lunedì 20 maggio 2013

Primo maggio di lotta e di governo

il nemico pubblico numero uno è comune: la disoccupazione.
Comune a sindacati, confindustria e governo.
Comune anche l’ arma scelta per aggredirlo: meno tasse sul lavoro.
Questa comunità d’ intenti ci rassicura sulla ritrovata coesione delle forze sociali nel far ripartire la “macchina”.
Ma è anche sospetta: tutti usano le stesse parole ma siamo sicuri che dicano la stessa cosa?
lavoro
Bonanni, noto sindacalista:
… bisogna ripartire dal lavoro, non dobbiamo colpirlo ma agevolarlo… meno tasse… è necessario che al lavoratore restino in mano più risorse da spendere per i suoi bisogni… buste paga più gonfie per ripartire con il lavoro…
Siamo sicuri che Bonanni o la Camusso abbiano in mente i disoccupati?
Se penso a un sindacalista preoccupato della disoccupazione mi vengono in mente le volpi a cui si affidano le chiavi del pollaio.
Mi dite quanti disoccupati troveranno lavoro se gli sgravi fiscali beneficiano il lavoratore?
Probabilmente zero: perché dovrei assumere un nuovo lavoratore se per me il costo del lavoro non cambia?
Con buste paga più gonfie, forse qualcuno che prima non lavorava deciderà di farlo, ma nessun disoccupato verrà riassorbito. In gergo si dice che l’ occupazione aumenta ma la disoccupazione resta stabile.
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Solo una riduzione fiscale a beneficio dei datori di lavoro colpisce la disoccupazione.
E quali sono le tasse "a carico” esclusivo dei datori di lavoro?
Difficile dirlo, di certo l’ Irap ha più chance dell’ Irpef sugli stipendi, ma Bonanni e la Camusso si guardano bene dal parlare dell’ Irap.
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Qualcuno dice: ma buste paga più gonfie rilanciano la domanda!
Sempre che “rilanciare la domanda” non sia poi quel fuoco di paglia che non scalda nessuno, bisognerebbe capire se le risorse destinate a “gonfiare” quelle buste paga sono dirottate  da risparmi improduttivi.
Ebbene, a parità d' indebitamento, in genere sono risorse destinate a spese alternative, quindi avrebbero “rilanciato la domanda” in modo altrettanto dinamico.
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Qualcuno tra i miei amici “di destra” dice che chi non lavora e si lamenta quasi sempre è un “falso disoccupato”, un “disoccupato volontario” (è tale solo perché sceglie di esserlo).
Non dobbiamo preoccuparci troppo di loro, e, in ogni caso, gonfiare le buste paga è utile per combattere il fenomeno della falsa disoccupazione.
Se sono disoccupato perché non trovo un lavoro da astronauta, quando gli operai verranno pagati di più, accetterò mio malgrado di fare l’ operaio togliendomi dall’ esercito dei disoccupati e cessando così di fare lo “schizzinoso”.
Se ero disoccupato solo per il fatto che il lavoro non mi è offerto nella mia città, forse una busta paga più pingue puo’ aiutarmi.
Se ero disoccupato perché il sussidio di disoccupazione è tanto comodo, forse una busta paga più pingue puo’ convincermi a cambiare idea.
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Io penso invece che gran parte della disoccupazione sia autentica.
La disoccupazione è molto dolorosa, difficile sia volontaria. Le ricerche sulla felicità delle persone sono abbastanza convincenti.
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Se la disoccupazione è autentica, ovvero involontaria, va affrontata con i soliti ferri del mestiere, in particolare penso alla legge di domanda e offerta.
La legge ci dice che, in presenza di un eccesso di offerta, il prezzo della merce deve scendere affinché l' eccesso sia riassorbito.
Ma il mercato del lavoro sembra restio ad accettare questa legge: esiste una rigidità dei salari nominali verso il basso. E’ stato Keynes il primo economista ad accorgersene.
I Keynesiani sembrano rassegnarsi al fenomeno: i salari non possono scendere, punto e basta.
Il sospetto è che, essendo i keynesiani ideologicamente a sinistra dello spettro politico, il retro-pensiero sia: i salari non devono scendere.
Una volta mischiati per benino positivo e normativo, i keynesiani si dedicano a battere vie improbabili.
A destra invece non esistono remore del genere e si studia con fervore il modo di abbattere i salari affinché il mercato del lavoro funzioni esattamente come gli altri.
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Come far scendere i salari nominali e riassorbire la disoccupazione?
Ci sono alcune ricette “di destra” dalla logica inattaccabile: meno regole, meno diritti sindacali, meno salario minimo, meno…
Meno di tutto cio’ e la disoccupazione riceverà un colpo mortale. Capite bene come mai Bonanni o la Camusso non saranno mai nemici mortali della disoccupazione.
Il funzionamento del mercato è in gran parte inquinato da queste incrostazioni che generano disoccupati a go-go.
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Ma c’ è anche un’ alternativa che a destra non si prende mai in considerazione: più inflazione.
In periodi recessivi l’ inflazione è spesso il modo più efficace per diminuire i salari reali quando quelli nominali sono rigidi.
Poiché l’ imprenditore è in grado di adeguare i suoi prezzi al costo della vita, l’ inflazione diminuirà il costo reale del lavoro riassorbendo le eccedenze, proprio cio’ che la destra vuole.
In passato qualcuno ha definito l’ inflazione come una tassa, da qui il paradosso: più lavoro con più tasse sul lavoro.
La tassa che ho in mente è naturalmente l’ inflazione.
I miei amici di destra sono preoccupati: ma che c’ entra l’ inflazione con il libero mercato?
Dimenticano che esiste una Banca Centrale.
Chiedo loro: che c’ entra la Banca Centrale con il libero mercato?
Forse che una politica della banca centrale tesa a targetizzare il tasso d’ interesse a breve è più “pro-market”? Oppure lo è una politica che stabilizza la crescita di M2? Oppure lo è una politica che congela la base monetaria?
Secondo me la politica della Banca Centrale più “pro market” è quella che stabilizza il PIL nominale, e in periodi recessivi questo significa solo una cosa: più inflazione. Da cio' derivano salari reali più bassi, quindi più lavoro e più crescita.