Me ne sto aquattato con l' occhio vigile sulle righe che scorrono in attesa che abbocchi un simbolo, un' epifania, un alef. Ma non abbocca nulla. Quest' acqua non è abitata da pesci, ho temperato invano la mia matitina, oggi non arpionerò alcunchè.
Scorrono quindi intonsi i racconti di Raymond Carver.
Omaggiano molta letteratura americana facendoci capire che non ci si cura troppo di noi, che non si farà "accadere" nulla per noi, a nostro uso e consumo.
Ci accorgiamo subito che siamo in ritardo o in anticipo sugli eventi: tutto è già successo, tutto deve ancora accadere. E a chi ha mancato l' appuntamento tocca essere ricevuto da Mr. Carver.
Anche gli strumenti dell' archeologo possono essere deposti, non c' è un' assenza da ricostruire, da riempire con ipotesi e congetture. Dobbiamo solo sentire l' eco di cio' che abbiamo mancato, l' evento vibra ancora tra le minutaglie insignificanti che sporcano i silenzi.
Stiamo sempre nella testa del protagonista solo per scoprire che anche lì, nel suo luogo più intimo, lui è reticente, lui è in difesa, lui non osa e non sbroglierà mai la matassa, non getterà luce.
Intanto, alimentato da questa impotenza, l' eco disarticolato del "fatto grave" che l' ha messo ko si fa assordante.
Per fortuna che ogni tanto, un isolato "evento nuovo", fresco, naturale, completamente indifferente ai drammi umani, si presenta e "accade" ripulendo molta sporcizia accumulata.
E' la scossa di terremoto di America oggi, è il colibrì che appare dietro il vetro, è la marmitta che casca e viene trascinata dall' auto fra le scintille, è il generatore che smette di funzionare dopo mesi, sono i cavalli in fuga che appaiono nella nebbia mentre pascolano nel giardino della coppia che si sta lasciando (ehi cara, vieni a vedere...).
Questo evento "accade" disancorato e privo di nessi. E' un colpo di silenzio che depura e risveglia. Al suo apparire tutte le eco esistenziali cessano di marcire, le paludi si prosciugano, le tensioni si allentano.
Ci viene voglia di ricominciare ad amare, ad abbracciare... forse siamo inciampati in un po' di speranza. Ma non caveremo mai una parola in merito da quei personaggi. Il loro mutismo carico di brusii è impaurito da tutto, è destinato ad affrontare tutto diagonalmente. Siamo lieti per loro se possono rifugiarsi e rigenerarsi in un lavoro lungo, duro e monotono come lo spaccar legna per l' inverno.
Ci voleva un mezzo cow-boy semi alcolizzato per spiegarci senza parole la bellezza di "ricominciare".
Quella prosa, spogliata dal lavorio a cui è stata sottoposta, suona come una musica da camera per piccolo organico, una musica con un tema che non si chiuderebbe mai. I finali non sono funzionali al contenuto bensì al modus operandi: quando ci si sorprende a cancellare cio' che si è appana aggiunto, allora è bene mettere il punto.