Apologia della frusta
Meglio un anno in prigione o tre brutali frustate?
Da parte mia nessun dubbio: opto senza esitare per le frustate… e poi a casa di corsa a dormire nel mio letto.
Un mesetto di cure e medicazioni, l’attesa che si riformi la nuova cute, un paio di notti insonni col culo come una bistecca violacea non mi farebbero certo desistere.
E, se permettete, non mi fermo alla mia personale preferenza, ho la presunzione di affermare che la maggior parte degli interpellati mi seguirebbe sulla medesima strada.
E’ davvero una “pazza idea”? Non credo. Sta di fatto che un’ introspezione di tal fatta è alla base di ogni difesa accettabile della pena corporale.
Chi nel 2017 tenta un’apologia delle frustate lo fa solo perché desidera solo un sistema punitivo meno crudele.
Cosa c’è che non va’ in questo anelito?
Andateci voi in galera a convivere con criminali irredimibili, a ricevere le loro proposte “indeclinabili”, a subire violenze sessuali ripetute.
Sottoponetevi voi a questo distacco fatale dalla vita lavorativa. Anzi, dalla vita normale in genere.
In posti del genere se entrate malandrini, uscirete criminali. Se entrate criminali, uscirete criminali incalliti.
E chi una volta fuori da quel girone infernale si ritrova barbone di strada, deve accendere un cero alla Madonna e baciarsi i gomiti.
La soluzione carceraria è un fallimento: voluta in luogo delle punizioni dai fautori della deterrenza e della rieducazione, non rieduca e non produce deterrenza, è solo una costosissima tortura prolungata che ha effetti benefici sul crimine solo quando sequestra in massa la popolazione a rischio, che è quasi 1/3 della popolazione tutta (vedi USA).
Possiamo considerarla una soluzione eugenetica più che sociale.
I riformatori, con le loro proposte di “mitigazione” vengono sbeffeggiati dal fiero conservatore. Chi puo’ dargli torto?: lo spettacolo di chi s’indigna per un condono e poi plaude un’amnistia è rivoltante. Mancano le basi per uno scambio fruttuoso.
Scommetto però che anche il conservatore più crudele sarebbe solleticato all’idea di una “mitigazione” fondata sulla frustata. La frustata, in altri termini, getta un solido ponte tra posizioni distanti. La frustata è portatrice di dialogo.
Se la frustata è un sensato atto di pietà, chi delinque dovrebbe perlomeno avere il diritto di sceglierla come pena alternativa.
Allo stesso tempo la frustata non lede il nostro senso di giustizia. Anzi, anche il più accanito colpevolista che assiste all’esecuzione di una pena corporale se ne torna a casa appagato nello spirito.
Prendiamo un caso spinoso della contemporaneità: l’immigrazione clandestina. Come difendere in modo efficace la causa a me cara del clandestino? Solo garantendo punizioni immediate e ben visibili a chi sgarra, sappiamo bene che i clandestini hanno un’ inclinazione a delinquere spropositata. Ecco, in casi del genere le frustate sono come il cacio sui maccheroni: carceri decongestionate e senso di giustizia appagato, compreso quello leghista.
Meglio frustati che in carcere. Ma nel caso dei clandestini c’è di più: meglio frustati che in carcere, annegati o rinchiusi in un campo libico.
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Qui non scendo in particolari burocratici ma ciascuno vede fin da subito che occorre un filtro all’accesso: alcuni criminali non possono essere rilasciati poiché rappresenterebbero un pericolo, penso ai malati mentali.
Ecco allora un altro effetto collaterale positivo: basta con tutte quelle ipocrite e fastidiose richieste d’ “incapacità” per l’imputato, la tendenza s’invertirebbe nel segno di una responsabilizzazione dei singoli.
C’è forse chi pensa che una frustata sia troppo poco? Bene, discutiamone. Ma discutiamo però del numero, non del metodo.
A chi resta orripilato s’insista invece nel dire che trattasi di trattamento opzionale: la libera scelta si pone a fondamento del sistema riformato.
Lo si faccia presente soprattutto a quei “sensibiloni” che in nome della libera scelta accettano di tutto, anche l’eutanasia.
Immediatezza, proporzionalità, trasparenza, convenienza economica… le frustate sembrano avere tutte le carte in regola per proporsi come alternativa alla prigione, cosa impedisce un loro ritorno?
Tre cose.
1. Il fatto che le carceri siano un cospicuo business per molti insider che non mollano facilmente il posto alla mangiatoia.
2. Poi: l’uomo secolarizzato e prosciugato da ogni spiritualità, fa dell’ incolumità fisica il suo ultimo dio (e quindi del dolore fisico il suo ultimo demonio). Sentire anche solo evocato il suo personale Satana lo disturba e lo atterrisce. Tremebondo smette di ragionare nel merito e cerca con tutte le sue forze di esorcizzare ogni azione riformatrice ripristinando il tabù. Una diffusa cultura effeminata si oppone a prescindere alla frustata.
3. Ultima ragione: la mentalità progressista non puo’ ammettere che un miglioramento possa venire dal ripristino di “barbarie” passate opportunamente rivedute e corrette. Andare avanti per migliorare l’esistente è sentito come un dogma senza alternative, e questo a prescindere dal vicolo cieco in cui ci si è infilati.
Purtroppo, contro interessi consolidati, tabù e dogmi la lotta è impari.