venerdì 26 settembre 2008

Uomini senza il giorno prima

L' evoluzione semantica sforna sempre nuovi significati, ma ancora più spesso trasla i vecchi da un termine desueto ad un altro. Il primo rinsecchisce cedendo le sue linfe al secondo. La secolarizzazione, lungi dall' aver eclissato il linguaggio religioso, ha operato però profondi camuffamenti; ripercorrere il tragitto in senso inverso puo' essere interessante. La lettura di Carl Schmitt illumina sui retaggi della retorica politica e sui debiti evidenti nei confronti della teologia. Ma anche il linguaggio ordinario non delude l' archeologo degli idiomi.

Ho sempre notato come la gente trovi sconveniente il termine "anima". A volte lo sostituisce con la parola "vita" ma le insufficienze sono palesi. Molto meglio, mi dicevo, "memoria". L' anima, d' altronde, è cio' che regala unità (concetto ascientifico) e consente al soggetto di nascere. Io sono quello che ero ieri, sono responsabile anche di quello che ho fatto ieri. Me lo assicura l' anima, e poichè questa parola ci brucia sulla bocca, possiamo allora sostituirla con "memoria": me lo assicura la "memoria". Il cambio funziona abbastanza bene.

Così, stando a quanto racconta in un suo libro, la pensava pure Oliver Sacks, specie dopo un incontro fugace con Jimmie G., un malato affetto da una forma esacerbata di sindrome di Korsakov. La memoria di Jimmie non oltrepassava il quarto d' ora. Jimmie era un' anima perduta impossibilitata a stabilire una continuità con le sue radici.

"Cos' è la vita senza collegmaneti", dice il grande Hume, "... altro non saremmo che un fascio, un accumulo indifferenziato di sensazioni diverse". Veniva istintivo parlare di Jimmie come dell' uomo humeano perfetto, come dell' uomo dall' "anima perduta".

Ma bastò confrontarsi con chi conosceva meglio Jimmie per capire che le cose stavano ben altrimenti, che qualcosa di fondamentale eccedeva la semplice equazione Anima-Memoria. "Pensate che ce l' abbia un' anima?", le infermiere che seguivano l' infermo con costanza, rimasero indignate a questa domanda impertinente del celebre neurologo e lo invitarono a giudicare egli stesso osservando Jimmie nella Cappella dell' Ospedale.

Le pagine successive raccontano la commozione di Sacks mentre dal buco della serratura spiava l' intensità e l' attenzione con cui Jimmie si raccoglieva in preghiera. La fruttuosa concentrazione con cui, in ginocchio, riceveva l' Ostia consacrata. Era evidente che Jimmie, pur non ricordando niente di quanto accaduto un quarto d' ora prima, conservava una sua memoria "interiore" che difficilmente saprei spiegare cosa sia, anche perchè non l' ho mica capito mica tanto bene. Sacks la chiama "memoria bergsoniana": "... cio' che era fugace, non trattenibile come struttura formale, era perfettamente stabile, perfettamente trattenuto come arte e volontà...".