Sia il Vangelo che il Magistero della Chiesa sono chiari circa i doveri del buon cristiano verso i poveri, mi chiedo però se in queste faccende per il benefattore abbia senso fare dei distinguo e stabilire delle priorità. Molti sono orripilati al solo pensare una cosa del genere, l’ amore è cieco! Ma perché mai la carità non potrebbe essere oculata? I protestanti, per esempio, sembrano più propensi a privilegiare i poveri meritevoli di aiuto, forse dobbiamo imparare qualcosa da loro.
Mi sembra che il buon senso avvalli questo approccio.
Se un amico chiede il vostro aiuto penso sia naturale domandare: “perché hai bisogno di me?”. In questi casi, inutile far finta di niente, alcune risposte sono meglio di altre. Se per esempio l’ amico vi chiede di pagargli la cena potrebbe giustificarsi dicendo “sono al verde”, oppure “ho speso tutto nei giri di birra”. La prima risposta suona decisamente migliore. Se la vostra fidanzata non vi fa gli auguri e latita al vostro compleanno dire “avevo auto e telefono scassati” è meglio che dire “me lo sono dimenticato”. Se un collega stacca prima la sera chiedendo di coprirlo dire “ho l’ influenza” ha più chances che dire “devo assolutamente provare un nuovo videogioco”.
La differenza è chiara: nel primo caso l’ amico ha fatto di tutto per evitare l’ ingiunzione. Perché mai spendere tutto in birre quando si sa che si deve cenare? Perché mai non segnarsi sul calendario il giorno del compleanno? Perché mai non rinviare di qualche ora la prova del nuovissimo videogioco? Ammetto che farlo non è piacevole ma non è nemmeno impossibile.
Propongo di utilizzare il medesimo standard per distinguere i poveri meritevoli dai non meritevoli. I poveri meritevoli sarebbero allora coloro che hanno fatto le mosse adeguate per scampare alla loro triste condizione. Mosse adeguate del tipo: lavorare a tempo pieno accettando qualsiasi lavoro anche se sgradevole; spendere il proprio denaro per cibo, casa, famiglia e vestiti prima che per sigarette, telefonino e macchinette mangia soldi; tenere sotto controllo la propria vita sessuale quando è chiaro che non ci si puo’ permettere un figlio. Eccetera.
Perché mai dovrei accettare da uno sconosciuto delle scuse che non accetterei nemmeno da un amico?
Forse la cosa suona un po’ dura ma applicando questi criteri scopriamo una massa di poveri meritevoli che forse proprio il rifiuto a discriminare manteneva nell’ ombra. I lavoratori non specializzati del terzo mondo, per esempio, gli handicappati, i figli dei poveri non meritevoli. Eccetera.
D’ altro canto molta gente bisognosa ci appare ora, sempre secondo i criteri di cui sopra, poco meritevole di aiuto. Un adulto in salute che vive nei paesi avanzati non potrà mai essere considerato un soggetto da premiare. Ma vado oltre, poiché tutti sono stati “adulti in salute in una società ricca”, anche gli anziani poveri avrebbero potuto risparmiare di più così come i malati avrebbero potuto assicurarsi.
Di fronte a situazioni in cui direste a un amico o a un parente “te la sei cercata, adesso arrangiati” è ben difficile imporre come dovuto un aiuto verso perfetti sconosciuti.
Da queste brevi considerazioni iniziali emerge già una policy chiara: meno welfare e meno limiti all’ immigrazione. La libera immigrazione, infatti, sembra essere di gran lunga il mezzo più efficiente per mitigare la povertà nei paesi del terzo mondo.
Purtroppo le priorità delle nostre democrazie sembrano rovesciate, il welfare (distorto) impazza e l’ immigrato che lavora sodo è malvisto. Il politico navigato sa di guadagnare voti sia promettendo l’ aiutino a questa o quella categoria, sia rendendo la vita dura ai poveri meritevoli che si affollano “minacciosi” ai nostri confini.
Naturalmente quanto detto non ha ricadute solo sulle politiche governative ma anche sulla politica degli enti benefici e della filantropia.
Per isolare i poveri meritevoli bisogna però risolvere altri problemi imbarazzanti, cerco di spiegarmi con un esempio. Prendiamo una causa canonica di povertà: la mancanza di lavoro. Capisco che sia politicamente scorretto ma occorre accertare se si tratta di sventura o di pigrizia. In fondo essere senza lavoro è un po’ come essere senza fidanzata: se ti accontenti trovi, magari la trovi brutta, magari lo trovi in nero ma trovi.
Siamo al punto decisivo poiché questo dubbio torna anche per altri fattori. Prendiamo l’ alcolismo: l’ alcolismo è causa di povertà o è piuttosto la povertà che ti porta a bere?
Lo stesso enigma si pone per comportamenti quali l’ uso di droghe, il mettere al mondo bambini a sproposito, il restare single, il dedicarsi a crimini non remunerativi (guidare ubriachi, fare risse)… tutti comportamenti che tra i poveri abbondano divenendo patologie.
Cominciamo col chiederci perché mai un povero dovrebbe bere o drogarsi più di un ricco. Secondo logica l’ abuso di sostanze dovrebbe aumentare con il reddito, si tratta di vizi costosi in tutti i sensi, un ricco magari puo’ anche permetterseli ma un povero proprio no. Essere poveri è un ottimo motivo per lavorare duro, non bere, non drogarsi, sposarsi e controllare le nascite senza procreare a vanvera.
C’ è chi osserva che si tratta di mere consolazioni con cui il povero si trastulla. In questo senso i poveri sarebbero razionali: in mancanza di meglio facciamoci un goccio.
Ma questa spiegazione ha un inconveniente: in ultima analisi drogarsi peggiora la tua vita, anche quella già brutta del povero. Se costui fosse davvero un soggetto razionale se ne accorgerebbe prendendo le contromisure del caso. Essere poveri non è un buon motivo per drogarsi, di conseguenza tirare in ballo il refrain della “consolazione” è pretestuoso.
Fortunatamente è la scienza ad aiutarci nel risistemare i nessi di causalità, ci sono alcuni fattori caratteriali che sembrano la fonte sia delle patologie descritte che della povertà. Scarsa intelligenza, irrazionalità, mancanza di self control, bassa scrupolosità, bassa capacità di concentrazione, poca pazienza e via di questo passo. L’ alcolista non sa dominarsi quando ha la bottiglia sotto mano ma il suo self control è scarso in generale.
Qui non si tratta di “accusare le vittime” ma di mettere in dubbio lo status di molte presunte vittime. Vorrei comunque mitigare le accuse aggiungendo un altro paio di ragioni, la personalità del soggetto non è infatti l’ unica causa da tirare in ballo.
Anche la generosità dei nostri welfare incentiva comportamenti patologici. Peggiorare la propria condizione esplicita una richiesta. Comportarsi male in certi frangenti è il miglior modo per garantirsi senza contropartita l’ aiuto dello Stato.
Anche il numero cospicuo di chi non distingue tra poveri meritevoli e poveri non meritevoli produce incentivi distorti. Comportarsi male in certi frangenti è il miglior modo per garantirsi senza contropartita l’ aiuto di chi ci sta intorno.
Infine accennerei all’ abbassamento di taluni standard morali. Dal moralismo siamo passati al “trendismo” senza accorgerci degli inconvenienti prodotti dall’ effetto gregge: se un’ ereditiera come Paris Hilton si trascina sbevazzando pigramente da un party all’ altro poco male, anzi, in fondo si diverte, mica scema (sembra dire una vox populi riammodernata)! ma se lo stesso vizietto lo contrae la madre di sei bambini che vive nel sobborgo le cose cambiano. Se l’ attrice di Hollywood si sposa otto volte e disfa otto famiglie poco male, si vede che non andavano d’ accordo (sembra dire una vox populi riammodernata)! ma se la stessa cosa la fa chi vive con i sussidi comunali ecco che gli orfanatrofi si riempiono e le coltellate domestiche volano.
Non voglio trasformarmi in moralista, non sto dicendo che certi comportamenti siano cattivi in sé. Non sto nemmeno dicendo che certi comportamenti siano cattivi per me. Sto solo dicendo che certi comportamenti sono causa di povertà e che in alcuni casi è lecito limitarsi a urlare: “smettetela di comportarvi male!”. Dopodiché ci si gira dall’ altra parte alla ricerca di un povero meritevole di soccorso.
So di aver scritto cose che qualcuno giudicherà odiose ma a costui vorrei chiedere: perché sei tanto mite verso chi adotta stili di vita irresponsabili mentre tuoni verso chi rifiuta loro un aiuto? Non è forse un’ etica perversa la tua? Se proprio si vuol condannare qualcuno lo si faccia in primo luogo con chi adotta comportamenti sbagliati e, al limite, solo dopo e in maniera più soft con chi tentenna nel concedere il suo aiuto a gente di tal fatta.
P.S. Ci sono posizioni forti e alternative a quella presentata?
Bè, sì. Anche se a me non convincono del tutto direi che ci sono eccome.
1. Il determinismo innanzitutto: uno è quello che è e non ci puo’ fare nulla. Parlare di meriti e colpe è un nonsense.
2. Aiutare è bello, lo si fa innanzitutto per sé e non per gli altri. In questo senso gli altri ci sono indifferenti e discriminarli un nonsense.
3. Vivere in una società meritocratica è troppo stressante.
4. Profezie autorealizzanti: chi ha ricevuto il contrassegno non investirà mai su di sé, oltre alle proprie debolezze dovrebbe vincere anche gli stereotipi.
P.P.S. Il post rappresenta quanto mi è rimasto dentro dopo aver letto e ascoltato un dibattito tra Karl Smith, Charles Murray, Bryan Caplan, Bill Dikens e Tyler Cowen. Rappresenta anche l’ ossatura del mio prossimo intervento alla fraternità ciellina (qualora riceva il placet da Sara. la vedo dura).
P.P.P.S. Il titolo del post si deve ad un evento in qualche modo per me traumatico: la freddezza e gli aspri commenti di mia mamma verso la figura di Umberto D. Quella volta riuscì proprio a far scappare la poesia da uno dei miei film preferiti. Forse la donna di una certa età non ama l’ uomo accattone e lo esorcizza inconsapevolmente.