giovedì 26 giugno 2008

A letto con il nemico: Krugman e Reynolds

Un paio di articoli sui prezzi petroliferi. Economisti di opposte tendenze sembrano d' accordo nel ridimensionare il ruolo degli speculatori.

mercoledì 25 giugno 2008

L' Inno dell' Evasore

Una bella canzone da ascoltare e riascoltare.


Ninna nanna del contabbandiere

Ninna nanna, dorma fiöö...
el tò pà el g'ha un sàcch in spala
e'l rampèga in sö la nòcc...
Prega la loena de mea fàll ciapà
prega la stèla de vardà in duvè che'l va
prega el sentée de purtàmel a ca'...

Ninna nanna, ninna oh.....

Ninna nanna, dorma fiöö...
el tò pà el g'ha un sàcch in spàla
che l'è piee de tanti ròpp:
el g'ha deent el sö curàgg
el g'ha deent la sua pagüra
e i pàroll che'll po' mea dì....

Ninna nanna, ninna oh....

Ninna nanna, dorma fiöö...
che te sògnet un sàcch in spàla
per rampegà de dree al tò pà...
sö questa vita che vìvum de sfroos
sö questa vita che sògnum de sfroos
in questa nòcch che prégum de sfroos

Prega el Signuur a bassa vuus...
cun la sua bricòla a furma de cruus....
***



Ninna Nanna, dormi Figlio...
Che il tuo Papà ha un sacco in spalla
e si arrampica sulla notte...
prega la luna che non lo faccia prendere
prega la stella di illuminargli la strada
prega il sentiero di riprtarmelo a casa...

Ninna Nanna, dormi Figliolo...
Che il tuo Papà ha un sacco in spalla
che è pieno di tante cose:
c' ha dentro il suo coraggio
c' ha dentro la sua paura
e tutte le parole che non puo' dire

Ninna Nanna, dormi Figliolo...
Che sogni un sacco in spalla
per arrampicare dietro al tuo Papà...
in questa vita che viviamo sottobanco (di frodo)
in questa vita in cui sognamo sottobanco (di frodo)
in questa notte che preghiamo sottobanco (di frodo)

Prega il Signore a bassa voce...
con la sua bricolla a forma di croce


***


La bricolla è il sacco dove i contrabbandieri (spalloni) mettevano la merce trasportata sui sentieri di montagna che attraversano i confini.

L' importanza delle regole. Italia in cattedra, USA al banco

Molti, guardando scoraggiati il capitalismo italiano e alle regole che lo disciplinano, indicano sospirando l' inesorabile puntualità con cui colpisce il controllore americano.

Le retate di manager, poi, mandano in sollucchero l' animo giustizialista di chi vede nella mannaia la soluzione definitiva.

Quando poi si spiano i pensieri provenienti da oltre oceano (perchè le beghe le hanno anche loro e non poche), di cosa ci accorgiamo? Qual è la soluzione invocata nel paese che ha già risolto tutto?

"Il modello italiano". Un modello di governance della finanza basato sui principi anzichè sulle regole.

Lacci e lacciuoli? Sì, in america però. Lì la proliferazione delle regole è responsabile dell' impennata di formalità e frodi.

Del resto le dritte del grande truffatore finanziario John Law parlano chiaro: per fare veri colpacci occorre un sistema pieno di regole.

E' ovvio, passi inosservato, tutti sono impegnati a compilare il loro modulino. Passi inosservato specialmente se tu sei il campione dei "modulini".

Il John Law dei nostri giorni avrebbe vita facile negli USA ma non in Italia. Qui vigono i "principi", non le regole, qui s' inquadra una sostanze è c' è un monarca (l' authority) che di volta in volta dà specificazione alla sostanza. Qui non ci freghi con i modulini.

E' il mondo alla rovescia quello presentato dal New Yorker. Nella governance finanziaria italiana la normativa si produce con le consuetudini specificate dall' authority sempre attenta ai fatti e refrattaria all' illusionismo formalistico su cui John Law e molti suoi simili puntavano tutto.

Anche così si spiega la tenuta eccellente delle dighe che hanno preservato il Bel Paese dall' inondazione dei Sub-prime

D' accordo, la finanza è affare internazionale e non c' è diga che tenga. Ma per intanto gonfiamo il petto e gustiamoci il brivido di salire in cattedra.

E' il mondo alla rovescia, il mondo anglosassone viene a lezione di common law nel bacino mediterraneo!

Nelle parole di Surowieki:

"... bank regulators in Italy, following a principles-based strategy, succeeded in keeping big Italian banks from heavily investing in subprime derivatives, even though such investments wouldn’t have broken any laws..."

Capire la differenza tra "regole" e "principi" è facile. Basta pensare al calcio e al football americano.

"... It’s something like the difference between football and soccer. Football, like most American sports, is heavily rule-bound. There’s an elaborate rulebook that sharply limits what players can and can’t do (down to where they have to stand on the field), and its dictates are followed with great care. Soccer is a more principles-based game. There are fewer rules, and the referee is given far more authority than officials in most American sports to interpret them and to shape game play and outcomes. For instance, a soccer referee keeps the game time, and at game’s end has the discretion to add as many or as few minutes of extra time as he deems necessary. There’s also less obsession with precision—players making a free kick or throw-in don’t have to pinpoint exactly where it should be taken from. As long as it’s in the general vicinity of the right spot, it’s O.K...."

"... It can make life easier for honest corporations, since they have to spend less time complying with overly complex rules, and also thwart dishonest ones, since regulators can spend more time looking at the substance, rather than the minutiae, of corporate bad behavior. It has been argued that Enron might have found it harder to get away with its shenanigans under a principles-based system, since many of the company’s gambits, while following U.S. accounting rules, nonetheless violated fundamentals of financial reporting..."

martedì 24 giugno 2008

Fasi

Uno non sa mai se è in questa fase o in quest' altra. Che brutto il mal di mare.

Primati

Ha vinto lui ma io tifavo per lei.


Le rette nella scuola pubblica

Misurare con un indicatore quantitativo la bontà di un istituto scolastico è compito impervio.

Dice: bisogna individuare il differenziale di preparazione dell' allievo da quando entra in quella scuola rispetto a quando esce.

Ma la "preparazione" include anche elementi incommensurabili.

Si puo' benissimo convenire senza arruolarsi tra gli anti-testmen barrcaderi.

Molto meglio, in questi casi, assumere nei confronti del test quello che Koretz chiama "il Principio Rolling Stones":

"... No, you can't always get what you want... but if you try sometime... you find
You get what you need..."

Fiduciosi proseguimo alla ricerca della bisogna e subito altre barriere si frappongono.

Inanzitutto l' atteggiamento leggermente fraudolento di alcuni istituti che va sotto il nome di inflazione da test. Consiste nell' organizzano unicamente in funzione dei test trascurando altri aspetti della preparazione.

In secondo luogo la curva di progressione: i miglioramenti non procedono linearmente, se si parte da livelli alti non sarà facile migliorare molto.

In terzo luogo il contesto (famiglia, amici) continua ad influenzare le prestazioni dell' allievo anche durante la frequenza scolastica.

Per noi ottimisti gli ostacoli sono superabili, si tratta solo di prendere una bella rincorsa. Nel primo caso potremmo ricorrere all' impiego random di più misuratori, negli altri casi basta stimare delle "tare" opportune.

Ad ogni modo, anche così viziati, i misuratori potrebbero avere un impiego alternativo: autorizzare le scuole eccellenti in termini assoluti a fissare una retta per gli allievi che le frequentano. In fondo la misura assoluta ci esenta dallo sgravio delle "tare".

E poi non è detto che la facoltà di una "retta" anche nel pubblico minacci le pari opportunità introducendo discriminazioni economiche: se il contesto conta, i frequentatori perverranno da famiglie agiate. Se conta meno, il preside userà il pedale della "retta" stando ben attento a non mettere in fuga un' utenza che gli dà questa opportunità di raccogliere finanziamenti aggiuntivi.

L' anello mancante: lo scienziato cattolico d' assalto

Steven Pinker afferma che difficilmente sapremo mai quanto la genetica influenzi le differenze che dividono i generi e le razze (parla proprio di razze).

Questo settore di ricerche è taboo per gli accademici e chi tocca muore, almeno professionalmente.

Da parte sua però è pronto ad accettare il fatto che la genetica giochi un ruolo importante nel caratterizzare i talenti tipici delle donne tenendoli ben distinti da quelli degli uomini. Lo stesso dicasi per le razze.

Chi di fronte ad affermazioni del genere fa scattare l' accusa di "sessismo" o "razzismo", è semplicemente un analfabeta statistico.

Sarebbe interessante chedere a Pinker cosa intende per "razzista".

Altra osservazione: il fatto che certi settori di ricerca siano oggi taboo per le scienze è una chiara accusa al secolarismo. Eppure penso proprio che Pinker simpatizzi con la tendenza secolare.

Il secolarismo affida unicamente alla scienza sperimentale il compito di ricercare il Vero. Quando si profila un Vero scomodo non puo' che tirare le briglie.

Bisogno estraneo a chi, avendo a disposizione "altre dimensioni", puo' concedersi il lusso di porre l' enfasi sul lato strumentale della ricerca senza imporsi dei limiti.

La Fede Religiosa è un' ottima produttrice di "altre dimensioni".

Dopo tanto trambusto sulla religione, vuoi vedere che proprio il secolarismo (nella sua variante più avanzata del politically correct) sia il vero nemico pronto ad imbavaglare le scienze?

La logica della conclusione fila da dio.

Peccato latiti la figura dello scienziato cattolico spregiudicato.

Ma non disperiamo, sembra che al San Raffaele, tanto per dirne uno, si diano da fare per costruirla.

D' altronde questa impasse è la stessa che coglieva Feynman nel momento in cui non trovava nessuna incompatibilità tra fede e scienza, salvo poi rilevare quanto gli atei affollino la comunità scientifica in proporzioni ben maggiori rispetto alla comunità civile.

L' uragano degli aiuti

Difficilmente il settore della protezione civile potrà mai essere privatizzato. Cio' non toglie che i privati possano giocare un ruolo importante.

Il day-after di Katrina ha insegnato ancora cio' che tutti sanno: l' efficienza del settore pubblico è bassissima. Con concorrenti del genere era naturale che gli sforzi di Wal-Mart spiccassero per qualità e tempismo.

Ma Dan Rothschild va oltre soffermandosi non tanto sull' apporto positivo quanto sui danni che un ritiro dell' intervento pubblico risparmia. Tenta una stima di quanto costino le mancate promessa e il relativo spiazzamento dell' iniziativa privata. Si arriva a cifre vicine a quelle del disastro.

The lesson of Katrina that matters the most is that the promise of federal assistance that will likely never materialize can be as destructive as the initial disaster...

What residents need in this maw of confusion is certainty. They need to know which roads will be rebuilt, and when the power and water will come back online. They need to know that the rule of law will be enforced. In short, they need to know what economists call the "rules of the game" for rebuilding.

sabato 21 giugno 2008

Il ronzio di Carver

Raymond Carver: Cattedrale



Fa piacere sapere che se subisci un torto puoi sempre correre a casa e confortarti con un racconto di Carver.

Funziona anche se il torto lo infliggi.

Funziona ogni volta che resti senza parole.

Ray fa bisbigliare i tuoi silenzi attoniti, sottrae dramma e tensione alla sconfitta esistenziale senza occultarla sotto patine plastificate. Lei resta sempre lì a due passi da te, quando sarai pronto potrai darle un' occhiata.

Non c' è fretta, nel frattempo possiamo farci un goccetto.

Ray ti fa parlare e ti parla. Parla a tutti i cuori che hanno bisogno di rallentare il loro battito.

La sua compagnia è gradevole, non ti chiama continuamente a "fare il punto della situazione". Non si sognerebbe mai di chiederti un "chiarimento" su cose dette o fatte. Men che meno si interessa ai tuoi "progetti". Con lui le impellenze vanno a farsi benedire.

Quando un estraneo entra in casa tua e si guarda in giro, hai sempre l' impressione che non gli piaccia cio' che vede. Ecco, con Ray apprensioni del genere ti vengono risparmiate.

In realtà nemmeno apre bocca finchè nella stanza non aumentano certe misteriose pressioni e lui, messo alle strette, si sente in dovere di farlo.

Si chiacchera un po' del più e del meno, quando le batterie della discussione si esauriscono (quasi subito), propone di accendere la TV. Da qualche parte c' è sempre un telegiornale o un documentario.

Capita spesso che sia sul punto di dire qualcosa, ma poi non dice niente.

Tanta discrezione a volte crea delle stasi, non lo nego. In questi casi si resta lì come fulminati, con i nostri faccioni imperlati di sudore. Le copertine di Gabriella Giandelli illustrano bene il modo in cui i televisori dilatano l' iride, appesantiscono la palpebra, gonfiano la borsa oculare. Sono piccole deformazioni facciali che i personaggi di ray presentano invariabilmente.

Le parole di Ray non sono granchè, ma perlomeno le puoi toccare. Le puoi tenere in mano come fossero suppellettili. In mano ci stanno in modo stabile, la cosa è rassicurante per tipi come noi che hanno le mani grosse e callose. In testa è diverso, lì le parole si muovono in continuazione, scivolano via che è un piacere. Quando le cerchi non ci sono mai.

Ray non sopporta troppa "realtà" tutta in una volta.

Ricordo quando dovette incontrare e ospitare nei suoi racconi un cieco, era tutto eccitato e apprensivo. Non finiva più di riempire i vuoti di quel racconto con la parola "cieco". E il cieco di qua... e il cieco di là...

Un cieco nei suoi racconti, un cieco in casa sua. Che stranezza! Era già al limite e, come se non bastasse, quando il cieco aprì la porta ed entrò nel racconto, si scoprì che aveva la barba, un gran barbone. Pure la barba, un cieco con la barba, decisamente eccessivo per Ray.

Un' altra volta Ray in un suo racconto c' ha messo dentro un pavone (forse ha fatto anche la ruota ma sul punto il testo è ambiguo).

Ma che ci fa un pavone dentro racconti dove cercheremmo invano anche il nome del protagonista?

Per compensare questa esagerazione incongrua ha dato fondo a tutto il suo virtuosismo.

Noi lettori abituali l' abbiamo notato subito il pavone e ci siamo guardati con fare interrogativo. Anche perchè i pavoni sono esseri agitati, non stanno comodi nei racconti di Ray, non sono quelle le gabbie adatte a loro. Nell' altra raccolta una presenza del genere sarebbe stata impensabile impensabile.

Noi lettori abituali guardavamo questo strano pavone e nutrivamo un certo imbarazzato; in quel racconto ci siamo sentiti come ospiti in visita pieni di cautele. Abbiamo bussato in equilibrio sulle uova, cercando di darci un tono leggermente migliore del nostro solito, dare una buona impressione era importante. D' altronde eravamo in un racconto con tanto di pavoni e ci sembrava naturale mostrare una certa confidenza con un simile uccello.

Quando l' anfitrione - ovvero Ray - ci ha aperto la porta per farci entrare anche il pavone - che fino a quel momento razzolava convulsamente in giardino - ha voluto accedere. Ray lo scacciava trattandolo anche malino, devo dire. In quel traffico abbiamo toccato timorosi la bestia con lo stinco e abbiamo detto "Oh".

Nel suo racconto Ray ha dato grande evidenza a questo "Oh". Non se l' è lasciato sfuggire. In questo senso Ray è una sicurezza, non delude mai.

Sono contento perchè il nostro "Oh" compensa di gran lunga la bizzarra presenza di un pavone tra le righe di Ray. Non solo la compensa, la giustifica e la valorizza. Ora sono contento che Ray abbia scritto un racconto con un pavone, lo sono perchè in quel racconto c' è anche quell' "Oh".

A distanza di due giorni, memore di quel passaggio letterario, sono tornato sulla pagina a rileggere l' "Oh". Non mi capita spesso di recuperare alcune righe, di solito quello che è "letto" è "letto", avanti il prossimo.





Le parole di Ray ronzano.

Ray si è dimenticato le sue opinioni, forse una volta ne possedeva ma ora non ha più giudizi praticamente su niente e non se ne cruccia, tanto a colmare le lacune ci pensa il ronzio che emette in continuazione.

Se Il tran tran avesse un suo spartito, allora potrei dire che Ray ha sia lo strumento che il talento idoneo per eseguirlo al meglio.

Ci sono dei conti da fare, delle somme da tirare, delle conseguenze da fronteggiare, lo sai anche tu. Ma quel ronzio è una sirena, ti invita a dilazionare le noie, ad isolarti dalle pressioni della donna istigatrice; ti approva quando ti fermi un attimo a farti un goccetto. Ti seduce infine conducendoti nel lazzaretto dei procastinatori: un minuscolo inferno ammobiliato con tanto di tinello. E con un bel televisore a cui dare un' occhiata quando sei alle strette.

Rastrelli di classe

Non capisco tanta perizia nel rastrellare il giardino quando tanto non invito mai nessuno per il barbecue.

venerdì 20 giugno 2008

Paradisi mormoranti

Svoltato il tornante cosa troveremo? Non siamo poi così certi di portare al sicuro il nostro corpo - corpo infreddolito dall' umidore dei fanghi delle trincee, smembrato dalle granate-ananas, traforato dalle schegge, intontito dal clangore del bazooka, meccanizzato dagli ordini di caserma, intossicato dall' antracite, straziato da fili spinati, irradiato dagli urani impoveriti. Non siamo sicuri che veramenti ci spetti come ci hanno detto di depositarlo in un qualunque Paradiso. Varchiamo la soglia intimoriti, il posto sembra quello giusto, ci sono i Martiri, c' è Lazzaro... ma la voce che c' accoglie è timida, è stanca anche lei, come noi. Poi sopraggiunge l' angelo e le sicurezze si rafforzano scaldandoci nella loro stretta: cio' che è reso aspro dalle timidezze si scioglie nella confidenza, cio' che è contratto nel crampo della stanchezza si rilassa. Nuove voci sempre più coordinate ci soccorrono cullandoci in un riposo cicatrizzante. Sono tutti contenti di vederci, rinunciano con fatica a imprigionare il canto della loro calma gioia, ubbidiscono con riluttanza anche al tocco della campana paradisiaca quando ordina il raccoglimento nella preghiera. La strada era giusta, l' indicazione corretta, è proprio qui che elargiscono il lumino fioco che scaccia i timori cedendo solo al sonno fausto che riunisce e asciuga le labbra della piaga più rognosa. Dobbiamo ringraziare Benjamin Britten per averci spinto fin qui gonfiando la nostra vela con la sua musica ventilata; affrettiamoci! Ora che la fa solo mormorare... è sul punto di lasciarci.

E sbrigatevi anche voi ad acquistare il doppio della Decca con il War Requiem in occasione a 10 euri!!


Il realismo dell' inesperto

Ho sempre cercato di capire il mio disinteresse per la politica estera.

Ogni tanto mi piace giocare a quello fa l' "umile": la politica estera tratta un soggetto talmente lontano dalle mie esperienze consuete che sento forte il dovere di osservare un silenzio compunto.

Un' uscita come la precedente ti dà un certo tono quando sei in compagnia ma se presa sul serio non convince nessuno. In fondo pontifico su mille questioni che trascendono di gran lunga le mie esperienze quotidiane.

Probabilmente la questione è più semplice. Su questi temi è difficile imbattersi in idee seducenti.

Certo, alcune forme di isolazionismo radicale o di pacifismo ad oltranza sono guide sicure in grado di indirizzare senza ambiguità l' azione di chi le abbraccia. Ma sono anche idee del cavolo votate al fallimento. Hanno senso solo come lussi di chi è condannato alla minoranza che nulla deciderà mai.

Altri tentativi di ingabbiare il problema sono estremamente precari. Praticamente tutti utilizzano un apparato concettuale vago.

E alla fine, dopo aver enunciato fior di principi, chi vuole fare la guerre, con quattro distinguo introdotti ad hoc, la fa quando e come vuole.

Questo vale per la teoria della guerra giusta tanto cara ai cristiani.

Mani slegate pure a destra.

Per non parlare della sinistra: porte aperte a qualsiasi invasione (basta mettere qualche puntino sulle i).

Lo spettacolo è deprimente. Mi abbandono al realismo, che per un inesperto significa lasciar fare agli altri e pensare ad altro.

Sanare le zoppie

Chissà un fresco maturando che esce dalla scuola italiana che punteggio riporterebbe in un test di questo tipo. Oltre a testare lui si testerebbero anche le affermazioni di chi ritiene che certe impostazioni asimmetriche siano solo roba vecchia che ammorbava la scuola di un secolo fa. Da ultimo, m' incuriosirebbe proprio somministrare il tutto a chi queste affermazioni le ha in bocca tutti i giorni. Lo score sarebbe decisivo per dare a costoro seria udienza.

giovedì 19 giugno 2008

Sergentemagiù Rigoni

Solo l' anno scorso, dopo consulto con la miri, lessi la sua opera magna. Visto che l' altro giorno si è involato, forse l' occasione è buona per riprendere vecchie impressioni annotate a suo tempo fresco di quella vicinanza.


***


Mario Rigoni Stern: Il sergente nella neve.

Questi scrittori di guerra li riconosci subito, hanno tutti un rigo dal cominciamento che attacca d' impeto, come se la storia bruciasse loro tra le dita.

Poi si acquietano, ne hanno passate tante e ora ce le raccontano ritmati dalla lenta gravità delle loro stanchezze, svuotati da tutto per potersi svuotare da ogni rancore e da ogni rivalsa, neanche poi così contenti come si aspettavano di essere "tornati a baita".

Il cervello di quelli venuti giù dalla Russia poi, mentre raccontano, è ancora intontito dal crocchio della neve sotto lo scarpone, è ancora trapassato dal quadrante di Cassiopea fissato per ore durante le marce notturne.

Nella steppa hanno combattuto una guerra dura contro altri uomini, e una seconda ancora più dura contro i topi slavi che cercavano di condividere le loro coperte.

Poche soddisfazioni, pochissime. Giusto a Natale due fette di polenta e gatto, ma polenta dura eh? (alla bergamasca). Però due fette grandi come mattoni, Il tutto innaffiato con ottima acqua di neve, e per codina un caffè pestato nell' elmetto.

Che era Natale lo si capiva subito dal modo di bestemmiare. Uno smadonnamento fiorito, soave e disteso, non come quel rosario sparato senza neanche prendere fiato che partiva quando ti impigliavi nei gabbioni di filo spinato, e ci finiva dentro la naja, la fidanzata, la posta, gli imboscati, i russi, mussolini, e altri personaggi inventati sul momento. Il tutto da godere ticketless.

Come tutte, anche quella guerra era più che altro un sovrapporsi di interminabili e snervanti momenti di pace.

Una pace satura di attività poco indicate per lo sviluppo di un solido capitale umano. Potevi dedicarti all' ascolto degli starnuti del nemico, a vedere diventar bianchi e poi scoppiare i pidocchi buttati sulla piastra, allo staccio della farina, alla fumatina di una Milit, a cambiar trincea saltellando nella neve come un capretto a primavera, a pensare parole nuove da scrivere alla ragazza (parole nuove = parole diverse da baci, bene, amore, ritornerò), a fumarti la posta ricevuta, a giocarti a carte i soldi della deca, a evitare i conducenti che odoravano di mulo e che si grattavano la scabbia.

Poi finalmente, attesissima, liberatoria, arriva la guerra (detta anche la sagra). Con il miagolio nell' aria delle pallottole che passano di sopra.

Oggi pomeriggio ne muore solo uno che non conoscevi neanche tanto bene, Cade e la neve gli entra nella bocca, fai le tue cose e quando lo riguardi il sangue gli esce sempre più piano.

Ma smette subito anche questo pezzo di guerra che non voleva consumarsi, smette sussultando come smette la risata di un ubriaco, con qualche fucilata raminga che si attarda senza credere più in se stessa. La fucilata ingiustificabile di uno che è invasato dalla rabbia degli stanchi, degli stanchi di guerra e di vita.

Quando vedi il comandante più tignoso e incapace con la gamba in cancrena ti viene da dire che era un buon diavolo anche lui. E pure questo sentimento ti sale spinto dalla spossatezza, è una misericordia regalata dalla stanchezza. Era un tenente giovane e impazzito, la truppa aveva imparato l' arte di non obbedirgli assecondandolo. Il capitano era il primo ad inorgoglirsi per questa abilità sopraffina e provvidenziale che deve essere il bagaglio primario di ogni buon soldato.

Intanto - mentre passando vedi ancora alcuni alpini placidamente addormentati che muoiono immobili, incassati come piccioni stravecchi dalla massa dimezzata definitivamente ai margini dello stormo - il Don è un Lete che spinge alcuni fortunati ormai indifferenti fuori dalla "sacca".

Morale naturale e microscopi

C' è una sngolare simmetria nel giudicare la sessualità.

Se leggi "Il Manifesto" tenderai a credere che l' orientamento sessuale sia detrminato geneticamente.

Anche per questo riterrai assurdo "curare" un omosessuale. Per te un omosessuale si ravvede solo pervertendosi.

[... in realtà penso che il nesso di causalità sia inverso: sarai morbosamente interessato a dimostrare l' origine genetica per mettere una freccia in più nell' arco di chi combatte la battaglia per evitare ogni "cura"...]

D' altro canto riterrai che nelle differenze di "genere" la genetica non conti un tubo. Per cui il fatto di trasmigrare da un genere sessuale all' altro richiede solo una riverniciatura all' impalcatura culturale.

Per i lettori de "L' Avvenire" probabilmente vale l' esatto contrario.

L' orientamento sessuale è libero (quindi ha senso che un omosessuale si ravveda) mentre il genere è determinato a priori (quindi il trans-gender è un perverso).

Ma la cosa è davvero tanto rilevante?

Il perchè di queste posizioni è comprensibile: se un comportamento ha base genetica è molto costoso modificarlo, lo si puo' fare solo nel corso di più generazioni quando lo si puo' fare.

D' altro canto nulla di eticamente rilevante si puo' concludere osservando un DNA o qualsiasi altro acido.

Anche per questo mi stupisco quando la Chiesa parla di "morale naturale" e alcuni ingenui mettono mando d' istinto al microscopio.

I poveri come nuovi parassiti

Negli Stati Uniti comincia a serpeggiare il credo che i veri parassiti siano i poveri e non i ricchi.

Lo ribadisce Kenneth Arrow constatando, tra l' altro, da dove provengano le contestazioni più aspre alle varie "affirmative action": dai giovani bianchi figli dei colletti blu.

Ci sono poi le ore lavorate: aumentano vertiginosamente con l' aumentare del reddito.

mercoledì 18 giugno 2008

Roger Abravanel non affonda il bisturi: 400 pagine condite da buoni sentimenti

La lettura del libro di Roger Abravanel sulla meritocrazia si sta rivelando piuttosto deludente.

Secondo lui una società è meritocratica quando fa uso massiccio dei test. Punto, passiamo oltre.

Nonostante il titolo non perde molto tempo a spiegarci cosa sia la meritocrazia. Dà per scontato che meritocrazia = test + mercato.

Nemmeno ci si sofferma sulle molte difficoltà che sorgono nel tentativo di isolare l'intelligenza. E dire che il libro conta quasi 400 pagine, lo spazio non manca.

Se qualcosa fa difficoltà, RA lo liquida in quattro e quattr' otto.

Sono contento di tanta sicumera perchè in fondo anch' io sono dalla sua parte, ma avrei sperato che mi fornisse qualche arma letale con cui difendere le postazioni. Invece niente (per ora). Purtroppo RA non è d' aiuto visto che il suo testo è praticamente privo di fatti, dati e note che rinviino a fatti e dati.

Come posso sapere se sia stato premiato veramente chi merita? RA la fa facile: chi merita è colui che ha superato il test.

RA sembra uomo di sinistra in adorazione del mercato (va così di moda). Secondo lui la meritocrazia ha uno scopo: innescare la mobilità sociale.

Ma se ci si ferma lì, anche i dadi innescano mobilità sociale.

Perchè dovremmo affidarci ai test? RA non lo dice, chiede un affidamento cieco affinchè questi intralci da cacadubbi vengano aggirati e si passi alla fase implementativa. Io mi fido abbastanza ma mi sarebbe piaciuto qualche argomento.

RA ha sempre in bocca l' espressione "pari opportunità". I test sono l' arma per fornirle.

Di solito uno non parla molto volentieri dei suoi spauracchi. Forse lo spauracchio di RA riguarda la validità a tutto campo dei test.

Un altro spauracchio di RA è la genetica. Se l' intelligenza dipende dalla genetica, addio pari opportunità.

Non potendo eludere del tutto l' argomento "genetico", RA ne parla in modo piuttosto vago: Michael Young, l' inventore della meritocrazia che concluse i suoi studi dichiarando fallito il progetto a causa delle inevitabili derive genetiche, viene liquidato come "personalità ambigua" invecchiata male.

Ma oltre alle vaghezze c' è di peggio, ci sono gli svarioni veri e propri, come quando si dice: "... The Bell Curve: Intelligence and Class Structure in American Life di Herrnstein e Murray sostiene che alla fine conta solo la genetica...".

Ma questa è la cazzata madornale di chi non vuole vedere in faccia i problemi e storpia cio' che dà fastidio quando proprio non riesce a rimuoverlo del tutto.

H/M non hanno affatto sostenuto cio' che viene fatto loro dire. Il fatto che RA si accodi ad una lunga schiera, aggrava la topica visto che viene commessa dopo mille precisazioni già fornite sul tema.

H/M si limitavano a considerare che se vogliamo conoscere il reddito futuro di un americano, l' informazione più preziosa che dobbiamo richiedere è il suo IQ misurato dai 15 ai 23 anni. Altre informazioni, come per esempio le condizioni socio-economiche della famiglia di provenienza, ci dicono molto meno.

H/M non facevano dipendere l' IQ dalla genetica, lasciavano in sospeso la questione disinteressandosene.

Certo, visto che SEF (condizioni socio economiche familiari) contano poco, evidentemente i fattori a monte dell' IQ, qualora non siano genetici, riguardano la cultura profonda. E azzerare una cultura è molto costoso per una policy.

Anche per questo H/M invitavano ad evitare aiuti alle "culture" che producevano povertà (es. i sussidi alle ragazze madri).

Poichè TBC è forse il libro più dibattuto del ventennio, H/M hanno avuto modo di puntualizzare ripetutamente alle critiche mai veramente serie ricevute. Peccato che ad RA il dibattito sia sfuggita e abbia tutta l' aria di volerlo ricominciare riproponendo le prime fasi.

Ma ipotizziamo la situazione ideale: tutte le culture vengono spazzate via (o compensate con l' affirmative action), i bimbi crescono in una campana di vetro che per tutti è la stessa, poi subiscono la selezione in base ai test. La mobilità sociale sarebbe garantita, ma se questo è il valore ultimo siamo sicuri che l' esito sia eticamente diverso rispetto al semplice impiego dei dadi? Siamo sicuri che tolte di mezzo le culture la genetica non finisca per contare ancora di più? Siamo sicuri di non assistere ad una lotteria dei talenti?

Il fatto che si tratti pur sempre di una "lotteria", rende la cosa eticamente sospetta.

Il fatto che riguardi i talenti la rende utilitaristicamente rilevante, ma allora devono essere considerati anche i costi sociali che comporta l' azzeramento di una cultura, proprio come segnalavano H/M.

RA non sembra interessato a questi nodi (le sue vaghezze e i suoi svarioni lo confermano).

Peccato che io invece lo sia e il promettente libro invece non mi aiuta molto a sbrogliare la matassa.

A volte ho il sospetto che libri del genere abbiano una funzione propagandistica. I lettori in Italia sono prevalentemente di sinistra, è l' unico popolo che richiede "spiegazioni". Spiegazioni per ricominciare, dopo il 68, ad accettare una società in cui ci siano "classifiche", "perdenti" e "diseguaglianza". Ma cosa ha effetto per il popolo progressista dalle lenti spesse? Abravanel offre 400 pagine e tanti buoni sentimenti. Forse puo' bastare.

martedì 17 giugno 2008

Dal nulla

E' timida la musica di Vacchi. Si presenta ancora e sempre in boccio. Appartata risuona da uno strano giardino e ci fa un cenno, a noi che di fretta passiamo sulla strada. Ha la fronte bassa e lo sguardo trasversale di una Geisha. Ma non è umiltà. Quell' occhio narcotizzante ci invita a varcare strane soglie. Cedo e lascio i miei affari scartando dalla via maestra, cosa succederà adesso?

"Dal nulla", è la richiesta della didascalia per certi attacchi.

Cap & trade a scuola e in tribunale

Le intercettazioni sono troppe?

Lo scienziato triste ha la soluzione, si tratta sempre della stessa: fissare un minutaggio massimo per procura consentendo alle procure di negoziare tra loro i minuti.

Naturalmente la cosa funziona solo se i procuratori sono resi responsabili in base ai risultati. Oggi non sembra sia così.

I prof. con il tempo sono diventati troppo di manica larga danneggiando così i migliori allievi?

Lo scienziato triste ha la solita soluzione: fissare un budget di voti che ciascun professore puo' distribuire e introdurre forme di commercializzazione dei voti tra prof..

Gli alunni appartenenti ad una classe sopra la media sarebbero penalizzati. Ma lo sarebbero ancora di più se la "manica larga" non fosse disincentivata.


La cosa funziona, ma solo se i prof. sono responsabilizzati rispetto ad un risultato finale.

A proposito, ma perchè la "manica larga" danneggia i migliori? Semplice, se i voti si concentrano in alto, l' informazione che veicolano è dettagliata nel descrivere il profitto dei peggiori ma è molto scarsa nel descrivere quello dei migliori.

Battesimo come signalling

Ma perchè se mi comporto esattamente come un cristiano modello, contrariamente a lui, per il semplice fatto di non aver ricevuto il battesimo, metto a repentaglio la mia salvezza?

La questione è saltata fuori nei commenti ad un post. Mi sembra interessante sintetizzarla qui.

Perchè il battesimo farebbe la differenza? come si puo' rispondere secondo ragione?

Innanzitutto c' è una questione sostanziale: le intenzioni contano.

Fare la cosa giusta nutrendo intenzioni sbagliate vanifica il nostro gesto. La "cosa giusta" va fatta in nome di Dio, altrimenti conta poco. I sacramenti sono a garanzia delle nostre intenzioni.

Ma l' obiezione puo' essere spinta oltre: ammettiamo che le opere siano accompagnate dalle giuste intenzioni, mancherebbe solo il mero formalismo di una loro aperta manifestazione.

Anche il formalismo ha una sua funzione, serve in quanto "segnale" comunitario.

Il Sacerdote deve indirizzare correttamente la comunità attraverso segnali visibili, in caso contrario ogni comunicazione verrebbe neutralizzata nell' interiorità più intima e appartata.

L' elemento formale dei sacramenti realizza questo elemento comunicativo. Prestarsi al formalismo significa anche offrirsi alla comunità affinchè si svolga una funzione tanto importante.

Quest' offerta alla comunità è ragionevole, in varie forme e in altri ambiti già la realizziamo.

Robin Hanson, economista, da tempo elabora una teoria del "signalling". Molte nostre azioni hanno obiettivi che si affiancano o che sostituiscono del tutto quello che appara come principale.

Esempio: Hanson trova che gran parte della spesa farmaceutica non abbia lo scopo di guarirci dalle malattie ma piuttosto di comunicare il messaggio: "mi prendo cura di me". Messaggio molto apprezzato dalla comunità, una persona che si cura è affidabile. Oppure, in alternativa, il messaggio ancor più forte dal punto di vista relazionale: "mi prendo cura di te".

Anche per questo motivo, medicine che sono poco più che placebo, vanno a ruba.

Hanson applica la teoria del "signalling" ad una serie di casi svariati (not just medicine, but real estate transactions, the wooing of a spouse, the role of education in the job market, parenting, the economics of self-deception, and Robin's argument that we spend too much time on admirable activities...). Ecco un podcast di Robin sul tema.

Andrebbe precisato che Hanson avanza la sua teoria per giustificare il taglio dei sussidi sui farmaci. Secondo lui a risentirne non sarebbe la salute visto che gli utenti sacrificherebbero dapprima l' attività di "signalling."