martedì 11 dicembre 2012

Piccola difesa del dualismo

Swinburne è un dualista, trova che questa posizione sia il frutto di una esperienza.

Con questo non mancano gli argomenti per sostenerla, per esempio quello noto del cervello spezzato:


You take my brain out of my skull and you divide it into two, and you put one half
into one otherwise empty skull and the other half into another otherwise empty skull.
And if that’s not enough to produce two conscious persons, you add bits to each of
these brains from my identical clone and then you start these operating and you have
two living persons with conscious lives.  But you do not know which is me – it may
be that number 1 is me and it maybe that number 2 is me and it maybe that neither are
me. But one of these answers must be correct. And that again illustrates the point that
you could know everything that has happened to bodies (what has happened to every
atom of what was previously my brain) and yet no know what has happened to me.
Hence being me must involve something else as well as my body

E' davvero strano che il fisicalismo abbia preso piede in questo modo:


I just don’t think that physicalists have seriously faced
up to what are the data which need explaining. I suppose that they are thinking rather
loosely that since physical science has been very successful in explaining physical
events, all events must be physical events! But obviously that doesn’t follow

Sulla neuroscienza e sui correlati:


the discovery of innumerable causal correlations of this
kind is not the discovery of a scientific theory. For a scientific theory we need more
general laws indicating why certain sorts of brain event give rise to certain sorts of
mental event – why this brain event gives rise to that thought, and the other brain
event gives rise to the other thoughts. I don’t think there can be such a theory

L' internalismo uccide le pretese assurde di certi filosofi ispirati dalla neuroscienza:


There isn’t a quantifiable
difference between a red image and a blue image, although of course there is a
quantifiable difference between their causes. There isn’t a quantifiable difference
between the thought that ‘today is Friday’, and the thought that ‘Russia is a big
country’. Yet to have a scientific  theory you need general functional laws
determining how a certain sort of variation will give rise to another sort of variation

 http://users.ox.ac.uk/~orie0087/framesetpdfs.shtml







Contro Hume e Kant (dici poco?!)

Hume e Kant si opposero alla teologia naturale, la consideravano insensata. Swinburne si sente in dovere di rispondere loro.

Secondo Hume le idee del nostro intelletto sono un prolungamento dei sensi e quelle per cui il prolungamento non è chiaro sono idee sensate. Hume amava l' induttivismo.

M l' approccio di Hume presenta almeno un paio di problemi: 1. fino a che punto si puo' generalizzare l' induttivismo? 2. come è lecito combinare le sensazioni in modo da scartare le idee insensate?

Se l' induttivismo è sufficientemente generalizzabile allora anche l' idea di Dio (oggetto inosservabile) diventa lecita. In secondo luogo, sembra che l' unico modo lecito per combinare le idee sia quello d evitare incoerenze. Ma che idea è l' idea di incoerenza? Di sicuro anch' essa deve derivare da intuizioni sensibili generalizzabili a oltranza. Ma la generalizzazione a oltranza rende lecita l' idea di Dio.

Gli agomenti di Hume non sembrano dunque ostacolare il percorso della teologia naturale.

E nemmeno quelli di Kant, che sono per lo più derivati da Hume.

Kant si focalizzò per lo più nella negazione dell' argomento ontologico: sebbene stia in piedi, si sostenne, basta cambiare le premesse per poterlo rovesciare. Ma un argomento tanto facilmente rovesciabile non è valido. La premessa su cui si concentrò la furia analitica di Kant è noto: l' " esistenza" non è una proprietà dell' ente. Con una premessa del genere Anselmo salta in aria (e anche Godel).

Kant ragionava in termini di conoscenza (deduttiva) e non in termini probabilistici. Guardacaso la teologia naturale si concentra sulle probabilità. L' approccio kantiano è dunque fallato in partenza poichè presuppone che chi argomenta sostenendo l' esistenza divina lo fa sempre a partire dall' argomento ontologico. Un errore fatale per lui e per la schiera di filosofi suoi seguaci.

http://users.ox.ac.uk/~orie0087/pdf_files/General%20untechnical%20papers/Why%20Hume%20and%20Kant%20were%20mistaken%20in%20rejecting%20natural%20theology.rtf


La via più semplice

Esistono due tipi di spiegazione: 1. personale e 2. scientifica.

La prima implica intenzioni, scopi e potenzialità, la seconda proprietà, potenzialità e leggi.

Questa dicotomia è comunemente accettata da chiunque accetti una qualche forma pur debole d dualismo. Restano fuori giusto gli scientisti. Con loro si discuterà precalentemente d free will.

Criteri scientifici per privilegiare una spiegazione sull' altra: 1. fitting (probablismo) e 2. semplicità.

La spiegazione teistica, come teoria del tutto fitta i dati almeno quanto quella scientifica. Soprattutto considerata l' estrema improbabilità di quest' ultima.

Qual è la spiega più semplice?

Criteri per stabilire la semplicità: 1. numero di sostanze implicate 2. numero di proprietà implicate 3. numero di relazioni e leggi implicate. 4. l' incoerenza è la forma più grave di complicazione.

Sulle sostanze: 1. chi postula una legge di natura con certe caratteristiche moltiplica le sostanze. 2. chi accetta l' esistenza di leggi di natura accetta comunque una forme di dualismo 3 chi accetta una forma di dualismo (oggetto/soggetto) accetta almeno due sostanze 4. il monismo scientista è incoerente ovvero estremamente complicato dal punto di vista relazionale.

Detto questo si puo' concludere che il teismo postula come causa del tutto Dio ovvero la causa più semplice.

Dio è semplice perché i suoi attributi sono infiniti. Le alternative postulano come causa elementi finiti ovvero con limiti descrivibili solo tramite algoritmi più o meno complicati. La spiegazione teistica si fa dunque preferire.

Eresia di Swinburne: Dio non è fuori dal tempo ma eterno. La sua eternità implica un tempo infinito e non una atemporalità.




lunedì 10 dicembre 2012

Maledizione!

Il cristiano è noto per porgere l' altra guancia ma questa pratica pacifista non sembra avergli impedito di conquistare un solido potere temporale.

Pensiamo solo alla potenza dello stato Vaticano o al fenomeno del monachesimo nel medioevo. Sono casi e terre in cui la Croce sembra dettare legge senza spada.

L' ingenuo si affanna a sottolineare l' esclusiva della parola.

Lo scettico si affanna a sottolineare le guerre fatte combattere da terzi.

Hanno ragione entrambi: le guerre di cui sopra esistono ma sono poche.

Hanno torto entrambi: i monaci si presentano a noi pacifici ma se guardiamo meglio scorgiamo la loro violenza.

Pur non brandendo la spada non si lesinavano le scomuniche. Una specialità monacense era poi la fabbricazione di anatemi.

Ecco allora gli strumenti di governo della cristianità: né spada nè tantomeno altra guancia ma piuttosto l' uso sapiente delle maledizioni.

Bisogna ragionare tenendo conto che l' efficacia delle maledizioni era credenza diffusa e che il monopolio di questo strumento era riconosciuto agli uomini di Chiesa.

Certo che maledire dicendo "che possano le iene maculate divorarti domani a mezzanotte" è rischioso perché se poi domai a mezzanotte le iene maculate non si fanno vive i potenziali aggressori affileranno le spade.

Come rendere infalsificabile una maledizione?

1. Si puo' ricorrere a facili predizioni da pronunciare con la faccia inquietante di Carlo Lucarelli o coi toni allusivi di Report, in questo caso il classico "possa tu morire miseramente" è perfetto visto che tutti noi prima o poi moriamo e che la morte ha sempre un aspetto miserrimo.

2. Si puo' stare sul vago augurando sofferenza nel sonno e nella veglia; il dentista e/o qualche incubo prima o poi arriva per tutti.

3. Ma la cosa migliore è ricorrere a mondi ultraterreni: "possa tu precipitare agli inferi con tutti li mortacci tua al seguito". In questo caso la verifica è possibile ma solo a cura del monopolista maledicente.

La teoria puo' essere verificata, basta consultare le formule in dotazione a qualsiasi Ministero della Difesa di qualsiasi convento medievale, specie i ricchi e ben pasciuti.

Ecco un prototipo:


... chiunque intenda violare questi possedimenti sia scomunicato e maledetto nonché dannato per sempre in compagnia di Giuda il traditore e del diavolo...

Tono lugubre, vaghezza e mondi soprannaturali: 1, 2 e 3 ben combinati. Con Lucarelli, l' Infermo e i demoni si va sul sicuro.

Nel corso del tardo medioevo i diritti proprietari ecclesiastici trovarono protezione da parte delle neo monarchie e l' arma delle maledizioni fu dismessa. Successivamente lo scisma protestante ruppe il monopolio cosicché l' arma della maledizione risultò spuntata e fu abbandonata per sempre. D'altronde la Bibbia è piena sia di maledizioni che di divieti a maledire, per smettere fu sufficiente dare più peso ai secondi.

LETTURE:

http://www.peterleeson.com/God_Damn.pdf









Dio e la morale

L' esistenza di Dio non è una condizione necessaria affinché esista una morale oggettiva ma rende particolarmente efficiente la morale cosiddetta spererogatoria.

Morale supuerogatoria: non posso accusarti se non ti comporti in un certo modo ma se lo fai posso lodarti.

Per un credente la morale supererogatoria diventa impellente.

Per un credente come per un non credente compiacere il benefattore è obbligatorio ma solo il credente ha un benefattore che gli chiede anche comportamenti supererogatori.

Le finalità dei comportamenti superogatori sono tre:ù

1. elevano e realizzano il credente come uomo;

2. coordinano i credenti e non solo;

3. inculcano abitudini virtuose.

http://users.ox.ac.uk/~orie0087/framesetpdfs.shtml

Bambini e disciplina

Don't use discipline to turn your kid into a good person when he's an adult.  It won't work.  Use discipline to turn your kid into a good roommate when he's a kid.  It won't work miracles, but it's way better than nothing.

Mild discipline, mechanically enforced, deters bad behavior far more effectively than harsh discipline, arbitrarily enforced.  Idle threats, no matter how lurid, ("I'll sell you to the gypsies if you don't eat your dinner" "I'll turn this car to Disneyland right around") do not improve behavior at all.

Expressing anger at your children is counter-productive.  It undermines your authority and gives wayward children hope of besting you.

altri consigli su come crescere un bambino li trovi qui:

http://econlog.econlib.org/archives/2012/12/10_things_i_lea.html

http://econlog.econlib.org/archives/2012/12/10_more_things.html

Fede e probabilità

E' sensato parlare di Dio in termini probabilistici? Ovvero, ha senso impegnarsi nel metodo induttivo?

Seconodo Alvin Plantinga è pericoloso: quanto più la concatenazione degli argomenti è lunga, tanto più le probabilità della tesi si abbassano.

Richard Swinburne mette tre avvertenze:

1. per arrivare alla tesi la concatenazione degli argomenti si puo' combinare in modo diverso. Vanno sommate le probabilità delle varie combinazioni.

2. nulla d nuovo sotto il sole; un' avvertenza del genere vale per qualsiasi argomento scientifico.

3. Le probabilità a priori vanno via via integrate e innalzate sulla base delle conferme storiche, per cui la probabilità finale puo' essere anche più alta di quella iniziale.

http://users.ox.ac.uk/~orie0087/pdf_files/Responses%20to%20Controversies/Response%20to%20Dwindling%20Probabilities.pdf

E' sensato scegliere tra religioni?

Per Richard Swinburne sembrerebbe di sì. Qui sceglie tra Cristianesimo e Buddismo.

http://users.ox.ac.uk/~orie0087/pdf_files/General%20untechnical%20papers/Are%20all%20religions%20equally%20salvific.docx

venerdì 7 dicembre 2012

I vantaggi della scuola privata

si misurano soprattutto sul medio lungo periodo.

Il brevissimo periodo serve - e solo in alcuni casi - come trucchetto ai detrattori.

http://marginalrevolution.com/marginalrevolution/2012/12/how-much-do-charter-schools-really-matter.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed%3A+marginalrevolution%2Ffeed+%28Marginal+Revolution%29

Film visto ieri: Senza scrittori

Un documentario di Archibugi e Cortelessa sul mondo letterario ed editoriale italiano.
senza sc
PRIMA PARTE. Interviste alla kermesse mondana dello Strega.
In questi casi se la cava sempre meglio chi si rifugia nei pettegolezzi (i motivi triviali dell’ astio di Pasolini verso Fenoglio) o nei tecnicismi (chi raccomanda chi e il giochetto dei retroscena).
Il malcapitato che tenta per un attimo di stare all’ altezza del suo Pensiero intonando elucubrazioni apodittiche, stecca regolarmente.
Ma io sarei magnanimo: al cospetto dell’ Arte ci stai con nonchalance solo creandola o fruendola, due attività solipsistiche. E’ imbarazzante starci invece tutti ammassati, truccati, profumati, illuminati, con la flute in mano distribuendo buongiorno e buonasera a destra e a manca.
Almeno, non so voi, ma io già solo quando si accendono le luci alla fine di una proiezione o di un concerto mi sento come in mutande e con la voglia di parlare d’ altro.
senza scritt
SECONDA PARTE. La letteratura nell’ epoca della società commerciale.
Si sa, la società commerciale procede rapida per distruzioni creative e i “distrutti” la inseguono lamentandosi e invocando che “un altro mondo è possibile”.
Dato che domina meglio la lingua sembra quasi che il “libraio indipendente” abbia più ragioni del fruttivendolo (indipendente?) ma è solo un’ illusione ottica. Il secondo è messo peggio: neanche uno straccio di parlamentare che lotti contro il famigerato sconto sui peperoni dell’ Esselunga.
Il resto sono inconvenienti da crisi di abbondanza. Un genere di crisi che non impressiona moltissimo noi pendolari.
D’ altronde la società commerciale mette al centro il consumatore e l’ unica cosa sensata da chiedersi è se ci sia riuscita. Bè, vediamo, in fondo io sono un consumatore. Dunque, vent’ anni fa avevo una lista lunga da lì a lì di libri introvabili e sul comodino impolverato un libretto in seconda lettura pieno d’ orecchie. Oggi la lista è striminzita (giusto l’ Orcynus Orca di Stefano D’ Arrigo)e quelli che ieri sarebbero stati libri fantasma sono oggi libri in carta e ossa impilati sul comodino. Direi che la mia esperienza è positiva.
Con questo non voglio affermare di essere oggi un lettore più felice. Ma darei la colpa all’ età, non più incline all’ entusiasmo. Oppure all’ ingordigia. Oppure a filtri difettosi e da cambiare o manutenere. Insomma, dovrei lavorare meglio su di me e non tanto su quel sistema che ogni giorno stupisce per la prontezza con cui mi serve.
Penso che questa sia un esperienza comune in grado di condannare alla disoccupazione qualsiasi criticone sociale, almeno in questo campo. Ma è solo un attimo, poi si riprendono in mano i vecchi ferri del mestiere (concetti come “menti manipolabili”, “bisogni indotti”, “falsa coscienza”) e ci si accorge che il lavoro non mancherà mai.

Misteri: perché non si licenzia di più?

http://www.econlib.org/cgi-bin/searchblogs.pl?blog=5&query=%22firing%20aversion%22

Conseguenze dell' avversione: 1. si assume di meno 2. signalling titolo di studio (ci si sente giustificati a giudicare solo in base a quello per non incorrere nell' imbarazzo di dover licenziare) 3. outsourcing (meglio chiudere un contratto con aziende che un contratto di lavoro).

Cause dell' avversione: 1. stress nelle relazioni umane 2. difficoltà ad ammettere un proprio errore nell' assunzione 3. imbarazzo nel mettere in imbarazzo chi ha assunto 4. tribalismo.

Perché si accetta di vedere il contratto di lavoro come particolare?

1. perché c' è uno squilibrio contrattuale.

2. perché c' é asimmetria informativa.

Le ragioni non sono valide:

1. magari una parte ha più da offrire rispetto all' altra.

2. sarebbe vero se dopo la regolamentazione si chiudessero più contratti; in effetti se ne chiudono meno.


mercoledì 5 dicembre 2012

Sindacato e lavoro. la storia standard

Sul libero mercato la disoccupazione è volontaria. Essere senza lavoro è come essere senza fidanzata.

A volte però anche il libero mercato puo' produrre disoccupazione: il datore puo' trovare scorretto tagliare i salari e l' azione dei sindacati, per quanto liberi, produce politiche monopoliste.

Il governo, in questo caso, puo' riassorbire i disoccupati imponendo il taglio dei salari (magari con l' inflazione) e impedendo la formazione di cartelli ovvero di sindacati.

Il governo di solito agisce in senso opposto, per questo la disoccupazione è all' ordine del giorno.

Chi cerca evidenza empirica confronti USA e UE: nel lungo periodo il confronto è impietoso.

Tagliare i salari non deprime la domanda poiché non si tagliano risorse ma si trasferiscono al capitale.

Spesso il governo impone licenze per garntire qualità, peccato che la qualità non sembra alzarsi. Anzi, spesso si abbassa poiché le licenze impediscono l' innovazione. Quando si alza si alzano anche i prezzi e il gioco non vale la candela.

Il mercato garantisce qualità tramite reputazione, garanzie e processi per frode.

La storia standard è questa: prima si lavorava in condizioni pietose poi sono arrivati governo e sindacati risolvendo i problemi.

Nulla di più falso.

Le condizioni del lavoro sono sempre state legate alla produttività. Il miglioramento è dunque dovuto agli innovatori.




La monetina nel cappello di Umberto D.

Sia il Vangelo che il Magistero della Chiesa sono chiari circa i doveri del buon cristiano verso i poveri, mi chiedo però se in queste faccende per il benefattore abbia senso fare dei distinguo e stabilire delle priorità. Molti sono orripilati al solo pensare una cosa del genere, l’ amore è cieco! Ma perché mai la carità non potrebbe essere oculata? I protestanti, per esempio, sembrano più propensi a privilegiare i poveri meritevoli di aiuto, forse dobbiamo imparare qualcosa da loro.
Mi sembra che il buon senso avvalli questo approccio.
Se un amico chiede il vostro aiuto penso sia naturale domandare: “perché hai bisogno di me?”. In questi casi, inutile far finta di niente, alcune risposte sono meglio di altre. Se per esempio l’ amico vi chiede di pagargli la cena potrebbe giustificarsi dicendo “sono al verde”, oppure “ho speso tutto nei giri di birra”. La prima risposta suona decisamente migliore. Se la vostra fidanzata non vi fa gli auguri e latita al vostro compleanno dire “avevo auto e telefono scassati” è meglio che dire “me lo sono dimenticato”. Se un collega stacca prima la sera chiedendo di coprirlo dire “ho l’ influenza” ha più chances che dire “devo assolutamente provare un nuovo videogioco”.
La differenza è chiara: nel primo caso l’ amico ha fatto di tutto per evitare l’ ingiunzione. Perché mai spendere tutto in birre quando si sa che si deve cenare? Perché mai non segnarsi sul calendario il giorno del compleanno? Perché mai non rinviare di qualche ora la prova del nuovissimo videogioco? Ammetto che farlo non è piacevole ma non è nemmeno impossibile.
Propongo di utilizzare il medesimo standard per distinguere i poveri meritevoli dai non meritevoli. I poveri meritevoli sarebbero allora coloro che hanno fatto  le mosse adeguate per scampare alla loro triste condizione. Mosse adeguate del tipo: lavorare a tempo pieno accettando qualsiasi lavoro anche se sgradevole; spendere il proprio denaro per cibo, casa, famiglia e vestiti prima che per sigarette, telefonino e macchinette mangia soldi; tenere sotto controllo la propria vita sessuale quando è chiaro che non ci si puo’ permettere un figlio. Eccetera.
Perché mai dovrei accettare da uno sconosciuto delle scuse che non accetterei nemmeno da un amico?
Forse la cosa suona un po’ dura ma applicando questi criteri scopriamo una massa di poveri meritevoli che forse proprio il rifiuto a discriminare manteneva nell’ ombra. I lavoratori non specializzati del terzo mondo, per esempio, gli handicappati, i figli dei poveri non meritevoli. Eccetera.
D’ altro canto molta gente bisognosa ci appare ora, sempre secondo i criteri di cui sopra, poco meritevole di aiuto. Un adulto in salute che vive nei paesi avanzati non potrà mai essere considerato un soggetto da premiare. Ma vado oltre, poiché tutti sono stati “adulti in salute in una società ricca”, anche gli anziani poveri avrebbero potuto risparmiare di più così come i malati avrebbero potuto assicurarsi.
Di fronte a situazioni in cui direste a un amico o a un parente “te la sei cercata, adesso arrangiati” è ben difficile imporre come dovuto un aiuto verso perfetti sconosciuti.
Da queste brevi considerazioni iniziali emerge già una policy chiara: meno welfare e meno limiti all’ immigrazione. La libera immigrazione, infatti, sembra essere di gran lunga il mezzo più efficiente per mitigare la povertà nei paesi del terzo mondo.
Purtroppo le priorità delle nostre democrazie sembrano rovesciate, il welfare (distorto) impazza e l’ immigrato che lavora sodo è malvisto. Il politico navigato sa di guadagnare voti sia promettendo l’ aiutino a questa o quella categoria, sia rendendo la vita dura ai poveri meritevoli che si affollano “minacciosi” ai nostri confini.
Naturalmente quanto detto non ha ricadute solo sulle politiche governative ma anche sulla politica degli enti benefici e della filantropia.
umberto
Per isolare i poveri meritevoli bisogna però risolvere altri problemi imbarazzanti, cerco di spiegarmi con un esempio. Prendiamo una causa canonica di povertà: la mancanza di lavoro. Capisco che sia politicamente scorretto ma occorre accertare se si tratta di sventura o di pigrizia. In fondo essere senza lavoro è un po’ come essere senza fidanzata: se ti accontenti trovi, magari la trovi brutta, magari lo trovi in nero ma trovi.
Siamo al punto decisivo poiché questo dubbio torna anche per altri fattori. Prendiamo l’ alcolismo: l’ alcolismo è causa di povertà o è piuttosto la povertà che ti porta a bere?
Lo stesso enigma si pone per comportamenti quali l’ uso di droghe, il mettere al mondo bambini a sproposito, il restare single, il dedicarsi a crimini non remunerativi (guidare ubriachi, fare risse)… tutti comportamenti che tra i poveri abbondano divenendo patologie.
Cominciamo col chiederci perché mai un povero dovrebbe bere o drogarsi più di un ricco. Secondo logica l’ abuso di sostanze dovrebbe aumentare con il reddito, si tratta di vizi costosi in tutti i sensi, un ricco magari puo’ anche permetterseli ma un povero proprio no. Essere poveri è un ottimo motivo per lavorare duro, non bere, non drogarsi, sposarsi e controllare le nascite senza procreare a vanvera.
C’ è chi osserva che si tratta di mere consolazioni con cui il povero si trastulla. In questo senso i poveri sarebbero razionali: in mancanza di meglio facciamoci un goccio.
Ma questa spiegazione ha un inconveniente: in ultima analisi drogarsi peggiora la tua vita, anche quella già brutta del povero. Se costui fosse davvero un soggetto razionale se ne accorgerebbe prendendo le contromisure del caso. Essere poveri non è un buon motivo per drogarsi, di conseguenza tirare in ballo il refrain della “consolazione” è pretestuoso.
Fortunatamente è la scienza ad aiutarci nel risistemare i nessi di causalità, ci sono alcuni fattori caratteriali che sembrano la fonte sia delle patologie descritte che della povertà. Scarsa intelligenza, irrazionalità, mancanza di self control, bassa scrupolosità, bassa capacità di concentrazione, poca pazienza e via di questo passo. L’ alcolista non sa dominarsi quando ha la bottiglia sotto mano ma il suo self control è scarso in generale.
Qui non si tratta di “accusare le vittime” ma di mettere in dubbio lo status di molte presunte vittime. Vorrei comunque mitigare le accuse aggiungendo un altro paio di ragioni, la personalità del soggetto non è infatti l’ unica causa da tirare in ballo.
Anche la generosità dei nostri welfare incentiva comportamenti patologici. Peggiorare la propria condizione esplicita una richiesta. Comportarsi male in certi frangenti è il miglior modo per garantirsi senza contropartita l’ aiuto dello Stato.
Anche il numero cospicuo di chi non distingue tra poveri meritevoli e poveri non meritevoli produce incentivi distorti. Comportarsi male in certi frangenti è il miglior modo per garantirsi senza contropartita l’ aiuto di chi ci sta intorno.
Infine accennerei all’ abbassamento di taluni standard morali. Dal moralismo siamo passati al “trendismo” senza accorgerci degli inconvenienti prodotti dall’ effetto gregge: se un’ ereditiera come Paris Hilton si trascina sbevazzando pigramente da un party all’ altro poco male, anzi, in fondo si diverte, mica scema (sembra dire una vox populi riammodernata)! ma se lo stesso vizietto lo contrae la madre di sei bambini che vive nel sobborgo le cose cambiano. Se l’ attrice di Hollywood si sposa otto volte e disfa otto famiglie poco male, si vede che non andavano d’ accordo (sembra dire una vox populi riammodernata)! ma se la stessa cosa la fa chi vive con i sussidi comunali ecco che gli orfanatrofi si riempiono e le coltellate domestiche volano.
Non voglio trasformarmi in moralista, non sto dicendo che certi comportamenti siano cattivi in sé. Non sto nemmeno dicendo che certi comportamenti siano cattivi per me. Sto solo dicendo che certi comportamenti sono causa di povertà e che in alcuni casi è lecito limitarsi a urlare: “smettetela di comportarvi male!”. Dopodiché ci si gira dall’ altra parte alla ricerca di un povero meritevole di soccorso.
So di aver scritto cose che qualcuno giudicherà odiose ma a costui vorrei chiedere: perché sei tanto mite verso chi adotta stili di vita irresponsabili mentre tuoni verso chi rifiuta loro un aiuto? Non è forse un’ etica perversa la tua? Se proprio si vuol condannare qualcuno lo si faccia in primo luogo con chi adotta comportamenti sbagliati e, al limite, solo dopo e in maniera più soft con chi tentenna nel concedere il suo aiuto a gente di tal fatta.
P.S. Ci sono posizioni forti e alternative a quella presentata?
Bè, sì. Anche se a me non convincono del tutto direi che ci sono eccome.
1. Il determinismo innanzitutto: uno è quello che è e non ci puo’ fare nulla. Parlare di meriti e colpe è un nonsense.
2. Aiutare è bello, lo si fa innanzitutto per sé e non per gli altri. In questo senso gli altri ci sono indifferenti e discriminarli un nonsense.
3. Vivere in una società meritocratica è troppo stressante.
4. Profezie autorealizzanti: chi ha ricevuto il contrassegno non investirà mai su di sé, oltre alle proprie debolezze dovrebbe vincere anche gli stereotipi.
P.P.S. Il post rappresenta quanto mi è rimasto dentro dopo aver letto e ascoltato un dibattito tra Karl Smith, Charles Murray, Bryan Caplan, Bill Dikens e Tyler Cowen. Rappresenta anche l’ ossatura del mio prossimo intervento alla fraternità ciellina (qualora riceva il placet da Sara. la vedo dura).
P.P.P.S. Il titolo del post si deve ad un evento in qualche modo per me traumatico: la freddezza e gli aspri commenti di mia mamma verso la figura di Umberto D. Quella volta riuscì proprio a far scappare la poesia da uno dei miei film preferiti. Forse la donna di una certa età non ama l’ uomo accattone e lo esorcizza inconsapevolmente.





Le ragioni di Swinburne

Richard Swinburne ci chiede di usare il cervello quando parliamo di Dio ma nello stesso tempo ci chiede di non prendere esempio da Tommaso.

Tommaso, elaborando le sue cinque vie alla fede, applicò il metodo deduttivo alle questioni della fede. Un metodo che si smonta facilmente, basta rifiutare un assunto. Per esempio, se noi rifiutiamo quel che in seguito Leibnitz chiamò il principio di ragion sufficiente tutto l' edificio messo sù da Tommaso crolla.

Evviva allora l' induttivismo. Qualcuno la chiama teologia personale 8perché parte da noi e dalla nostra esperienza).

Con l' induttivismo siamo chiamati all' investigazione: se Mario ha le mani imbrattate di sangue allora probabilmente è colpevole. Se esiste l' universo ed è così e così allora probabilmente esiste un dio.

E' un ragionamento circolare? Niente affatto: non sono le mani imbrattate di sangue a causare l' omicidio. Per quanto io da investigatore risalga con le mie induzioni in quel senso il nesso di connessione va nel senso opposto e in questo non c' è affatto circolarità. Non è l' esistenza dell' universo a causare quella di Dio.

La spiegazione dell' universo attraverso dio ha due vantaggi: è più semplice ed è più probabile.

E' più semplice perché dio possiede attributi infiniti. Dover connettere tra loro un infinità di finitudini è molto più complesso.

E' più probabile per due motivi che si comprendono meglio facendosi due domande.

Prima: perché il nostro universo è ordinato e comprensibile? E' meraviglioso che la matematica sia in grado di descriverlo. Avrebbe potuto essere caotico, d' altronde per ogni universo ordinato ne esistono infiniti caotici. Eppure il nostro è ordinato. Meravigliosa coincidenza? Puro caso? Oppure esiste una spiegazione? Diciamo che quanto è più elevata la meraviglia tanto meno probabili diventano le spiegazioni alternative all' origine divina.

Attenzione a chi fa appello al caso dell' evoluzione: l' evoluzione dipende da leggi chimiche le quali a loro volta dipendono da leggi fisiche. Il fatto che molti eventi siano non intenzionali non significa affatto che non esista un ordine. Un conto è l' ordine superiore, un conto sono le intenzioni immanenti e quindi le conseguenze non intenzionali degli atti immanenti.

Seconda: perché proprio quell' ordine? L' ordine che ha voluto che esistessi io? I fisici, parlando delle costanti iniziali, ci dicono che il nostro universo è un evento estremamente improbabile. Anche qui succede quanto abbiamo osservato prima: l' unica alternativa a una spiegazione divina diventa la sorprendente coincidenza. Quanto più la coincidenza è sorprendente, tanto più ha senso rivolgersi ad altre spiegazioni.

Swinburne avanza anche due principi:

1. credulità: fino a prova contraria meglio credere alle apparenze.

2. testimonianza: fino a prova contraria meglio credere al testimone.

http://users.ox.ac.uk/~orie0087/framesetpdfs.shtml

Peché non si taglia la spesa pubblica

http://www.corriere.it/editoriali/12_dicembre_05/distruttori-riforme_1657a312-3ea6-11e2-b5b1-5f0211149faf.shtml

La sicurezza dei bambini

Mai così alta.

http://econlog.econlib.org/archives/2009/08/modernity_as_a.html

Esattamente come i timori per l' insicurezza dei nostri figli.

Forse qualcosa non va.

Ragioni per il natalismo

http://www.cato-unbound.org/2011/05/02/bryan-caplan/population-fertility-and-liberty/

Overparenting

http://www.guardian.co.uk/commentisfree/cifamerica/2011/jun/11/conversation-strict-parenting-amy-chua

http://blogs.wsj.com/ideas-market/2011/04/11/twin-lessons-have-more-kids-pay-less-attention-to-them/

martedì 4 dicembre 2012

Why nation fail

Indagine sulla ricchezza delle nazioni. Punta tutto sulle istituzioni, è lì che si crea sviluppo.

La tesi centrale: esistono due tipi di sviluppo: 1. lo sviluppo estrattivo che parte dal basso e imita e 2. lo sviluppo sulla frontiera tecnologica.

Per il primo tipo di sviluppo una dittatura illuminata è sufficiente: si copia dagli altri, si aprono le frontiere e si puo' fare buon lavoro.

Ma il secondo tipo di sviluppo richiede istituzioni flessibili. Perché? Perché l' innovazione richiede distruzione creativa, un lusso che le dittature (e anche molte democrazie anchilosate) non possono permettersi.

Papa Gregorio

Parlare di tasse è oggi il miglior modo per parlare di etica.
Lo stratagemma retorico funziona perché illumina anche il profano sui nodi fondamentali da sciogliere in una materia tanto delicata.
E’ anche un modo per farsi capire senza tanti giri di parole, il che non guasta.
Pensate solo alla dottrina sociale della Chiesa: se è peccato non pagare la giusta tassa, cosa dobbiamo considerare come tale?
C’ è chi apprezza certe ambiguità strategiche e chiede di non andare oltre nei chiarimenti, alcune espressioni quali “giustizia terrena” e “dignità della persona” sono più che sufficienti a indirizzare il fedele.
E se invece fossimo di fronte a un semplice buco da colmare prima o poi?
Bè, non sarebbe facile porci mano, richiederebbe come minimo un’ Enciclica quando non un Concilio.
E se proprio devo sognare l’ Enciclica della svolta la sogno informata al tenore di questo documento prodotto dall’ economista Gregory Mankiw. Si parla di etica Just Desert e quel che segue è la parafrasi di un estratto.
JUST DESERT
AGNOSTICISMO E UTILITARISMO 
La questione che desidero prendere in considerazione è la seguente: quanto devono contribuire gli economisti al dibattito intorno al concetto di giusta tassazione?
Una possibile risposta è non molto. C’ è infatti chi ritiene che ogni discussione intorno alla redistribuzione ottimale delle ricchezze sia ad appannaggio dei filosofi politici e morali. Noi economisti, al limite, potremmo stimare il costo di una tale redistribuzione – cioè, l’ impatto negativo sull’ efficienza che avrebbe un tentativo di perseguire maggiore equità. Ma alla fin fine scegliere il punto d’ equilibrio tra efficienza ed equità spetta alla politica (o all’ etica), come economisti dovremmo dichiararci agnostici e ritirarci in buon ordine.
La letteratura sulla tassazione ottima, tuttavia, prende una diversa china. Anziché restare agnostici, i lavori in questa area adottano una particolare prospettiva politica: l’ utilitarismo. Cioè, si assume non solo che gli individui massimizzino la loro utilità ma che anche la società nella sua interezza sia chiamata a fare lo stesso.
Per l’ economista un approccio del genere è del tutto naturale. Innanzitutto perché utilitarismo ed economia condividono una tradizione intellettuale comune. Un’ altra ragione sta nel fatto che l’ utilitarismo sembra una naturale estensione dei principi economici all’ intera società. Oltretutto, la filosofia utilitarista consente di utilizzare molti sofisticati strumenti analitici già impiegati con successo altrove.
Tuttavia l’ approccio utilitarista è afflitto da parecchi inconvenienti. Chiunque abbia frequentato un corso di filosofia si sarà imbattuto in una sfilza di casi tesi a metterne in luce i difetti. Una situazione classica è quella in cui da un ponte presso la stazione osservate un vagone che avanzando fuori controllo è destinato a investire un gruppo di bambini. Potreste salvarli solo spingendo giù il grassone che sta proprio lì di fianco facendolo finire sotto le ruote del vagone in corsa, il vostro eventuale sacrificio sarebbe inutile considerata la stazza minima. Quel che si chiede è se siete disposti ad uccidere il grassone per salvare i bambini. Un utilitarista non avrebbe problemi a farlo, ma molti si sentirebbero in forte disagio nell’ accettare questa soluzione.
Esempi del genere sono molto divertenti ma non penso abbiano una grande utilità pratica. Ha senz’ altro senso testare la teoria per confrontarla con l’ intuizione, tuttavia ritengo che certe esperienze siano troppo distanti dalla nostra vita ordinaria. Puo’ darsi che la nostra resistenza nell’ uccidere il grassone non sia data da un rifiuto dell’ utilitarismo ma dal fatto che siamo immersi in una situazione talmente inusuale da non riuscire ad averne piena contezza. In vita mia, per esempio, non mi sono mai trovato ad avere a che fare con un vagone fuori controllo che minacci dei bambini, figuriamoci se penso all’ ipotesi del ponte e del grassone. Per valutare se l’ utilitarismo sia o meno una buona filosofia preferirei prendere in considerazione situazioni più vicine alla vita quotidiana.
L’ UTILITARISMO SU SCALA GLOBALE
Lasciate allora che proponga qualcosa di meno lontano dalla nostra esperienza. Immaginate un candidato al Parlamento che proponga una tassa del 33% sul reddito del contribuente medio con un gettito da destinare interamente ai paesi del terzo mondo. La trovate una buona idea?
Penso proprio di no. Lo dico perché non ho mai conosciuto un candidato che osasse proporre qualcosa del genere. Del resto gli aiuti che mandiamo al terzo mondo rappresentano una fetta infinitamente inferiore del PIL e cio’ nonostante non si puo’ certo dire che siano investimenti popolari, quando c’ è da tagliare si comincia da lì sapendo bene della blanda opposizione che s’ incontrerà. Persino chi propone di aumentarli si guarda bene dall’ avvicinare percentuali in doppia cifra.
Eppure se fossimo degli utilitaristi dovremmo vagliare attentamente una proposta del genere. In accordo con la logica utilitarista non si farebbe altro che imporre una tassa pari al 33% a carico di alcune tra le persone più ricche del mondo e girarne gli introiti verso alcune tra le persone più povere del mondo, una logica che accettiamo volentieri in altri contesti.
La logica utilitarista non offre ragioni valide per dare una qualche rilevanza ai confini nazionali. Se in virtù della logica utilitarista trasferiamo dagli italiani più ricchi agli italiano più poveri, in base agli stessi principi sarebbe ancora più sensato trasferire dagli italiani ai gahnesi.
Ritengo però che molti sostenitori della tassazione progressiva su scala nazionale non siano disposti ad accettare questo stringente passaggio logico.
LA TASSAZIONE DELL’ ALTEZZA COME TASSAZIONE OTTIMA
Lasciate che vi dia un altro esempio di come la logica utilitarista conduca a conclusioni che mettono a disagio la persona comune.
Nel 1897 Francis Edgeworth sottolineò che compito di un pianificatore utilitarista sarebbe stato quello di eguagliare l’ utilità marginale di ogni membro della comunità. La logica sottostante è elementare: si toglie a chi perde poca felicità per dare a chi guadagna di più sempre in termini di felicità; dopodiché si procede in questo modo finché tutti posseggono la medesima “felicità marginale” (o utilità marginale) e nessun trasferimento ulteriore sia in grado di aumentare la felicità complessiva. Gli individui più dotati saranno anche i più tassati e il gettito girato come sussidio per i meno dotati.
Fu James Mirrles a porre l’ accento sul fatto che noi non abbiamo accesso alle variabili chiave per risolvere il problema. Come possiamo individuare i soggetti più dotati? Quel che possiamo osservare è giusto il reddito monetario del cittadino, una variabile che segnala sia i talenti che lo sforzo generato per produrre ricchezza. In queste condizioni il pianificatore deve ridimensionare i suoi obiettivi poiché redistribuire troppo potrebbe minare gli incentivi a porre in essere sforzi produttivi. Queste considerazioni sono entrate ormai a buon diritto nella teoria standard della tassazione ottima.
James Mirrles assunse il reddito quale unica variabile osservabile che avesse una qualche attinenza con la produttività potenziale del soggetto tassato. Questa assunzione, tuttavia, oltre a presentare gli inconvenienti di cui si è detto è anche molto approssimativa. In un mio recente lavoro ho utilizzato il modello utilitarista ortodosso di Mirrlees per esplorare il potenziale ruolo di un’ altra variabile: l’ altezza del contribuente.
L’ aggancio teorico è chiaro: l’ approccio utilitarista tende a valorizzare ogni variabile che sia correlata con le capacità contributive innate del soggetto. Scovare variabili correlate in modo diretto è utile perché consente di tassare senza disincentivare il lavoro.
L’ aggancio empirico è altrettanto evidente: l’ altezza di una persona è statisticamente correlata con le sue doti.
Lo studio mostra che sostituendo al sistema attuale una tassa sull’ altezza dei contribuenti migliorerebbe i conti nazionali in modo consistente. Molte persone però non abbraccerebbero mai con entusiasmo l’ idea di tassare di più i cittadini più alti. Il nostro studio ha registrato più che altro incredulità o divertimento. Questa reazione è proprio cio’ che rende un simile lavoro intrigante. Una tassa sull’ altezza, infatti, è l’ inesorabile conseguenza di un approccio utilitarista alla tassazione una volta che si tiene conto dei dati empirici. Se rigettiamo le conclusioni dobbiamo necessariamente rivedere le premesse.
JUST DESERT
Diversamente dal caso del grassone da sacrificare, le due politiche appena considerate potrebbero essere adottate domani mattina se solo lo volessimo. L’ Italia potrebbe girare un terzo delle sue entrate fiscali verso i paesi poveri e il nostro Parlamento potrebbe deliberare una riforma fiscale incentrata sull’ altezza come base imponibile. Ci sarebbero molti motivi per dissociarsi ma io vorrei proporre come ragione principale il fatto che la nostra intuizione etica si discosta dai principi utilitaristici.
Tra i filosofi c’ è una lunga tradizione che rigetta l’ utilitarismo come base per la giustizia redistributiva. Robert Nozick scriveva così nel suo famoso libro del 1974 Anarchy, State and Utopia:
… nelle nostre società non siamo nella posizione del bambino che riceve una fetta di torta da chi è intento a tagliarla aggiustando le dosi. Non c’ è un distributore centrale né una persona o gruppo di persone titolato a controllare tutte le risorse scrutinandone la distribuzione. Cio’ che ciascuno di noi riceve lo riceve da altri che a lui danno in cambio di qualcosa oppure lo riceve a titolo di dono. In una società libera molte persone posseggono molte risorse e le nostre proprietà emergono in seguito a una miriade di scambi…
Nonostante il prestigio di libro e autore sia ampiamente riconosciuto, è difficile oggi vedere questa visione filosofica come particolarmente influente nel lavoro analitico degli economisti, forse perché promettenti vie alternative all’ utilitarismo sono tutt’ altro che ovvie. Ovvero, se rigettiamo l’ utilitarismo come base per la tassazione, ci si chiede come possa essere rimpiazzato a livello di impalcatura normativa.
Propongo questo principio: alle persone spetta cio’ che si sono meritate. A una persona che contribuisce maggiormente alla ricchezza di una società spetterebbe un reddito maggiore in modo che tale reddito rifletta il suo contributo. Una società dovrebbe tollerare la ricchezza di un contribuente non per evitare di disincentivarne la produzione ma per non togliere a quel contribuente cio’ che a lui è dovuto sulla base del merito. Questo approccio rispecchia, credo, cio’ che Robert Nozick, Milton Friedman e altri scrittori liberali avevano in mente. Potremmo chiamare questo principio Just Desert.
Sono giunto a queste conclusioni osservando il comportamento della gente verso le persone ricche. La mia sensazione è che difficilmente la gente si sente offesa quando la ricchezza premia soggetti che se la sono guadagnata. Quando vediamo Steven Spielberg confezionare un blockbuster, Steve Job lanciare un iPod, David Letterman ordire scherzi divertenti e J.K. Rowling eccitare coi suoi libri schiere di ragazzini, difficilmente obiettiamo sui milioni che incamerano nel frattempo. Le ricchezze che ci fanno arrabbiare sono quelle che derivano dalle manipolazioni del sistema: il CEO che briga con il comitato esecutivo grazie alle opache relazioni personali di cui gode e il banchiere la cui azienda sopravvive in virtù dei salvataggi pubblici non sembrano meritare i bonus milionari che incassano così di frequente. Il pubblico percepisce quei compensi (correttamente o meno) come sproporzionati rispetto al contributo sociale di queste figure. In altri termini, se noi prendiamo l’ attitudine del pubblico come un segno delle nostre intuizioni morali, allora vediamo bene come non sia necessario porre al centro l’ utilità marginale di ciascun soggetto quanto piuttosto la relazione che lega compenso e contributo fornito.
La teoria del just desert ci dà un’ interpretazione differente del cosiddetto equilibrio di mercato. Di solito noi economisti diciamo che l’ equilibrio di mercato fornisce un’ allocazione efficiente delle risorse senza però essere necessariamente equo. Forse il nostro giudizio è troppo sbrigativo, d’ altronde è la stessa teoria economica a dirci che in equilibrio ciascuno riceve per quel che produce. In altri termini, ciascuna persona riceve per quel che è il suo contributo nella produzione di beni e servizi.
LA TEORIA DELLA TASSA GIUSTA
Adesso mi occuperò delle conseguenze di quanto detto sulla distribuzione ottimale del carico fiscale. Qualcuno potrebbe concludere che se ognuno di noi ottiene dal mercato quanto merita non c’ è spazio per imposte progressive. Si potrebbe pensare che un governo non è necessario oppure che sarebbe sufficiente una “quota d’ iscrizione” per finanziare un governo minimo, il che costituirebbe senz’ altro un allontanamento radicale dalla situazione odierna. Ma io non penso che questa ipotesi sia necessariamente corretta. Ci sono molti elementi che rendono un mercato imperfetto e che chiedono di essere rimossi al fine di ottenere un’ accettabile situazione di just desert.
Penso innanzitutto a tasse pigouviane. Se una persona si guadagna da vivere imponendo esternalità negative ai suoi vicini trovo giusto che debba in qualche modo risarcirli mediante il pagamento di una tassa sulle esternalità da girare ai danneggiati poiché il suo reddito disponibile non rispecchia fedelmente il suo contributo. Una tassa pigouviana non solo rende l’ economia più efficiente ma anche più equa.
Lo stesso dicasi per i sussidi pigouviani, anch’ essi sono la logica conseguenza della teoria just desert. Se qualche attività, come per esempio la ricerca scientifica di base, esibisce esternalità positive, il governo dovrebbe aiutarla. Una tassa sui beneficiati da girare ai ricercatori non solo aumenterebbe l’ efficienza ma riprodurrebbe l’ equivalenza tra compensi e contributi.
Poi c’ è il problema dei beni pubblici quali la difesa, la polizia e i tribunali. Questi beni devono essere in qualche modo finanziati e il costo è giusto che ricada su chi li usa di più.
Le tasse pigouviane e il finanziamento dei beni pubblici conduce presumibilmente a un sistema fiscale in cui chi ha di più paga di più poiché chi ha proprietà più estese beneficia maggiormente di un servizio di difesa della proprietà.  In realtà non potremmo escludere a priori nemmeno che un sistema di tassazione progressivo sia coerente con una teoria della giustizia just desert.
E che dire dei trasferimenti ai poveri? Nella misura in cui le persone hanno a cuore la sorte dei più bisognosi anche l’ aiuto ai poveri potrebbe configurarsi come un bene pubblico. In altri termini, poiché tutti vorremmo alleviare le sofferenze dei più bisognosi il governo potrebbe farsene carico per evitare comportamenti opportunistici.
La prospettiva presentata dovrebbe risolvere le situazioni che imbarazzano l’ utlitarista. Il motivo per cui gli italiani si preoccupano maggiormente dei loro connazionali piuttosto che degli stranieri sta nel fatto che ogni uomo si preoccupa innanzitutto del suo vicino. In questo senso l’ aiuto agli italiani bisognosi puo’ essere considerato un bene pubblico mentre gli aiuti ai paesi poveri molto meno. Ma questa prospettiva spiega anche l’ avversione a una tassa sull’ altezza: se i benefici che si hanno dai servizi governativi crescono con il reddito e non con le capacità possedute, cessa ogni esigenza di rintracciare variabili correlate alle capacità personali.
DOMANDE DIFFERENTI
La prospettiva just desert porta a porsi domande differenti. L’ utilitarista è interessato a misurare l’ aumento la felicità del contribuente al crescere del suo reddito, nonché quanto la tassazione disincentivi i suoi sforzi volti alla produzione del reddito stesso. Il teorico just desert non esclude il valore di queste considerazioni ma le reputa fuorvianti se assunte come punto di partenza di ogni ragionamento intorno alle tasse. Preferisce chiedersi innanzitutto se il reddito di una persona rifletta il suo contributo alla produzione di ricchezza e, in secondo luogo, quanti benefici incamera dai servizi governativi.
Non c’ è modo per stabilire quale dei due approcci prevalga. Non essendo una questione di economia positiva i crudi dati non risolvono il conflitto e l’ ultima parola spetta alla nostra intuizione morale.