Forse sono proprio un tapino, un tapino meschinello.
Me l' ha detto Stefano Bollani. Bè, no, non me l' ha detto direttamente ma me l' ha fatto capire.
Non posso infatti ignorare quel dispiacere che m' invade quando penso che ormai un frutto succulento come la sua musica sia diventata comune galletta per le avide e macinanti mascelle della massa, è un sentimento che m' inchioda senza scampo davanti alla degradante grettezza di un elitarismo carsico dalla cui presa non riesco a sottrarmi. Sono proprio una merda.
Aimè, una personalità d' artista tanto disinibita non si prestava alla campana di vetro; il profluvio di una fecondità sempre ad alti livelli lo ha portato inevitabilmente ad invadere l' etere, l' editoria musicale e i mille altri canali che toccano ogni giorno l' orecchio di tutti noi, anche quello degli stiliti più remoti e disconnessi.
In più, il riccioluto, è maledettamente simpatico.
In tutto questo c' è qualcosa di desacralizzante che non sopporto, qualcosa che il mio arcaico orgoglio maldigerisce. Mammmma che rabbia.
Noi, tanto per dire, avevamo idolatrato in ginocchio certi passaggi pianistici d' antan che ascoltavamo solo con tenui ceri profumanti accesi nel cuore delle notti di luna piena: adesso lui li riproduce ancor più lustri e levigati a Domenica in sotto i fari portuali dello studio TV e davanti a colli disinteressati quanto sudati. E in più, come appendice, regala pure una surreale imitazione di Paolo Conte da scompiscarsi, e come tris un riuscito scambio tra Harpo e Groucho, e se non basta si alza dallo sgabello per fare una verticale con camminata sulle mani. Ci manca solo che si tolga le mutande mostrando attributi ciclopici e il nostro ego è pronto per andare in pezzi. Noi pensavamo non si potesse aggiungere niente a quel vivace gruppetto trillato di note adamantine che fino a ieri riuscivamo a pensare come l' alef dell' universo sulla terra.
Constato depresso che certi misteri eleusini riservati agli iniziati sono ora strombazzati con aggiunta di golosi particolari ed extra-bonus-special anche a chi fino a ieri ascoltava solo il juke box, sanremo e il chopin dell' hobby & work.
Modernità, ti maledico... almeno quanto maledico il tentacolo presenzialista del genio polivalente.
Ora il Nostro puo' permettersi il lusso di suonare nei dischi con una mano sola, come uno che ha già dimostrato tutto.
Puo' permettersi cioè di fare roba così così, senza che la critica lo pettini a dovere: chi ha voglia di perder tempo a ridigere un pezzo negativo che non ferisce? Agli stroncatori piace veder scorrere il sangue e nel marmo delle statue equestri non scorre alcun genere di sangue, e nemmeno nella paglia del fantoccio superstar.
I dischi così così di solito sono quelli con poche note musicali - tutte piazzate strategicamente però, la classe non è acqua - e molte divertenti note di copertina. E' in quelle che il creatore concentra il suo maggiore sforzo creativo.
Puo' poi permettersi una band che viaggia a velocità di crociera, magari senza ali, ma con affidabile pilota automatico e GPS ultima generazione.
La sua proteiforme genealogia spiega molto: il suono corposo lo poneva sotto l' egida jarrettiana, così come gli ostinati virili sempre pronti a risolversi italianamente in lirismi dinoccolati. Ma ora che "ha dimostrato" è cambiato non poco: subentra l' amore per le marcette, per l' accenno con strizzatina d' occhiò, nonchè il debole per lo sberleffo pentagrammato; tutta roba che lo fa guardare al maestro di tutti gli stralunati clown europei ricurvi su una tastiera: Misha Mengelberg.
Stefano Bollani - Antonello Salis - L' orchestra del Titanic
http://www.goear.com/playlist.php?v=e5aebce