Il vecchio rimpiange i tempi andati, allora era più felice e non fatico a capirlo: era anche più giovane.
Ma anche il ragazzo immigrato rimpiange il suo paese, laggiù era più appagato: meno pressioni, meno fretta, tanti amici e una famiglia accogliente. Certo, meno risorse, ma anche più felicità, lo dice lui.
Io lo prendo sul serio questo ragazzo, credo davvero che fosse più felice e mi chiedo: "perchè non torni"?
La domanda è sensata, visto che le "risorse" sono funzionali alla "felicità".
Ma lui non sa rispondermi, sta di fatto che "tornare alla felicità" è fuori discussione.
Lui non mi risponde, mi risponde però la novella di Russ Roberts: "The Price of Everything", e lo fa in modo brillante, oserei dire commovente.
Noi siamo abituati a pensare che la "felicità" sia tutto. In questo senso è l' ideologia utilitarista che ci scorre nelle vene.
Quando critichiamo gli studi sulla felicità si finisce sempre per recriminare su quanto poco sia catturabile dai numeri questo sentimento. Ma c' è una critica ancora più puntuta: questo sentimento non esaurisce la realizzazione umana, c' è anche la Speranza.
Se chiedete ad una persona "speranzosa" quanto è felice, probabilmente nicchierà, come puo' esserlo finchè non raggiunge l' oggetto dei suoi desideri?
Eppure "lo speranzoso" non dismetterà il suo sogno per dirigersi laddove sa di trovar garanzie di felicità, ed è giusto che sia così. Dobbiamo concludere che la nostra anima si realizza nella "speranza" prima ancora che nell' immota "felicità".
Gli immigrati ci danno una grande lezione: scappano dalla Felicità per andare verso la Speranza.
Teniamone conto, specie quando prepariamo il mondo che accoglierà i nostri ragazzi. Tremebondi pensiamo di tutelarli garantendo loro un minimo di felicità, a costo di ridurre la società ad una palude. Ma forse non è di questo che hanno bisogno.