martedì 14 giugno 2016

PREFAZIONE 1 Torture and the Law of Proof: Europe and England in the Ancien Régime

Torture and the Law of Proof: Europe and England in the Ancien Régime by John H. Langbein
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Last annotated on June 14, 2016
Preface to the Paperback EditionRead more at location 72
Note: PREF1@@@@@@@@@@@@@@ Edit
Alas, the circumstances that have renewed the book’s readership are quite troubling. A book about how the Western legal tradition rid itself of its centuries-long dependence on tortured confessions is again in demand, because questions about the legality of torture have surfaced anew in contemporary affairs. The terrorist attacks on the United States in September 2001 led to wars in Afghanistan and Iraq.Read more at location 74
Note: IL RINNOVATO INTERESSE Edit
American forces serving in those operations had been using techniques of coercive interrogation of detainees, techniques amounting to torture.Read more at location 78
Note: TERRORISTA TORTURATO Edit
Relatedly, the media were reporting that American intelligence agencies had been evading applicable prohibitions against torture by engaging in a practice known as “renditionRead more at location 81
Note: AGGIRAMENTO Edit
The U.S. is among more than 130 signatory nations to the 1984 United Nations-sponsored Convention against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment,Read more at location 87
Note: CONVENZIONE Edit
Torture and the Law of Proof tells the story of (1) how and why European criminal procedure in the Middle Ages developed a demanding law of proof, meant as a safeguard against judicial error or corruption,Read more at location 90
Note: STORIA DEL GARANTISMO Edit
how this system of judicial torture undertook to reconcile coerced confessions with principles of safeguard;Read more at location 93
Note: TORTURA COME COMPROMESSO Edit
why European criminal procedure failed at its centuries-long effort to devise rules and procedures that would make tortured confessions reliable;Read more at location 93
Note: FALLIMENTO DELLA TORTURA Edit
how the European legal systems ultimately liberated themselves from their dependence upon tortured confessions, by reworking their law of proof and their criminal sanctions.Read more at location 94
Note: TORTURA RIMPIAZZATA DAI PATTEGGIAMENTI Edit
The movement in the sixteenth, seventeenth, and eighteenth centuries that steadily replaced capital punishment with various forms of imprisonment created an opportunity to restrict the use of torture to cases of capital crime.Read more at location 97
Note: PENA DI MORTE E TORTURA Edit
The book explains how the jury system spared England from the European law of torture.Read more at location 102
Note: L ECCEZIONE INGLESE Edit
Frederic William Maitland observed, torture “came to the relief of a law of evidence which made conviction well-nigh impossible ….”Read more at location 103
Note: TORTURA COME ANTIDOTO AD UN GARANTISMO PARALUZZANTE Edit
In England, by contrast, “neither the stringent rules of legal proof nor the cruel and stupid subterfuge [of torture] became endemic ….”Read more at location 104
Note: GB: CONDANNA FACILE Edit
This is a book about law—about the long effort of European criminal justice systems to devise a truth-seeking law of torture, based on reasoned principles telling the authorities whom they could torture, when, and how. By contrast, when guards or others mistreat prisoners, they act not with the purpose of disclosing that activity in subsequent judicial proceedings, but rather on the expectation that the courts will never know.Read more at location 121
Note: DISTINGUERE ABUSI E TORTURA Edit
The American government lawyers of the twenty-first century, working with a legal tradition that forbids torture, were contending that that prohibition still left room for certain techniques of coercive interrogation.Read more at location 128
Note: GLI AVVOCATI DELLA CIA Edit
Finally, I should mention that the European law of torture as depicted in this book has figured in another American policy discussion, regarding the dangers of the contemporary American system of plea bargaining.Read more at location 131
Note: TORTURA E PATTEGGIAMENTO Edit
many remarkable and alarming parallels between the European law of torture and the modern American practice of plea bargaining.Read more at location 135
Note: PARALLELI Edit
Plea bargaining does not involve the physical coercion of torture, but is nonetheless coercive, because it threatens to impose a much harsher criminal sentence upon a defendant who refuses to confess and is thereafter convicted.Read more at location 136
Note: PATTEGGIAMENTO COME MINACCIA Edit
The abiding lesson is that coercion is the enemy of truth, and that efforts to tolerate and regulate coercion in the service of truth have routinely failed across the ages.Read more at location 141
Note: LA LEZIONE Edit

Più chiaro della luce del giorno

Nell’epoca dell’informazione diffusa e dell’università obbligatoria fino a 25 anni ha poco senso distinguere tra “istruiti” ed “ignoranti”. Meglio distinguere tra “acculturari” e “colti”.
L’ “acculturato” trascorre più tempo a scrivere che a leggere e almeno ogni mese passa in rassegna tutto lo scibile umano dicendo la sua con grazia e superficialità. Magari in un tweet. Di solito è un giornalista, spesso vive di “parole”.
Si differenzia dall’ignorante perché lui non ignora, ha solo delle lacune qua e là. La “maledizione dell’acculturato” consiste nel fatto che è irresistibilmente attratto dalle sue lacune e che il suo discorso persiste in modo singolare nell’orbitare intorno ad esse.
Il “colto” scrive solo un libro su un argomento all’apparenza marginale dopo aver passato tutta la vita a pensarci su. Anziché scrivere il secondo libro opta per un aggiornamento del primo. Di solito è un professore universitario.
Ma meglio delle definizioni astratte è un esempio concreto su un argomento specifico: prendiamo il caso della “tortura”.
Ecco esattamente cosa dobbiamo aspettarci dall’acculturato frettoloso:
… Dio permetteva, eccome, la tortura, forse anche lo esigeva. Per questo era considerato normale che a un ladro venisse tagliata una mano in piazza, e che un assassino venisse squartato in pubblico, che un eretico venisse bruciato vivo davanti a una folla di curiosi. Ma dopo Cristo [sic], dopo San Francesco [sic], dopo Voltaire e Beccaria, la tortura è passata in clandestinità…
Dacia Maraini
Ed ecco invece il “colto” sullo stesso tema:
… intorno al 1200 giuristi medievali introdussero con cautela lo strumento processuale della tortura ben consapevoli dei suoi limiti… quando nel XVIII secolo il suo impiego andò via via scemando non fu certo per i proclami di un Voltaire e di un Beccaria, e nemmeno per l’azione dei sovrani illuminati di allora… le motivazioni etico-politiche non giocarono pressoché nessun ruolo nella fase “abolizionista”, furono invece ragioni meramente giuridiche e di procedura a consentire l’accantonamento della tortura…
John H. Langbein
L’acculturato parla con intenzioni lodevoli cosicché si garantisce l’immunità da ogni critica, anche se è chiaro che non sa nemmeno di cosa stia parlando (difficile “estrarre” informazioni da un uomo squartandolo). Ma chi oserebbe mai usare toni aspri contro una persona tanto “buona” che oltretutto conosce perfino l’esistenza di tal Cesare Beccaria? Nessuno! Una persona così è un “bene pubblico” a prescindere dalle sue tante ignoranze specifiche. Una persona così merita necessariamente una rubrica sui grandi quotidiani. La merita anche se il resoconto dell’uomo colto sullo stesso tema è talmente diverso che probabilmente sarebbe più affine a quello dell’ignorante tout court – se esistesse ancora e se dovesse pronunciarsi (a casaccio) sull’argomento.
Dacia Maraini non sa cosa sia la tortura, e naturalmente non conosce nemmeno la sua storia. Ignora completamente in che relazione stia con gli istituti giuridici delle varie epoche, non conosce il dibattito storico tra i giureconsulti, non ha un’ idea adeguata del rapporto che intrattenne con il diritto romano e nemmeno sembra informata sulla dialettica tra i tribunali anglosassoni e quelli continentali. Ma queste non sembrano lacune atte a frenarne il giudizio o a renderlo più sfumato: probabilmente, trovandosi al mare in un giorno di pioggia, ha fatto visita a qualche Castello dell’entroterra dotato di sala delle torture e tutto cio’ ha sconvolto il suo animo sensibile ispirandola a scriverne. Poi, frequenta da sempre i “buoni” (Gesù, Francesco, Voltaire e, ciliegina, Beccaria) ha messo i buoni contro i cattivi torturatori facendo di questa contrapposizione il perno delle sue riflessioni.
John Langbein invece si è fatto un paiolo così. Per approfondirlo a dovere ha dovuto trascurare i problemi più interessanti del nostro tempo, quelli che dilettano tanto l’acculturato, che ne so… la questione femminile, il gender, il darwinismo, la politica, l’economia, la crisi, l’immigrazione, la sicurezza, l’islam, la guerra, la droga e bla bla bla. Per lui tortura, poi tortura e infine ancora tortura. Che palle… ma almeno sulla tortura è attendibile, e attendibile risulta il suo bellissimo libro:  Torture and the Law of Proof: Europe and England in the Ancien Régime
Talmente bello che merita farne almeno un cenno che vada un po’ al di là della citazione di cui sopra.
tortur
Immaginatevi una proposta del genere:
… se confessi la tua colpevolezza la pena sarà mite, in caso contrario rischi pene molto più severe…
Ecco, questa “proposta” descrive abbastanza bene quello che nel sistema giudiziario si chiama “patteggiamento”.
Non si puo’ negare che in tutto cio’ ci sia un che di minaccioso Per esempio, nel campo che conosco meglio – quello fiscale – l’aspetto ricattatorio della conciliazione è evidente: chi rinuncia ad “accordarsi” con gli uffici diventa automaticamente il nemico pubblico numero uno, un tale che vuole sabotare il sistema “ingolfandolo”.
Questo lato oscuro del patteggiamento non è sorprendente per gli storici del diritto, basta risalire alla sua genealogia: il patteggiamento è l’erede della tortura.
Detto meglio, i paesi in cui è sempre esistito (essenzialmente il Regno Unito) hanno conosciuto solo marginalmente l’istituto della tortura. Chi invece lo ha introdotto solo recentemente (Europa continentale) ha una tradizione consolidata di tortura dell’inquisito.
Ma le sorprese non sono ancora finite.
tort
La Tortura si è sviluppata nell’Italia del nord del tredicesimo secolo come portato diretto del diritto romano. La pratica si è poi estesa in tutto il continente raggiungendo il suo apogeo nel sedicesimo secolo dove fungeva da “rimedio universale”.
Per non fare confusione (vedi Maraini): la Tortura non è una punizione ma solo un mezzo per acquisire delle prove, e solo all’interno di questa fase processuale va esaminata.
Ma partiamo dall’inizio, ovvero dal medioevo. In principio fu l’ordalia, una procedura irrazionale ereditata dai popoli germanici. L’imputato veniva sottoposte a prove stravaganti come quella della scottatura al braccio: se l’arto non s’infettava cio’ era segno della sua innocenza.
Con l’ordalia il verdetto di colpevolezza veniva lasciato a Dio, ed era, quindi, un giudizio infallibile.
La mentalità giuridica che si formò in seguito a queste procedura fu quella di un garantismo assoluto: cio’ che più si temeva e si voleva scongiurare all’epoca era l’arbitrio del giudice. Se per noi è meglio che dieci colpevoli circolino piuttosto che un innocente paghi, allora si sentiva come dovere di garantire degli standard a tutela per l’imputato molto più elevati rispetto a quelli attuali.
Ma nel 1215 ecco il colpo di scena: il IV Concilio Laterano ritrattò i fondamenti dell’ordalia dichiarando che l’esito di queste pratiche non corrispondeva al volere divino, i preti non avrebbero più dovuto/potuto prendere parte a queste pratiche.
Fu un vero shock poiché la sentenza passò dal tribunale di Dio a quello degli uomini con tutte le incertezze del caso. Come puo’ un uomo giudicare un altro uomo? Potrebbe sbagliarsi compromettendo beni essenziali. Difficile accettarlo per la mentalità medioevale.
I giuristi ebbero il loro bel da farsi per mettere in piedi una procedura non dico con le garanzie della precedente, ma che per lo meno limitasse i danni della transizione. Si optò per una reintroduzione del diritto romano, il sistema con gli standard di innocenza più elevati.
Nel diritto romano, per delitti gravi, non si poteva condannare senza due testimoni oculari del fatto o senza la confessione del colpevole.
In altri termini: nel diritto medievale che rimpiazza l’ordalia non esiste processo indiziario che possa concludersi con una condanna. Concretamente: il colpevole puo’ anche essere visto allontanarsi dal luogo del delitto, puo’ anche essere sorpreso con l’arma o con il bottino ma, poiché questi sono solo indizi e non prove, non puo’ essere condannato.
Solo una procedura oggettiva che vedesse il giudice come un automa sarebbe stata all’altezza degli standard garantiti dall’ordalia. Il sistema “testimoni plurimi o confessione” assicurava tutto cio’. la colpevolezza del condannato sarebbe stata “più chiare della luce del giorno”, come si diceva allora.
Ma nei fatti, il nuovo codice di procedura rendeva impossibile perseguire i delitti perpetrati in segreto e non confessati. Le difficoltà di questo garantismo eccessivo iperbolico sono per noi evidenti: nessuna comunità puo’ sopravvivere a tanto.
Il sistema andava necessariamente ritoccato. Poiché non si poteva agire sulla prova testimoniale si agì su quella confessionale ammettendo la tortura.
I giureconsulti la introdussero con cautela e ben consapevole dei limiti di questo strumento. Le questioni poste al torturato dovevano essere chiare. Le risposte ottenute dovevano essere ripetute il giorno dopo senza tortura (anche se la minaccia di una nuova tortura era implicita). Erano bandite le domande suggestive o con risposte non verificabili. Infine, le informazioni ottenute andavano puntualmente verificate in modo oggettivo per essere acquisite agli atti.
Nonostante le cautele la procedura si prestò – come sappiamo - ad elusioni, abusi e forzature.
 Nella seconda metà del settecento la tortura andò via via sparendo dagli ordinamenti.
Perché? Forse perché pensatori illuminati come Voltaire o Beccaria alzarono il loro autorevole lamento che colpì le ormai mature coscienze dei popoli? O perché sovrani ammirevoli come Federico il Grande o Giuseppe II ebbero il coraggio di rompere il ghiaccio anticipando i tempi?
No di certo. I limiti della tortura erano ben noti ai giuristi e ampiamente dibattuti sin dal medioevo. Non fu certo la retorica di un Voltaire o di un Beccaria a spostare le cose, furono invece le riforme che interessarono il processo penale nel corso del seicento, in particolare l’introduzione del processo indiziario e la possibilità di condannare sulla base del libero convincimento del giudice (anche in assenza di prove). L’allentamento delle garanzie per l’imputato rese superflua la confessione, e quindi anche la tortura. La confessione non era più necessaria per sentenziare una condanna.
Nel Regno Unito, da sempre i processi erano celebrati con le giurie che condannavano sulla base del loro convincimento anche in assenza di prove. Il fatto di non aver adottato le rigorose tutele del diritto romano consentì a quei popoli di scampare la tortura.
Anche le varie forme di patteggiamento con pene ridotte facilitava le confessioni non coercitive e quindi rendevano inutile la tortura. Più che un vero patteggiamento si trattava di pene discrezionali che il giudice poteva comminare a seconda delle circostanze e in base al comportamento dell’imputato nel processo. Ma per chi temeva sopra ogni cosa la discrezionalità del giudice (Europa continentale) una simile soluzione del genere era improponibile.
Sia il “libero convincimento” che il “patteggiamento” sbarcarono in tempi diversi sul continente sovvertendo il diritto romano e la sua “necessaria” ancella: la tortura.
Che curiosa la storia: ieri il processo indiziario e i processi indiziari erano considerate barbarie mentre la tortura era una dolorosa necessità della società civile. Oggi è vero il contrario.
tortura
Ora, vi sembra che le parole della Maraini possano rispecchiare l’andamento dei fatti? A me no. Ma non faccio una colpa alla Maraini. Se un Cazzullo, un Gramellini o un Severgnini avessero detto le stesse cose non mi sarei certo sorpreso. L’acculturato si è fatto massa ed è quindi intercambiabile. Noi stessi apparteniamo alla categoria E allora, chiudo per un consiglio per noi acculturati: ricordiamoci che per ogni argomento c’è almeno una persona che ha speso la sua vita intellettuale ad approfondirlo. Spesso è una persona disinteressata e amante della conoscenza, non conduce guerre culturali, non è schierata a prescindere… Ecco, meglio rivolgersi a lei anziché ai nostri simili.

sabato 11 giugno 2016

Perché il pensiero reazionario è così scadente?

Forse proprio perché più che pensare “reagisce”.
O forse perchè ha un debole per il “complottismo”, vera stimmate di ogni riflessione avariata.
Non sono due ipotesi, sono la stessa ipotesi vista da angolazioni differenti.
NPG 655; Edmund Burke
Mi spiego meglio. Ecco i due pensieri che riempiono la testa di chi oggi si presenta al dibattito pubblico con una sensibilità anti-moderna:
1) Fatto: con le mie idee sono in minoranza e ben pochi mi considerano, che rabbia.
2) Valutazione: eppure gran parte delle idee che porto sono ragionevoli e ogni persona dotata di buon senso potrebbe/dovrebbe aderirvi senza problemi.
Fin qui si potrebbe anche concordare, senonché da 1) e 2) il pensatore trae una conclusione che sa tanto di “reazione” istintiva:
3) Conclusione: è in atto un sabotaggio ai miei danni, un “complotto” affinché le mie idee vengano silenziate o distorte.
In sé la conclusione è coerente, ma alquanto dubbia.
In effetti, il pensatore reazionario viene continuamente marginalizzato nel dibattito pubblico, ma non tanto per le sue idee nel merito, quanto perché non manca mai di presentarsi in modo patetico dedicando gran parte della sua filippica alla conclusione vittimistica di cui sopra. Il “complottismo” è l’arma dei disperati e tutti prendono le distanze quando “annusano” la presenza di un disperato. Certo, a cio’ si aggiunge il fatto che il “reazionario” presenta anche idee bizzarre se non assurde.
Eppure, ripeto, la conclusione di cui sopra è coerente con due premesse ragionevoli, evidentemente c’è un effetto ottico che mina l’intero ragionamento.
Forse c’è una premessa alle premesse che si dà talmente per scontata da non farne nemmeno parola. Potrebbe essere questa: due persone che discutono sulla “verità delle cose” stanno cercando la “verità delle cose”.
In generale questa premessa e falsa ma il reazionario, forse perché sintonizzato su epoche lontane, la dà ingenuamente per ovvia.
E allora, l’errore che consegna il reazionario al “complottismo” è quello di pensare che nei dibattiti si discuta sulla verità delle cose nell’intento di cercarla.
Purtroppo per lui, gran parte delle persone non è affatto interessata alla “verità delle cose”, di conseguenza, se proprio viene chiamata all’affiliazione, cerca semplicemente il gruppo più “figo”, e il “reazionario” è troppo truce e vittimista per essere figo.
Altri, che conoscono bene la filosofia degli ultimi secoli, non pensano nemmeno che esista una “verità delle cose”, il dibattito intorno ad essa, evidentemente, ha per loro altri fini (pragmatici) che il reazionario non coglie.
Se ho ragione e nessuno mi dà ragione non è perché esista un “complotto” ma perché la ragione – o per superficialità o per filosofia di fondo – è decisamente secondaria in queste faccende.
Il vero non detto non è il complotto ai danni del reazionario quanto quello ai danni del concetto di “verità”.
Il “complottismo” è la forma più degradata del pensiero, è cio’ a cui ricorre chi è con le spalle al muro. Ma forse non è nemmeno giusto esprimersi in questi termini tanto crudi: il reazionario – più semplicemente - sbaglia a denunciare il complotto in atto. Quello reale non riguarda lui e la sua messa al bando ma il ruolo della Verità: ci si presenta al dibattito come cercatori di Verità anche quando si ritiene che non esista e che i fini reali della discussione siano differenti.
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Il complotto che rende i dibattiti dei “finti dibattiti” esiste ed è reale. Probabilmente è anche benefico, e di conseguenza non ha senso “denunciarlo”. Ma qui mi fermo per non addentrarmi in un ginepraio.
Nel frattempo rimpiangiamo l’aplomb di grandi reazionari del passato come De Maistre e Burke.