Settimana scorsa ha aperto le danze l' Isola dei Famosi, e altri ne verranno ad intasare la stagione...
Ma c' è solo l' audience a difendere l' insistenza con cui i reality vengono riproposti ormai da diversi anni? E' quello l' unico scudo da opporre alla critica insistente di guardonismo? Naturalmente no, c' è anche il solito Steve Johnson!
In passato, partecipando al forum di fahre, io stesso tentai una pasticciata difesa dei reality, mi conforta rivedere quelle idee integrate, ordinate e esposte con competenza.
In effetti, quando il genere era in piena emersione devo ammettere di aver contribuito a rinfoltire la platea, parlo in particolare delle prime edizioni del Grande Fratello a cui aggiungo qualcosa dell' Isola. Ora ammetto di essermi abbastanza stufato.
Una volta tanto, quindi, anch' io posso parlare per esperienza: molti credono che il pubblico si accalchi davanti ad un reality perchè ama lo spettacolo pruriginoso di altre persone che vengono umiliate alla TV. Sebbene a volte tutto cio' sia vero, la cosa riguarda lo spettatore occasionale ed è fuori strada chi si ferma qui, il richiamo reale è molto più sofisticato.
Innanzitutto allo spettatore interessa chi vince e come vince. Il reality assomiglia più allo sport o ai videogame che al documentario, su questo SJ dice parole definitive. Chi gareggia conosce sul campo i suoi avversarri, li scopre man mano e gradualmente appronta e corregge le sue tattiche. L' imprevisto regna, le regole mutano. Tutto cio' ricorda il videogioco molto più dei programmi di Mike dove le regole invece sono chiare e fisse fin da principio.
Il piacere non perviene dallo spiare l' intimità di qualcuno (la noia irromperebbe subito), deriva piuttosto dal constatare come si orienta un essere umano posto in un ambiente complesso - ovvero con il gomito di parecchi suoi simili infilato nei fianchi - un ambiente in cui non esistono strategie pre-stabilite da seguire.
I partecipanti sono impegnati in un corpo a corpo con i compagni e l' impegno stuzzica di continuo la loro "intelligenza sociale". Con la fortuna, è questo genere di intelligenza che conduce alla vittoria; non basta o non è necessario padroneggiare particolari competenze.
Il cognitivista SJ conosce bene quest' arma vincente, a noi profani ce la presenta come: "l' intelligenza del microsecondo". Consiste nel modulare con prontezza il proprio comportamento sulla base di un' occhiata rilevatrice ricevuta da Z, di una ruga incredula che compare sulla fronte di X, del cipiglio rapidamente cancellatosi dal volto di Y. In società, è noto, ci esprimiamo prevalentemente con i linguaggi non verbali dell' espressione facciale, è un codice che ha i suoi analfabeti e i suoi virtuosi e spesso le graduatorie non rispecchiano affatto quelle stilate avendo come punto di riferimento la parola neutra.
Ebbene, il reality è una selva di segni emotivi che il concorrente è chiamato ad attraversare tra i commenti dello spettatore che si mette nei suoi panni e fa le sue congetture confrontandole con chi sta attorno a lui. Un reality è una vera palestra per l' intelligenza emotiva. Una palestra molto più attrezzata di Canzonissima, o di Fantastico 3, o di Pronto Raffaella, o di Tin Tin Tin - sì, perchè, vista la platea, è con questi programmi che il confronto va fatto per convalidare la Curva del Dormiglione, ovvero la tesi per cui i nostri intrattenimento sono sempre più sofisticati.
SJ raffina queste idee e le infarcisce con esempi concreti, non affronta nemmeno l' obiezione che molti muovono: ma è tutto falso! Anch' io, da spettatore penso abbastanza smaliziato, sono portato a ridimensionare questo argomento che altrimenti sarebbe fatale. Nei concorrenti la componente emotiva certificata prevale, per quanto siano consapevoli di dove si trovino e perchè. In loro la quantità di "autentico" è più che sufficiente per consentire al gioco di girare. Al punto che la cosa più irritante è proprio il collegamento tra il campo di gare e lo Studio, un momento in cui si tocca con mano il contrasto tra luci della ribalta e polveri della strada. Ricordo momenti di TV memorabili in cui da studio si cercava di pompare la souspence per l' annuncio di una "eliminazione", mentre dalla "casa" arrivavano continuamente involontari segnali sabotatori e anti-climax poichè i concorrenti "scazzatissimi" ridacchiavano già conoscendo l' esito della faccenda.
Ho provato forti repulsioni per lo "studio", non c' è presentatrice del GF che io a fine stagione non sia arrivato ad odiare, quell' artefatto "ragazziiii!!!" mi procura ancora emicranie esplosive e rabbie incontrollate, probabilmente questa idiosincrasia ha contribuito ad allontanarmi. Cio' non mi impedisce di pronunciare il mio "grazie" al pizzaiolo Salvo così come in passato lo rivolsi ad Hanna e Barbera.
Ma c' è solo l' audience a difendere l' insistenza con cui i reality vengono riproposti ormai da diversi anni? E' quello l' unico scudo da opporre alla critica insistente di guardonismo? Naturalmente no, c' è anche il solito Steve Johnson!
In passato, partecipando al forum di fahre, io stesso tentai una pasticciata difesa dei reality, mi conforta rivedere quelle idee integrate, ordinate e esposte con competenza.
In effetti, quando il genere era in piena emersione devo ammettere di aver contribuito a rinfoltire la platea, parlo in particolare delle prime edizioni del Grande Fratello a cui aggiungo qualcosa dell' Isola. Ora ammetto di essermi abbastanza stufato.
Una volta tanto, quindi, anch' io posso parlare per esperienza: molti credono che il pubblico si accalchi davanti ad un reality perchè ama lo spettacolo pruriginoso di altre persone che vengono umiliate alla TV. Sebbene a volte tutto cio' sia vero, la cosa riguarda lo spettatore occasionale ed è fuori strada chi si ferma qui, il richiamo reale è molto più sofisticato.
Innanzitutto allo spettatore interessa chi vince e come vince. Il reality assomiglia più allo sport o ai videogame che al documentario, su questo SJ dice parole definitive. Chi gareggia conosce sul campo i suoi avversarri, li scopre man mano e gradualmente appronta e corregge le sue tattiche. L' imprevisto regna, le regole mutano. Tutto cio' ricorda il videogioco molto più dei programmi di Mike dove le regole invece sono chiare e fisse fin da principio.
Il piacere non perviene dallo spiare l' intimità di qualcuno (la noia irromperebbe subito), deriva piuttosto dal constatare come si orienta un essere umano posto in un ambiente complesso - ovvero con il gomito di parecchi suoi simili infilato nei fianchi - un ambiente in cui non esistono strategie pre-stabilite da seguire.
I partecipanti sono impegnati in un corpo a corpo con i compagni e l' impegno stuzzica di continuo la loro "intelligenza sociale". Con la fortuna, è questo genere di intelligenza che conduce alla vittoria; non basta o non è necessario padroneggiare particolari competenze.
Il cognitivista SJ conosce bene quest' arma vincente, a noi profani ce la presenta come: "l' intelligenza del microsecondo". Consiste nel modulare con prontezza il proprio comportamento sulla base di un' occhiata rilevatrice ricevuta da Z, di una ruga incredula che compare sulla fronte di X, del cipiglio rapidamente cancellatosi dal volto di Y. In società, è noto, ci esprimiamo prevalentemente con i linguaggi non verbali dell' espressione facciale, è un codice che ha i suoi analfabeti e i suoi virtuosi e spesso le graduatorie non rispecchiano affatto quelle stilate avendo come punto di riferimento la parola neutra.
Ebbene, il reality è una selva di segni emotivi che il concorrente è chiamato ad attraversare tra i commenti dello spettatore che si mette nei suoi panni e fa le sue congetture confrontandole con chi sta attorno a lui. Un reality è una vera palestra per l' intelligenza emotiva. Una palestra molto più attrezzata di Canzonissima, o di Fantastico 3, o di Pronto Raffaella, o di Tin Tin Tin - sì, perchè, vista la platea, è con questi programmi che il confronto va fatto per convalidare la Curva del Dormiglione, ovvero la tesi per cui i nostri intrattenimento sono sempre più sofisticati.
SJ raffina queste idee e le infarcisce con esempi concreti, non affronta nemmeno l' obiezione che molti muovono: ma è tutto falso! Anch' io, da spettatore penso abbastanza smaliziato, sono portato a ridimensionare questo argomento che altrimenti sarebbe fatale. Nei concorrenti la componente emotiva certificata prevale, per quanto siano consapevoli di dove si trovino e perchè. In loro la quantità di "autentico" è più che sufficiente per consentire al gioco di girare. Al punto che la cosa più irritante è proprio il collegamento tra il campo di gare e lo Studio, un momento in cui si tocca con mano il contrasto tra luci della ribalta e polveri della strada. Ricordo momenti di TV memorabili in cui da studio si cercava di pompare la souspence per l' annuncio di una "eliminazione", mentre dalla "casa" arrivavano continuamente involontari segnali sabotatori e anti-climax poichè i concorrenti "scazzatissimi" ridacchiavano già conoscendo l' esito della faccenda.
Ho provato forti repulsioni per lo "studio", non c' è presentatrice del GF che io a fine stagione non sia arrivato ad odiare, quell' artefatto "ragazziiii!!!" mi procura ancora emicranie esplosive e rabbie incontrollate, probabilmente questa idiosincrasia ha contribuito ad allontanarmi. Cio' non mi impedisce di pronunciare il mio "grazie" al pizzaiolo Salvo così come in passato lo rivolsi ad Hanna e Barbera.