sabato 4 giugno 2011

Classifiche riviste e corrette a tavolino

Per molti, almeno in via teorica, vige una sacra alleanza tra merito e mercato, per altri il divorzio è inevitabile.

In realtà i secondi confondono il concetto di “merito” con quello di “giustizia”.

Errore imperdonabile in un mondo dove l’ esistenza di molte risorse non è associabile ad alcun merito.

Se in una lotteria metto in palio un milione di euro, so già che finiranno nelle tasche di chi non vanta alcun merito nella produzione di quella ricchezza.

Detto questo, chi si occupa di merito è autorizzato a disinteressarsi della faccenda, una tasca vale l’ altra.

Ma chi dorme solo se “giustizia è fatta”, potrebbe pensare che sia auspicabile una distribuzione a pioggia del montepremi, in modo da neutralizzare i capricci della fortuna.

Negli affari umani, neutralizzare l’ influsso della fortuna è esercizio complicato, oserei dire temerario.

Faccio un esempio anche se mi sembra quasi inutile.

Alla fine della stagione calcistica il vincitore del campionato di calcio raccoglierà il frutto sia dei meriti che della fortuna. Per quanto le speculazioni si sprecheranno, non esiste bilancia in grado di discernere con esattezza le due componenti. Se esistesse, isoleremmo i meriti per riassegnare i titoli.

Circa quest’ opera di discernimento, esiste in proposito una legge ben precisa: chi vi si astiene non intaccherà mai i meriti in campo. In caso contrario i rischi di distorcerli irrompono.

Chi si limita al merito, così come chi identifica la giustizia con il merito, ha una scelta obbligata: non ostacolare mai la fortuna.

Il CONI e la Lega Calcio non sono istituzioni che ispirano grande fiducia, ma perlomeno una lezione elementare di buon senso l’ hanno appresa: non ritoccare mai la classifica finale in base a speculazioni elucubrate a tavolino.

E’ una lezione che la politica stenta ad apprendere, forse perché i politici ricavano la loro commissione d’ agenzia proprio sul “ritocco” di cui sopra.

Link che a me sono stati utili: unodue - tre

venerdì 3 giugno 2011

Quanta spesa serve?

20%

Esagerando.

Quanto dista la perfezione?

A un certo punto, dopo pranzo, per ragioni a lui stesso poco chiare, il passeggiatore si alza come fanno i sonnambuli e comincia il suo giro per i marciapiedi della città.

Nel corridoio prende d’ infilata una fuga di stanze, poi una tromba di scale ed è fuori nell’ aria aperta, pronto ad inabissarsi nella sua Anversa, l’ ombrello aperto contro l’ eventuale turbinio dei fiocchi, la lente affumicata a scudarlo contro l’ eventuale l’ impudicizia del raggio meridiano.

Via, via, libero.

Libero dal risucchio della Casa, libero dalla gravità dell’ Ufficio.

Libero di sgabbiare dalla feriale riflessione logica come dal groviglio festivo dei sentimenti domestici. Libero dalle tirannidi in grande stile come dal dispotismo spicciolo.

Il mondo più banale gli viene incontro senza filtri e senza preliminari, le mute stranezze costruite dagli uomini si avvicendano davanti a lui; dominato da un’ insopprimibile coazione all’ordine, comincia ad abbozzare appunti nella testa cercando di domare quell’ anonimo ginepraio attraverso la scrittura mentale.

Riuscirà solo a trasformarlo in un cumulo di dettagli senza sbocco.

Procede frettoloso e leggermente curvo in avanti, i pensieri vengono armoniosi e svagati con la stessa facilità dei passi, fioccano false idee a cui è bello restar fedeli per un attimo, almeno fino alla svolta del semaforo laggiù in fondo.

Se il pensiero è troppo vivo, la bocca biascica qualcosa di simile ad uno scongiuro. Messi in salvo da una sorta di rapimento, la fuggevole e velenosa attenzione altrui non riesce a ferirci.

Sono commenti estemporanei sempre provvisori e sempre più estesi, ogni correzione apporta migliorie anche se non si capisce bene la perfezione quanto disti.

Sale l’ ansia.

Intanto, man mano che procede, la passeggiata scivola nel ricordo, come quelle vite che si pietrificano nella memoria trasformandosi in qualcosa di simile a mischie irrigidite nell’ attimo.

Un Fernet sorbito al bancone suddivide i due grandi silenzi di quel pomeriggio peripatetico.

Al vero passeggiatore le mete si rivelano solo una volta raggiunte: la Stazione, il Palazzo di Giustizia, e infine, fiutando tracce di sofferenza, lo zoo.

Lo zoo: è sempre bello, dopo una giornata trascorsa in perfetta solitudine, farsi sondare dallo sguardo prostrato delle belve che scrutano dalla penombra della loro cattività. Specie da quell’ orsetto lavatore che ci dedica la sua seria espressione mentre non smette di lavare sempre lo stesso pezzo di mela con una dedizione che, superando ogni ragionevole scrupolo, sembra quasi cercare col gesto una formula magica per evadere dalla gabbia.

E’ tempo di rientrare, la piccola parentesi subacquea volge al termine, il congedo a quei marciapiedi è uno strazio giornaliero che si ripete inveterato da anni.

Si rientra nel chiuso accolti dallo sfarfallio azzurrino dei televisori, si rientra sognando uditori immaginari a cui elargire l’ effimero frutto di una fantasia fiorita nei silenzi prima che la fatica della camminata ottundesse tutto.

Ancora poco e incontreremo un’ anima, stando sotto un tetto è più difficile evitarsi. Qualcuno con occhi troppo spalancati, qualcuno più rigido di un cadavere in abiti domenicali ci rivolgerà la parola, e qualunque cosa dirà avremo l’ impressione di dover fronteggiare una violenza verbale sconvolgente.

Cercheremo di sostituire la protezione assicurata in città dall’ anonimia con una nuova barriera costituita da un fare confuso, inaffidabile, da risposte laconiche e monosillabi smozzicati. Speriamo funzioni, speriamo di poter riguadagnare al più presto quella solitudine in cui abbiamo investito tutto.

Sebald è autore che più di altri ci ha spiegato quanto sia impossibile “scrivere” una passeggiata, ma, nel farlo, più di qualsiasi altro autore c’ è andato vicino.

Nessuno è stato tanto eloquente parlando di balbuzie, nessuno ha saputo decorare tanto bene un’ amputazione.

Valio Ska

Una passeggiata, dunque. Compiendola, la creatività scatenata di una mente sensibile ci illude sui nostri talenti di “osservatore”. Una volta al desco i limiti affiorano e il crampo che blocca ogni predestinato non-scrittore (praticamente tutti noi) ci attanaglia fatalmente.

… di quell’ esperienza mi rimanevano nella testa solo abbozzi ormai inutilizzabili e mal fatti… li considerai ugualmente nel tentativo di dare loro indirizzi nuovi affinché prendessero ancora vita davanti ai miei occhi… nulla… la scrittura ora mi atterriva… eppure leggere era sempre stata la mia preoccupazione preferita… amavo starmene in compagnia di un libro fino a sera inoltrata, fino a che non riuscivo a decifrare più una sola parola e i pensieri iniziavano a girare in cerchio… la scrittura, sogno segreto, mi risultava invece di un peso tale che una sola frase era capace di assorbire la giornata prosciugandola di ogni gioia… avevo appena finito di buttar giù una di queste frasi imbastite con tanta fatica che subito si manifestava la penosa erroneità delle mie costruzioni e l’ inadeguatezza delle parole da me impiegate… se nondimeno, per una sorta di autoinganno, riuscivo talvolta a ritenere adempiuto il mio peso giornaliero, la mattina dopo, al primo sguardo gettato sul foglio, vedevo immancabilmente venirmi incontro errori, incongruenze e abbagli della peggior specie… poco o molto che avessi scritto, quando lo leggevo mi pareva sbagliato da cima a fondo… dovevo assolutamente riprendere tutto dall’ inizio… presto mi risultò impossibile azzardare il primo passo… simile ad un funambolo incapace di mettere un piede davanti all’ altro… avvertivo solo ondeggiare la piccola piattaforma sotto di me… i lumini che segnavano l’ inizio e la fine della corda da percorrere erano stati a lungo preziosi riferimenti, ora mi parevano esche maligne messe lì da una mente sofisticata per sviarmi… di quando in quando capitava ancora che un ragionamento si delineasse con perfetta chiarezza nella mia testa, ma, mentre cio’ accadeva, sapevo già che non sarei stato in grado di trattenerlo perché, appena afferravo la matita, le infinite possibilità della lingua, alla quale un tempo potevo abbandonarmi fiducioso, lo riducevano ora ad un’ accozzaglia di frasi insulse… non c’ era locuzione nel testo che non finisse per rivelarsi una penosa stampella, non c’ era parola che non suonasse svuotata e mendace… era come se in me scoppiasse una malattia latente da un pezzo… come se avesse preso piede qualcosa di ottuso e caparbio che, a poco a poco, avrebbe paralizzato tutto… dietro la fronte avvertivo già quell’ infame torpore che prelude al declino della personalità, sentivo di non possedere realmente né memoria né raziocinio… qualcuno me li aveva prestati per un attimo e ora tornava a riprenderseli…

W. G. Sebald - Austerlitz

Fuori dall’ eden

L’ infelicità perfetta?… la battaglia di ogni giorno contro bambini cresciutelli…

La felicità perfetta? Nelle braccia della mamma!

giovedì 2 giugno 2011

W il Re

(2.6.2005)
Che palle questo 2 giugno. Propongo una cinquantina di ragioni per perorare la superiorità dei regimi monarchici. Premetto che Il concetto di repubblica è mutato rispetto al passato, oggi si identifica piuttosto con quello di democrazia. Userò quest' ultimo come termine di paragone.
1) l' orizzonte del monarca è di lungo periodo, quello del politico democratico (se è un tipo razionale) arriva ad una spanna dal naso.
2) il monarca non distruggerà mai la sua "gallina dalle uova d' ora". Il politico democratico razionale è un razziatore e non ha "galline dalle uova d' oro". Il monarca è un locatore, il democratico un locatario: chi tratterà meglio la casa ?
3) tutti i governi tendono ad espandersi ma per alcuni (monarchie) è più costoso.
4) il monarca è giudice e non legislatore, la legge è naturale e quindi certa. Il democratico la inventa ogni giorno arbitrariamente. Speriamo che si svegli con il piede giusto.
5) solo la monarchia prevede una limitazione dei poteri (vedi locke, e altri, sul diritto alla rivoluzione e confronta con la nostra costituzione).
6) la monarchia di solito emerge naturalmente, la democrazia solo grazie a guerre e rivoluzioni.
7) anche le monarchie furono tentate di governare attraverso lo strumento dello stato, per esempio nel periodo dell' assolutismo. Questo è un difetto. Un difetto che è presente in modo consustanziale nelle democrazie.
8) la finanza si sviluppo' molto di più nel XIX secolo che nel XX. Il periodo 1930/1980 fu il periodo più nero per le libertà economiche.
9) le spese militari nella monarchia sono molto più basse che in democrazia.
10) la monarchia attua una redistribuzione dei reddito infinitamente più bassa che non le democrazie.
11) i monarchi non hanno mai esportato la monarchia (non esiste una ideologia monarchica).
12) il monarca riceve fin da subito un istruzione specifica per il suo duro compito. Noi in parlamento ci mandiamo cicciolina (e rosy bindi).
13) il monarca è in condizioni psicologiche migliori per governare: sa che deve dimostrare tutto. Il parlamentare razionale, una volta eletto, ha finito di lavorare.
14) il monarca è immune dall' azione delle lobbies (espressamente dedicato a gianni riccò).
15) il monarca è internazionalista. Tutti i monarchi europei erano parenti. Sono scongiurati i rischi di razzismo e nazionalismo che infatti sono tipici della democrazia.
16) grazie al cosmopolitismo dei monarchi le migrazioni erano pressochè libere.
17) nelle monarchie esiste una coscienza di classe ben precisa (ruler e ruled). La democrazia si fonda invece sull' inganno del popolo sovrano. Non dice che esiste un popolo suddito.
18) oggi (in democrazia) siamo meno liberi: facciamo più scelte liberamente ma facciamo anche molte più scelte in assoluto. A parità di scelte oggi esistono più vincoli.
19) le guerre dei monarchi coinvolgono meno civili.
20) la democrazia introduce la barbarie della coscrizione obbligatoria.
21) la coscrizione obbligatoria richiede indottrinamento e propaganda (mai tante palle come nella I e II guerra mondiale, non c' è da meravigliarsi se non si credette ai campi di concentramento).
22) nella guerra dei democratici è richiesto che il popolo odi il nemico.




























23) in democrazia non alligna la passione per la vita militare ed i suoi nobili ideali.
24) le democrazie in guerra sono irrazionali ( "lepri impazzite"). Il Vietnam è un buon catalogo di errori tipici.
25) la guerra dei monarchi spesso si risolveva in un dispiegamento di forze.
26) le guerre dei monarchi sono pagate sostanzialmente dal re.
27) il re pagava le sue guerre indebitandosi a tassi elevati visto che poteva fallire.
28) la guerra democratica è devastante. La democrazia introduce concetti come "guerra totale", "resa senza condizioni" "dictat" ecc.
29) le democrazie non sanno fare la pace: a Vienna i monarchi trattarono con deferenza i rivoluzionari sconfitti. A Versailles gli sconfitti furono umiliati e proprio lì nacquero potenzialmente le dittature del XX secolo.
30) l' ideologia democratica ha prodotto: fascismo, nazismo, comunismo,socialismo, socialdemocrazia, liberalismo centralista. Non basta ?
31) l' atto di nascita delle democrazie moderne è la rivoluzione francese, praticamente un genocidio franco-francese seguito da guerre imperialiste. Non basta ?
32) de sade è il patrono della democrazia moderna (fondò la section de piques, una sorta di ss della democrazia).
33) per l' elezione di hitler affluenza record del 98%. Chissà ciampi come sarebbe stao contento.
34) il duce fu chiamato benito in onore di benito suarez "uccisore di monarchi".
35) il socialismo è la naturale prosecuzione della democrazia (le ammiraglie sovietiche si chiamavano Marat, Danton...).
36) le democrazie inventano i campi di concentramento (gb nella guerra boera).
37) la democrazia si lega a doppio filo con il nazionalismo (risorgimento, panslavismo).
38) uniformi, militarismo, masse, grandi numeri. Tutto fa democrazia.
39) contro la democrazia: Socrate (condannato per le sue tirate antidemocratiche), Platone, Aristotele (esiliato dalla democrazia), Tommaso (democrazia come il migliore dei governi diabolici), Polibio (la democrazia evolve in tirannia).
40) per Roma abbandonare la monarchia volle dire correre verso l' impero e i tiranni.
41) la dichiarazione d' indipendenza americana non fa cenno alla democrazia considerata come il demonio dai padri fondatori.
42) Alla sua nascita il Parlamento Inglese diede buona prova di se' con riforme efficienti. Ma non tanto perchè decidesse con metodi democratici quanto piuttosto perchè si trattava, di fatto, di un' assemblea di proprietari (i beneficiari delle riforme agricole) che nulla avevano a che spartire con il suffragio universale.
43) l' istituto dell' authority testimonia di come anche in un regime democratico si debba ricorrere all' introduzione di elementi monarchici.
44) oggi è impossibile riproporre le vecchie dinastie. Gli unici possibili sostituti dei monarchi sono i grandi monopolisti che si sono guadagnati onestamente la loro posizione senza aiuti politici. Liberiamoli dall' anti trust e dagli ammazza monarchi di oggi come il patetico Mario Monti.
45) W mia nonna che votando in solitudine per il re ancora oggi in famiglia è biasimata.
46 Dylan Matthews sulla monarchia
  • Le democrazie parlamentari hanno bisogno di un arbitro che decida chi deve formare il governo...
  • In questo ruolo i monarchi lavorano meglio: 1) nn sono a scadenza e nn devono garantire il futuro né a se stessi né ai figli 2) nn sono politici e quindi nn coltivano ideologie...
  • Le recenti performance anti-costituzionali di Giorgio Napolitano sono sotto gli occhi di tutti. Mai sarebbero state tollerate in un monarca. Napolitano è la regola non l'eccezione...
  • I cambi di governo senza elezioni sono più prob. con i Presidenti eletti, i quali sopiscono anche l'interesse x la politica...
  • Sembra strano ma la Monarchia costa meno della Presidenza della Rep. Anche quelle + costose come quella inglese posiedono un brand che compensa i costi.
continua
47)






















Chi cono i più generosi?

Conservatori o progressisti? Americani o europei.

La risposta ovvia è qui documentata.

http://www.american.com/archive/2008/march-april-magazine-contents/a-nation-of-givers

Kalam Cosmological Argument

E’ possibile che nel mondo reale esista una catena infinita di eventi?

La domanda non è peregrina perché il concetto di “catena infinita di eventi” è utilizzato per esempio come alternativa al concetto di Dio nell’ argomento cosmologico.

Dobbiamo a George Cantor quanto sappiamo sugli infiniti.

William Lane Craig ha notato che applicando alcuni teoremi cantoriani alla realtà naturale otteniamo risultati paradossali. Per esempio, procedendo all’ infinito indietro nel tempo costateremmo che gli anni sono più numerosi dei giorni:

  Suppose we imagine the column of past years stretching away from our left eye infinitely far into the distance, and parallel to it, stretching away from our right eye, the column of past days, also receding infinitely far. The two columns should be aligned at the near end, starting at the present, and the members of the two columns should be matched against each other one to one. I can now explain the sense in which the column of past days is not larger than the column of past years: it will not stick out beyond the far end of the other column, since neither column has a far end

Siamo nel cuore del Kalam Cosmological Argument

aa

mercoledì 1 giugno 2011

Pessimistic bias

La crisi capita a fagiolo per ripetere che:

that last decade was a decade of unprecedented peace and prosperity across the globe

Complimenti a chi è vissuto accorgendosi della realtà.

La ricetta migliore per uscire dalla crisi: tagli alla spesa.

Se ci si divide ancora sul breve termine, sul medio ormai il consenso c’ è.

E adesso… un po’ di musica commerciale

Libertarianism A-Z: pena di morte

Si dice che la pena di morte garantisca deterrenza, ma l’ evidenza è debole.

Si dice anche che assicuri un risparmio di costi. Vero, ma non nella misura che si crede considerando la serie infinita di appelli a cui accede il condannato.

Quanto alle questioi morali (“se lo merita”), ognuno ha i suoi principi.

Senza contare che non uccidere il condannato consente di riparare ai propri errori.

martedì 31 maggio 2011

Nel paese dei muri con le orecchie

Per molti di noi “essere buoni” implica in qualche modo anche il “saper fare di conto”: poiché una buona azione deve produrre buone conseguenze, è necessario saperle prevedere e soppesare, almeno per quanto nelle nostre forze.

Oggi ancora più che un tempo le conseguenze sembrano al centro di ogni ragionamento etico. Pragmatici e utilitaristi danno grande enfasi all’ effetto ultimo di cio’ che si compie.

Possiamo chiamare “conseguenzialista” chi simpatizza con questo approccio.

Si è parlato tanto di “etica della responsabilità” (attenta alle conseguenze) contrapponendola all’ “etica delle intenzioni” (attenta all’ interiorità). Se non ti schieri per la prima vivi nel passato.

Ma c’ è un “ma” e con un esempio cerco di indicare dove si trovi la pietra d’ inciampo di ogni visione “conseguenzialista”.

… L’ albergo dove alloggia Clara prende fuoco e le fiamme divampano in pochi secondi. Lei fa appena in tempo a mettere in salvo suo figlio che giocava nell’ atrio. Ricostruendo a posteriori l’ accaduto ci si accorge che la donna avrebbe potuto salvare i due bimbi tragicamente periti che stazionavano più vicino a lei se non fosse corsa d’ istinto verso suo figlio che in quel momento giocava più distante. Giovanni, un pragmatista, chiamato a giudicare l’ operato di Clara da un punto di vista etico, applicando il suo approccio non puo’ esimersi da una condanna. Non è possibile fare altrimenti visto che, sebbene dirlo non sia facile, due vite pesano più di una. Anche Clara, a sorpresa, si dice una seguace del pragmatismo e capisce che ha agito in modo eticamente scorretto, eppure non si sente colpevole, non riesce a pronunciare una sincera condanna su di sé e sul suo operato in quelmaledetto giorno. In fondo l’ amore che ha coltivato per tutta la vita verso suo figlio aveva anche una funzione “pragmatica” e non poteva certo “liberarsene” in un attimo nel corso di quei terribili secondi…

Tutti comprendiamo lo stato di Clara e riflettendo sul suo dramma scorgiamo qual è il limite delle teorie etiche conseguenzialiste: spesso individuano comportamenti scorretti che poi non riescono a “condannare”. Una grave dissociazione. Clara si è comportata in modo sbagliato ma non è colpevole.

Per riepilogare da un’ angolazione leggermente diversa, secondo il pragmatista “rubare è sbagliato finché procura del male”, ma, affinché la gente si educhi a non rubare, potrebbe essere più efficace farle credere che rubare sia un “male in sé”, senza far intervenire nel ragionamento tanti faticosi distinguo. Un auto-inganno di questo tipo sembra proprio la soluzione più efficace. Ma credere che “rubare sia sbagliato in sé” vuol dire cessare di aderire al pragmatismo.

Insomma, capita spesso che il pragmatismo ci spinga verso teorie etiche diverse dal pragmatismo. Se il pragmatismo viene “professato” cessa di funzionare al meglio.  Una teoria etica del genere si suole etichettare come “auto rimuovente”.

Oltre ad essere auto-rimuovente il conseguenzialismo è probabilmente “esoterico”, ovvero: funziona al meglio solo se  creduto vero e praticate da pochi. Questa élite è tenuta a sussurrare la sua fede in circoli ristretti stando ben attenta al fatto che anche i muri possono ascoltare.

A voce alta, quando sentono popolo e muri, meglio sarebbe emettere un edificante fiotto d’ ipocrisie ben confezionate.

E se si vive davvero nel paese in cui “anche i muri hanno orecchi”, allora possiamo arrivare a dire che il pragmatismo si auto-confuta.

Michael Beitz i muri hanno orecchie  link

Ma è funzionale che una teoria etica sia auto-rimuovente? E’ morale che una teoria etica sia “esoterica” e “ipocrita”?

Ci sono buone ragioni per rispondere di no ad entrambe le questioni. Specie se dobbiamo fornire una risposta che travalichi il circolo esoterico.

Spero di aver seminato qualche dubbio ai pragmatisti che magari saranno indotti a cercare sul mercato dell’ etica qualcosa di più promettente. La merce non manca. 

Derek Parfit – Reasons and Persons

lunedì 30 maggio 2011

Rete a strascico

1. Il segreto? Pratica, pratica, pratica... Sì, ma quando iniziare? Presto… ancora prima… (domanda: ma sono seduti perché non ancora in grado di camminare?)… la marghe è già out…

 

2. Poi, ad una certa età, ecco la regressione… spunta la voglia di tornare nella propria cameretta e strimpellare inascoltati il toy piano della Bontempi…

 

2. E dopo i piccoli che giocano a fare i grandi, dopo i grandi che giocano a fare i piccoli… gli uomini che giocano a fare le donne… When a man sings like a woman...

 

sabato 28 maggio 2011

USA vs. UE

Ross Douthat has just published an excellent column on America at the end of the 2000s, and he cites an essay by our friend and National Review contributing editor Jim Manzi that appears in the latest issue of National Affairs.

Social democracy has its benefits, but global competitiveness isn’t one of them. As Jim Manzi points out, in an essay on “Keeping America’s Edge” in the latest issue of National Affairs, “from 1980 through today, America’s share of global output has been constant at about 21 percent. Europe’s share, meanwhile, has been collapsing in the face of global competition — going from a little less than 40 percent of global production in the 1970s to about 25 percent today.”

A friend objected to this passage, arguing that U.S. population growth over that period accounts for the difference. Population growth does account for some of the difference, but it doesn’t eliminate the growth gap. This is despite the fact that the U.S. economy should have performed less well on this front according to the Solow-Swan model of convergence. For the most advanced and productive economy, further productivity gains are necessarily more “expensive” because they reflect the cost of experimentation designed to push beyond existing best practices. Many of those experiments will fail. This is the essence of entrepreneurship. Other economies can “follow-the-leader” by learning from its mistakes and apply domestic savings to the practices and technologies that emerge from the Darwinian competition that defines a competitive, entrepreneurial economy. 

That is, European productivity growth should have been much higher than U.S. levels, according to the logic of conditional convergence. It was not, however. The real mystery is why Europe has been underperforming. One assumes that labor market rigidities are part of the problem, but there’s room for disagreement. As for the higher productivity per worker hour in France, it is to some extent an artifact of lower rates of labor force participation — if we excluded more young workers, low-skill immigrants, and part-timers from the workforce, we’d presumably have much higher productivity per worker hour. The post-1981 increase in work effort in the U.S. has, as economist Edward Prescott has noted, came primarily from high earners in response to lower marginal tax rates at the top. Before then, Europeans tended to work longer hours than Americans. As Casey Mulligan always says, incentives matter. One thing that saddens me is that this kind of nuanced picture is hard to get across on, say, radio or television. I was just on an excellent public radio program, and one of my fellow guests said that “we tried tax cuts and deregulation and they didn’t work!” How exactly does one respond to this? From my perspective, some tax cuts are good — like tax cuts that aim to increase work effort — and others are bad — like tax cuts that aren’t paid for by spending cuts. And as for deregulation, again: some kinds of deregulation are good, like when it leads to increased competition and lower prices, and others are bad, like “deregulation” that centralizes power in the hands of politically-connected elites.  Liberals often accuse conservatives of peddling “bumper sticker” solutions — simple nostrums like tax cuts as the cure for all that ails us, etc. My sense is that many (not all) liberals have a “bumper sticker” solution as well: “Trust Us.” My sense is that it’s not tax cuts and deregulation that failed in the 2000s. Rather, it was the doctrine of trusting Washington. But this is all very abstract.

La spirale del tempo e i suoi scherzetti

Molte persone mettono la ragione al primo posto. Deve stare lì, al centro della loro vita. Mai acconsentirebbero di bere al calice colmo del cosiddetto “siero dell’ irrazionalità”. Chi vi si presta, infatti, sa che dovrà cedere a condotte irrazionali.

Bene, forse un atteggiamento del genere è proprio quello che dovremmo insegnare ai nostri figli. Perché no?

Solo che dovremmo insegnare loro anche a non identificare “ragione” e “logica”.

Chi compie questa identificazione, infatti, è nei guai per il semplice fatto che “logica” e “vita” sono incompatibili.

Se la ragione si riducesse alla logica, una vita imperniata sulla ragione sarebbe contraddittoria.

E’ il “fattore tempo” che gioca di questi scherzetti: l’ uomo vive immerso nel tempo e il tempo è una spirale che si succhia la logica.

I conti non vi tornano? Illustro questa singolarità con due vividi esempi.

1. Giovanni è un tipo razionale (logico) e trasparente (non riesce a nascondere le sue reali intenzioni). Ora la sua macchina è in panne nel deserto, l’ acqua è finita da un pezzo e se non passa qualcuno al più presto rischia grosso; per fortuna un tale passa di là e Giovanni, fermandolo, gli promette mille euro per uno strappo fino alla città dove abita, lì potrà prelevare la somma del compenso promesso. Ma il tale tira dritto e per Giovanni si mette davvero male. D’ altronde non poteva andare altrimenti: Giovanni, essendo un tipo razionale, non avrebbe mai rispettato la promessa una volta arrivato in città e il tale l’ ha capito subito visto che Giovanni è anche un tipo “trasparente”. Meglio sarebbe stato per Giovanni, prima di contrattare con il suo potenziale “salvatore”, essersi abbeverato al “siero dell’ irrazionalità” (ce l’ ha nel cruscotto"): ma una simile “debolezza” è interdetta dalla regola di vita che si è dato. Ripensiamo ora a questa storia e tiriamo una morale: il comportamento autodistruttivo di Giovanni è imputabile al principio che lui segue: essere sempre razionale, ovvero non bere mai dal “siero”.

 aspiral clocks

(aspiral clocks)

2. Giacomo – noto a tutti per la sua razionalità - è in casa con i suoi due figli e la moglie; fa irruzione un rapinatore e scatta l’ allarme: tra 50 minuti la polizia arriverà, il losco individuo lo sa, ha fretta e formula con chiarezza il suo ricatto: Giovanni deve rivelare la combinazione della cassaforte, in caso contrario verrà ucciso un famigliare ogni cinque minuti. Giovanni riflette: se parlo ci ucciderà tutti comunque perché ho visto la targa della sua auto e lui lo sa, se non parlo ci ucciderà uno alla volta per rendere credibile la minaccia. Sono in un vicolo cieco… aiuto!. In realtà una buona strategia ci sarebbe: bere dal “siero dell’ irrazionalità”; in questo modo sarebbe il rapinatore ad entrare in difficoltà: i ricatti sono efficaci solo se formulati a persone ragionevoli. Inoltre Giacomo potrebbe non rivelare mai la targa del delinquente: farlo sarebbe razionale per chi vuole recuperare la refurtiva – e il rapinatore lo sa. Ma se Giacomo “beve” non potrà più essere considerato razionale e questo rassicurerebbe il rapinatore che non è certo in cerca di aggravanti per il suo crimine; Giacomo avrebbe probabilmente salva la sua vita al prezzo dell’ oro. Purtroppo la strategia vincente, ovvero la strategia più razionale, cozza contro i principi di Giacomo che, essendo una persona razionale, ha giurato di non abbeverarsi mai al siero.  

Queste considerazioni spingono verso un’ idea un po’ diversa di ragione. In particolare ci portano a dire che se l’ intuizione (senso comune) non facesse parte della ragione, la ragione sarebbe in qualche modo auto contraddittoria, il che, a sua volta, non sarebbe accettabile.

Derek Parfit – Reasons and Persons – Oxford press

p.s. ho iniziato a leggere questo libro perché in molti – in troppi per fare orecchie di mercante - dicono essere il più importante libro di filosofia morale scritto ai nostri tempi. Parfit confuta il razionalismo e l’ utilitarismo applicati all’ etica proponendo una specie di apriorismo.

giovedì 26 maggio 2011

Jakson Pollock compreso a quattro anni

Lezioni d’ arte moderna con “effetti collaterali”…

link

Ma allora, l' università italiana è sotto finanziata sì o no?

Roberto Perotti sui costi dell' Università italiana:



... su una cosa studenti, rettori, politici e giornalisti sembrano d' accordo: l' università italiana soffre di una drammatica carenza di risorse... in effetti qualsiasi indicatore di spesa per studente sembra confermarlo, inclusi i dati OCSE... ma un' investigazione più approfondita rivela che per tutti i paesi eccetto l' Italia queste cifre si riferiscono alla spesa per studente "equivalente a tempo pieno"... cioè: tenendo conto degli studenti frequentanti... uno studente che in un anno fa solo metà degli esami riceve un peso di 0.5 e così via... uno studente che non frequenta e non dà esami non sottrae tempo ai docenti e non impone costi all' ateneo... se un ateneo spende 10 euro ed ha due studenti, di cui uno non frequenta, tutta la spesa è di fatto diretta verso un unico studente... per mancanza di informazioni, tuttavia, il dato italiano riguarda la "spesa per studente iscritto"... la differenza è rilevante perchè è ben noto che in Italia i fuori corso abbondano... facendo le dovute conversioni la spesa italiana per studente ci colloca tra i paesi più generosi... Un metodo alternativo ma molto simile consiste nel calcolare, anzichè la spesa annuale per studente, la spesa complessiva per gli studi universitari dello studente medio... anche in questo caso risulta che l' Italia spenda più della media OCSE e comunque più di molti paesi con con cui è plausibile un paragone...

E ancora sulla qualità della ricerca in Italia: 



... c' è un' idea diffusa che nonostante la cronica mancanza di risorse l' Italia abbia una ricerca all' avanguardia... ma in genere si menzionano i buoni piazzamenti di una singola Università italiana senza tenere conto della sua enorme dimensione rispetto agli standard internazionali, oppure si trascura la qualità a vantaggio della quantità... aggiustando le classifiche anche solo per uno dei due fattori (dimensione/qualità) la posizione delle Università Italiane crolla...

Roberto Perotti – L’ università truccata

Recentemente Giuseppe De Nicolao ha criticato le posizioni di Perotti.

Dall' articolo le sue critiche erano incomprensibili, qui ho reperito una sintesi più compiuta del suo pensiero.

A me De Nicolao non convince: sui finanziamenti sembra contestare la mossa del Perotti dicendo che lo studioso, con la sua nozione di "spesa equivalente per studente", corregge i dati OCSE "solo per l' Italia".

Senonché, lo stesso Perotti spiegava che questa mossa si rendeva necessaria poiché l' Italia, e solo l' Italia, presentava all' istituto un dato disomogeneo.

Quando finalmente entrambi gli studiosi prendono in esame un dato comune (spesa complessiva per formazione terziaria dello studente medio), Perotti commenta asciutto che "la spesa resta più elevata della media OCSE", De Nicolao che "non sembra comunque un costo ai vertici mondiali". Mah, di sicuro ora è un po' più difficile parlare di "cronico sotto-finanziamento".

Passando alla delibazione qualitativa della ricerca italiana, De Nicolao non sembra convinto della misura (Fattore d' impatto standardizzato) utilizzata da Perotti e che consente, tenendo conto delle enormi dimensioni di taluni istituti, di collocare le università italiane in fondo alla classifica.

Detto questo, introduce delle condizioni restrittive sintetizzate in un "criterio di ammissibilità" con il quale, secondo me, si fa rientrare la quantità dalla finestra proprio quando lo scopo è quello di cacciarla dalla porta sterilizzandola. Tralasciare le bad performances di un ricercatore non sembra certo una grande idea, anche se fa comodo.

Un criterio restrittivo un po' troppo restrittivo per non pensarlo come "tortura" su dati restii a confessare quello che vorremmo sentirci dire.

Anche la riluttanza del De Nicolao a "pesare" la popolazione dei vari paesi confrontanti è quantomeno sospetta, chi negherebbe che la cosa conta? L' Argentina ha sempre avuto una nazionale di calcio più forte del Paraguay, e questo a parità di talenti; il motivo è semplice: pescare in un bacino più ampio di potenziali calciatori è un privilegio non da poco.

Diciamo poi una cosa: queste ricerche si compiono su un terreno sdrucciolevole visto che che le conducono dei professori/riceratori che, necessariamente, presentano forti conflitti d' interesse. E allora, un altro punto a favore del Perotti.

Che poi nella ricerca italiana manchino i capitali privati questo è un fatto. Solo che è un' aggravante qualora si consideri che una buona dose della colpa è anche dell' organizzazione che non riesce ad attrarli, nonché di una cultura diffidente che quando il "privato" si avvicina non sa far altro che lanciare l' allarme generale seguito dal lamento generale seguito dallo sciopero generale.