di scala. Pensiamo solo agli obblighi di “etichettatura”.
Meglio sarebbe puntare sulla competizione: le imprese con pratiche migliori sarebbero senz’ altro premiate.
Senza contare che esiste una responsabilità civile per il prodotto venduto: il consumatore ingiustamente danneggiato puo’ accedere a un risarcimento.
Some studies suggest we care more about rational ads for things we need, like medicine, and are more receptive to emotional ads for things we simply want, like clothes. But another study by Aimee Drolet & Patti Williams & Loraine Lau-Gesk showed that, whereas younger consumers prefer emotional ads for "hedonic" products (beer and cologne) and fact-based ads for "utilitarian" products (pain relievers and investment plans), older consumers prefer affective ads for just about everything…
Il fumo uccide, si sa.
Ma forse non tutti lo sanno, cosicché anime solerti ci tengono a rendere edotto il prossimo stampigliando l’ informazione a caratteri cubitali con tanto di teschio dei pirati sul pacchetto di sigarette. Manca solo che aprendolo fuoriesca un bau bau a molla.
Ultimamente lo stesso scrupolo informativo dei benefattori sembra rivolgersi ai… panini.
Fanno di tutto per impedire che la gente ci sbatta la testa. Come sono bravi!
Le riflessioni in merito di Mike Munger.
Dubbio: sono in campo due campagne informative, la prima vorrebbe apporre immagini ed etichette sui pacchetti di sigarette.... e ora sui panini. La seconda smania per assicurarsi che le donne prossime all’ aborto prendano visione del feto che portano in grembo.
Stranamente tra chi partecipa entusiasta alla prima campagna, pochi s’ impegnano a fondo nella seconda.
Il sacro principio della “scelta informata” sembra molto più sacro in certe circostanze piuttosto che in altre.
Domanda: come mai i paternalisti che vorrebbero forzarci a guardare negli occhi il teschio sui pacchetti di sigarette ci tengono così poco a farci vedere negli occhi il feto che stiamo sopprimendo?
Io sono un libertario e penso che le persone debbano essere libere di informarsi come credono; ma tu, integerrimo Uomo della Sinistra, tu che ragioni sempre avendo in testa un’ umanità fatta da idioti da mettere al guinzaglio dell’ informazione corretta, perché quando spunta un feto fai subito una precipitosa marcia indietro? Perché una volta tanto non fai la persona coerente?
Quanta retorica per dire quel che tutti dovrebbero sapere: il paternalismo è una crosta che occulta pudicamente ideologia e interessi. Di certo ha ben poco a che vedere con la "cura per il prossimo”.
Dario Fo – Mistero buffo
Puntuale, prima di ogni scenetta, ci piomba addosso un prologo didascalico imperniato su lacunose ricostruzioni storiche; lo si ascolta sempre dubitando se lo spettacolo debba considerarsi iniziato, se siamo dentro o fuori la giullarata.
Forse siamo proprio nel bel mezzo, visto che l’ artista ci tratta come tanti scolaretti in fila per due da redarguire e indottrinare, trattamento che ha del verosimile solo a patto di sostituire la pedana della cattedra con quella ancor più elevata del palcoscenico.
Poi, finalmente, entrati nel vivo la musica cambia.
Si parte subito con il piede giusto evitando di mitigare alcune scomode verità: in un mondo razzista i bambini sono i più razzisti, in un mondo egoista l’ oppresso è il più egoista. La simpatia per il popolo minuto non attenua la sua somma sgradevolezza.
Chi supera lo straccione quanto ad inclinazione reazionaria?; è schifato alla sola idea di iscriversi a un club che accogliesse gente che sguazza nel fango come lui.
Dovendo scegliersi un Salvatore lo pretende di classe superiore… un aristocratico, un re, un re dei re annunciato da trombe argentate.
Alla fine, posto di fronte al Salvatore reale, non si sofferma sull’ umiltà, nota piuttosto la sua eleganza nel vestire e nei modi, il suo fascino e la sua capacità di stare a proprio agio tra i dignitari della città.
Per non parlare della Madonna “… proprio una gran bèla dona…”.
A lui, a Gesù, più che la vita eterna si sollecita il sollazzo del vino (Cana) e i giochi di prestigio (Lazzaro).
Il primitivismo richiede un Dio biblico: geloso, desiderante, generoso, eccessivo.
Inseguito da questa richiesta Fo plasma il suo pezzo forte, un Gesù bambino che è un dio biblico in miniatura stracolmo di paure e voglie. Voglia di giocare, di imparare, di provare, di comandare, di integrarsi… Voglie sempre al confine con il capriccio.
Anche dalla Croce sembra pendere un Gesù Bambino che chiama mammà tra i lacrimotti (… oh mama… mama… indùa at sètt, mama… ol végn scur… hàit frèc, mama… mama…).
La curiosità impertinente fa di questo bimbetto emigrato sulla terra (“terùn”) il protagonista ideale che si aggira in un mondo tutto da scoprire.
E i Misteri sono tanti, c’ è quello doloroso, quello gaudioso e quello glorioso. Ma fuori scena si tiene tutti i giorni un mistero particolare, quello buffo.
E’ un mistero fatto di normalità feriale: di pialle, di seghe, di prezzi, di contrattazioni. Piacerebbe all’ Opus Dei.
Per penetrarlo bisogna frequentare gli interstizi e chiedersi a cosa attende il signor Gesù quando non fa miracoli, quando non impartisce insegnamenti, quando non pronuncia profezie, quando non racconta parabole.
Cosa fa quando esce dalle quinte dei Vangeli canonici?
E la Madonna?
Forse fa quello che fa una mamma qualsiasi: passa mentre va a far la spesa.
Vive il dramma di una mamma qualsiasi che passando casualmente per la via nota con crescente terrore che è proprio suo figlio il tale coinvolto nell' incidente in fondo alla strada (ma quello a terra è il suo motorino!), un tuffo al cuore la paralizza.
E così pure la Madonna, quando scorge che quel tale insultato sotto il legno del supplizio è il suo bambino, precipita negli abissi di un Mistero Doloroso.
Ma un attimo prima in cosa era impegnata? Forse stava spettegolando sui prezzi del mercato con le tre Marie. Era in pieno Mistero buffo.
Il cozzo tra i due Misteri fa scattare una scintilla che illumina le lettere prealpine.
In quel preciso istante il testimone passa dalle mani di Dario Fo a quelle di Giovanni Testori.
Quest’ artista ideale che contende a si passa la palla dobbiamo proprio immaginarcelo come una sola persona con il corpaccione a Sangiano e la crapa a Novate, avrebbe meritato un Nobel all’ anno ed è il parto più notevole della letteratura tra Milano e Lugano.
Dallo sghignazzo scompisciato si passerà così all’ immattimento esistenziale illustrando così la vicenda umana in tutte le sue apparentemente incompatibili sfumature.
A unire i due è innanzitutto il linguaggio; un linguaggio faticoso che entrambi estraggono da un brodo primordiale perturbato da gorgoglii e sfiati (bergamaschi?).
Ai loro protagonisti è successo qualcosa che li spinge ad articolare cio’ che fino a prima era solo un ribollire indistinto.
Non si puo’ più tacere, bisogna farsi capire! Abbiamo assistito a cose straordinarie e ora dobbiamo testimoniare. Noi, i muti, dobbiamo testimoniare.
Come fare?
Tentando, imitando, inventando, iterando, rabberciando, improvvisando, ritentando. Con le labbra, con la lingua, con la glottide, con le viscere, sbracciando, sputando…
Armati di pleonasmi e ridondanze in qualche modo forgeremo una lingua passe-partotut nuova di zecca, senza regole e che, periclitante, stia in piedi solo grazie al venire incontro dell’ orecchio altrui.
***
Cio’ che disturba in Fo è come risolve goffamente il dilemma canonico in cui s’ imbatte chi imbocca la strada da lui scelta: il giullare è un folle-libero-pensatore o un tipo grottesco e inattendibile schiavo dei sue pensate bislacche?
Qui lo sciagurato Fo perde la necessaria ambiguità, il suo braccio si accorcia e non arriva a consegnare il testimone a Testori: vuole fortemente la prima soluzione spingendo fuori dalla porta la seconda che, a quel punto, solo nei momenti migliori e di straforo rientra felicemente dalla finestra.
Come nel testoriano episodio de “La strage degli innocenti”, con quella mamma obnubilata a cui hanno appena scannato il pargoletto.
In compagnia dei soldati assistiamo pietrificati al suo impazzimento (… chi l’ è? l’ è vuna che ol s’ è ruersà ol cerveèl par ol dulur che gh’ èm cupàt ol fiolìn…)
La sua è una follia-rifugio, l’ opposto della follia erasmiana; una follia da cui promana impotenza, non saggezza; che non disvela strategie ma l’ abisso di un cuore; non istiga all’ azione ma alla pietà.
La rincontreremo calma e intenerita con un fagottino, c’ è qualcosa che lì dentro lo scialle ancora insanguinato: ha tra le braccia un agnello (péguritt… agnus dei). Un presentimento ci ghiaccia mentre assistiamo a quella gioia demente.
Deambulando senza meta, con l’ alibi della follia, bestemmiava il Padreterno per la disgrazia che le aveva mandato, finché, passando davanti l’ ovile, nella sua allucinazione, ha sentito il pianto del suo bimbo…
[… de bòt… me son sentìda ciamàr del me fiolìn… ho voltà i ogi e dènter a l’ uvìl, in mèz ai pegurì, ho descoverto ol me bambìn che ol piagnéva! Me ciamava bèèèèè, bèèèèè ‘me ‘na pegura… a l’ era el me fiolìn… ma cossa ghe faseva el me fiolìn tra i péguri?! A l’ era lì a gatoni… l’ hait catàt in brazi… l’ ho stringiùo… l’ ho basàt e ho scomensà a piàgnere de consulaziùn… at te domandi perdono Segnùr misericordiùs par sti bruti paròli che t’ hait criàt, che mi non le penzava miga… l’ è stai ol diavul… che ti te set tanto buono che me t’ hait salvà ol fiòl de mi…]
In un crescendo schizofrenico ascoltiamo questo strano giullare in gonnella raccontare tra le strizzatine d’ occhio di come ha beffato i soldati e salvato la prole zoccoluta che ora coccola senza sosta.
La disgraziata spinge per stare al fianco della sciùra Madonna in qualità di unica mamma con il bambinello scampato.
La sentiamo lodare la sua gioia (varda chi… l’ ha già mess su duu dencitt).
Qui si respira il grande teatro, viene in mente il Cristo eroinomane che crepa nel suo vomito barricato in un cesso della Centrale (In exitu).
Noi non siamo certo divertiti dalla stramberia, ma nemmeno ci sentiamo ammaestrati e istruiti.
L’ effetto che fanno queste scene quando arrivano è quello di mettere addosso una strana voglia di amare.
Una voglia volatile, s’ intende, destinata a sgabbiare non appena nella calca all’ uscita da teatro un cretino ci pesterà il piede calloso. Ma intanto possiamo testimoniare (a noi stessi) che esiste, che vale la pena di provarla una o due volte l’ anno e che in questo caso vale, oltre al prezzo del biglietto, un applauso spaccapalme.
p.s. l’ ormai “mitico” primo miracolo di Gesù Bambino parte all’ altezza di 1:12:40
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=hiz5MFRZtVM]
GiveDirectly intentionally provides unconditional, rather than conditional, cash transfers. We do this for three reasons. First, empowering the poor to make their own decisions advances our core value of respect. Second, it lets recipients purchase the things they need most, enhancing impact. Third, imposing conditions on the use of funds requires that costly monitoring and enforcement structures be put in place. One detailed estimate put the administrative costs of a conditional cash transfer scheme at 63% of the transfers made over the first three years of the program (Caldes & Maluccio 2005)
[W]omen in 1880 had almost no meaningful rights to political participation, ensuring that they were unable to demand recognition and protection of their basic liberty rights through the political system.
Under traditional English common law an adult unmarried woman was considered to have the legal status of feme sole, while a married woman had the status of feme covert...A feme sole had the right to own property and make contracts in her own name. A feme covert was not recognized as having legal rights and obligations distinct from those of her husband in most respects. Instead, through marriage a woman's existence was incorporated into that of her husband, so that she had very few recognized individual rights of her own.As it has been pithily expressed, husband and wife were one person as far as the law was concerned, and that person was the husband. A married woman could not own property, sign legal documents or enter into a contract, obtain an education against her husband's wishes, or keep a salary for herself. If a wife was permitted to work, under the laws of coverture she was required to relinquish her wages to her husband. In certain cases, a woman did not have individual legal liability for her misdeeds, since it was legally assumed that she was acting under the orders of her husband, and generally a husband and wife were not allowed to testify either for or against each other. Judges and lawyers referred to the overall principle as "coverture".
One exception to the feme covert rule was in the instance of a prenuptial contract. All colonies accepted these contracts, but few couples signed them. Sometimes, parents of wealthy daughters insisted on a contract to keep family property in a trust for their daughter and her heirs (daughters had no control over trusted property, however). Widows often drew up prenuptial contracts before marrying again, but they had to obtain their new husband's consent in order to keep the property inherited from their first marriage through a contract.