Alvin Plantinga – Dio esiste. Perché affermarlo anche senza prove.
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La tesi dell’ autore:
… colui che afferma l’ esistenza di Dio è nel pieno dei propri diritti dal punto di vista epistemologico, anche se non risulta capace di argomentare efficacemente a favore della propria tesi…
AP è autore stimato che ha speso un’ intera vita accademica per conferire dignità intellettuale alla credenza in Dio. “Credere”, per lui, non è un atto razionalmente azzoppato.
… “credenza” è qualsiasi contenuto cognitivo che la mente accoglie in modo “pigro e passivo” e che non risulta confutato…
La “credenza” è un po’ il mobilio della mente. Agostino, nel De utilitate credendi, è il primo a constatarne la natura inevitabile:
… non c’ è assolutamente nulla dell’ umana società che non risulterebbe gravemente lesionato, qualora avessimo deciso di non credere a niente…
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Ma colui che si ritiene inserito nella comunità dei credenti in Cristo è chiamato a difendere razionalmente la propria fede. E’ questo un mandato evangelico esemplarmente enunciato, per esempio, nella Prima Lettera di Pietro:
… non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi…
La necessità di “intellegere” la propria fede è proclamata anche da Agostino:
… se non credete non capirete… ottemperando i precetti del Signore, cerchiamo con insistenza…
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Eppure c’ è una tradizione teologica riformata che oppone fede e ragione, basterà citare due eminenti figure come Kirkegaard e Sestov; è difficile per gli epigoni di quella tradizione dare concretamente corso al mandato evangelico di cui sopra. AP ci prova cercando di navigare tra la Scilla del fideismo e la Cariddi della teologia naturale.
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AP si inserisce in una prospettiva anti-evidenzialista. L’ evidenzialismo è una posizione molto diffusa nel pensiero occidentale:
… secondo gli evidenzialisti, un contenuto cognitivo, per essere asserito e sostenuto con fermezza, va mostrato o come evidente o come fondato su evidenze per il tramite di un processo anch’ esso evidente…
Secondo la visione “evidenzialista”…
… la fede cristiana sarebbe epistemicamente infondata… ovvero razionalmente identificata…
Una conclusione del genere è quanto mai gradita ai vari Sestov e Kirkegaard, i quali prendono fieramente le distanze dalla ragione facendo trionfare la fede.
Oltretutto la conclusione evidenzialista è in buona parte condivisa anche da chi non appartiene in via esclusiva al mondo ateo:
… se ne rinvengono tracce in Aristotele e Tommaso… secondo i quali il fedele rischia di venir meno a obblighi intellettuali qualora manchi di dimostrare la fondatezza della sua fede…
Per un bayesiano come AP le cose stanno in modo diverso:
… non si abbandonano le proprie convinzioni in assenza di adeguate motivazioni…
Agostino:
… ritengo che credere prima di ricorrere ai procedimenti razionali… sia cosa non solo assai salutare ma anche indispensabile…
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AP simpatizza con la teologia negativa ma non nei modi radicali tipici per esempio di un Karl Barth. Arriva a negare il fideismo anche quando si presenta nelle sue forme più moderate.
AP, diversamente da Barth, riabilita la teologia naturale, anche se affida ad essa un ruolo che differisce da quello preteso da Tommaso.
… l’ uso della teologia naturale in difesa della fede attaccata è più che legittimo quando non doveroso… fede e ragione sono compatibili e la seconda si presenta come un prolungamento della prima…
Una volta mutate le circostanze, una volta cioè che la fede venga attaccata, è lecito difenderla con argomenti razionali:
… non solo, è anche lecito porsi dei dubbi e rispondersi padroneggiando l’ arsenale della teologia naturale… La fede è un atto iniziale epistemicamente legittimo ma poi, assalita dai dubbi, deve cedere se non è in grado di farvi fronte con l’ uso della ragione…
Secondo Barth le cose stanno diversamente:
… chi armeggia con la teologia naturale o finge di partire da zero… o parte realmente da zero… nel primo caso predomina l’ insincerità, nel secondo l’ incredulità…
E’ chiaro che Karl Barth va dritto dritto verso il fideismo, AP vuole evitare proprio quella deriva.
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“Credere” senza l’ appoggio di argomenti è un’ esperienza comune:
… credere nell’ esistenza del mondo… nell’ esistenza degli altri… nell’ esistenza del passato… è un’ esperienza comune… generalmente accettata senza problemi… ovvero senza la necessità di addurre argomenti… e nemmeno l’ atteggiamento fondazionalista esclude verità “basilari” da accogliere anche in assenza di dimostrazioni…
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Ora, la verità di Dio è vissuta dal credente come una verità “basilare”.
E qui cominciano i problemi perché, in genere, gli “evidenzialsti” moderni ritengono “evidenze” solo i principi logici e i dati dei sensi:
… ma questa posizione è facilmente confutabile poiché l’ affermazione: “le uniche evidenze sono costituite dai principi logici e dai dati dei sensi” è un asserto che non ricade né tra i principi logici né tra i dati sensibili…
Ergo, la “basilarità” della credenza non si esaurisce nella lista fornita dagli “evidenzialisti”:
… le verità di fede possono tranquillamente rientrare nel novero delle verità basilari coltivate dalla mente del credente e in quanto tali è razionalmente legittimo accettarle fino a prova contraria…
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L’ ateismo del ventesimo secolo ha negato razionalità ai credenti con molti argomenti.
Innanzitutto, da Wittgenstein ai neopositivisti, la proposizione “Dio esiste” è stata bollata come un nonsenso. Si parla esplicitamente di “asserti cognitivamente privi di contenuto” e, quando va bene, di “problemi di cui si deve solo tacere”:
… oggi questa obiezione è passata nel dimenticatoio perché ci siamo accorti che risulta più semplice accettare come sensate quelle proposizioni che appaiono chiaramente come sensate… inoltre si è costatato che proposizioni analoghe sono accettate senza problemi da tutti e non possono certo essere considerate dei nonsense… quando parlo di “causa”, di “intenzione”, di “realtà”, di “libertà”, di “passato”… non sto utilizzando dei nonsense e nemmeno dei concetti cervellotici… al contrario, mi riferisco a concetti facilmente comprensibili a tutti… eppure il loro contenuto cognitivo è per sua natura analogo a quello a cui ci si riferisce la parola “Dio”…
Altri hanno sostenuto che la credenza in Dio è intrinsecamente incoerente:
… per quanto ne so il concetto di Dio, magari è problematico, ma è perfettamente coerente…
Altri hanno ritenuto che la credenza in Dio è incompatibile con la credenza, che nessuno puo’ rigettare, nell’ esistenza del Male:
… una contraddizione che oggi sembra sanata grazie a buone teorie… tanto che, finanche tra chi avanza l’ argomento del male, c’ è consenso sul fatto che una simile obiezione non possa risultare vittoriosa…
Ma l’ obiezione più corposa è quella “evidenzialista”:
… l’ idea per cui la solidità di una credenza debba sempre risultare proporzionata alla solidità dell’ evidenza che l’ accompagna… chi accetta di credere in Dio lo farebbe sulla base di evidenze insufficienti…
Da John Locke a David Hume, da WK Clifford a Bertrand Russell, il Phanteon degli atei che si concentrano su questo punto è ben nutrito. Anthony Flew (oggi convertito) è stato forse il più eloquente di questa schiera:
… il dibattito intorno all’ esistenza di Dio dovrebbe iniziare con una presunzione di ateismo…
Ma da che cosa iniziano i dibattiti? Cosa significa che un dibattito dovrebbe iniziare così piuttosto che così?
… il dibattito non puo’ iniziare dal presupposto che dio esiste… ma nemmeno dal presupposto che dio non esiste…
Anthony Flew giustifica la presunzione dell’ ateismo nell’ esigenza di motivazioni:
… se si afferma che esiste dio, dobbiamo avere adeguate motivazioni per pensare che sia davvero così…
Flew sta sostenendo che è irrazionale professare una credenza religiosa in assenza di giustificazioni.
Michel Scriven va oltre:
… secondo questo autore se gli argomenti a favore dell’ esistenza di dio falliscono l’ unica posizione razionale non consiste nel non credere in dio ma nel farsi atei, ovvero nel credere che dio non esiste… per essere atei non occorre alcuna prova che dio non esista… l’ ateismo è razionalmente obbligatorio anche se non si puo’ provare l’ inesistenza di dio…
In sintesi potremmo dire che l’ ateismo contemporaneo più consapevole orbita intorno a due tesi di fondo:
… la prima afferma che in assenza di argomenti a favore dell’ esistenza di dio la posizione dell’ ateo è la più ragionevole… la seconda afferma che non possediamo nessuna evidenza e comunque nessuna evidenza sufficiente per affermare l’ esistenza di Dio…
La seconda tesi è a dir poco ingenerosa… che dire allora dei vari argomenti proposti a favore dell’ esistenza di dio? Sia la tradizione che molti filosofi contemporanei (penso a Taylor, Adams, Mascall, Mitchell, Swinburne…) hanno prodotto una mole di lavoro che non puo’ essere liquidata tanto in fretta.
… e si noti che il problema non è quello di stabilire se questi argomenti presi singolarmente o in combinazione costituiscano una prova dell’ esistenza di dio, perché non v’ è dubbio che prove non ne forniscono… il punto invece è credere se qualcuno possa essere razionalmente giustificato nel credere all’ esistenza di dio sulla base delle evidenze da essi offerte, il che è tutt’ altra questione…
Tuttavia in questa sede dobbiamo lasciar cadere un simile discorso visto che AP è uno studioso completamente concentrato sulla confutazione della prima tesi.
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Cominciamo con l’ osservare che nell’ ateismo contemporaneo il “razionalismo” si presenta come un’ “etica dell’ intelletto”:
… per l’ ateo razionalista esiste qualcosa come un’ etica generale dell’ intelletto che ci deve spingere ad adeguare l’ assenso al livello dell’ evidenza… Il credente violerebbe ripetutamente questi obblighi intellettuali…
A prima vista la richiesta dell’ ateismo è plausibile, senonché il parallelo tra razionalità ed etica presenta qualche problema:
… che cosa dire di un teista di 14 anni educato a credere in Dio in una comunità in cui tutti credono?… la sua fede viola forse violando un dovere intellettuale?… E che cosa dire di un teista maturo – Tommaso d’ Aquino, ad esempio – il quale ritenga, dopo aver riflettuto a lungo e coscienziosamente, di essere davvero di possedere adeguata evidenza…
Il problema è che a volte la credenza non dipende dal credente:
… se mi ordini di cessare di credere che la terra è molto antica, non c’ è modo per me di attenermi al tuo ordine… allo stesso modo non è possibile per me cessare di credere in Dio…
E siccome non possono esistere “doveri impossibili”...
Eppure questa risposta data all’ ateo è altamente insoddisfacente, il motivo è intuibile:
… noi tutti consideriamo “colpevole” chi nutre certe credenze… pensiamo solo a chi crede nell’ inferiorità della razza ebraica… persino San Paolo in Rm 1 ritiene che “non riuscire a credere” nel vero Dio è colpevole… e allora?…
Inoltre è pur vero che possiamo porre in essere diverse strategie che allentino la nostra credenza fino ad infiacchirla. Forse dovrei cominciare a leggere Voltaire, Bertrand Russell o Thomas Paine evitando come il fuoco Agostino, C.S. Lewis o, vade retro, la Bibbia.
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Per rispondere all’ ateo dobbiamo allora imboccare una via differente.
… probabilmente l’ ateo non intende spingersi al punto di sostenere che nessuna credenza puo’ essere adottata in assenza di evidenze chiare… sarebbe davvero troppo poiché noi tutti, per mancanza di tempo e modo, finiamo per farlo tutti i giorni più volte al giorno… e allora perché non ritenere che la credenza in Dio non rientri in un caso del genere?…
Domanda imbarazzante a cui l’ ateo tuttavia risponde, ma secondo AP:
… le risposte date non sono per nulla stringenti… e le ragioni fornite per nulla chiare…
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La domanda chiave suona dunque così: perché la credenza in Dio non puo’ essere annoverata tra le credenze di base? Le credenze di base sono quelle credenze che noi tutti troviamo ragionevole adottare anche in assenza di una dimostrazione compiuta.
… gli atei rispondono dicendo che l’ interdetto è giustificato dal fatto che la credenza in Dio non è auto-evidente né alla ragione né ai sensi… l’ esistenza di Dio non deriva né da un teorema né da una osservazione…
L’ ateo elabora quindi un criterio oggettivo per scremare le credenze accettabili da quelle inaccettabili. Ma è un criterio corretto?
Ma il criterio dell’ ateo presenta dei problemi. Ancora una volta:
… dobbiamo notare che se questo criterio fosse corretto… allora gran parte di cio’ a cui crediamo risulterebbe irrazionale…
Il più delle credenze che ci servono a vivere sarebbe da bollare come infondato:
… si pensi alla credenza per cui esistono delle cose… oppure a cio’ che ci fa credere che esistano anche persone diverse da noi… o che esista il mondo da più di cinque minuti… o che esista il passato… Nessuna di queste credenze puo’ essere dimostrata adeguatamente stando al criterio dell’ ateo…
Poiché molte delle credenze di cui sopra sono “basilari” per chiunque, anche per l’ ateo, se ne deduce che il criterio oggettivo elaborato è fallato.
Ma c’ è un altro vulnus non da poco:
… il criterio dell’ ateo non si auto-sostiene… come se non bastasse, infatti, l’ ateo crede a un criterio che non ha affatto le caratteristiche di basilarità enunciate dal criterio stesso…
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L’ ateo potrebbe emendare il suo criterio tenendo conto del fatto che le eccezioni avanzate sono comunque verità accettate da tutti mentre la credenza in Dio no.
Vediamo se le cose stanno veramente così:
… se affermo che oggi ho pranzato questa è una verità basilare per me ma non per tutti… la gran parte delle persone nemmeno pensa ad un evento del genere…
Inoltre:
… non “quasi tutti” ritengono che sia vero solo cio’ che sostengono “quasi tutti”… io per esempio non lo credo…
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Ma se la credenza in Dio è propriamente basilare, perché non potrebbe essere tale qualsiasi credenza?
Chi rigetta l’ evidenzialismo con gli argomenti di cui sopra deve accettare come razionale anche la credenza nella Grande Zucca?
… e perché mai?… facendo un’ analogia eloquente potremmo dire che chi in passato ha rifiutato il criterio neopositivista considerando sensate espressioni chiaramente sensate anche se non verificabili, non era per questo solo fatto costretto ad accettare come sensate anche espressioni quali: “… al prepario i svacchi marchi tortellavan per il daino…”…
Per qualcuno è un problema constatare che il credente respinga il criterio evidenzialista mostrando di non avere alcuna fretta di sostituirlo con un altro criterio oggettivo.
… penso proprio che tutto cio’ non rappresenti un problema… anche perché non penso proprio che nemmeno esista un criterio deduttivo per distinguere credenze basilari da credenze irrazionali… l’ unico criterio è di tipo induttivo… bisogna derivarlo empiricamente partendo dal basso… partendo da esempi concreti… partendo dai contesti… dai soggetti implicati… dalla loro storia… La credenza in Dio ha una sua storia ben diversa dalla credenza nella Grande Zucca… anche per questo è sensato pensare che la credenza in Dio “probabilmente” è basilare mentre quella nella Grande Zucca “molto probabilmente” è irrazionale…
Il criterio evidenzialista avanzato dagli atei è dunque fallace e va rimpiazzato con qualcosa di meglio, ecco la proposta che emerge dall’ analisi di AP:
… ogni soggetto sincero parte da credenze basilari che sono sue proprie e che si sono mostrate in qualche modo “adatte” alla sua condizione e al suo contesto… entrando in relazione con il prossimo attraverso l’ uso del linguaggio e della ragione, le fa evolvere in funzione degli argomenti che avanzano i terzi e che lui stesso è in grado di produrre… in questo modo si realizzano degli equilibri rilevanti anche se mai completamente stabili… in questi equilibri convivono credenze magari diverse ma tutte razionalmente giustificate…
Vogliamo chiamarla razionalità bayesiana?
Oggi questa concezione della razionalità sembra prevalere anche in molti atei.
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Il criterio bayesiano ci illumina sul legame tra fede e ragione. Chi accetta la sua credenza in Dio come basilare ha messo al sicuro la sua fede? Non ci saranno d’ ora in poi argomenti in grado di scalfirla?
… senz’ altro no. Un buon argomento che faccia leva su altre credenze che il credente reputa vere potrebbero “convertirlo” all’ ateismo… naturalmente vale anche il discorso inverso… la credenza cristiana ha un contenuto dove spesso ricorrono dei dogmi ma la credenza nell’ esistenza di Dio non è un dogma… se riteniamo che esistano buoni argomenti per non credervi è nei nostri diritti epistemici cessare di credere… l’ atto di credere deve essere libero in caso contrario la credenza non potrebbe essere basilare… in assenza di evidenza e in assenza di basilarità sarebbe una credenza irrazionale…
La razionalità della credenza è qualcosa che riguarda la legittimità dei punti di partenza. Una volta che parte la discussione l’ esito è imprevedibile, anzi, sarebbe auspicabile che gli interlocutori s’ impegnino a mutare le proprie posizioni di partenza.
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I Protestanti sono particolarmente propensi ad assumere la credenza in Dio come basilare.
Perché i fratelli Protestanti si sono sempre opposti alla teologia naturale (e alle prove dell’ esistenza di Dio)?
Primo motivo:
… la fede non ha bisogno di dimostrazioni per essere piena…
Secondo motivo:
… l’ intelletto del credente non ha bisogno di dimostrazioni per autorizzare la credenza in Dio… la credenza puo’ essere perfettamente razionale anche in mancanza di argomenti…
Secondo Giovanni Calvino, poi, la disposizione a credere in Dio è radicata in ogni essere umano.
Karl Barth è stato particolarmente duro nel disapprovare la teologia naturale
… secondo Barth trastullarsi con gli argomenti della ragione svaluta la fede autentica allontanandoci da essa…
Ora, AP si pone nel solco dei pensatori riformati, anch’ egli ritiene che l’ atto di fede possa essere razionale anche se compiuto in assenza di prove. Tuttavia si allontana dalle asprezze di Barth per riabilitare la teologia naturale riconsegnandole un ruolo importante:
… pensare troppo a Dio puo’ allontanarci dalla fede autentica… ma se la nostra fede è insidiata dal dubbio… magari da un dubbio instillato dall nostro fratello ateo… allora pensare a Dio facendo fronte a questi dubbi prendendoli sul serio non indebolisce la fede ma la salva e pone le premesse per rafforzarla…
Mi viene da chiosare che poiché oggi il credente vive sprofondato in una società atea, la sua fede è continuamente assediata da dubbi e mai come oggi la necessità di dominare gli argomenti a difesa della fede è una necessità impellente.