Prendi un uomo a caso. Fallo fuori e con i suoi organi salva 5 persone.
Cos' è quella faccia? Qualcosa non ti quadra?
Vabbè, anzichè 5 salvane 10.
Ancora quel muso poco convinto?! E allora saliamo a 20.
Attenzione a prolungare oltre le tua perplessità, 20 è un numero importante.
Se dici ancora "no" allora di fatto sei un pacifista chiamato ad opporsi a praticamente tutte le guerre. Non parliamo poi se si arriva a 30... 50... 100!
Niente di speciale, ma scommetto che a qualcuno ripugna essere definito "pacifista", e magari scopre solo ora di esserlo. Meglio tardi che mai.
Bottom line: la guerra la fanno i soldati, se la facessero i poliziotti finirebbero tutti in galera poichè il nostro diritto (e quello di tutti i paesi) consente solo ai soldati di mietere vittime innocenti senza risponderne.
lunedì 26 aprile 2010
sabato 24 aprile 2010
Scienziati credenti. Finalmente i numeri.
Esce un nuovo libro
In the first systematic study of what scientists actually think and feel about religion, Elaine Howard Ecklund investigates the assumption that science and religion are irreconcilable. In her research, Ecklund surveyed nearly 1,700 scientists and interviewed 275 of them. She finds that most of what we believe about the faith lives of elite scientists is wrong. Nearly 50 percent of them are religious. Many others are what she calls "spiritual entrepreneurs," seeking creative ways to work with the tensions between science and faith outside the constraints of traditional religion. No one has produced a study as deep and broad as Ecklund's, perhaps its most surprising finding is that nearly a quarter of the atheists and agnostics describe themselves as "spiritual"... only a small minority are actively hostile to religion... Ecklund reveals how scientists—believers and skeptics alike—are struggling to engage the increasing number of religious students in their classrooms and argues that many scientists are searching for "boundary pioneers" to cross the picket lines separating science and religion.
In the first systematic study of what scientists actually think and feel about religion, Elaine Howard Ecklund investigates the assumption that science and religion are irreconcilable. In her research, Ecklund surveyed nearly 1,700 scientists and interviewed 275 of them. She finds that most of what we believe about the faith lives of elite scientists is wrong. Nearly 50 percent of them are religious. Many others are what she calls "spiritual entrepreneurs," seeking creative ways to work with the tensions between science and faith outside the constraints of traditional religion. No one has produced a study as deep and broad as Ecklund's, perhaps its most surprising finding is that nearly a quarter of the atheists and agnostics describe themselves as "spiritual"... only a small minority are actively hostile to religion... Ecklund reveals how scientists—believers and skeptics alike—are struggling to engage the increasing number of religious students in their classrooms and argues that many scientists are searching for "boundary pioneers" to cross the picket lines separating science and religion.
venerdì 23 aprile 2010
Peana rischiosi?
Lo gradisco per quanto reputi Zaia un semi-pericolo pubblico!
Lo so, è una contraddizione... ma con Langone è inevitabile.
Consola veder esaltato il lato anti proibizionista del governatore... e (quasi) nascosto tutto il resto.
Lo so, è una contraddizione... ma con Langone è inevitabile.
Consola veder esaltato il lato anti proibizionista del governatore... e (quasi) nascosto tutto il resto.
giovedì 22 aprile 2010
Premi eugenetici
Quando mi veniva voglia dello scrittore "di razza", un tempo compulsavo la lista dei premi Nobel. Oggi forse non è il modo più efficace per reperirli, meglio prestare attenzione a quelle figure di contorno in "perenne attesa" e destinate a non essere mai premiate, i nomi pressapoco si sanno: se ieri c' era Josè Louis Borges, oggi ci sono Philip Roth, Margaret Atwood...
Ecco, Margaret Atwood.
Ho letto deliziato i suoi racconti, e ora capisco un po' meglio perchè il Nobel dovuto non le verrà conferito: purtroppo le sue donnine la notte non prendono sonno facilmente; e si capisce, per nessuna di loro la felicità è possibile. Crollato il sistema di valori che le garantiva almeno in parte, tutte navigano a vista in una società che le espone a rischi e scelte di ogni sorta. Poverine, impacciate e spigolose cercano di arrangiarsi come possono ricorrendo ad espedienti vari sempre sul filo del rasoio. Sono tristi al pensiero che devono offendersi qualora ricevano l' agognato aiuto che quindi nessuno darà loro. Quando le incontri dopo anni la loro faccia è smunta e segnata, il loro corpo è come se si fosse ridotto, chiacchierano meno di una volta e se le abbracci non vogliono mai essere trattenute a lungo; vorresti anche baciarle ma non ti sembra mai il momento giusto. Il mondo patriarcale, con il suo codice inflessibile di regole, aveva capito l' impossibilità della libertà totale ma "come in un haiku giapponese dalla forma rigida ne offriva al suo interno una stupefacente quantità".
Il freddo canadese non sembra proprio assomigliare a quello scandinavo e la Atwood non sembra omologarsi agli standard eugenetici tanto cari ai giudici svedesi.
Ecco, Margaret Atwood.
Ho letto deliziato i suoi racconti, e ora capisco un po' meglio perchè il Nobel dovuto non le verrà conferito: purtroppo le sue donnine la notte non prendono sonno facilmente; e si capisce, per nessuna di loro la felicità è possibile. Crollato il sistema di valori che le garantiva almeno in parte, tutte navigano a vista in una società che le espone a rischi e scelte di ogni sorta. Poverine, impacciate e spigolose cercano di arrangiarsi come possono ricorrendo ad espedienti vari sempre sul filo del rasoio. Sono tristi al pensiero che devono offendersi qualora ricevano l' agognato aiuto che quindi nessuno darà loro. Quando le incontri dopo anni la loro faccia è smunta e segnata, il loro corpo è come se si fosse ridotto, chiacchierano meno di una volta e se le abbracci non vogliono mai essere trattenute a lungo; vorresti anche baciarle ma non ti sembra mai il momento giusto. Il mondo patriarcale, con il suo codice inflessibile di regole, aveva capito l' impossibilità della libertà totale ma "come in un haiku giapponese dalla forma rigida ne offriva al suo interno una stupefacente quantità".
Il freddo canadese non sembra proprio assomigliare a quello scandinavo e la Atwood non sembra omologarsi agli standard eugenetici tanto cari ai giudici svedesi.
mercoledì 21 aprile 2010
Stucco
Allulli pensa che esistano metodi validi per dare una valutazione quantitativa alle prestazione dello studente.
Israel si oppone con la consueta "serenità e pacatezza" di chi è stato morsicato da strani rettili.
C' è un gran sfoggio di ricerche e studi, approfittatene per approfondire.
La cosa che meglio si capisce, comunque, è l' utilità di una battaglia contro la scuola unica.
Beato il giorno in cui Israel e Allulli potranno trovare soddisfazione iscrivendo i loro figli nella scuola che risponde meglio alle loro esigenze.
Visto il tenore dello scontro non pare proprio che sia la stessa.
Concentrandosi sulla salvezza dei loro figli e trascurando quella degli altri bambini, sicuramente eviteranno battibecchi; inoltre, sottoponendo la rispettiva prole a sperimetazione differenti con esito visibile a tutti, contribuiranno in modo più pacifico e fattivo al dibattito.
Chiamatela pure virtù dell' egoismo, una virtù tanto rara in un tempo dove s' intensifica la circolazione dei "salvatori del mondo".
Israel si oppone con la consueta "serenità e pacatezza" di chi è stato morsicato da strani rettili.
C' è un gran sfoggio di ricerche e studi, approfittatene per approfondire.
La cosa che meglio si capisce, comunque, è l' utilità di una battaglia contro la scuola unica.
Beato il giorno in cui Israel e Allulli potranno trovare soddisfazione iscrivendo i loro figli nella scuola che risponde meglio alle loro esigenze.
Visto il tenore dello scontro non pare proprio che sia la stessa.
Concentrandosi sulla salvezza dei loro figli e trascurando quella degli altri bambini, sicuramente eviteranno battibecchi; inoltre, sottoponendo la rispettiva prole a sperimetazione differenti con esito visibile a tutti, contribuiranno in modo più pacifico e fattivo al dibattito.
Chiamatela pure virtù dell' egoismo, una virtù tanto rara in un tempo dove s' intensifica la circolazione dei "salvatori del mondo".
Sono tra noi
Inutile strizzare gli occhi per individuare i pixel che comprovino l' inesistente fotomontaggio, i quadri di Alexa Mead si aggirano veramente nel mondo degli uomini.
Ed ora, qualcosa di completamente diverso...
Solo negli anni zero del terzo millennio l' invenzione del microfono verrà veramente valorizzata, ci si accorse finalmente che la musica è più vicina a noi del nostro deodorante, ci si accorse che c' è un canto latente anche nell' intimo bisbiglio, nel sussurro semi-disarticolato, che si possono intessere raffinati contrappunti con fiati e singulti abortiti. Un giorno il bucolico Ethan Rose rapì nei suoi studi la folksinger Laura Gibson e se la lavorò facendo da apripista.
Ed ora, qualcosa di completamente diverso...
Solo negli anni zero del terzo millennio l' invenzione del microfono verrà veramente valorizzata, ci si accorse finalmente che la musica è più vicina a noi del nostro deodorante, ci si accorse che c' è un canto latente anche nell' intimo bisbiglio, nel sussurro semi-disarticolato, che si possono intessere raffinati contrappunti con fiati e singulti abortiti. Un giorno il bucolico Ethan Rose rapì nei suoi studi la folksinger Laura Gibson e se la lavorò facendo da apripista.
martedì 20 aprile 2010
Nossa Senhora
L' improvvisazione dei portoghesi Sao Paulo Undergrond (tromba, chitarra elettrica, elettronica low fi) è irta di aculei pungenti e non sembra assomigliare certo ad una compunta preghiera. Non escludo comunque che nella scala mistica, oltre una certa soglia di penetrazione spirituale, alla ciacolatoria mnemonica subentri, prima di sboccare nell' abbandono finale della visione, una specie di orazione compulsiva, improvvisata e rapsodica.
Per chi comunque predilige l' orazione da salotto e non vuole rinunciare al glamour, sempre dal Portogallo arrivano cristalli devozionali di pregevole fattura, ecco l' austera Vergine
Per chi comunque predilige l' orazione da salotto e non vuole rinunciare al glamour, sempre dal Portogallo arrivano cristalli devozionali di pregevole fattura, ecco l' austera Vergine
lunedì 19 aprile 2010
L' arte di non porgere l' altra guancia
Jean Moreau piange tutte le sue lacrime per la morte del marito, ma noi in quel momento di legittima debolezza non la vediamo.
La vediamo solo dopo, quando ormai di lacrime non ne ha più, e nella parte della donna disidratata è davvero speciale.
Sì, abbiamo visionato questo film per fare un parallelo con Kill Bill.
La vendicatrice americana c' incanta per il senso della missione e per la tecnica sopraffina con cui la porta a termine, una tecnica esaltata dal valore delle vittime che semina dietro di sè.
La vendicatrice francese c' incanta per il senso della missione e per la fredda crudeltà con cui la porta a termine, una crudeltà esaltata dal disvalore delle vittime: gente che sarebbe stato giusto graziare.
La sposa di Tarantino lotta per vivere (con sua figlia), la sposa di Truffaut lotta per morire (pacificata). La prima è un' atleta, la seconda una kamikaze; alla prima sposa si addicono le tutine gialle, solo la seconda puo' invece ben dirsi una... "Sposa in nero".
La vediamo solo dopo, quando ormai di lacrime non ne ha più, e nella parte della donna disidratata è davvero speciale.
Sì, abbiamo visionato questo film per fare un parallelo con Kill Bill.
La vendicatrice americana c' incanta per il senso della missione e per la tecnica sopraffina con cui la porta a termine, una tecnica esaltata dal valore delle vittime che semina dietro di sè.
La vendicatrice francese c' incanta per il senso della missione e per la fredda crudeltà con cui la porta a termine, una crudeltà esaltata dal disvalore delle vittime: gente che sarebbe stato giusto graziare.
La sposa di Tarantino lotta per vivere (con sua figlia), la sposa di Truffaut lotta per morire (pacificata). La prima è un' atleta, la seconda una kamikaze; alla prima sposa si addicono le tutine gialle, solo la seconda puo' invece ben dirsi una... "Sposa in nero".
venerdì 16 aprile 2010
Suonatori di giradischi
Filippetto Paolini è tra i nostri migliori turntablist; beato lui, alloggiato nel suo mondo virtuale, da buon parassita sonoro puo' permettersi di mettere in piedi un' orchestra composta unicamente dai suoi idoli (che sono in gran parte anche i miei, sigh).
Se non piace fa niente: con un piccolo file manager, manipolando il manipolatore, si tirano fuori delle originali sonerie d' autore per il cellulare!
Purtroppo esce solo in vinile e io non ho voglia di rispolverare tutto l' ambaradan per lui. L' alternativa è l' mp3 che davvero in questo caso non rende (non sono certo un fissato!); solo l' ascolto con i media adatti (la cuffia è il minimo) lo fa saltar fuori dal pc come merita.
un suo dj set, tanto per gradire...
Se non piace fa niente: con un piccolo file manager, manipolando il manipolatore, si tirano fuori delle originali sonerie d' autore per il cellulare!
Purtroppo esce solo in vinile e io non ho voglia di rispolverare tutto l' ambaradan per lui. L' alternativa è l' mp3 che davvero in questo caso non rende (non sono certo un fissato!); solo l' ascolto con i media adatti (la cuffia è il minimo) lo fa saltar fuori dal pc come merita.
un suo dj set, tanto per gradire...
giovedì 15 aprile 2010
Ssshhhh: cose che non si possono dire
Problema: le donne dell' Ottocento vivevano in un mondo più libero di quello d' oggi?
Prima di rispondere è bene tenere a mente che "ricchezza" e "libertà" sono concetti da non mischiare indebitamente.
E' d' uopo, poi, appuntarsi anche questo:
1. prima: meno tasse;
2. prima: meno regole;
3. prima: no voto. Ok, ma forse è irrilevante: il voto serve per liberarsi, se le donne erano più libere prima cio' significa che il diritto di voto sarà anche un valore, ma non serve la causa della libertà.
4. prima: marito capo-famiglia. Anche questo forse è irrilevante: il matrimonio era pur sempre volontario e il patriarcato solo un default; un default deve pur esserci.
Cosa resta da aggiungere? Ah, sì: parecchie leggi all' apparenza oppressive a quanto pare non opprimevano granchè vista la loro difficile applicazione; per lo stesso motivo parecchie leggi permissive di oggi non permettono un granchè.
Ricordo solo che proibire cio' che non farei non limita di molto la mia libertà.
formalizziamo queste ultime considerazioni attaccandoci il punto cinque:
5. Le leggi irrilevanti non contano.
E la pressione del giudizio sociale, dove la mettiamo? La buttiamo via: avere un' idea sulle cose non diminuisce il grado di libertà sociale. La "mentalità" non conta in questa sede (vedi bottom line).
Sembrerebbe proprio che le donnine di Sex and the City stiano giocando in una gabbietta più angusta rispetto a quella che limitava l' agire delle loro trisavole.
Vale anche la pena di ricordare che il mondo delle trisavole ha prodotto il mondo di "S&C", mentre il mondo di "S&C" ha prodotto... vedremo.
link dei link
Bottom line: ... the idea that we should discount voluntary choices in other cultures more than in ours because of their supposed cultural brainwashing is pretty arrogant...
Veramente concludere come ho concluso è piuttosto azzardato ma della conclusione, sorpresa!, in questo caso non m' interessa granchè, il mio vero obiettivo era un altro: non sopporto chi fa della libertà uno stendardo da alzare a priori. Questa voglia di essere dalla parte della libertà inquina la discussione!
C' è addirittura chi si dipinge un "mondo perfetto", una "situazione ideale", per poi concludere: "ecco, quello è un mondo libero".
Per costoro la libertà coincide con il "bene a prescindere" e per definirla devono raffigurarsi per l' appunto codesto "bene".
All' apparenza litigano tra loro per stabilire cosa sia la "libertà", non si accorgono che invece stanno litigando solo per definire cosa sia il "bene".
Il buon senso, in questi casi, indicherebbe come preferibile il percorso esattamente opposto: prima definisci la "libertà", caro mio, e poi giudica se per te è un "bene" e fino a che punto.
In questo modo, per esempio, sarebbe legittimo dire che le donne dell' Ottocento erano più libere ma, siccome la libertà stressa, la situazione attuale è di gran lunga più rilassante per tutti.
Scommetto che l' orecchio di molti in un' affermazione del genere percepirebbe una nota stonata al di là di ogni merito.
Prima di rispondere è bene tenere a mente che "ricchezza" e "libertà" sono concetti da non mischiare indebitamente.
E' d' uopo, poi, appuntarsi anche questo:
1. prima: meno tasse;
2. prima: meno regole;
3. prima: no voto. Ok, ma forse è irrilevante: il voto serve per liberarsi, se le donne erano più libere prima cio' significa che il diritto di voto sarà anche un valore, ma non serve la causa della libertà.
4. prima: marito capo-famiglia. Anche questo forse è irrilevante: il matrimonio era pur sempre volontario e il patriarcato solo un default; un default deve pur esserci.
Cosa resta da aggiungere? Ah, sì: parecchie leggi all' apparenza oppressive a quanto pare non opprimevano granchè vista la loro difficile applicazione; per lo stesso motivo parecchie leggi permissive di oggi non permettono un granchè.
Ricordo solo che proibire cio' che non farei non limita di molto la mia libertà.
formalizziamo queste ultime considerazioni attaccandoci il punto cinque:
5. Le leggi irrilevanti non contano.
E la pressione del giudizio sociale, dove la mettiamo? La buttiamo via: avere un' idea sulle cose non diminuisce il grado di libertà sociale. La "mentalità" non conta in questa sede (vedi bottom line).
Sembrerebbe proprio che le donnine di Sex and the City stiano giocando in una gabbietta più angusta rispetto a quella che limitava l' agire delle loro trisavole.
Vale anche la pena di ricordare che il mondo delle trisavole ha prodotto il mondo di "S&C", mentre il mondo di "S&C" ha prodotto... vedremo.
link dei link
Bottom line: ... the idea that we should discount voluntary choices in other cultures more than in ours because of their supposed cultural brainwashing is pretty arrogant...
Veramente concludere come ho concluso è piuttosto azzardato ma della conclusione, sorpresa!, in questo caso non m' interessa granchè, il mio vero obiettivo era un altro: non sopporto chi fa della libertà uno stendardo da alzare a priori. Questa voglia di essere dalla parte della libertà inquina la discussione!
C' è addirittura chi si dipinge un "mondo perfetto", una "situazione ideale", per poi concludere: "ecco, quello è un mondo libero".
Per costoro la libertà coincide con il "bene a prescindere" e per definirla devono raffigurarsi per l' appunto codesto "bene".
All' apparenza litigano tra loro per stabilire cosa sia la "libertà", non si accorgono che invece stanno litigando solo per definire cosa sia il "bene".
Il buon senso, in questi casi, indicherebbe come preferibile il percorso esattamente opposto: prima definisci la "libertà", caro mio, e poi giudica se per te è un "bene" e fino a che punto.
In questo modo, per esempio, sarebbe legittimo dire che le donne dell' Ottocento erano più libere ma, siccome la libertà stressa, la situazione attuale è di gran lunga più rilassante per tutti.
Scommetto che l' orecchio di molti in un' affermazione del genere percepirebbe una nota stonata al di là di ogni merito.
Nella testa
I mostri nella testa del bambino non sono così terribili, ma che ne sapete come lui li vede veramente? Dave Devries, maestro dell' acquarello, forse sa qualcosa, tanto è vero che ne tenta una riproduzione.
Pasticciando con nastri e chitarra nella sua cameretta, Bronko produceva solo una cacofonia insulsa che faceva bussare i vicini. Ma che ne sapevano loro di cosa aveva veramente nella testa? Bè, forse solo Moore-McLean sarebbero riusciti ad intuirlo...
mercoledì 14 aprile 2010
Famiglia e Quozienti
link
Come la penso?
Quoziente, ma solo per i coniugi. Serve a non discriminare talune forme di organizzazione familiare*.
Detrazione per i figli. Serve a garantire un reddito di cittadinanza uguale per tutti.
Detrazione per il coniuge. Solo per la differenza tra reddito attribuito e reddito minimo di cittadinanza.
Incapienza. Serve per non discriminare i più deboli.
* Se io rinuncio a lavorare affinchè tu possa fare gli straordinari, una parte di quel reddito mi compete, è un po' come se fossimo una società. Ne consegue che nei sistemi a tassazione progressiva si produce una discriminazione.
Come la penso?
Quoziente, ma solo per i coniugi. Serve a non discriminare talune forme di organizzazione familiare*.
Detrazione per i figli. Serve a garantire un reddito di cittadinanza uguale per tutti.
Detrazione per il coniuge. Solo per la differenza tra reddito attribuito e reddito minimo di cittadinanza.
Incapienza. Serve per non discriminare i più deboli.
* Se io rinuncio a lavorare affinchè tu possa fare gli straordinari, una parte di quel reddito mi compete, è un po' come se fossimo una società. Ne consegue che nei sistemi a tassazione progressiva si produce una discriminazione.
martedì 13 aprile 2010
Bach rimbalza sulla scogliera
... hop... hop...
Tutti d' amore e d' accordo?
Quando cuciniamo gli spaghetti facciamo un lavoro il cui valore non viene incluso nel PIL.
A quanto pare gli italiani cucinano quintali di "spaghetti". Molti di più dei loro cugini europei. Alesina & Ichino accumulano una montagna di numeretti che non lasciano scampo.
Il nostro PIL andrebbe dunque alzato, e non di poco. Evviva! O no?
Sembra di no visto che da considerazioni simili Alesina e Ichino sono partiti per scrivere un libro che ha molto diviso (e che io ho appena letto); alcuni hanno visto nella loro fatica un attacco ai valori famifgliari (ripassatevi gli articoli del sussidiario e ne avrete una pallida idea).
Quanto c' è di vero e quanto c' è di equivocato? Gongolarsi stando in famiglia è davvero un inconveniente? Farsi gli spaghetti anzichè andare al ristorante depotenzia l' economia? La libertà è un veleno per i valori famigliari?
Ma facciamo dei casi concreti: le gabbie salariali.
Con le gabbie salariali il differenziale tra gli stipendi pubblici del Nord e quelli del Sud aumenterebbe (in Lombardia la vita è più cara che in Calabria) incentivando flussi migratori: i figli cercherebbero lavoro lontano da casa.
Le gabbie salariali sono dunque una minaccia per l' unità famigliare? A me pera proprio di no. La famiglia è solo chiamata a scelte di responsabilità.
Altro esempio: la privatizzazione dell' educazione superiore.
Privatizzare diminuirebbe le tasse ma costringerebbe ad una gestione efficiente le Università. Cio' significa che probabilmente sparirebbero le Università a Varese, a Novara e a Trapani, sedi secondarie ed altamente inefficienti. Ci sarebbero senz' altro più fuori sede.
Una misura del genere puo' essere considerata contro i valori della famiglia perchè costringe il pargolo a lasciare la casa natale? E, di converso, la politica precedente puo' essere considerata una "politica famigliare" virtuosa? La mia risposta è ancora "no". La politica liberale pone semplicemente la famiglia di fronte ad una scelta, l' altra la compie in sua vece.
Nei casi precedenti la famiglia era tenuta assieme non da "valori" ma da una comodità "artefatta" che avrei quasi voglia di definire "furba". Il "mercato" è il test ideale per saggiare se ci troviamo di fronte a "valori" non di facciata.
Potrei fare altri esempi come i precedenti e alla fine la risposta sarebbe sempre "no". Chiuderei poi con l' unica conclusione possibile: poichè la libertà non fa male alla Famiglia, il libro di A&I non minaccia i valori famigliari.
Purtroppo, in alcune parti del libro, sono "A&I" stessi ad alimentare l' equivoco richiamandosi al "familismo amorale" (fenomeno per cui ci si fida solo dei famigliari) e al modo in cui interferirebbe nella formazione di capitale sociale. Ma esistono dei veri motivi per temerlo?
Di sicuro non esistono motivi logici: la fiducia non è un bene finito; se confido nei miei famigliari cio' non m' impedisce, se mi conviene, di dare fiducia anche al "foresto". Se dunque abbiamo a che fare con popolazioni ragionevoli siamo rassicurati.
E forse abbiamo proprio a che fare proprio con popolazioni ragionevoli visto che il "familismo amorale" è storicamente giustificato dalla presenza costante di "foresti" ostili. Sono A&I stessi a dircelo e a produrre esempi circostanziati.
A&I ci fanno poi odiare il "familismo amorale" facendoci notare come sia caratteristico delle Mafie. Ma per le Mafie quel codice di condotta è altamente razionale: chi più di loro è immerso in un ambiente esterno ostile (quello della legalità statuale). Anche in quel caso siamo dunque di fronte ad un' intelligenza che funziona.
La presenza di soggetti razionali, quindi, ci impedisce di temere oltremisura il "familismo amorale".
E poi, non è forse vero che in america i conservatori tradizionalisti sono di gran lunga i più generosi verso il prossimo? più coesone famigliare, più generosità verso l' esterno.
Sull' argomento mi sembra inutile proseguire, almeno in questa sede.
Un' altra questione equivoca è quella per cui A&I al quoziente famigliare preferirebbero la detassazione del lavoro femminile.
Si tratta di una posizione "contro" i valori della famiglia? E' una misura che trasformerebbe tutte le nostre donne in Chelsea Girl?
Calma, leggiamo piuttosto come si chiude il libro per capire come è inquadrata la faccenda:
"... ma forse gli italiani non vogliono che le donne lavorino in massa sul mercato, e allora non si lamentino se il PIL ufficiale è più basso... è il prezzo da pagare per avere tante "regine della casa"..."
Ei, ma se le cose stanno così c' è una risposta che mette tutti d' amore e d' accordo (A&I + i difensori ad oltranza della famiglia): "e chi si lamenta?"!
Volendo poi propinarci a tutti i costi la loro soluzione fiscale, decisamente la parte più indigesta del libro, A&I sarebbero costretti ad insistere sul concetto ventilato a p. 69, quello della "libera scelta non corrispondente alle preferenze": le donne farebbero e continuerebbero per senmpre a fare spontaneamente cose che in realtà non vorrebbero fare. Con una zavorra del genere non si fa molta strada.
A quanto pare gli italiani cucinano quintali di "spaghetti". Molti di più dei loro cugini europei. Alesina & Ichino accumulano una montagna di numeretti che non lasciano scampo.
Il nostro PIL andrebbe dunque alzato, e non di poco. Evviva! O no?
Sembra di no visto che da considerazioni simili Alesina e Ichino sono partiti per scrivere un libro che ha molto diviso (e che io ho appena letto); alcuni hanno visto nella loro fatica un attacco ai valori famifgliari (ripassatevi gli articoli del sussidiario e ne avrete una pallida idea).
Quanto c' è di vero e quanto c' è di equivocato? Gongolarsi stando in famiglia è davvero un inconveniente? Farsi gli spaghetti anzichè andare al ristorante depotenzia l' economia? La libertà è un veleno per i valori famigliari?
Ma facciamo dei casi concreti: le gabbie salariali.
Con le gabbie salariali il differenziale tra gli stipendi pubblici del Nord e quelli del Sud aumenterebbe (in Lombardia la vita è più cara che in Calabria) incentivando flussi migratori: i figli cercherebbero lavoro lontano da casa.
Le gabbie salariali sono dunque una minaccia per l' unità famigliare? A me pera proprio di no. La famiglia è solo chiamata a scelte di responsabilità.
Altro esempio: la privatizzazione dell' educazione superiore.
Privatizzare diminuirebbe le tasse ma costringerebbe ad una gestione efficiente le Università. Cio' significa che probabilmente sparirebbero le Università a Varese, a Novara e a Trapani, sedi secondarie ed altamente inefficienti. Ci sarebbero senz' altro più fuori sede.
Una misura del genere puo' essere considerata contro i valori della famiglia perchè costringe il pargolo a lasciare la casa natale? E, di converso, la politica precedente puo' essere considerata una "politica famigliare" virtuosa? La mia risposta è ancora "no". La politica liberale pone semplicemente la famiglia di fronte ad una scelta, l' altra la compie in sua vece.
Nei casi precedenti la famiglia era tenuta assieme non da "valori" ma da una comodità "artefatta" che avrei quasi voglia di definire "furba". Il "mercato" è il test ideale per saggiare se ci troviamo di fronte a "valori" non di facciata.
Potrei fare altri esempi come i precedenti e alla fine la risposta sarebbe sempre "no". Chiuderei poi con l' unica conclusione possibile: poichè la libertà non fa male alla Famiglia, il libro di A&I non minaccia i valori famigliari.
Purtroppo, in alcune parti del libro, sono "A&I" stessi ad alimentare l' equivoco richiamandosi al "familismo amorale" (fenomeno per cui ci si fida solo dei famigliari) e al modo in cui interferirebbe nella formazione di capitale sociale. Ma esistono dei veri motivi per temerlo?
Di sicuro non esistono motivi logici: la fiducia non è un bene finito; se confido nei miei famigliari cio' non m' impedisce, se mi conviene, di dare fiducia anche al "foresto". Se dunque abbiamo a che fare con popolazioni ragionevoli siamo rassicurati.
E forse abbiamo proprio a che fare proprio con popolazioni ragionevoli visto che il "familismo amorale" è storicamente giustificato dalla presenza costante di "foresti" ostili. Sono A&I stessi a dircelo e a produrre esempi circostanziati.
A&I ci fanno poi odiare il "familismo amorale" facendoci notare come sia caratteristico delle Mafie. Ma per le Mafie quel codice di condotta è altamente razionale: chi più di loro è immerso in un ambiente esterno ostile (quello della legalità statuale). Anche in quel caso siamo dunque di fronte ad un' intelligenza che funziona.
La presenza di soggetti razionali, quindi, ci impedisce di temere oltremisura il "familismo amorale".
E poi, non è forse vero che in america i conservatori tradizionalisti sono di gran lunga i più generosi verso il prossimo? più coesone famigliare, più generosità verso l' esterno.
Sull' argomento mi sembra inutile proseguire, almeno in questa sede.
Un' altra questione equivoca è quella per cui A&I al quoziente famigliare preferirebbero la detassazione del lavoro femminile.
Si tratta di una posizione "contro" i valori della famiglia? E' una misura che trasformerebbe tutte le nostre donne in Chelsea Girl?
Calma, leggiamo piuttosto come si chiude il libro per capire come è inquadrata la faccenda:
"... ma forse gli italiani non vogliono che le donne lavorino in massa sul mercato, e allora non si lamentino se il PIL ufficiale è più basso... è il prezzo da pagare per avere tante "regine della casa"..."
Ei, ma se le cose stanno così c' è una risposta che mette tutti d' amore e d' accordo (A&I + i difensori ad oltranza della famiglia): "e chi si lamenta?"!
Volendo poi propinarci a tutti i costi la loro soluzione fiscale, decisamente la parte più indigesta del libro, A&I sarebbero costretti ad insistere sul concetto ventilato a p. 69, quello della "libera scelta non corrispondente alle preferenze": le donne farebbero e continuerebbero per senmpre a fare spontaneamente cose che in realtà non vorrebbero fare. Con una zavorra del genere non si fa molta strada.
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lunedì 12 aprile 2010
Lo scheletro di Steve Wonder
Più che un disco di cover, è una conchiglia a cui applicare l' orecchio per sentire un' eco lontana. Il fantasma di una pulsione conosciuta, il dejà-vu di una modulazione arcinota.
Con perizia d' archeologi, di quelle canzoni viene dissepolto lo scheletro e solo quello. Anzi, ci si limita a far biancheggiare qua e là alcune ossa isolate. L' immaginazione unisce i puntini e riscopre sagome familiari.
Con perizia d' archeologi, di quelle canzoni viene dissepolto lo scheletro e solo quello. Anzi, ci si limita a far biancheggiare qua e là alcune ossa isolate. L' immaginazione unisce i puntini e riscopre sagome familiari.
Adoratori di plaid
Alister McGrath cerca di spiegare a se stesso la virulenta proliferazione di una pubblicistica anti-religiosa che cerca di attrarre attenzione compensando la povertà dei contenuti con l' esibizione di un' acrimonia sconosciuta anche nei tempi d' oro dell' ateismo più sbruffone e fondamentalista.
La conclusione a cui giunge lo studioso è questa: una caterva di intellettuali si aspettava e auspicava un drastico ridimensionamento del fenemeno religioso intorno agli anni 50/60; la persistenza e il rafforzamento di molti culti è fomite quindi di frustrazioni malcelate.
Ci sono poi alcuni casi in cui la "conversione" rimpiazza la "frustrazione". Ma sono pochi, uno è quello di McGrath visto che l' irlandese stesso era nella "caterva" di cui sopra tra i più entusiasti ed attivi.
Non so valutare la risposta, mi sembra che in merito si possa dire di tutto.
Nel frattempo m' imbatto nel caso del mitico Matteo Bordone, stamattina è la Sacra Sindone a consentirgli di incanalare in un elegante sarcasmo la sua irascibilità; non si tiene, sembra infatti essersi accorto che il lenzuolo abbia origini medioevali e la cosa non debba e non possa essere taciuta oltre.
[... i "quasi-intellettuali" prediligono il registro sarcastico, è a buon mercato: fa figo e non impegna...]
"... un’organizzazione religiosa con miliardi di seguaci, che spaccia un plaid medievale per la tela che ha avvolto il dio incarnato mentre era morto..."
??
mi tocca specificare che la chiesa non spaccia il plaid medievale come il lenzuolo che ha avvolto il corpo del dio incarnato. Ne autorizza il culto come icona (non come reliquia)... facendoci un sacco di soldi.
Forse un giorno Matteo Bordone grazie a sottigliezze impalpabili riuscirà a sminuire i Rosari sgranati davanti alla Madonna di Raffaello accampando una scarsa somiglianza tra il rappresentato e il rappresentante. Forse anche i pellegrinaggi a Loreto saranno messi a repentaglio: Maria, anche al culmine dell' abbronzatura, non era certo tanto Nera! Nel frattempo lasciateci credere che la vita spirituale possa attecchire anche grazie ad un' oggettistica costruita culturalmente.
Il mio concittadino, a questo punto, si sente però in dovere di replicare e le cose, se possibile, peggiorano:
capisci che la posizione ufficiale della Chiesa è in secondo piano... il punto a mio parere non è quello. Sono le azioni della chiesa che contano. Almeno per me, che non (ci) credo.
Avete capito? Bè, concluderei dicendo che la diagnosi di McGrath forse non convince in generale ma sembra andare a pennello per il "caso Matteo": frustrazione. Frustrazione nel semplice prendere atto di una simbologia che ancora funziona.
Frustrazione che richiede urgentemente una valvola di sfogo alternativa alla bestemmia, dopodichè "come stanno le cose in realtà" puo' tranquillamente passare nel sempre più evanescente "secondo piano", un "piano" imprescindibile per gli "opinionisti brillanti".
N.B. Ricordo che per blogger tanto "svegli" che si autofustigano con il dovere di "un post al giorno", l' "interpretazione McGrath" presta il fianco ad un' alternativa altrettanto plausibile, ed è questa: cosa conta sparare cazzate quando lo si puo' fare inanellando smaglianti battute? Insomma, quando per un buon motto di spirito ti venderesti anche la mamma... non stiamo lì a sottilizzare.
La conclusione a cui giunge lo studioso è questa: una caterva di intellettuali si aspettava e auspicava un drastico ridimensionamento del fenemeno religioso intorno agli anni 50/60; la persistenza e il rafforzamento di molti culti è fomite quindi di frustrazioni malcelate.
Ci sono poi alcuni casi in cui la "conversione" rimpiazza la "frustrazione". Ma sono pochi, uno è quello di McGrath visto che l' irlandese stesso era nella "caterva" di cui sopra tra i più entusiasti ed attivi.
Non so valutare la risposta, mi sembra che in merito si possa dire di tutto.
Nel frattempo m' imbatto nel caso del mitico Matteo Bordone, stamattina è la Sacra Sindone a consentirgli di incanalare in un elegante sarcasmo la sua irascibilità; non si tiene, sembra infatti essersi accorto che il lenzuolo abbia origini medioevali e la cosa non debba e non possa essere taciuta oltre.
[... i "quasi-intellettuali" prediligono il registro sarcastico, è a buon mercato: fa figo e non impegna...]
"... un’organizzazione religiosa con miliardi di seguaci, che spaccia un plaid medievale per la tela che ha avvolto il dio incarnato mentre era morto..."
??
... corona di spine risalente al... 2002... scandalo!...
Dopo pochi minuti il primo commento è di un ateo - non saprei se meno arguto o meno ignorante - che intuisce il cattivo servizio alla causa: mi tocca specificare che la chiesa non spaccia il plaid medievale come il lenzuolo che ha avvolto il corpo del dio incarnato. Ne autorizza il culto come icona (non come reliquia)... facendoci un sacco di soldi.
Forse un giorno Matteo Bordone grazie a sottigliezze impalpabili riuscirà a sminuire i Rosari sgranati davanti alla Madonna di Raffaello accampando una scarsa somiglianza tra il rappresentato e il rappresentante. Forse anche i pellegrinaggi a Loreto saranno messi a repentaglio: Maria, anche al culmine dell' abbronzatura, non era certo tanto Nera! Nel frattempo lasciateci credere che la vita spirituale possa attecchire anche grazie ad un' oggettistica costruita culturalmente.
Il mio concittadino, a questo punto, si sente però in dovere di replicare e le cose, se possibile, peggiorano:
capisci che la posizione ufficiale della Chiesa è in secondo piano... il punto a mio parere non è quello. Sono le azioni della chiesa che contano. Almeno per me, che non (ci) credo.
Avete capito? Bè, concluderei dicendo che la diagnosi di McGrath forse non convince in generale ma sembra andare a pennello per il "caso Matteo": frustrazione. Frustrazione nel semplice prendere atto di una simbologia che ancora funziona.
Frustrazione che richiede urgentemente una valvola di sfogo alternativa alla bestemmia, dopodichè "come stanno le cose in realtà" puo' tranquillamente passare nel sempre più evanescente "secondo piano", un "piano" imprescindibile per gli "opinionisti brillanti".
N.B. Ricordo che per blogger tanto "svegli" che si autofustigano con il dovere di "un post al giorno", l' "interpretazione McGrath" presta il fianco ad un' alternativa altrettanto plausibile, ed è questa: cosa conta sparare cazzate quando lo si puo' fare inanellando smaglianti battute? Insomma, quando per un buon motto di spirito ti venderesti anche la mamma... non stiamo lì a sottilizzare.
venerdì 9 aprile 2010
Compagni di viaggio
In epoca post basagliana, pendolare su e giù riserva sempre incontri interessanti...
ht: matteo bordone
ht: matteo bordone
giovedì 8 aprile 2010
Il Dio dell' Ignoranza e il Dio della Conoscenza
Kenneth Miller è uno dei massimi biologi viventi, la sua difesa dell' evoluzionismo dagli attacchi promossi dai sostenitori dell' intelligent design viene di solito considerata come una delle più brillanti, tanto è vero che viene continuamente strattonato per testimoniare in vari processi.
Kenneth Miller è però anche un cattolico fervente e le sue intenzioni non hanno mai mostrato cedimenti: vuole a tutti i costi prendere la religione sul serio.
Anche per questo giudica "insipida" la posizione tenuta da Stephen Jay Gould nell' ormai famoso non-overlapping magisteria. L' anodino documento non convince del tutto e lo stesso Gould, del resto, non sembra credere affatto ad una pari dignità dei due saperi allorchè definisce la religione come una congerie di "storie che ci raccontiamo per trarne conforto" (sic). Qui sembra proprio saltar fuori la sua vecchia tempra marxista e l' oppio dei popoli è davvero dietro l' angolo, la religione più che un "sapere" diventa un narcotico per la felicità a poco prezzo degli animali più ingenui. E' possibile seguirlo oltre su quella via? Kenneth ci rinuncia e gliene siamo grati.
D' altro canto non offre garanzie nemmeno l' armata Brancaleone creazionista sempre in cerca di un Dio tappa-buchi da opporre ad una scienza-gruviera. Sarebbe quello il Dio degli ignoranti. Non perchè chi lo professa sia ignorante (esistono personalità di vaglia), piuttosto perchè è un Dio che ha tanto più senso di esistere quanto più restiamo ignoranti. Sarà per questo che l' ignoranza esercita un gran fascino su questi paladini tremebondi di fronte ad ogni "scoperta" scientifica.
Contro il dio dell' ignoranza, Miller è fautore di un dio della conoscenza, un dio che si dispieghi tanto più nitidamente, quanto più sperimentiamo il miracolo della conoscenza, quanto più andiamo scoprendo l' inspiegabile intelleggibilità della natura.
Miller si premura di proporre la fede come cornice ideale a quella conoscenza, la fede come completamento di significato della visione scientifica. Qualcosa che trasformi una presenza enigmatica in una presenza amichevole.
In fondo sa, come sanno Dawkins, Dennett, Lewotin e compagnia che l' unica controproposta credibile è la radicalizzazione atea, l' agnosticismo, dopo Swinburne, resta stritolato e non ha più granchè da offrire: una volta ammessa anche solo la compatibilità del pensiero religioso con quello scientifico, la fede diventa automaticamente l' opzione più rigorosa sul tavolo per chi è desideroso d' impegnare la ragione in queste faccende.
Lungi dal sentirsi rassicurato dal concetto di "non-overlapping magisteria", Miller sa bene quanta cura invece richieda la lavorazione al delicato incastro che salda "scienza e fede", lui stesso vi pone mano con cura nel libro che ho appena letto: Finding Darwin' s God. Peccato che la "cura" non si estenda anche alla parte teologica del libro, d' altronde c' è una scusanete: non è il suo campo.
Le premesse sono ottime ma mi chiedo se l' entusiasmo dimostrato verso il cosiddetto "principio antropico" non sia ancora un cedimento al "Dio degli ignoranti", alias Dio-tappabuchi, alias Dio dei gap. Certo, una versione sofisticata e aggiornata con le ultime conoscenze scientifiche, ma pur sempre quel genere di divinità.
***
Il credente fa scienza stupendosi delle meravigliose coincidenze. Sa che dove c' è "coincidenza" Dio fa capolino poichè per Dio è particolarmente congeniale passeggiare tra noi sotto le mentite spoglie del "caso".
Nel panorama della scienza moderna il "principio antropico" serve la causa alla perfezione, ne fanno fede le strampalate teorie messe su in fretta e furia da taluni ideologi dell' ateismo militante per neutralizzare quella che evidentemente sentono come una minaccia (nel libro è descritta la "disperata speculazione" di Daniel Dennett, forse si potevano affrontare controargomenti più efficaci).
Eppure, per quanto appena detto, il "pp" non convince del tutto. Non conviene essere più radicali nell' osservare le avvertenze ben chiarite dallo stesso Miller?
Io considererei più da vicino la nostra possibilità di "conoscere" l' universo stesso in cui abitiamo. Non è "meraviglioso" già solo questo semplice fatto? Non basta riscontrare le curiose regolarità catturate dalla matematica per "stupire" e pensare ad un Dio?
Innanzitutto si tratta di coincidenze sorprendenti: gli universi incomprensibili sono molto più numerosi degli universi "ordinati". E' davvero solo un caso fortuito essere capitati in un mondo "matematico"? E si badi bene che la sopravvivenza non è legata alla "comprensione", tanto è vero che i più efficienti in questo campo sono talune colonie batteriche che esistono da sempre.
E' ipotesi che conforta alcune certezze: il numero dei "mondi ordinati" a disposizione è comunque tale da garantire la comparsa della "coscienza". Dio assicura così la presenza di un pubblico all' infiorescente spettacolo di una creazione realizzata mediante lo strumento evolutivo.
E' ipotesi che elude l' alternativa di Leslie: "il fine tuning è evidenza, evidenza genuina del seguente fatto: Dio è reale/ci sono molti universi differenti". Anche i "mondi differenti" - purchè ordinati - restano a questo punto nell' orbita dell' ipotesi teista.
E' persino un' ipotesi falsificabile: verrebbe smentita allorchè si scoprisse un' irriducibile caoticità dell' universo che comporti l' insensatezza dell' impresa scientifica e, di conseguenza, la sua razionale dismissione.
Esiste forse un vincolo più saldo che leghi Dio alla Scienza?: "niente Scienza, niente Dio"; cosa si vuole di più? Inoltre, per questa via non si "tappa" nessun buco, così come non si postulano inverosimili contingenze. Si dà solo un "significato" pieno alla nostra conoscenza.
"Niente scienza, niente fede", dunque. Ripetiamo bene insieme il nostro nuovo motto per fissarlo meglio in testa.
Curiosità! Forse è per questo che talune presentazioni "orientate" dell' evoluzionismo sembrano minacciare la fede: l' evoluzionismo è, chi puo' negarlo?, un paradigma scientifico decisamente rozzo se paragonato alla raffinatezza delle teorie della fisica; persino le "scienze umane" appaiono talvolta con capacità predittiva più "calibrata". Ma allora, se vale il "niente scienza, niente fede", forse vale anche il "poca scienza, molto caos, poca fede".
Eppure, vale la pena ricordarlo ai distratti, per la biologia è ancora quello darwiniano il paradigma di gran lunga migliore in circolazione, per quanto vaga è pur sempre "conoscenza" anche quella, e il libro di Miller ha la virtù di mostrarlo persino ad un principiante come me.
Ultimissima cosa. Il trattamento a cui ho sottoposto "pp" potrei ripeterlo quando Miller passa ad occuparsi del "free will" facendolo dipendere dall' indeterminatezza introdotta nel mondo fisico grazie ad alcune interpretazioni della teoria quantistica. Non è anche questa una soluzione tappa-buchi? E quando la teoria dei quanti sarà rivista o l' interpretazione cambiata? Rischiamo davvero di trovarci tra le palle neo-teologi petulanti alla Dawkins, vi avviso. Forse, anche su questo punto, si puo' fare meglio.
Kenneth Miller è però anche un cattolico fervente e le sue intenzioni non hanno mai mostrato cedimenti: vuole a tutti i costi prendere la religione sul serio.
Anche per questo giudica "insipida" la posizione tenuta da Stephen Jay Gould nell' ormai famoso non-overlapping magisteria. L' anodino documento non convince del tutto e lo stesso Gould, del resto, non sembra credere affatto ad una pari dignità dei due saperi allorchè definisce la religione come una congerie di "storie che ci raccontiamo per trarne conforto" (sic). Qui sembra proprio saltar fuori la sua vecchia tempra marxista e l' oppio dei popoli è davvero dietro l' angolo, la religione più che un "sapere" diventa un narcotico per la felicità a poco prezzo degli animali più ingenui. E' possibile seguirlo oltre su quella via? Kenneth ci rinuncia e gliene siamo grati.
D' altro canto non offre garanzie nemmeno l' armata Brancaleone creazionista sempre in cerca di un Dio tappa-buchi da opporre ad una scienza-gruviera. Sarebbe quello il Dio degli ignoranti. Non perchè chi lo professa sia ignorante (esistono personalità di vaglia), piuttosto perchè è un Dio che ha tanto più senso di esistere quanto più restiamo ignoranti. Sarà per questo che l' ignoranza esercita un gran fascino su questi paladini tremebondi di fronte ad ogni "scoperta" scientifica.
Contro il dio dell' ignoranza, Miller è fautore di un dio della conoscenza, un dio che si dispieghi tanto più nitidamente, quanto più sperimentiamo il miracolo della conoscenza, quanto più andiamo scoprendo l' inspiegabile intelleggibilità della natura.
Miller si premura di proporre la fede come cornice ideale a quella conoscenza, la fede come completamento di significato della visione scientifica. Qualcosa che trasformi una presenza enigmatica in una presenza amichevole.
In fondo sa, come sanno Dawkins, Dennett, Lewotin e compagnia che l' unica controproposta credibile è la radicalizzazione atea, l' agnosticismo, dopo Swinburne, resta stritolato e non ha più granchè da offrire: una volta ammessa anche solo la compatibilità del pensiero religioso con quello scientifico, la fede diventa automaticamente l' opzione più rigorosa sul tavolo per chi è desideroso d' impegnare la ragione in queste faccende.
Lungi dal sentirsi rassicurato dal concetto di "non-overlapping magisteria", Miller sa bene quanta cura invece richieda la lavorazione al delicato incastro che salda "scienza e fede", lui stesso vi pone mano con cura nel libro che ho appena letto: Finding Darwin' s God. Peccato che la "cura" non si estenda anche alla parte teologica del libro, d' altronde c' è una scusanete: non è il suo campo.
Le premesse sono ottime ma mi chiedo se l' entusiasmo dimostrato verso il cosiddetto "principio antropico" non sia ancora un cedimento al "Dio degli ignoranti", alias Dio-tappabuchi, alias Dio dei gap. Certo, una versione sofisticata e aggiornata con le ultime conoscenze scientifiche, ma pur sempre quel genere di divinità.
***
Il credente fa scienza stupendosi delle meravigliose coincidenze. Sa che dove c' è "coincidenza" Dio fa capolino poichè per Dio è particolarmente congeniale passeggiare tra noi sotto le mentite spoglie del "caso".
Nel panorama della scienza moderna il "principio antropico" serve la causa alla perfezione, ne fanno fede le strampalate teorie messe su in fretta e furia da taluni ideologi dell' ateismo militante per neutralizzare quella che evidentemente sentono come una minaccia (nel libro è descritta la "disperata speculazione" di Daniel Dennett, forse si potevano affrontare controargomenti più efficaci).
Eppure, per quanto appena detto, il "pp" non convince del tutto. Non conviene essere più radicali nell' osservare le avvertenze ben chiarite dallo stesso Miller?
Io considererei più da vicino la nostra possibilità di "conoscere" l' universo stesso in cui abitiamo. Non è "meraviglioso" già solo questo semplice fatto? Non basta riscontrare le curiose regolarità catturate dalla matematica per "stupire" e pensare ad un Dio?
Innanzitutto si tratta di coincidenze sorprendenti: gli universi incomprensibili sono molto più numerosi degli universi "ordinati". E' davvero solo un caso fortuito essere capitati in un mondo "matematico"? E si badi bene che la sopravvivenza non è legata alla "comprensione", tanto è vero che i più efficienti in questo campo sono talune colonie batteriche che esistono da sempre.
E' ipotesi che conforta alcune certezze: il numero dei "mondi ordinati" a disposizione è comunque tale da garantire la comparsa della "coscienza". Dio assicura così la presenza di un pubblico all' infiorescente spettacolo di una creazione realizzata mediante lo strumento evolutivo.
E' ipotesi che elude l' alternativa di Leslie: "il fine tuning è evidenza, evidenza genuina del seguente fatto: Dio è reale/ci sono molti universi differenti". Anche i "mondi differenti" - purchè ordinati - restano a questo punto nell' orbita dell' ipotesi teista.
E' persino un' ipotesi falsificabile: verrebbe smentita allorchè si scoprisse un' irriducibile caoticità dell' universo che comporti l' insensatezza dell' impresa scientifica e, di conseguenza, la sua razionale dismissione.
Esiste forse un vincolo più saldo che leghi Dio alla Scienza?: "niente Scienza, niente Dio"; cosa si vuole di più? Inoltre, per questa via non si "tappa" nessun buco, così come non si postulano inverosimili contingenze. Si dà solo un "significato" pieno alla nostra conoscenza.
"Niente scienza, niente fede", dunque. Ripetiamo bene insieme il nostro nuovo motto per fissarlo meglio in testa.
Curiosità! Forse è per questo che talune presentazioni "orientate" dell' evoluzionismo sembrano minacciare la fede: l' evoluzionismo è, chi puo' negarlo?, un paradigma scientifico decisamente rozzo se paragonato alla raffinatezza delle teorie della fisica; persino le "scienze umane" appaiono talvolta con capacità predittiva più "calibrata". Ma allora, se vale il "niente scienza, niente fede", forse vale anche il "poca scienza, molto caos, poca fede".
Eppure, vale la pena ricordarlo ai distratti, per la biologia è ancora quello darwiniano il paradigma di gran lunga migliore in circolazione, per quanto vaga è pur sempre "conoscenza" anche quella, e il libro di Miller ha la virtù di mostrarlo persino ad un principiante come me.
Ultimissima cosa. Il trattamento a cui ho sottoposto "pp" potrei ripeterlo quando Miller passa ad occuparsi del "free will" facendolo dipendere dall' indeterminatezza introdotta nel mondo fisico grazie ad alcune interpretazioni della teoria quantistica. Non è anche questa una soluzione tappa-buchi? E quando la teoria dei quanti sarà rivista o l' interpretazione cambiata? Rischiamo davvero di trovarci tra le palle neo-teologi petulanti alla Dawkins, vi avviso. Forse, anche su questo punto, si puo' fare meglio.
giovedì 1 aprile 2010
Concerto
E' il titolo del film che ho visto ieri sera al cineforum di Rho. Tra le altre cose, il film è un commosso omaggio all' anima slava.
E l' anima slava si salva solo facendo l' apologia del disordine.
Qualcuno entra in un campo Rom e ci vede caos, trascuratezza, approssimazione, degrado, precarietà, insidie, disorganizzazione... per altri traspare in controluce un disordine creativo, una rilassata levità mozartiana quintessenza della vitalità.
Radu Mihaileanu in fondo è un cantore del caos, i suoi eroi improvvisano inverosimili soluzioni all' ultimo momento disponibile. L' "ultimo momento", una landa dove solo il genio delle soluzioni precarie ha cittadinanza.
Alla fanfara roboante di Kusturicza, un regista dalla tempra affine, il rumeno sostituisce sonorità più morbide ma altrettanto mosse.
Per cantare il disordine bisogna sentirlo intimamente come una polifonia, e allora ecco che viene buona la lezione del sommo Fellini: nella pista del suo circo s' intrecciavano quattro dialoghi nella medesima sequenza; alla fine non si capiva granchè, ma cosa conta? Anche in una musica strumentale non capiremo mai le "parole" esatte, eppure cio' non scalfisce in alcun modo una bellezza fatta anche da questa ambiguità.
La polifonia cinematografica di Radu non necessita di trame molteplici che si incrociano, quella è roba per occidentali come Altman o Inarritu. La musica di Radu è di corto respiro, conta saper valorizzare la ricchezza contenuta nei brusii. Gould chiudeva gli occhi e riusciva a riascoltare l' amato Bach concentrandosi sul chiacchericcio del bar in cui sorbiva il caffè mattutino.
Ma il ghirigoro di Radu non è neanche "ricamo sul nulla", siamo pur sempre slavi, mica francesi. Il "morboso" allora deve essere il sale da cospargere un po' ovunque nel minestrone che bolle in pentola.
Se esiste un ordine solo, esistono mille disordini: il Maestro ci insegna a scegliere quello giusto. Come riconoscerlo?
Forse il caos benefico è fatto da persone sparse in cui ognuno persegue il suo obiettivo nel disinteresse di quello altrui, salvo il rispetto dovuto alla persona che s' incrocia continuamente andando su e giù per le scale di questo pazzo mondo. Chissà mai che proprio il nostro vicino, cos' alacre nel curare i propri affari, saprà più o meno volontariamente spianarci la strada per realizzare meglio i nostri.
Nel film il gran formicaio occidentale scoperchia cio' che nell' imbalsamata Russia già formicolava in modo latente nelle abusive catacombe.
Ma perchè la trama inverosimile vada in porto, perchè il genio risolva all' ultimo istante, perchè gli egoismi dei dispersi diano luogo ad una coesa cooperazione, perchè la farsa si sposi bene al patetismo, perchè dal caos emerga un ordine occorre un evento sublime che chiami a raccolta i cuori, e questo evento qui è la musica, una musica sentita, capita e vissuta tutta la vita in tutte le vite.
Lo spettatore lo sa ed è disposto a perdonare tutto mentre segue la bislacca storia ma non potrebbe mai perdonare, nel corso del ciajkowskiano finale, un' eventuale incuria nella ditteggiatura del violino solista. Anche Radu lo sa e spedisce la bionda attrice protagonista a frequentare corsi di violino per interi mesi. Anche il ferro battuto dai vecchi zingari brennesi doveva avere curvature a prova di goniometro e il salto mortale del clown di provincia deve valere quello della finale olimpica.
E l' anima slava si salva solo facendo l' apologia del disordine.
Qualcuno entra in un campo Rom e ci vede caos, trascuratezza, approssimazione, degrado, precarietà, insidie, disorganizzazione... per altri traspare in controluce un disordine creativo, una rilassata levità mozartiana quintessenza della vitalità.
Radu Mihaileanu in fondo è un cantore del caos, i suoi eroi improvvisano inverosimili soluzioni all' ultimo momento disponibile. L' "ultimo momento", una landa dove solo il genio delle soluzioni precarie ha cittadinanza.
Alla fanfara roboante di Kusturicza, un regista dalla tempra affine, il rumeno sostituisce sonorità più morbide ma altrettanto mosse.
Per cantare il disordine bisogna sentirlo intimamente come una polifonia, e allora ecco che viene buona la lezione del sommo Fellini: nella pista del suo circo s' intrecciavano quattro dialoghi nella medesima sequenza; alla fine non si capiva granchè, ma cosa conta? Anche in una musica strumentale non capiremo mai le "parole" esatte, eppure cio' non scalfisce in alcun modo una bellezza fatta anche da questa ambiguità.
La polifonia cinematografica di Radu non necessita di trame molteplici che si incrociano, quella è roba per occidentali come Altman o Inarritu. La musica di Radu è di corto respiro, conta saper valorizzare la ricchezza contenuta nei brusii. Gould chiudeva gli occhi e riusciva a riascoltare l' amato Bach concentrandosi sul chiacchericcio del bar in cui sorbiva il caffè mattutino.
Ma il ghirigoro di Radu non è neanche "ricamo sul nulla", siamo pur sempre slavi, mica francesi. Il "morboso" allora deve essere il sale da cospargere un po' ovunque nel minestrone che bolle in pentola.
Se esiste un ordine solo, esistono mille disordini: il Maestro ci insegna a scegliere quello giusto. Come riconoscerlo?
Forse il caos benefico è fatto da persone sparse in cui ognuno persegue il suo obiettivo nel disinteresse di quello altrui, salvo il rispetto dovuto alla persona che s' incrocia continuamente andando su e giù per le scale di questo pazzo mondo. Chissà mai che proprio il nostro vicino, cos' alacre nel curare i propri affari, saprà più o meno volontariamente spianarci la strada per realizzare meglio i nostri.
Nel film il gran formicaio occidentale scoperchia cio' che nell' imbalsamata Russia già formicolava in modo latente nelle abusive catacombe.
Ma perchè la trama inverosimile vada in porto, perchè il genio risolva all' ultimo istante, perchè gli egoismi dei dispersi diano luogo ad una coesa cooperazione, perchè la farsa si sposi bene al patetismo, perchè dal caos emerga un ordine occorre un evento sublime che chiami a raccolta i cuori, e questo evento qui è la musica, una musica sentita, capita e vissuta tutta la vita in tutte le vite.
Lo spettatore lo sa ed è disposto a perdonare tutto mentre segue la bislacca storia ma non potrebbe mai perdonare, nel corso del ciajkowskiano finale, un' eventuale incuria nella ditteggiatura del violino solista. Anche Radu lo sa e spedisce la bionda attrice protagonista a frequentare corsi di violino per interi mesi. Anche il ferro battuto dai vecchi zingari brennesi doveva avere curvature a prova di goniometro e il salto mortale del clown di provincia deve valere quello della finale olimpica.
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