lunedì 17 marzo 2008

No...la teoria dei bisogni indotti no...(...battendo i forum anti-liberali)

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 20/09/2006 19:19

Se preciso a me stesso la nozione di "consumo" molte cose che ho in testa si dispongono in modo imprevisto.

In fondo noi viviamo per consumare, chi puo' negarlo?

Sì, in effetti qualcuno vive anche per salvarsi l' anima. In questi casi tutto viene valutato in relazione ad una realtà soprannaturale.

Ma chi ama la vita vive anche e soprattutto per consumare.

Per "consumo", sia chiaro, intendo tutte le attività distinte da quella produttiva.

Qualcuno ha detto correttamente che chi non vive per il consumo è un alienato. Per costui l' attività produttiva avrebbe la precednza rovesciando l' ordine naturale del ciclo. Costui mangia per lavorare anzichè viceversa. Inverte i fini con i mezzi.

Ora, per non scadere in un gretto materialismo, veniamo a dei consumi particolari che, di primo acchito, non sembrerebbero classificabili come tali.

Mi fermo a meditare l' infinito di Leopardi e ne traggo grande giovamento.

Ecco una tipica attività attraverso la quale molti consumano (il proprio tempo).

Se leggo un sonetto di Shakespeare coltivo il mio spirito e la cosa puo' venirmi buona anche quando sono in ufficio.

Ma non è certo questa la funzione principale di quella lettura.

Innanzitutto io miro ad un godimento estetico e ad una realizzazione interiore immediata.

Il sonetto è dunque un bene di consumo e non di investimento.

Questa distinzione (consumo/investimento) io la manterrei, la trovo ancora ragionevole.

I tentativi di sopprimerla sono ingegnosi ma quasi mai riusciti.

Del resto i più impegnati nel sopprimerla sono i letterati, e i letterati falliscono spesso nel dar conto della società in cui vivono.

Quest' ultimo è un giudizio un po' pepato. Ma se non azzardiamo qua...

Quando consumo, come dice Michela, esprimo anche il mio voto. Tramite il pagamento rendo più potente chi soddisfa i miei bisogni.

Non piovendo dal cielo, questo voto sarà più responsabile ed esprimerà al meglio la mia personalità.

C' è un' eccezione: colui che ama il proprio lavoro.

In questo caso saremmo di fronte ad un "godimento produttivo". Che fortunato questo signore.

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 21/09/2006 14:57 Produci, consuma, crepa.

Non è poi così male rispetto all' alternativa, ovvero: produci e crepa.

Non capisco poi l' opposizione tra "bisogni" e "consumi". Come se fossero in competizione. Il consumo è l' attività mediante la quale si soddisfa un bisogno.

Qualcuno ha sollevato il problema dell' aria e di come stia diventando un bene prezioso. E' vero! Di aria pulita ce n' è poca poichè non la si può vendere.

Bisognerebbe ovviare a questo inconveniente. Ma come fare a renderla negoziabile? Le idee ci sarebbero. Una fra tante: i pedaggi stradali telematici. Purtroppo gli interessi in ballo sono consistenti e la fattibilità di progetti ragionevoli è scarsa.

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 21/09/2006 18:56 La teoria dei bisogni indotti non mi ha mai convinto.

Comincio con il dire che la domanda "di cosa ho bisogno?" ha senso. I can get no satisfaction. E' forse un sentimento inventato? Direi di no visto che è stato il sentimento di un' intera generazione.

Se altri, nel loro interesse, senza frodi o inganni, ci aiutano a rispondere, significa forse che un bisogno viene creato dal nulla?

No, molto più semplice considerare questo movimento come una scoperta: un mio bisogno viene scoperto. Meglio l' ignoranza?

Vista così tutta la fattispecie mi sembra inquadrata in modo più ragionevole, alla teoria dei bisogni indotti non resterebbe che uno spazio residuale.

Inoltre non si dilapida quel bene prezioso che per me è l' architrave della società: la responsabilità personale.

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 21/09/2006 21.08

Dicono che sulla questione ambientale il consumatore venga posto di fronte a due strade.

Combattere le cause dell' inquinamento consumando beni ecologici (es. auto a idrogeno).

Combattere gli effetti dell' inquinamento consumando beni resilienti (es. condizionatore).

Per vari motivi sia etici che utilitaristici trovo che la seconda strada sia più ragionevole.

Ad Antonio vorrei dire, in effetti per alcuni beni si realizza un marketing più pressante.

Ma questo si spiega con il fatto che alcuni produttori subiscono una maggiore concorrenza e anche una maggiore attenzione da parte del consumatore.

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 22/09/2006 10:44 Viene prodotta troppa merce? siamo soggetti ad una iper produzione?

E' una domanda troppo complessa a cui rispondere.

Per farlo non posso certo basarmi sul fatto che altri utilizzano merce che io non utilizzerei mai!

Starei più tranquillo se si riuscisse a fare in modo che i costi dell' eventuale iperproduzione vengano sopportati da chi l' ha realizzata.

Siccome in una società libera la merce in eccesso coincide con quella che nessuno vuole, tale merce resterà invenduta e graverà sul groppone di chi l' ha prodotta sbagliando i suoi calcoli.

In questo senso siamo garantiti.

Michela dice "i bisogni indotti esistono, lo sanno bene i grandi strateghi del marketing...".

Ma la funzione degli strateghi del marketing è perfettamente coerente con la teoria dei bisogni NON indotti (vedi sopra).

Michela, tu dici che perdi il tuo tempo nel forum a discapito dell' azienda per cui lavori. Se entri in rete per un tuo piacere personale allora stai "consumando".

La cosa torna utile in modo rilevante all' azienda? Anche qui un bel problema.

Ma c' è una buona e ragionevole soluzione, basta vedere se l' azienda ti paga per passare così il tuo tempo.

Naturalmente devi considerare che alla tua azienda torna utile (in modo decisivo) anche se tu ti nutri come si deve.

Come potresti recarti al lavoro se non mangiassi? Ma per questo non ti paga. Sa benissimo che sulla questione il tuo interesse di consumatrice prevale su quello del produttore

CONSUMO E IDENTITÀ" ric - 22/09/2006 19:36 In effetti qualcosa non torna con Michela.

Secondo te sono indotti tutti i bisogni che non siano primari.

Ma questo non è cio' che si intende comunemente.

Indotto è il bisogno che in realtà non esiste.

Mentre i bisogni non primari esistono eccome (ammesso e non concesso che abbia senso l' espressione "bisogno primario"!!).

Per avere bisogni indotti è necessario postulare che il consumatore non sia in grado di intendere e di volere. Oppure che subisca un inganno.

Così correttamente definito per me è facile dimostrare che si tratta di una falsa nozione da abbandonare quanto prima per un corretto sviluppo del ragionamento.

Anche perchè, una volta accettata la teoria, le conseguenze potrebbero essere spiacevoli. L' alternativa sarebbe che una autorità tirannica stabilisca quali siano i tuoi "reali" bisogni.

Questa alternativa mi è antipatica di brutto.

No, no, meglio prendere la nozione di "bisogno indotto" e buttarla nello sciacquone (insieme ai tiranni che porta con sè).

Abbiamo già visto come un bene come l' aria sia minacciato dal fatto di non essere negoziabile. Quelle dinamiche perverse potrebbero essere estese al nostro dialogo, cara michela.

Nel dialogo, infatti, ci facciamo dono reciproco delle nostre idee. Io ti regalo le mie.

Probabilmente non hanno molto valore poichè le regalo a destra e a manca.

Ma se avessi un' idea particolarmente brillante la coprirei con il diritto d' autore (o con il brevetto) al fine di farmela pagare limitandone la circolazione.

Se non potessi fare tutto cio' eviterei fin dal principio ogni sforzo e ogni investimento per produrre idee innovative.

Non è un caso che le società in cui esiste l' istituto del brevetto siano anche più innovative (con più idee originali prodotte).

Il forumista effeminato

Nelle animate discussioni internettiane, con regolarità impressionante spunta il forumista effeminato.

Amico di tutti e iper-sensibile, quando la situazione si fa critica e iniziano i tuoni, comincia l' affannosa ricerca di una gonna sotto cui riparare e da cui uggiolare mendicando una carezza di compatimento.

Non mi sembra ci voglia poi molto per cogliere il marchio di fabbrica dell' effeminato.

Quel periodare tutto fratturato e singhiozzate che, in cronica assenza di messaggi da veicolare, punta tutto sulle strizzatine d’ occhio e sulla simpatia ruffiana che vorrebbe sprizzare. Non vuole invece capire il fastidio che al prossimo danno quelle deresponsabilizzanti gomitatine d’ intesa. L' unico registro alternativo che conosce è quello di un' isteria da utero peripatetico. Condizione posta a premessa di rabbie afone e altre carnevalate stucchevoli. Ovviamente sono rabbie di cartapesta, scoordinate e senza costrutto. I suoi odi frequentissimi e mal pensati, sanno solo indirizzare puerili coltellate che arrivano deboli e di piatto circondate dalla crescente ilarità della Comunità Maschile.

Quando spirano simili miasmi si arriva presto a rimpiangere persino lo slancio pasticcione di una Valeria, le trincee da cui una Diana, con tanto di elmetto, getta le sue granate sarcastiche, le muffe didascaliche di un Enrico, il nulla con fiocco di una Rosemarie, lo scherzo della natura replicato da un mario, la desolazione adolescenziale di chi realizza le sue acerbe voglie trasgressive nel conformismo della parolaccia (RX)…

Le subordinate, purchè castrate, sono essenziali per condire una simile pietanza inodore, insapore, incolore. Come si farebbe senza il tesoro di queste tortuose involuzioni scritturali e cognitive? Sono tanti vicoli ciechi che non conducono da nessuna parte pur abbarbicandosi ovunque. Sono necessarie solo ad infiacchire il messaggio, a devitalizzarlo, a estenuarlo, a renderlo anodino, a sbiadirlo fino all’ elisione completa. Dissimulato in questo modo, perlomeno, si potrà dare l’ impressione che in origine un messaggio ci fosse. Ma basta un semplice bisturi per far saltare questa crosta e scoprire con orrore la mummia di un pensiero rachitico e animalesco, improvvisato senza cura sul momento e tenuto su con lo sputo tanto per non impegnarsi e per poterlo tradire il giorno dopo senza pagare pegno. L’ esempio perfetto di chi si distingue nell’ accudire, nel crescere, nell’ educare qualcosa che non è ha mai voluto nemmeno far nascere.

Perorazione dei forum rissosi

Un forum rissoso ci respinge, ma un forum stagnante ci ammorba.

Nella vita vissuta andare d'accordo con il nostro prossimo ci rasserena, ci consente di pensare ad altro rendendoci più produttivi nel perseguire progetti comuni.

Raggiungere l' accordo in una discussione forumistica, invece, decreta la fine di quella discussione. Se poi l' accordo c' è fin dall' inizio, la discussione sarà abortita sul nascere. In una discussione l' unico progetto è convincere l' altro o, perlomeno, chiarire la propria posizione e i motivi della divergenza. L' accordo annichilisce il confronto. Non dico che alla discussione subentri il nulla ma sicuramente si entra in un altro mondo. Faccio alcune ipotesi.

  1. In una preghiera quando va bene, in una ciacolatoria altrimenti.

  2. In un incitamento reciproco in stile All Blacks. Ci si compiace nel comunicarsi vicendevolmente e ripetutamente i segreti eleusini.

  3. In un racconto isolato. Isolato, cioè senza quell' ascolto attivo che genera interpretazioni interpretazioni contrastanti.

  4. In un pettegolezzo.

  5. In manifestazioni disarticolate di solidarietà o odio.

  6. In un chiarimento dei termini. Ovvero, siamo tutti d' accordo, basta capirsi.

  7. In un atto espressivo egocentrico.

  8. Alcune di queste varianti sono pure nobili, ma io, se penso al forum, penso alla discussione.

Se poi non si riescono a gestire le divisioni e si ripiomba nella disarticolazione del mondo emotivo (odio), non ne farei una colpa alla redazione. Anzi, se proprio dovessi scegliere un parametro di giudizio, direi che la redazione è tanto più abile quante più cangianti e numerose sono le divisioni che riesce ad inoculare nella sua platea.

A mio avviso un forum senza divisioni è privo d' interesse. In un mondo virtuale ci sono solo "paci" virtuali e senza sugo, per me si trasformerebbero subito in bonaccia. Personalmente sono interessato solo ad opinioni che siano diverse dalle mie, purchè non siano puri pretesti improvvisati sul momento.

Winterreise

Non posso dare la mia approvazione a Into The Wilde, l' ultimo film di Sean Penn, non posso farlo. Eppure è di quello che bisogna parlare, di quel winterreise, magari con altre parole ma è di quello. Magari, se non si trovano altre parole, un bel silenzio preserva al meglio la magia e il potenziale della bomba. E che lì sia sotterrata una bomba ce lo raccontano alcune vibrazioni che non sfuggono al rabdomante. Vibrazione che, a volte, spuntano frammiste alle chitarre sferraglianti di Hard Sun.

sabato 15 marzo 2008

Il Fiume Rosso

La storia narrata ne “Il Fiume Rosso” non è particolarmente originale, specie per chi la scopre solo oggi. Una motivazione c’ è: è stata molto imitata. Ma questo è solo un titolo di merito, accade per tutti i classici.

Ci vengono raccontate le vicende di due uomini, Tom e Matthew, legati da una relazione speciale, qualcosa che somiglia a ciò che unisce Maestro e Discepolo. E’ un evidente simulacro del legame istituito dalla paternità. La rottura tra i due si consumerà allorchè Matthew matura lentamente la sua condanna per alcuni comportamenti intollerabili che Tom tiene nei confronti dei suoi sottoposto. Ma il debito per l’ attenzione ricevuta dal ragazzo nel suo periodo di apprendistato si farà sentire gettando le basi per una riconciliazione tra i due eroi. Il legame di ferro verrà ristabilito su un piano paritario.

Il genio pratico di un autore come Hawks ha lardellato questo scheletro con molta carne succulenta.

Il dramma ha due fuochi. Primo, come raccogliere le forze per condannare apertamente chi ci è intimo e, perdipiù, con la sua riprovevole condotta nemmeno ci procura un danno personale?

Secondo, come eludere gli ostacoli che si frappongono alla riconciliazione?

Il primo dramma non è insolito. Per far scattare la condanna è necessaria la violazione di una norma etica che trascenda i nostri affetti, che eluda il conflitto di interessi più immediato, che superi i nostri più intimi sentimenti. L’ ingiustizia deve prevalere sui rapporti personali (1).

La non debole premessa, quindi, è che norme di tal fatta esistano. Siamo fortunati, nel Far West esistono eccome.

Certo, non è facile formulare un giudizio tanto gravido di conseguenze spiacevoli, eppure in questi casi una coscienza ben formata deve poter compiere questo lavoro ingrato. Ed ecco un primo corto circuito che costituisce la poesia di questo film: la coscienza tanto proba da poter emettere un simile verdetto, è stata “formata” proprio da colui che ora si trova a subirne la condanna. La cosa non sarà irrilevante.

Il secondo dramma è più caratteristico dei film western. Riguarda la canonica pietra d’ inciampo sulla via della riconciliazione: l’ orgoglio.

L’ orgoglio rende pudici e trincerati i cowboy che popolano questi bruschi paesaggi texani, cio’ non consente loro di addivenire a quelle che per noi sarebbero facili e risolutive spiegazioni. L' inane e istintiva incitazione dello spettatore è sprecata.

Attenzione, stiamo parlando di un nemico insidioso perchè orgoglio e pudicizia sono, allo stesso tempo, anche il tesoro più prezioso che un cowboy reca con sè ovunque vada. Non puo’ certo disfarsi a cuor leggero di queste due pepite. Volete qualche esempio della loro utilità?

Abbiamo la fortuna di parlare del Fiume Rosso, un capolavoro che, quanto ad esempi, è una miniera inesauribile.

Prendiamone uno frivolo: il pocker.

Non si puo’ giocare a pocker senza quell’ innata pudicizia dalla quale il “gambler” attinge per forgiare la sua maschera imperscrutabile. Nel pocker bisogna impedire che gli altri ci “guardino dentro”, che penetrino nell’ andito dove si elabora il nostro pensiero più recondito. Ma la pudicizia è proprio l’ arma con cui la psiche umana custodisce al meglio questa sfera riservata. Non è un caso quindi che tutti nel vecchio west giochino a pocker. Anche questo film presenta una mano al tavolo verde. Il mix di fortuna e astuzie che incorona il vincitore costituisce una buona mimesi della vita di frontiera.

Il secondo esempio, quello riguardante l’ orgoglio, è più serioso.

L’ orgoglio e l’ onore (2) sono i genitori della vendetta. Chi non sente urgere questi sentimenti è destinato a percorrere solo un brevissimo tragitto sui sentieri selvaggi del vecchio west. La vendetta è istituzione centrale in quel mondo, e la storia del Fiume Rosso lo ribadisce.

Notate come Tom abbia dato grande visibilità alle sette tombe di chi era venuto a disturbarlo reclamando quella che lui considerava la sua terra. Vendicando la sua terra l’ ha resa ancora più Sua, l’ ha serrata con vigore crescente nella sua stretta. Chi lascia cio’ che è suo quando puo’ difenderlo viene disonorato perdendo i suoi diritti (3).

Lo capiamo subito il giro del fumo: niente orgoglio, niente onore da difendere, niente vendette, niente terra, niente storia, niente western, niente civilità.

Ma allora come fa il cow boy a tenere a bada i potenti influssi negativi di questi sentimenti, peraltro così essenziali su altri versanti? Semplice, deve avere vicino una donna che svolga questa funzione emolliente. Una parola femminile a cui sia dolce cedere. Un’ orientamento appena alluso che sia possibile seguire abbandonandosi con fiducia.

Ed ecco allora il dramma da cui germina tutta la nostra storia: Tom ha perso la sua donna, lo veniamo a sapere nelle lapidarie scene iniziali, non ci sono più donne al suo fianco.

Senza donna la sua corazza di pudore è diventata impenetrabile e lo stritola. Il suo stesso pudore lo sta fagocitando al cospetto dei suoi amici impotenti. Tutti sanno, e Metthew, il figlioccio, sa meglio di tutti. Ma loro sono uomini, sono disarmati di fronte a questa tragedia, possono solo comunicare con la vittima come potrebbe farlo un odioso grillo parlante da prendere a martellate, un ruolo che disturba prima di tutto proprio loro stessi.

Anch’ essi sono di quella razza, anch’ essi hanno connaturata quella pudicizia che non consente loro di moraleggiare agevolmente. Solo Groot, il brontolone compagno di sempre, messo sotto pressione e richiesto con insistenza (“...e tu cos’ hai da guardare?...”) lascia che una metà della sua bocca sdentata articoli uno smozzicato: “...avevi torto Tom...”.

Da quanto detto si sarà già capito che il deus ex machina della fiction vestirà una gonnella.

***


Adesso vorrei dar conto di alcune tematiche collaterali che il Fiume Rosso illustra magistralmente. Sono ricorrenze tipiche del genere western. Non sono solo formalismi di un genere cinematografico, sono dei capisaldi culturali di un mondo che, pur sottoposto a parecchie metamorfosi, ancora informa parte della realtà che viviamo e dei sentimenti che proviamo tutti i giorni.




  1. Innanzitutto non dobbiamo dimenticarci di essere di fronte ad un’ opera ci carattere epico. E’ un po’ difficile dimenticarselo poichè l’ eroe ripropone per tre volte la sua solenne decisione di compiere un’ impresa. La prima di conquista, andrà nel Texas a conquistare la sua Terra. La seconda d’ affari, andrà nel Missouri a vendere la mandria. La Terza di vendetta, andrà ad Abilene ad uccidere Metthew. Il decisionismo e la centralità dell’ impresa ci fanno capire di avere a che fare con personalità che hanno tutta l’ intenzione di influire sul proprio destino.


  2. Gli Indiani fanno parte del paesaggio selvatico, sono semplicemente un fenomeno naturale, un ostacolo da superare sulla strada delle imprese. Non hanno motivazioni, non hanno ragioni. Non ha nemmeno senso abbracciare la loro causa, sarebbe come schierarsi a favore del Grand Canyon. Fortunantamente questa immaturità verrà superata nei film dei decenni successivi, a volte in modo talmente pedante da costringerci a rimpiangere il candore primigenio.


  3. La donna è associata alla notte, al riposo e alla riflessione. C’ è un tempo per combattere e un tempo per soppesare l’ azione nella tranquillità domestica che ci donano gli affetti più cari. Ma anche la parola è il regno della donna. Lei sa parlare al cuore. Con la parola porrà fine alla discordia (4).


  4. Esiste una tradizione da tramandare. Basterebbe la scena in cui il braccialetto della madre viene donato alla donna che ne prenderà il posto, per illustrare adeguatamente questo punto.


  5. La stirpe dà continuità al lavoro dell’ uomo. Il figlio è la speranza, è la medicina contro la morte. Avere figli è essenziale. “Ma perchè vuoi un figlio Tom?” “Per lasciare a lui tutto quello che ho costruito...è una cosa bella...”


  6. Ogni buon western esalta con le sue zoommate il paesaggio naturale. Non è solo un vezzo iconografico, si tratta proprio di porre al centro un concetto come quello di Natura en plein air. La natura mette in scena se stessa ma anche il cuore dell' uomo.


  7. La gerarchia è un punto fermo dell’ organizzazione. La forza auita a stabilirla. Con un ceffone Tom si insedia come capo, Metthew incassa, sarà il discepolo. Comprende l’ ordine naturale di questa gerarchia e questa comprensione sarà la sua ricchezza, ad essa dovrà la sua fortuna.


  8. Ogni gerarchia ha un capo. Non c’ è cosa pù difficile che svolgere questa funzione. Il capo detta la strategia. Ma è anche giudice, un giudice che applica leggi mai scritte in nessun codice, leggi da estrarre con finezza dalla materia viva e cangiante della tradizione e della natura (5). Molti film western, questo compreso, si incaricano di descrivere meticolosamente i fallimenti ricorrenti di chi si addossa questi compiti ingrati ma necessari.


  9. A proposito di norme mai scritte in nessun codice, eccone una sulla quale, almeno allora, mai nessuno trovava da ridire: non è richiesto di seguire il capo in fondo al pozzo. Esiste un diritto a ribellarsi, un "appello al cielo".


  10. Il metodo didattico della doccia scozzese viene impiegato spesso con successo. E’ sbrigativo, non infetta le piaghe, e spesso riduce i costi, anche i costi di una narrazione ridondante. Chi non capisce capirà, e chi ancora non capisce non capirà mai con qualsiasi metodo.


  11. Arriva il momento in cui l’ allievo prosegue la sua crescita solo se adeguatamente responsabilizzato. A Metthew viene consegnata la pistola, è un momento solenne, se l’ è meritata e, nello stesso tempo, se la deve ancora meritare. Il passato e il futuro vengono caricati di senso grazie a questo gesto (6).


  12. La terra è di chi la sa difendere e di chi la fa fruttare. Probabilmente Tom non ha fatto nessuna scuola di legge ma quanto sia legittima la sua pretesa se lo sente nel sangue. Sono diritti che esistono come esiste il fiume e la prateria. Marcherà le sue vacche e quella marca indicherà una sua proprietà. Il confine, la recinzione, la marca. Ecco dei protagonisti indiscussi del vecchio west (7). Anche a Metthew è promessa la sua marca “...quando se la meriterà...”. Daltronde il “vissero felici e contenti” di questa fiaba è sì un amore che va in porto, ma anche un accordo su confini, marche e percentuali.


  13. “...l’ ho capito guardandolo negli occhi...”. Il cow boy, come il pockerista, è uno scrutatore dell’ anima. Nessuno è lontano dal negarne l’ esistenza quanto il cow boy.


  14. Zappa e Bibbia. Lo si capisce facilmente, il cow boy, vivendo una vita rischiosa a noi sconosciuta, è necessariamente uomo religioso. Ma il suo Dio, prima ancora di essere un Dio Misericordioso, è un Dio giusto e vendicativo, è il Dio come esce dall’ Antico Testamento. A Metthew, che è tentato dal sovvertire queste priorità, vengono pronosticati guai. La Religione è valorizzata in quanto Tradizione prima ancora che come Fede.


  15. Tom non capisce il denaro, non lo sa maneggiare, è colto da un senso d’ impotenza, vorrebbe reagire ma non sa più come indirizzare tutta l’ esplosiva energia che ha in corpo. Questa novità lo confonde e lo oblitera. Eppure non è certo alieno dalla pratica degli scambi (stipula contratti a ripetizione). A deconcentrarlo è proprio questo specifico mezzo di pagamento (8). Ma questa non è una sua fisima, la diffusione del denaro andrà di pari passo con la scomparsa dei cow boy, altri eroi gli subentreranno. Molti film si dedicano ad illustrere questo crepuscolo, questo cambio di scena. Volete degli esempi? L' Uomo che uccise Liberty Valance è il primo che mi viene in mente.


  16. Al contratto è data grande importanza. Onorare la parola data non è solo importante. E’ tutto per certi uomini. Sono per l’ appunto gli Uomini d’ Onore. E la cultura del far west è una cultura dell’ Onore. Ma i contratti vanno anche inerpretati. La caduta di Tom comincia con la sua interpretazione di stampo fondamentalista del contratto stipulato con i mandriani per andare in Missouri (9).


  17. Un topos che ricorre, specie nei film di questo autore, è il concetto di lavoro ben fatto; il lavoro svolto a regola d’ arte viene esaltato. Soprattutto “...cio’ che è inziato deve essere portato a termine...”. Tom è fermissimo (fin troppo) nell’ affidarsi a questo principio (10).


  18. La vendetta è il cuore della giustizia nel Far West. E’ sentita come un dovere da espletare, anche controvoglia. Va annunciata come si legge una sentenza. Sono tutti formalismo che Tom non manca di osservare (11).


  19. Nel duro mondo dei pionieri fare comunella con gli altri è essenziale sia per sopravvivere che per vivere. Il sentimento comunitario è spiccatissimo e convive a meraviglia con l' individualismo di fondo. Ogni buon film western deve contenere una festa dove la comunità si riunisce a mangiare, ballare e divertirsi. Anche qui ce n’ è una (12).

Vorrei chiudere con una parola sullo stile. Uno stile primitivo, asciutto, stringato, essenziale. Non c’ è che dire, si sposa bene con la materia narrata. Non manca però chi si è lamentato di questo aspro primitivismo (13), altri invece apprezzano sopra ogni cosa il dono della sintesi messo in campo.


NOTE




  1. Quando Tom viene abbandonato da tutti Groot, richiesto se vuole restare, afferma “...che avessi torto o ragione sarò al tuo fianco...”. Questa impostazione sembra in contrasto con la mia ipotesi.


  2. anche presso di noi il sentimento dell’ onore gioca un qualche ruolo? Bè, sì. Come negarlo. In genere lo gioca in negativo, ma c’ è una spiegazione. Prendiamo le bande giovanili delle aree metropolitane. Per loro l’ onore è ancora un valore, eppure non c’ è chi non veda i guai che tutto cio’ procura. Ecco come si sono spiegate queste aberrazioni: non puo’ esistere una cultura dell’ onore che non sia ancorata a solide tradizioni e che non irradi dalla presenza di “vecchi saggi”. Tradizioni? Vecchi saggi? sono tutte infrastrutture che mancano nel mondo delle bande giovanili. Con lacune del genere la cultura dell’ onore diventa diabolica. Il concetto di “dignità” è l’ unica versione (molto annacquata) che possiamo permetterci di “onore”.


  3. Ma chi non si batte in quanto ben conscio delle proprie forze è invece portatore di buon senso e degno di elogi (vedi la scena della rissa al saloon).


  4. La predica finale inflitta, pistola in pugno, a Tom e Matthew ancora riversi a terra, è lo splendido apice di tutto il film. Parole istintive, fiere, comiche, passionali, le vere ed autentiche parole d’ amore che tutti conoscono ma solo una donna puo' pronunciare poichè sono le parole "del grembo", le parole che fondano la comunità degli uomini...Parole grazie alle quali “vissero tutti felici e contenti”.


  5. Un sintomo della deriva di Tom lo percepiamo nel momento in cui proclama a chiare lettere “...qui la legge la faccio io...”. E' somma bestemmia in un mondo dove la Legge esiste alla stregua del Gran Canyon.


  6. Quando il mandriano vuole vendicarsi facendo fuoco su Tom, viene dapprima trattenuto. Ma per calmarlo è sufficiente che Matthew prenda il fucile e lo riconsegni ostentatamente nelle sue mani. Una volta responsabilizzato seriamente ritroverà la ragione ed abbandonerà il suo gesto insano.


  7. In realtà le cose sono più sfumate. In parecchi film allevatori e coltivatori entrano in conflitto. La loro concezione dei diritti non collima. Sopratutto l’ allevatore ha problemi ad adeguarsi alla terra cintata. Molti cow boy, osservando le distese di filo spinato, considerano terminata la loro epopea.


  8. E’ interessantissimo formulare ipotesi che motivino questo disorientamento di fronte al denaro. Alcuni studiosi fanno discendere il denaro dal sacrificio: l’ animale o l’ uomo sacrificato è la moneta con la quale rendiamo grazie al nostro Dio pagandolo. Persino la vendetta è stata identificata come un modo per “pagare” attraverso la mutilazione del corpo un sopruso perpetrato. Probabilmente il salto con il quale si passa dalla “moneta vivente” alla “moneta convenzionale” resta incomprensibile alle mentalità più arcaiche.


  9. Ma la rigida interpretazione contrattuale di Tom è davvero così aberrante? Il suo comportamento è senz’ altro crudele, ma è anche manifetamente iniquo? E’ davvero possibile non far fronte ai propri impegni dicendo “...tu non sei più l’ uomo di allora...”. Fortunatamente la parabola del film non si pacifica in una chiusura ermetica, ci sono spiragli per interpretazioni eterodosse. Qualcuno potrebbe perfino vedere in Metthew un anti cow boy. Il dibattito è aperto, che ognuno dica la sua.


  10. La solennità con cui iniziano le imprese è particolarmente studiata. Se devo selezionare la scena che ha reso famosa la pellicola non ho dubbi, opto per l’ inizio dell’ impresa, per l’ inizio del lavoro da portare a termine: la partenza delle mandrie in viaggio per il Missouri, quella in cui all’ albeggiare si scatena la lunga serie di urla selvagge dei cow boy che danno il la alla sinfonia epica.


  11. Il passo di marcia con cui Tom va verso Metthew per regolare i conti esalta questo formalismo. Sul tema della vendetta come dovere gravoso hanno qualcosa da dirci i film di Eastwood, in particolare si impara molto guardando “Gli Spietati”.


  12. Pur se siamo ben lontani dalle deliziose comunità di Ford. Ma con Ford stamo parlando di un irlandese, quindi di un temperamento più sentimentale e festaiolo.


  13. Un regista come Woody Allen, rapportandosi al grande cinema europeo, ha sempre lamentato la latitanza di grandi maestri nel suo paese.

Rothbard: quello che c' è da prendere e quello che c' è da lasciare

Anche la critica più aspra illumina il Maestro. Qui ci si concentra sulla politica monetaria.

venerdì 14 marzo 2008

La prima minaccia delle società: l' economista

E' la tesi contenuta nell' ultimo libro di Stephen Marglin.

Soliti qui pro quo con individualismo, egoismo, consumeismo e compagnia cantante? Probabilmente.

Rodrik consiglia di vaccinarsi leggendo i grandi (e umanissimi) economisti come Adam Smith. Io consiglio di farlo leggendo Rodrik.

Il bazar del welfare. Giocare con le tre carte per mantenere l' incentivo

Salario minimo, reddito minimo, sussidi di disoccupazione, negative income tax, crediti d' imposta...e un meccanismo d' incentivazione che va messo a punto se non si vuole cadere dalla padella nella brace.

E alla fine vince ancora il vecchio Friedman con la sua NIT (praticamente un reddito minimo con l' incentivo a non sedersi).

Geniale l' applicazione della NIT sotto il vincolo costituzionale libertario per cui nessun cittadino puo' ricevere aiuti in misura differente dai suoi concittadini. Sul punto si è prodotto Charles Murray dell' American Entreprise Institute.



A che serve un salaraio minimo se c' è un reddito minimo? A nulla. A che serve un sussidio di disoccupazione se c' è un reddito minimo? Serve come anticipazione visto che la NIT è calcolabile solo a posteriori.



Il problema decisivo resta comunque la transizione dal welfare deforme all' opera qui ed ora.

giovedì 13 marzo 2008

Regole contro Mercato. Rodrik contro De Soto?

La fama che circonda personaggi come Rodrik e De Soto spinge a riflettere.

Si tratta di due grandi economisti che si sono spinti a fondo nella ricerca inaugurata da Adam Smith: rinvenire il segreto che rende ricca una Nazione e povera l' altra.

Il primo si è spesso mostrato critico verso le ricette comunemente utilizzate per gestire la globalizzazione.

Poichè queste ricette, cucinate dall' FMI e dalla Banca Mondiale, vengono con faciloneria etichettate come neo-liberiste, va da sè che l' economista di Harvard venga ritenuto poco più che un social-democratico.

Mi è capitato di sentire parecchi no-global citarlo attingendo alla ricchissima messe di esempi che l' Illustre ha con dovizia sciorinato nelle sue preziose pubblicazioni.

Al contrario, De Soto, si è spinto a difendere le economie illegali di cui ribolle la suburbia dei paesi poveri. I suoi libri presentano nella controcopertina i giudizi sperticati di Coase e della Thatcher. Chiude ogni suo paragrafo con una perorazione del diritto di proprietà. Ha appena vinto il premio Friedman...Insomma, appare a molti come un mastino del mercato spinto.

Eppure, quando poi vai a guardare, non c' è una grande differenza nell' approccio dei due.

Entrambi, sulla scia dell' insegnamento neoclassico, vedono nella qualità istituzionale la chiave di volta delle questioni legate allo sviluppo. Entrambi predicano forme di decentramento nell' azione volta a costruire dette istituzioni.

Rodrik giudica questo decentramento come garanzia di un approccio molteplice da contrapporre al Modello Unico (e Neoclassico) degli organismi internazionali.

De Soto si spinge ancora oltre e invita a rintracciare l' esistente embrione di regole condivise che già è presente - spesso in forma illegale - nella vita quotidiana dei diseredati. Una volta rintracciato quello scheletro, la formalizzazione del diritto dovrà tenerne conto.

In fondo dicono qualcosa di molto simile.

C' è però un elemento meramente retorico che li differenzia e che forse crea un' ingiustificata frattura negli schieramenti in cui vengono poi collocati.

Nella prosa di Rodrik si tende a sottolineare l' importanza delle Istituzioni Non di Mercato. Viene usata esattamente questa locuzione in modo che il lettore resti colpito da quanto il fondamento di tutto non sia affatto il mercato. Rodrik ci appare subito come un non-fondamentalista, per lui contano le Regole. Il mercato viene dopo.

Altra storia per De Soto. Invitandoci a formalizzare dette Regole sulla base delle consuetudini, il peruviano non puo' enfatizzare l' estraneità di quelle Regole rispetto ad un fenomeno contrattualistico. La consuetudine infatti emerge hayekianamente da una miriade di interazioni umane, ovvero da qualcosa che assomiglia molto ad un mercato.

Personalmente attribuisco a Rodrik un' imprecisione retorica. Per i fini che si propone lo studioso è praticamente irrilevante ma per il giudizio ideologico che a me interessa ora, no.

Come distinguere infatti chi assume le Regole come fondamento contrapponendole al mercato, operazione che traspare dalla retorica di Rodrik?

In genere costoro prediligono soluzioni centraliste: esistono delle Regole e vanno poste a fondamento. Tutto deve girare intorno ad esse.

La soluzione "localista" in fondo cos'è se non un "mercato delle regole": esistono dei set istituzionali differenziati, che competano visto che sono entrambi legittimi. Ma optare per un "mercato delle regole" è un modo per asserire la superiorità del Mercato sulle Regole.

Poichè abbiamo visto che sia De Soto che Rodrik propendono per la soluzione istituzionale localista, allora entrambi, nella diatriba Regole contro Mercato, appartengono di diritto allo stesso schieramento.



ADD1. A chi si infervora nel proclamare in astratto la necessità di un' imprescindibile gabbie di regole a fondamento della vita civile e a barriera di un mercato pervasivo e corruttivo, fate pure presente che sono in molti a ritenere la Costituzione come un contratto su cui gli italiani fondano la loro convivenza. Poi fate anche presente che "il contratto" costituisce l' atto di mercato per eccellenza. Dopodichè attendete risposta.

mercoledì 12 marzo 2008

Grandi Anime

William Parker, con il suo Ensemble, si è messo a frugare nientemeno che nell' anima di Curtis Mayfield per cavarne dai precordi l' eco più intima. L' anima è grande, il vagabondaggio infinito, ma alcune pepite sono già state rinvenute, per esempio questa.

Da William Parker - The Inside Song of Curtis Mayfield - Live in Rome.

Sulle piste di Calhoun e Tocqueville

Ah, questi liberali...sempre sulle piste di Calhoun e Tocqueville alla ricerca della formula aurea per limitare l' ipertrofia democraticista. Ecco di seguito una delle tante.

Sostituire il criterio di maggioranza semplice con uno di maggioranza qualificata (o unanimità) + eventuale sorteggio in caso di mancato accordo.

E' una delle proposte che Miglio avanza documentando i successi storici di questa soluzione: nelle democrazie greche, nella repubblica fiorentina prima di Savonarola...Nella repubblica veneta poi, il sorteggio delle cariche impedì la lottizzazione a capo della flotta. Guicciardini considerava il sorteggio come il modo "normale" di scelta all' interno di una Repubblica ben ordinata. Con l' avvento dei Parlamenti settecenteschi e la creazione di nuove oligarchie, di sorteggio non si parlerà più. I concetti di Popolo, di Mandato e di Volontà Generale, lo rimpiazzeranno.

Il sorteggio è considerato anti-elitario, ma questo è anche il suo limite. Senza contare che rimane il problema di individuare le alternative e di limitarne opportunamente il campo d' applicabilità.

Per una trattazione storicistica del sorteggio da affiancare alle pratiche negoziali vedi il libro di Bernard Manin, La democrazia dei moderni, Anabasi. Per una sua trattazione economicistica ai limiti del paradosso, vedi il libro di Antonio Martino, Semplicemente liberale, Liberilibri.
GM+AB, FS p.106

lunedì 10 marzo 2008

Libertari nei mondi virtuali

E' sorprendente quanto la gente sia disposta ad accettare disparità di condizioni anche pesanti quando i punti di partenza sono i medesimi. Un esperimento di massa in proposito è fornito dai "mondi virtuali" che proliferano su internet. Ne parla Castronova.

Negli USA la diseguaglianza cresce

Qualche argomento per dire di NO.

Hugo Chavez, l' amico dei poveri

Sì, certo...Hugo sta disastrando l' economia del suo Paese...però sta facendo del bene ai poveri...

SBAGLIATO!!!

Ricchi per sempre?

L' ultimo libro di Pierluigi Ciocca ha il merito di darci le proprorzioni della recente crisi di produttività che attanaglia l' Italia (nel 2000 la produttività congiunta dei fattori è diminuita). Le si possono sentire anche qui al minuto 17.15. Cio' è meritorio e ci sottrae dalle urla catastrofiste del politico di turno.

Inoltre, la meticolosa analisi della storia economica italiana dal 1796 ad oggi, mette in luce i 4 fattori che sono centrali per lo sviluppo economico del nostro paese (vedi link di cui sopra al minuto 18.45):

  • infrastrutture materiali;


  • infrastrutture giuridiche;


  • concorrenza e dinamismo d' impresa;


  • finanza pubblica in ordine.


Volgendosi alla parte più prettamente storica, si nota come lo sviluppo italiano è sempre stato determinato da grandi emergenze. Sembrerebbe quindi che da noi le strategie "starve the beast" siano destinate a funzionare. Si analizzano alcune fasi ben precise.

  • Il decennio post-unitario e la politica della Destra Storica.


  • Il decennio giolittiano.


  • La politica economica della Ricostruzione (Einaudi-De Gasperi).


  • Il superamento della crisi mirtifera del 1992 (Ciampi).


Salvo poi scoprire che, eccezion fatta per il periodo della Ricostruzione, non si puo' dire che gli altri periodi siano caratterizzati da virtuose politiche di sviluppo, semmai da un risanamento dei bilanci nazionali, quasi sempre orientato sul fronte delle entrate. Le grandi spinte allo sviluppo arrivarono acchiappando al volo occasioni che spesso provenivano da fuori. Due esempi: rivoluzioni tecnologiche nel campo dello sfruttamento energetico, Piano Marshall e inserimento nel circuito delle economie capitaliste.



Scarso da noi il contributo del capitalismo privato.

Piccolo è di nuovo bello

E non parlo dell' Italia ma degli USA. Dopo evidenze contradditorie ora sembra assodato: sono i piccoli a creare lavoro.

Placebo al quadrato

Che l' effetto placebo esista lo sanno anche i sassi, e qui potete trovare gli studi più aggiornati in merito. Ma che lo si possa rinforzare facendo pagare salato il falso medicinale, questa è una novità reperibile nel link indicato.

Filantropia for profit

Due casi di successo e altro materiale.

Fine dello Stato

Per dimostrare l' incompatibilità tra Federalismo e Secessione si ricorre spesso all' argomento per cui non siano mai esistite Costituzioni federali che prevedano, regolandoli, processi secessionistici.

A rigore questo non è vero. Le Costituzioni di URSS (art.77), Etopia e Birmania, prevedevano questa eventualità, per quanto fossero formulazioni astratte e di mera convenienza. La secessione dell' Irlanda nel 1921 non era prevista dalla Costituzione, ma lo stesso non puo' essere affermato tanto perentoriamente per la secessione della Slovacchia e per i referndum secessionisti del Quebec.

John Caldwell Calhoun volle basare la Secessione statunitense sulla Costituzione. Fu sconfitto nei suoi intenti grazie alla valorizzazione del concetto di Sovranità. La Sovranità Popolare è sempre unica.

Del resto fu il grande giurista tedesco Carl Schmitt ha individuare una derivazione diretta tra i concetti teologici e quelli politici relativi allo Stato: la Sovranità non puo' che essere unica e indivisibile poichè tale è la sovranità divina.

Accogliendo l' intuizione di Schmitt si sarebbe portati ad affermare, non tanto l' incompatibilità tra federalismo e secessione costituzionale, quanto quella tra secessione e statualità.

Il giorno in cui si riuscirà ad introdurre una regolazione dei processi secessionistici all' interno delle Costituzioni, potremmo dire che sarà arrivata la fine dello Stato. Da notare che la cosa prevede una relativamente semplice fattualità formale. Che l' istituzione statuale abbia un suo inizio e una sua fine è sempre stato negato da chi ricorre alla concettualistica teologica indicata da Schmitt.

Già in passato gli studiosi si divisero circa la possibiòità di prevedere clausole scissioniste nel patto costituzionale. Altusio era favorevole, Hobbes no. Locke e Grozio le ammettono in circostanze eccezionali come varianti del famoso "richiamo al cielo".
GM e AB: FS

sabato 8 marzo 2008

Centro-sinistra e miracolo economico

L' associazione recentemente proposta da Veltroni è fuorviante e consente a Salvatore Carrubba una messa a punto sul Sole del 7.3.2008 p. 12.

Il boom fu generato da governi centristi, le date non lasciano scampo. Carrubba considera produttività, stabilità monetaria, export, produzione, supermercati, auto.

Gli illustri da riverire sono, secondo lui: Marshall, De Gasperi, Einaudi, Menichella, Merzagora, Pella, Vanoni e il primo La Malfa.

Al contrario, fu il centro-sinistra, a creare le condizioni di quella crisi che pudicamente andò sotto il nome di "congiuntura".

Non solo, molte leggi di spesa che oggi non sappiamo più come arginare (es. pensioni a ripartizione), furono forgiate nella loro impostazione di fondo da quei governi. Che lo Statuto dei lavoratori, poi, non sia questa gran conquista, oggi è molto più evidente. L' energia elettrica divenne un ferreo monopolio da cui non ci si liberò più, l' interventismo e la spesa crebbero.

Ciononostante il centro-sinistra mise nel piatto intelligenze liberali di primordine: Mondo e Rossi in primo luogo. Ma furono poco influenti visto che subirono l' emarginazione da chi il capitalismo non lo voleva riformare ma rovesciare.

cartellina blu