venerdì 12 agosto 2011

Libertarianism A-Z: reddito minimo nit negativ income tax

La negative income tax (reddito minimo) potrebbe rimpiazzare una miriade di programmi governativi anti- povertà che alimentano confusione e distorsioni.

La NIT non è perfetta: genera disincentivi al lavoro. Ma questo è un male minore se raffrontato ai disincentivi delle alternative.

La NIT ha però il pregio della chiarezza e puo’ essere implementata da pochi burocrati, anzi, è un automatismo. Limita le controversie politiche (chi è il vero povero?) e le distorsioni di mercato tipiche degli aiuti "in-kind" così come pure la corruzione.

giovedì 11 agosto 2011

Libertarianism A-Z: deficit debito pubblico

Il deficit e il debito non sono un male in sé, dipende come queste risorse vengono spese.

Siccome una spesa pubblica che supera il 15% è inefficiente, allora ripianare debito e deficit puo’ trasformarsi in un affare, purché si agisca esclusivamente sul lato della spesa.

I deficit da politiche di stabilizzazioni non sembrano essere giustificati vista la scarsa consistenza delle teorie sul moltiplicatore keynesiano. Se stabilizzazione deve esserci, che venga dalla politica monetaria.

Libertarianism A-Z: patrimoniale

La tassa di successione tassa cio’ che è già stato tassato.

Inoltre penalizza risparmi e investimento.

Il capitale prende il volo facilmente, sarà per questo che tasse del genere raggranellano ben poco.

Per una politica egalitaria non sembra poi così necessaria: la Svezia, per esempio, non ha nulla del genere.

venerdì 5 agosto 2011

Oltre il giardino

Lorenzo Duran giardinieri perdigiorno

 

Mud Maiden

Vite brevi circondate dal sonno

William Shakespeare – La tempesta
Riuscite a ricordare senza sbadigli il “metateatro” e la “metaletteratura”?
Quelle cose noiose e cerebrali che ci sono state inflitte per decenni da molti scrittori anche grandi – Pirandello e Calvino, tanto per citare due giganti.
Il Teatro e il Romanzo che parlano di se stessi, che svelano la loro genesi e il loro meccanismo.
L’ uomo moderno è in crisi, non ha più esperienze da raccontare perché le uniche esperienze sono quelle della sua intelligenza enciclopedica.
Ricordate poi il fantasy? Forse intorno ai dieci anni, non oltre, vi siete imbattuti nel genere, un genere che produce libri giganteschi tra il puerile e il truculento, libri su cui in molti si sono annoiati per ore, nonché affaticati nel tentativo eroico di scovare qualche pagina un po’ meno sciatta della media.
Peggio di quei libri ci sono solo i film covati da quelle storie, con tutto il ponderoso carico di effetti speciali che si trascinano dietro nel tentativo di giustificare la loro esistenza. Tanto fracasso fosforescente per produrre spaventi gratuiti alternati ad abbiocchi legittimi.
Ebbene, se il “metateatro” e il “fantasy” non sono nelle vostre corde state alla larga da “La Tempesta”, in caso contrario anche il monumento di Shakespeare potrebbe vacillare.
La finzione qui è esplicita, la teatralità ostentata, il manierismo galoppante. Arte e menzogna si intrecciano, le incongruenze si affollano senza che per il lettore abbia senso perdere tempo con mozioni d’ ordine.
A quel tempo i testi venivano essenzialmente concepiti come copioni da rappresentare, non come opere letterarie. E si vede!
Ogni tanto spunta un monologo fiammeggiante che s’ imprime nella memoria facendo dimenticare la paccottiglia che lo circonda.
Il demiurgo Prospero, grazie ai suoi libri, produce un big bang da cui si dipartono sentieri diritti e tortuosi. Alcuni arrivano in nessun luogo, altri si disperdono nel nulla.
Non capita mai niente, siamo alla corte di un grande illusionista, niente viene fatto sul serio, ci si limita ad inscenarlo; c’ è una vendetta da compiere ma subito vi si rinuncia in nome di non si sa cosa, le situazioni sono falsate, i sentimenti posticci. In più capiamo tutto fin da subito e la beffa non puo’ mai esplodere; gli effetti sorpresa risultano continuamente bruciati. A godere sembra essere solo il manovratore/regista che gioca senza limiti con la sua bacchetta magica, è lui l’ unico appagato.
Prospero, per i suoi continui dietrofront, viene considerato da alcuni commentatori alla stregua di una maschera amletica, ma i suoi cambi di rotta sono scevri da quel senso di stanchezza e di spaesamento che porta il personaggio a ripiegarsi su se stesso, a costruire nella sua fantasia un rifugio assediato da temibili responsabilità.
Qui niente di tutto cio’: Prospero è un Amleto “risolto”.
Ogni soluzione ha il difetto di allentare il morso del reale, consente il titillamento prolungato in una fantasia gratuita. Nei fantasy non c’ è dramma e senza dramma o si ride in modo volgare o si ammirano noiose allegorie.
La prima via, quella del crasso riso è tentata da Calibano. Mi sento di salvare solo questa presenza, l’ unica con una corporeità in grado di offrire resistenze a quel vapore (stuff of dreams) ammorbante.
Michael Guppy
Le pedanti allegorie appaiono bislacche, senza capo né coda. Ma forse siamo noi ad esserci distratti. Come in sogno non c’ una chiara distinzione tra cio’ che è esteriore e cio’ che è interiore.
Alla fine il cerchio non quadra, i conti non tornano, non si “esce a riveder le stelle” ma ci si ritrova, dopo questo morbido delirio, ai margini di un oceano soporifero.
E’ una vera fortuna che i classici non siano fatti per piacere ma per soppesarne l’ influsso. Se questo è vero, Shakespeare non deve temere, il vertice del canone occidentale gli spetta di diritto. Anche in fatto di metateatro e fantasy è stato  maestro. Cattivo maestro ma pur sempre maestro.
Ma forse l’ accomodante genio si è solo adeguato alla voga dell’ epoca che richiedeva toni fantastici e fiabeschi. Naturalmente un talento di tale portata non ce lo si puo’ dimenticare per strada e finisce inevitabilmente in tutto quel che si tocca.
Questa attenzione alla “domanda” me lo rende ancor più simpatico.
D’ altronde, non dimentichiamoci mai chi fu colui che oggi ci appare come un semi-dio: figlio di un ricco borghese (poi travolto da rovesci finanziari) va a Londra per guadagnarsi da vivere, raccoglie con il teatro una giudiziosa fortuna che si guarda bene dal dilapidare, torna a vivere da benestante e rispettabile pensionato al paese d’ origine.
Non proprio genio e sregolatezza.

Perché il nostro linguaggio è vago?

Di questo ostico lavoro accademico mi ha sempre colpito l’ abstract: “Non lo so” .

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giovedì 4 agosto 2011

E il colpevole si dileguò

La riforma della giustizia secondo il neuroscienziato David Eagleman (determinista-ala dura):

“… il punto cruciale è che di fronte ad un crimine non ha più senso chiedersi “quanto conta la biologia e quanto conta la persona?”. questo perché sappiamo che non ha più senso disgiungere la biologia di una persona dalle decisioni che prende. Sono cose inseparabili…

… abbiamo un’ idea della “pena” che si fonda ancora sui concetti di ”intenzione” e “colpevolezza”… ma la moderna comprensione del cervello richiede un cambio di paradigma… il concetto di “colpevolezza” deve essere rimosso dal gergo legale… è un concetto del passato irriconciliabile con la rete genetico/ambientale che disegna i comportamenti umani…”

E’ una vera fortuna avere tra noi gente che parla chiaro. E auguri per il nuovo paradigma.

A proposito, il filosofo Saul Smilansky, senza tanti filosofemi,  ha cominciato a dire che una simile svolta è impossibile. Dietro l’ angolo della “svolta” non ci sono che burroni.

Ma una scappatoia si offre: basta considerare la pena alla stregua di un trattamento sanitario obbligatorio.

Alcuni di noi sono nati del colore sbagliato e dobbiamo ridipingerli.

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Non sarebbe la prima volta, pensiamo all’ inquisizione: si torturava per liberare l’ eretico dai demoni. Ovvero, per curarlo.

Il determinista deve farsi piacere questo paradigma. Cio’ che porta a delinquere è una malattia: la cura per il delinquente effettivo si chiama riabilitazione, quella per il delinquente potenziale si chiama deterrenza.

In questo modo si reintroducono di straforo elementi essenziali per tenere in piedi una società.

Ma affidarsi unicamente alla pura deterrenza (+ riabilitazione) risulta ripugnante al senso comune.

Rothbard sintetizza due classici punti d’ inciampo:

… il criterio della deterrenza implica degli schemi punitivi che la gran parte di noi giudicherebbe grossolani e ripugnanti… Per esempio, in assenza di legislazione molti di noi si asterrebbero spontaneamente dai crimini più orrendi, per esempio l’ omicidio… d’ altro canto potrebbero essere tentati da crimini insignificanti (per esempio il furto di un frutto sulla pianta)… se la funzione della pena si esaurisce nella deterrenza, una punizione più severa è richiesta per quei comportamenti illeciti a cui la gente da poco peso… il furto di una gomma dal tabaccaio da parte di un ragazzino dovrebbe essere punita con la morte… per l’ omicidio basterebbero pochi mesi…

 

… vorrei aggiungere che se la deterrenza fosse il nostro criterio guida sarebbe perfettamente legittimo che l’ autorità giudiziaria condanni chi sa essere innocente previa verifica dell’ esistenza nell’ opinione pubblica di un generalizzato sentimento di colpevolezza… la pubblica esecuzione di un innocente – purché la sua innocenza venga tenuta nascosta – avrebbe un effetto deterrente pari a quella di un colpevole,,, ma questo viola qualsiasi standard di giustizia concepibile…

… il fatto che chiunque consideri le due conclusioni precedenti come grottesche, per quanto soddisfino il criterio di deterrenza, mostra in modo palpabile che la gente è interessata a qualcosa di più che alla deterrenza…

 

L’ equivoco della meritocrazia

Dopo decenni la sinistra ha scoperto la meritocrazia.

Peccato non abbia scoperto il mercato, e c’ è da chiedersi se senza mercato la meritocrazia abbia un senso.

Le “valutazioni ingegneristiche” danno luogo a paradossi spiazzanti: meno ricerca, abbassamento della qualità, conflitti d’ interesse…

mercoledì 3 agosto 2011

Cronisti declamanti

Filippo La Porta – Meno letteratura, per favore! – Bollati Boringhieri
Filippo La Porta alza anche in nostra vece un lamento sacrosanto.
Capita spesso anche a lui: quando legge un giornale, anziché essere messo al corrente della dinamica dei fatti, s’ imbatte puntualmente in giornalisti con l’ ambizione di “raccontare una storia”.
Tutti si immaginano letterati in erba e smaniano per “raccontare una storia”.
Redarguiti rispondono che in caso contrario il messaggio “non passa”, “non buca”.
Eppure, quando votiamo un amministratore cittadino vorremmo tanto sapere se migliorerà l’ illuminazione della nostra via, non desideriamo essere affascinati dalle sue “narrazioni” o essere sbigottiti da metafore particolarmente creative.
Nulla da fare, ormai preda delle muse ecco il nostro Caudillo di provincia circondato da microfoni che si accinge a declamare il suo programma elettorale.
L’ anelito artistico si annida ovunque e dubbi capolavori ci vengono sbattuti in faccia ogni volta che giriamo un angolo o una pagina.
In questo senso la “letteratura” si è presa una beffarda rivincita: impazza sul web, alimenta la chiacchiera e non c’ è disciplina che sia esente da una patina letteraria di dubbio valore.
La conclusione è d’ obbligo:
… vorrei sommessamente chiedere ai miei connazionali: meno letteratura, per favore!…
Lo capisco e sottoscrivo.
Per anni la stampa sportiva, che compulsavo avidamente al bar, è sembrata una tribuna per poeti macilenti alla ricerca estenuata del phatos. In questo senso un mirabile logoteta come Gianni Brera ha fatto parecchi danni.
Volendo fare nomi e cognomi dei maggiori responsabili avanzerei quello di Gianni Mura, senz’ altro un buon rappresentante dell’ insulsa deriva.
Rappresentante ma anche teorizzatore, perché il tutto non avveniva certo in sordina: si intendeva di proposito ricondurre l’ evento sportivo a racconto epico/moralistico.
Detto questo non dimentico che “la palla è rotonda” e che anche il più freddo razionalizzatore, quando riferisce della vicenda umana, si trasforma giocoforza in un raccontatore di fiabe.
Tutti siamo d’ accordo che Ariel Rubinstein sia un genietto dei nostri tempi? E allora lascio che sia lui a esprimere il concetto in modo adamantino:
As economic theorists, we organize our thoughts using what we call models.
The word “model” sounds more scientific than “fable” or “fairy tale” although I do not see much difference between them. The author of a fable draws a parallel to a situation in real life. He has some moral he wishes to impart to the reader. The fable is an imaginary situation that is somewhere between fantasy and reality. Any fable can be dismissed as being unrealistic or simplistic, but this is also the fable’s advantage. Being something between fantasy and reality, a fable is free of extraneous details and annoying diversions. In this unencumbered state, we can clearly discern what cannot always be seen in the real world. On our return to reality, we are in possession of some sound advice or a relevant argument that can be used in the real world. We do exactly the same thing in economic theory. A good model in economic theory, like a good fable, identifies a number of themes and elucidates them We perform thought exercises that are only loosely connected to reality and that have been stripped of most of their real-life characteristics. However, in a good model, as in a good fable, something significant remains.
Like us, the teller of fables confronts the dilemma of absurd conclusions,
because the logic of his story may also lead to absurd conclusions.
Like us, the teller of fables confronts the dilemma of response to evidence. He wants to maintain a connection between his fable and what he observes; there is a fine line between an amusing fantasy and a fable with a message.
Like us, the teller of fables is frustrated by the dilemma of fableless regularity when he realizes that sometimes his fables are not needed to obtain insightful observations.
Like us, the teller of fables confronts the dilemma of relevance. He wants to influence the world, but knows that his fable is only a theoretical argument.
As in the case of fables, absurd conclusions reveal contexts in which the model produces unreasonable results, but this may not necessarily make the model uninteresting.
As in the case of fables, models in economic theory are derived from observations of the real world, but are not meant to be testable.
As in the case of fables, models have limited scope.
As in the case of a good fable, a good model can have an enormous influence on the real world, not by providing advice or by predicting the future, but rather by influencing culture.
Yes, I do think we are simply the tellers of fables, but is that not wonderful.

Meno violenza nel mondo

La lezione di Steven Pinker

martedì 2 agosto 2011

Perché siamo molto più poveri di quel che raccontano le statistiche?

Spesso sento parlare delle inadeguatezze del PIL come misuratore del benessere.

Chi puo’ negare talune insufficienze? Le statistiche spesso mentono, e in questo ambito lo fanno spesso e volentieri.

Nausicaa Distribution

Senonché, chi esprime dubbi in merito si butta successivamente a capofitto in proposte quanto meno dubbie. La radice ideologica di suggeritori tutt’ altro che disinteressati è evidente.

L’ immagine che danno costoro è quella di dottori che, al capezzale di un lebbroso, si consultano su come curare un’ influenzina collaterale e per di più ineliminabile.

A latere dei grossi guai di salute, magari c’ è pure l’ influenzina di cui sopra. La mia impressione è che, comunque, nelle mani di questi dottori sia destinata a degenerare.

Ma oggi il punto non è questo. Oggi vorrei occuparmi invece della “lebbra”. Ovvero di quelle croste che i solerti “dottori” della stampa popolare trascurano in favore di inezie più funzionali “all’ altro mondo possibile”.

Partiamo allora con alcune considerazioni sulla spesa governativa in generale.

… Per comprendere quanto siano inaffidabili le talvolta rassicuranti misurazioni della produttività economica nelle nazioni sviluppate, basta prestare attenzione a come il PIL viene calcolato…

… per partire con un semplice esempio consideriamo il fruttivendolo sottocasa: se ci vende una mela a 1 euro il PIL incrementa di 1 euro… puo’ darsi che la mela venduta sia la proverbiale “mela marcia” ma se continuiamo a comprare probabilmente le cose stanno diversamente e la misurazione fatta deve ritenersi affidabile…

Ora concentriamoci sull’ azione di governo: se il governo spende 1 milione di euro per una strada come misureremo il suo contributo al PIL? Diversamente dalla mela, nessuno comprerà mai quella strada!… per convenzione si è deciso di ritenere che il contributo governativo al PIL sia pari ai costi sostenuti: più si spende, più si crea ricchezza… per definizione…

… Talvolta i beni e i servizi governativi valgono ampiamente il loro costo ma non sempre è così… nel tempo il ruolo dei governi si è enormemente allargato… oggi possiamo dire che 1 euro speso in più non sarà speso in settori chiave dell’ attività pubblica ma in settori collaterali… cosicché cresce il dubbio che il contributo al PIL sia sovrastimato…

“Al margine” i governi diventano sempre meno produttivi… tuttavia le convenzioni statistiche non fanno differenza tra l’ euro speso negli anni cinquanta, quanto il Governo si concentrava sulle sue funzioni caratteristiche, e l’ euro speso oggi… Detto in altri termini: l’ euro speso per allargare una strada di montagna perennemente deserta, in termini di ricchezza misurata, vale quanto quello speso per costruire un’ arteria viabilistica che collega importanti centri commerciali…

Ora confrontiamo tutto questo con la spesa che facciamo dal fruttivendolo… come nel caso della spesa governativa, anche nel nostro caso una mela in più ha (forse) meno valore della mela ricevuta per prima… ma cio’ si ripercuote sul prezzo esercitando una pressione al ribasso: più mele in circolazione, prezzi più bassi e minor contribuzione al PIL e alla produttività misurata… qui possiamo considerare i prezzi e non i costi!… tuttavia cio’ non è possibile nel settore pubblico, dove un euro sprecato vale necessariamente con un euro essenziale…

… Ricordiamoci allora di una massima ovvia per gli economisti, meno per i profani:

…Più ampio è il ruolo dei governi nell’ economia, più le misura del PIL sovrastimano il benessere del cittadino…

… Chiudo segnalando  cio’ che invece anche i profani dovrebbero sapere, ovvero che da noi negli ultimi 50 anni il ruolo dei governi nell’ economia si è notevolmente accresciuto…

Ora sappiamo meglio perché gli incrementi di produttività che talvolta vengono segnalati non siano poi così affidabili: derivano da una contabilità afflitta dai limiti di cui abbiamo appena parlato… l’ ipotesi che siamo in mezzo ad una “grande stagnazione” regge anche in presenza di quelle cifre…

Tyler Cowen – The great stagnation

Passando a qualche esempio concreto, occupiamoci di sanità.

… La spesa governativa nel settore sanitario è elevata… ma qui c’ è di più… noi sappiamo riconoscere una mela cattiva evitandone l’ acquisto, ma difficilmente riusciamo a valutare i servizi di un medico o l’ efficacia reale di una medicina… nel dubbio “compriamo” anche perché, in caso contrario, “segnaleremmo” la scarsa cura che abbiamo per la nostra salute e per quella dei nostri famigliari… avere speranza e segnalare di avere speranza anche contro le evidenze diventa cruciale… così facendo teniamo un comportamento irrazionale che per questo prodotto vanifica il market-test… e senza “market-test”, anche la misurazione del PIL diviene inaffidabile… non ne faccio un discorso ideologico, un bias del genere affligge sia i sistemi pubblici che quelli privati…

… gli Stati Uniti hanno una spesa medica molto elevata se comparata a quella di altri paesi… eppure il loro sistema sanitario non sembra chiaramente superiore… ma in generale sembrerebbe che, a parità del resto, spendere di più in prodotti sanitari non renda le persone più sane…

… I ciprioti e i greci spendono infinitamente meno senza ripercussioni sulla loro salute… certo, la dieta, gli esercizi e lo stile di vita conta… in più possiamo dire che negli USA gli ospedali sono più carini, i trattamenti più specializzati e le medicine più variegate… possiamo dire che solo negli USA riceverete “cure di frontiera”  altrove inaccessibili… possiamo dire molte cose ma resta fondamentale sapere che la spesa sanitaria, per sua natura, è particolarmente inefficiente… tanto è vero che la speranza di vita non varia con le cure ricevute…

… inutile aggiungere che uno dei settori maggiormente in crescita nelle nostre economie è quello sanitario… un settore che si presta poco al market-test e che quindi falsa pesantemente la misurazione della nostra ricchezza…

Tyler Cowen – The great stagnation

Il discorso cambia poco quando si passa a parlare di scuola:

… La nostra spesa in servizi educativi è cresciuta “enormemente”, ha dunque senso chiedersi se i nostri ragazzi siano “enormemente” più istruiti che in passato?… risponde il National Assessment of Educational Progress: “nella lettura il punteggio medio di un diciasettenne oggi è sostanzialmente pari a quello riportato nel 1971”… in matematica idem…

… dobbiamo anche considerare che la scuola di oggi lavora con ragazzi più intelligenti (Flynn effect) e che vivono in un contesto socio-economico migliore…

… aggiungo che i tassi di completamento degli studi si sono abbassati dopo aver raggiunto il loro picco a fine anni sessanta…

… tutto cio’ a fronte di una spesa che non ha mai cessato di innalzarsi… rispetto al 1970 oggi spendiamo il doppio per ogni allievo…

… forse i miglioramenti non sono misurabili dai test… tuttavia l minimo da dire è che in questo campo  non esiste una chiara correlazione tra spesa e risultati…

… la gran parte della spesa educativa è nelle mani dello Stato… cosicché, diversamente dai servigi del fruttivendolo, non esiste un market-test che renda credibile la contribuzione al PIL di questo settore…

… un’ assunzione di personale in più si rifletterà in una maggiore ricchezza del paese in termini di PIL, anche se quell’ insegnante non insegnerà mai nulla a nessuno limitandosi a percepire lo stipendio…

… è sorprendente che di anno in anno spendiamo in modo crescente per la nostra scuola in assenza di risultati chiari… riuscite a pensare a qualcosa del genere che vi tocchi direttamente?… che riguardi magari il vostro pc, o il ristorante, o i vestiti, o l’ automobile…

Tyler Cowen – The great stagnation

 

Una conclusione s’ impone:

Tre dei settori di spesa tra più notevoli e dall’ importanza crescete si riflettono in modo distorto sul PIL gonfiandolo a dismisura senza averne chiaro titolo… per me da tutto cio’ dobbiamo trarre una conclusione drastica: i numeri mentono, siamo molto più poveri di quel che ci raccontano.

Lotta impari

Ci vuole un governo tecnico?

Forse.

Per ora – comunque – i tecnici (della BCE) ci stanno rovinando.

Due caveat: 1. c’ abbiamo messo del nostro 2. combattere contro una cattiva idea come la “moneta unica” è una lotta impari.

lotta impari

Dettagli qui. Più in breve qui.

Poligami con le pezze al culo

Perché proibire la poligamia?

polygamy-615

Non so francamente se esistano in merito argomenti seri fondati sui fatti.

L’ unico che sento ripetere in modo convinto suona all’ incirca così: i molti uomini che resterebbero senza compagna sarebbero attratti dal crimine.

Ma ha un inconveniente a sinistra: vale anche contro il lesbismo (e il nubilato).

E un inconveniente a destra: vale anche “a favore” della poliandria.

Non resta che rassegnarsi ad una spiegazione “politically incorrect”: i difensori della poligamia, contrariamente ai difensori dell’ omosessualità, godono ai nostri occhi di un basso “status” sociale.

lunedì 1 agosto 2011

I Jetsons traditi

A parte le magie apparenti di internet, in termini materiali la nostra vita non è molto diversa da cio’ che era negli anni cinquanta… guidiamo ancora auto, usiamo frigoriferi… e accendiamo la luce con l’ interruttore, anche se forse molti di noi ce l’ hanno graduale…

… Le meraviglie illustrate nel cartone dei Jetson, che risale agli anni sessanta, non si sono mai realizzate. Non viviamo per sempre, non visitiamo colonie su Marte, non viaggiamo su piccole navicelle personali… La vita è migliorata e abbiamo più cose, ma l’ innovazione ha rallentato fortemente la sua corsa tradendo le aspettative che si potevano nutrire ancora solo poche generazioni fa…

… La mia vita migliorerebbe di molto se avessi a disposizione una macchina del teletrasporto… ma avere a disposizione frigo sempre più ampi che tritano il ghiaccio costituisce un miglioramento quasi irrilevante a cui pochi sono realmente interessati…

… molti pensano all’ allunaggio del 1969 come ad un punto divisivo che ha segnato l’ inizio di una grande stagnazione

… oggi “cresce” solo chi è indietro e puo’ seguire le nostre orme (catch-up growth)… ma chi ha raggiunto la frontiera tecnologica è condannato ai piccoli passi (magari all’ indietro)…

… Credete forse che le crisi a ripetizione di questi anni non siano correlate con questa grande stagnazione tecnologica?… non è così, abbiamo raccolto tutti i frutti della precedente innovazione e ora avanzare è tremendamente difficile… di volta in volta ci illudiamo di poterlo fare con internet o con le nuove tecnologie finanziarie ma, puntualmente, scoppia una bolla che ci risbatte al punto di partenza… quando ci sembra di “avanzare” spediti capiamo presto che le cose stanno diversamente: ci si arricchisce a debito (destra) oppure investendo su improduttivi “big government” (sinistra)… si tratta di illusioni ciclicamente disvelate… sarebbe meglio rassegnarsi a considerare terminata un’ età dell’ oro e, eventualmente, a mettere le basi per la prossima… ma “mettere le basi” non è esattamente un compito a cui la politica si presta con docilità…

Tyler Cowen – The great stagnation

Dunque la distinzione tra e-book e libro cartaceo non puo’ essere paragonata a quella che esiste tra lavatrice e lavatoio. Consideravamo i nostri genitori come abitanti di una foresta pietrificata e ora scopriamo che sono stati loro a vivere in un mondo realmente rivoluzionario, un mondo in cui la vita delle persone cambiava realmente da un anno all’ altro.

Rileggendo queste parole mi vengono in mente certi economisti della “decrescita” felice, secondo loro la crescita economica non porta a ad un maggior benessere. Lo sostengono riferendosi implicitamente alle molte ansie della modernità.

In realtà siamo reduci da decenni di stagnazione e non sembra che la cosa abbia reso poi tanto “felici” i protagonisti.

Sarebbe forse più assennato e più aderente ai fatti sostenere che il nostro benessere non cresce proprio perché i tempi d’ oro dello sviluppo sono finiti da un pezzo, almeno nelle nazioni più avanzate. 

sabato 30 luglio 2011

Libertarianism A-Z: too big to fail

Alcune banche sono talmente grandi che si ritiene opportuno salvarle dal fallimento, siamo di fronte al cosiddetto too big to fail. Ma anche il too big to fail ha le sue controindicazioni.

Vediamo le distinzioni tra fallimento e salvataggio.

1. effetti redistributivi: in caso di fallimento il peso è sopportato da proprietà, dipendenti, creditori ecc. nel caso di salvataggio il peso passa al contribuente.

2. effetti sull’ efficienza: il salvataggio incentiva attività azzardo morale e attività eccessivamente rischiose.

3. effetto contagio: il salvataggio lo azzera, anche se l’ evidenza empirica è debole e gli inconvenienti maggiori possono essere evitati da un’ accorta politica monetaria.

Conclusione: il fallimento deve essere preso in seria considerazione come la migliore tra le soluzioni possibili.

Libertarianism A-Z utilities

Autostrade, acquedotti, gas… spesso vengono scambiate per beni pubblici e si chiede che di esse si occupi lo stato.

In realtà lo stato deve limitarsi a regolare una concorrenza che sarebbe problematica per la natura stessa di questi beni, stando ben attento a non intromettersi nella gestione.

Libertarianism A-Z: esternalità

Le esternalità sono ovunque, talmente ovunque che rintracciarle è compito improbo. Anche come porvi rimedio è problematico.

Pigou propone di tassare e risarcire cadendo nel nirvana fallacy.

Coase fa presente che spesso la contrattualistica privata risolve il problema.

Hayek aggiunge che spesso la competizione tra gruppi favorisce una soluzione individualista.

Meditazione razionale del Padre nostro

Padre nostro   -   Dio è un Dio che crea amorevolmente (gratuitamente)

Che sei nei cieli    -   Che sei onnopotente, onnisciente ed eterno. Che abiti la dimensione infinita dei supereroi. regno dei cieli = regno di dio. da non intendere necessariamente come spirituale.

Sia fatta la tua volontà, così in Cielo, così in Terra  -   In modo ci sia dato di abitare il migliore dei mondi possibili.

Sia fatta la tua volontà, così in cielo, così in terra   -   In praise of passivity. Per una passività partecipata. E' il concetto di provvidenza che fa capolino.

Sia fatta la tua volontà, così in Cielo, così in Terra - si auspica l'avvento terreno del regno di Dio. Gesù in fondo era un profeta ebraico apocalittico, probabilmente aveva in testa un progetto terreno prima ancora che meramente spirituale.

Sia fatta la tua volontà, così in Cielo, così in Terra - una professione di umiltà del soggetto di fronte alla realtà e al suo piano più ampio… ci si impegna di fronte al reale e al rischio di auto-suggestione… “non indurci in tentazione”: … un’ ammissione di debolezza volta a mettere in guardia il fedele arrogante (robert trivers)

Dacci oggi il nostro pane quotidiano   -    Ispira la nostra ragione affinché organizzi una convivenza fruttuosa

Dacci oggi il nostro pane quotidiano  -  buttati nelle avventure (es. avere un figlio), sarà lui a garantirti il pane quotidiano (Giovanni Donna D'aldonico).

Rimetti a noi i nostri debiti   -   Perdonaci attraverso la Grazia.

Come noi li rimettiamo ai nostri debitori   -   Nel nostro sforzo di imitare il tuo modello di perdono compatibile con la giustizia, vedi dottrina del perdono.

E non ci indurre in tentazione   -   Mettici alla prova secondo le nostre capacità in modo da giudicarci rettamente.

Ma liberaci dal Male   -   Dona la Vita Nuova a chi giudichi meritevole.

Ma liberaci dal Male - basilare il "dal", indica che il male è un interferenza privilegiando così la libertà dal male piuttosto che la libertà del bene (Iaiah Berlin e Giovanni Donna d'Aldonico).

***
Il Padre Nostro nell'analisi di Robert Trivers

  • Padre nostro. Diviso in tre parti.
  • 1 assertion of humility: “hallowed be thy name” and “thy will be done.”
  • 2 you may ask that your own sins be forgiven but only insofar as you forgive those of others. This is critical: no blanket amnesty. You must give to get; you must forgive to be forgiven. This binds you to a psychological
  • 3 ask not to be led into temptation—really an injunction against allowing yourself to be tempted—and to be protected from all evil (self-induced included). La tentazione dell'autoinganno.


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1. Padre nostro…
Esiste una metafora più felice? (Chesterton).
2… che sei nei Cieli…
Medita il concetto di soprannaturale (Plantinga).
3. … sia santificato il suo nome…
Vedi 2.
4. … venga il tuo Regno…
Medita sul dualismo dei regni (Huemer).
5. … sia fatta la tua volontà così in Cielo, così in Terra…
Medita sul legame tra libero arbitrio, necessità e destino (Libet).
6. … dacci oggi il nostro pane quotidiano…
Medita sulla provvidenza e sui miracoli (Lewis).
7. … rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori…
Medita sul concetto di giustizia terrena e divina (Hayek).
8. … e non ci indurre in tentazione…
Medita sul concetto di merito (Caplan).
9. … ma liberaci dal male.
Medita sul male (Leibnitz)

Libertarianism A-Z: federalismo

La difesa nazionale deve essere fornita a livello nazionale ma per le altre politiche si puo’ scegliere anche il livello locale.

La tendenza all’ accentramento si giustifica sulla base del fatto che “one fit all”: la stessa politica funziona ovunque. Oppure sulla base del concetto di “race to the bottom”.

Eppure la sperimentazione locale e la varietà favoriscono la scoperta e l’ innovazione.

La concorrenza è decisiva nel limitare la centralità della politica, e per i liberali questo è un vero chiodo fisso. Senza contare che la race to the bottom non si è praticamente mai registrata.

C’ è anche una riduzione nel rischio quando si decentra.

Non solo, l’ autogoverno smussa i risentimenti tra i popoli e le odiose ingerenze, ancora più odiose se chi le compie ha l’ arroganza di chiamarle umanitarie..

venerdì 29 luglio 2011

Libertarianism A-Z: ambiente

La crescita economica spinta dal capitalismo puo’ devastare l’ ambiente, bisogna intervenire per prevenire una simile tragedia.

Vero, a volte basta intervenire con più capitalismo e più crescita economica: è ormai accertato che ricchezza e calori ambientalistici vanno di pari passo.

Il resto è un problema noto: le esternalità.

Gran parte della devastazione ambientale deriva da attività governative. Bisogna fermarle. L’ Unione Sovietica è un classico esempio di ambiente devastato.

Altre esternalità, però, si realizzano perché non esistono diritti di proprietà privata ben definiti. E allora: privatizzare tutto il privatizzabile. Mi vengono in mente le riserve naturali africane.

Resta sempre qualcosa che non è facile privatizzare, qualcosa per cui non è disponibile una tecnologia adeguata. La cosa migliore allora consiste nel tassare gli inquinatori e redistribuire agli inquinati (carbon tax): meglio se la cosa si realizza in automatico con dei crediti d’ imposta in modo tale che burocrati e politici non annusino nemmeno quel flusso di ricchezza.

Chiariamo subito che la carbon tax è un’ extrema ratio a causa delle distorsioni che provoca: resta pur sempre un prezzo di mercato fissato fuori dal mercato, Si spera solo che le distorsioni da carbon tax siano inferiori alle distorsioni ambientali dovute alle esternalità.