mercoledì 16 ottobre 2019

MERITEVOLI CONTRO LA MERITOCRAZIA

MERITEVOLI CONTRO LA MERITOCRAZIA
La meritocrazia è sotto attacco. Da parte di chi? Innanzitutto dei meritevoli, nota l'articolo. Perché?
Calma, prima l'elenchino dei libri di riferimento per far capire che non parliamo del nulla. Ecco gli ultimi arrivati in libreria:
Chris Hayes: "Twilight of the Elites"
Lani Guinier: "The Tyranny of the Meritocracy".
Robert Frank: "Success and Luck"
Michael Sandel: "The Tyranny of Merit".
Daniel Markovits: "The Meritocracy Trap".
Bastano? Siete convinti che il fenomeno esista? Che non sia inventato?
Adesso, nel tentativo di capire, facciamo un passo indietro. La meritocrazia nasce col secondo fine mai molto nascosto di sgranchire l'anchilosato ascensore sociale, benché a distanza di sessant'anni dalla sua ideazione formale (Michael Young - 1958) l'abbia di fatto bloccato. Dopo un primo aggiustamento che ha fatto ben sperare, le cose si sono assestate, si è scoperto cioè che i più facoltosi erano anche i più meritevoli e ciò li rendeva ancora più ricchi e segregati dagli altri. Quasi come se la l'attitudine a primeggiare fosse ereditaria (ma va'?). Oggi queste superstar lavorano 60 ore la settimana, pagano gran parte del gettito fiscale che incamera lo stato, sono ribattezzate 1% e se ieri il rischio era che sfruttassero troppo i lavoratori oggi è che sfruttino troppo se stessi.
Che fare per chiudere lo scandaloso gap?
Non c'è soluzione visto che anche i più ardenti critici della meritocrazia quando hanno l'infarto si tradiscono andando in cerca di un cardiologo capace. A volta addirittura del migliore!
L'unico palliativo è chiedere scusa. Scusa per i propri meriti e il conseguente mega-patrimonio accumulato. Chiedere scusa enfatizzando magari che la competenza non significa saggezza o probità (ci mancherebbe). Sarà dovuta a questa strategia disperata la recente pioggia di libri contro la meritocrazia scritti dai pupilli di Harvard, Yale, Princeton, Stanford e Cambridge.
Fusaro la chiamerebbe "coscienza infelice", citando lo Hegel. O lo Gramsci? Boh, o uno o l'altro, non si scappa.
P.S. L'alternativa è prendere esempio dalla politica, dove il merito è secondario e ci si diverte come pazzi. Lì gli outsider abbondano e l'imprevedibilità è sempre dietro l'angolo. Può persino capitare che un comico qualsiasi stordito dalla sua stessa logorrea fondi un partito grazie a una srl e vada dritto al governo senza ancora avere capito bene cosa vuole fare (oltre a mandare aff... questo e quello). Siamo allora così sicuri che un po' di colorata follia farebbe così male al grigio mondo del business e dell'accademia? Mmmm... sì, direi di sì. Pensandoci meglio direi che farebbe molto male in qualsiasi contesto.
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CITY-JOURNAL.ORG
A Yale law professor’s attempts to understand American success float away into grand theory and intellectual overreach.

LA PSICO-SOCIOLOGIA D CHARLES MURRAY

LA PSICO-SOCIOLOGIA D CHARLES MURRAY
In questo libro la espone in quattro punti.
1) Il carattere debole delle persone le induce in errore.
2) I poveri sono particolarmente impulsivi: bevono, giocano, divorziano, hanno figli illegittimi, si drogano... E si rovinano.
3) Fino agli anni sessanta lo stigma sociale era uno strumento efficace per porre un freno a questi impulsi distruttivi. Esempio, una ragazza avrebbe avuto volentieri rapporti prematrimoniali col rischio di restare incinta fuori dal matrimonio, ma sapeva che sarebbe stato un suicidio sociale. Anche per questo si tratteneva.
4) Dagli anni sessanta lo stigma sociale si è indebolito. La cosa ha lasciato indifferente chi poteva contare su una buona dose di autocontrollo ma ha danneggiato chi invece aveva tare caratteriali. Questi ultimi hanno perso contatto dal gruppone.
Lo schemino gira, non c'è che dire, ogni singolo punto sembra solido. Tuttavia, non sorprende constatare che non piace. Nessuno vuole tornare agli anni '50 così come nessuno vuole "incolpare le vittime".
L' opposizione più argomentata alla psico-sociologia di Murray è portata da Sendhil Mullainathan. Nel libro che linko nei commenti il nesso di Murray viene rovesciato: è la povertà che stressa e indebolisce i caratteri. A spanne non trovo molto convincente questa replica, i "più poveri" tra noi sono gli immigrati e non mi sembra che abbiano un carattere particolarmente deficitario.
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Coming Apart - an acclaimed bestseller that explains why white America has become fractured and divided in education and class.In Coming Apart, Charles Murray explores the formation of American classes that are different in kind from anything we have ever known, focusing on whites as a way o...
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FEDE

LA FEDE
Il problema che si pone la Grace sarebbe questo: meglio avere idee chiare o accurate?
Do' per scontato che la prima opzione equivalga ad una scelta di fede, la seconda ad una scelta per il dubbio sistematico e la complessità (sinonimo di confusione).
Sembrano sottili speculazioni ma si trasformano spesso in dubbi esistenziali. Faccio il caso di mio cugino: crede alla divinità di Gesù con probabilitá intorno al 15-20%, una quota sufficiente alla scommessa pascaliana. Tuttavia, una volta appurato questo si chiede se sia chiamato a credere pienamente o a conservare quella pseudo-fede del 20% che non saprebbe nemmeno come praticare. Insomma, meglio essere chiari o accurati?
I PRO della chiarezza: 1) le idee chiare puoi cambiarle. Ovvero, hai una base solida da cui partire per la tua indagine. 2) Le idee chiare facilitano l'azione. 3) Le idee chiare facilitano il dibattito poiché gettano luce anche sulle idee alternative 4) Le idee chiare ti rendono più appagato, la confusione ti rende inquieto. 5) Il nostro cervello non sa maneggiare le probabilità. Dire che A è probabile al 51% e B al 49% significa ficcarsi nella palude, equivale a un "boh".
I CONTRO delle idee chiare: 1) ti fanno perdere il contatto con la realtà (e ti fanno litigare).
C'è un modo per godere dei PRO eludendo i CONTRO? La soluzione ortodossa consiste nel vivere dissociati: il mio primo "io" crede, il secondo "io" conosce. Mentre vivo credo, la sera mi faccio l'esame di coscienza e metto tutti i puntini sulle i che voglio. Nonostante la dissociazione della personalità sia una pratica comune con cui risolviamo parecchi dei nostri problemi, non mi sembra soddisfacente in questo caso. Quando e come passare da una personalità all'altra? E poi esiste veramente una distinzione tra il credere e il conoscere? Il conoscere è un credere giustificato ma le giustificazioni implicano a loro volta un credere.
Qui la Grace presenta la sua proposta "convenzionalista". Ci invita a non dire "io credo che..." o "io so che...", quanto piuttosto "io considero che...". In questo modo espliciti con chiarezza il tuo atteggiamento verso le cose, la tua policy, la tua scelta di fondo, la tua priorità, la tua scommessa, e nello stesso tempo tieni tutto ciò distinto dalle tue credenze intime che saranno necessariamente complicate e probabilistiche.
Non idee chiare ma atteggiamenti chiari. I secondi sono un buon sostituto delle prime. Non so se ho capito bene il pensiero della Grace, è così asciutta nell'esposizione. Spero ci torni sopra quanto prima.
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I. The question of confidence Should one hold strong opinions? Some say yes. Some say that while it’s hard to tell, it tentatively seems pretty bad (probably). There are many pragmatically great up…

martedì 15 ottobre 2019

LA MALAPIANTA FASCISTA

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LA MALAPIANTA FASCISTA
Il libro indaga le origini dello stato nella società umana, siamo in Mesopotamia 6000 anni prima di Cristo (circa).
Lo stato nasce come “bandito stanziale”, un mix tra la banda schiavista e la cosca mafiosa.
Ma nell'epoca caotica del nomadismo era difficile procurarsi delle vittime su cui praticare l’estorsione, la facilità di evadere le imposte salvaguardava la libertà dei cacciatori/raccoglitori.
Lo stato ha bisogno di ordine, di trasparenza, di leggibilità, di razionalizzazione: il suo banditismo è di tipo cartesiano. Deve schedare, stimare, classificare, processare. Sarà l'avvento della coltivazione su larga scala del grano presso i Sumeri ad arginare il caos e garantire trasparenza. Con il grano l'evasione delle imposte divenne sempre più difficile.
Il grano è visibile. Cresce sopra la terra, non puoi occultarlo, non puoi negare o minimizzare suo possesso.
Il grano matura a scadenze fisse e note. Se l'esattore viene a visitarti ad una certa data lo troverà, non puoi farla franca mietendo prima, non sarebbe maturo e tu saresti la prima vittima del tuo atto sciagurato.
Il grano è valutabile. Conoscendo la qualità della tua terra e le tecniche di coltivazione so quanto grano puoi produrre. Potrei tassarti anche in anticipo sulla maturazione del prodotto finito.
Il grano è facilmente trasportabile. Posso portarmelo via quando voglio e come voglio.
Il grano si presta alla cultura intensiva. Puoi ammassare nelle pianure una quantità di servi e di schiavi e farla lavorare con un'alta produttività.
In breve tempo il grano e le pianure partorirono lo stato: sudditi servi che pagano le tasse in grano, esattori che riscuotono le tasse in grano, scribi che contabilizzano il grano, nobili che campano del grano altrui e sacerdoti che benedicono il grano.
Ma gli schiavi e i servi non bastavano mai, morivano come mosche, la loro dieta era squilibrata, il lavoro massacrante, i corpi malaticci. Per questo lo stato delle origini, oltre che mafioso e schiavista, fu anche guerrafondaio. La guerra serviva a procurarsi sempre nuovi schiavi, le conquiste territoriali erano secondarie.
Lo stato delle origini (sumeri, assiri, babilonesi, egizi...) non è stabile. Va e viene. Si forma e collassa per poi riformarsi ancora, ci si disperde su colline e paludi per poi concentrarsi di nuovo in pianura. Anche questa sua caratteristica è facile da intuire: la massa dei forzati appena può scappa dalle pianure per tornare alla vita imboscata e felice del nomadismo, una vita con diete più equilibrate, con tempo libero in abbondanza e corpi più temprati. Questo almeno finché un nuovo sovrano non ricomincia con le retate e le concentrazioni di lavoro forzato nei campi dell'odiata pianta fascista.

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Against the Grain: A Deep History of the Earliest States

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QUELLO BUONO


Ha inventato il totalitarismo, lo stato terroristico e l'idea di partito unico. Ha anche inventato uno stile di pensiero che dura tutt'ora.

Il suo punto centrale è che solo poche persone capiscono quel che succede. Questa era l'intuizione chiave del suo tratto Che Fare? Nel suo stile di pensiero ci sarà sempre uno iato tra chi capisce veramente e gli "innocenti".

NEWCRITERION.COM
Gary Saul Morson on the practice behind the theory of Marxism-Leninism.