venerdì 24 aprile 2009

Quando è il solipsismo a salvare l' esperienza

L' esperienza si può comunicare?



Probabilmente esiste un nucleo centrale dell' esperienza che non è comunicabile, anche se disponiamo di un linguaggio raffinato. Penso al piacere, al dolore... alla parte più emotiva e profonda. Per quanto un artista sia grande, fallirà nel tentativo di rendere tutto ciò con la vividezza che ci regala il vissuto.



Un discorso diverso bisognerebbe fare per il contenuto meramente informativo dell' "esperienza". Qui qualche dubbio è lecito, qui la condanna al solipsismo è tutt' altro che scontata.



Ammettiamo pure che non ci siano residui solipsistici. In aggiunta consideriamo di vivere in un' era con un' intensità mediatica senza precedenti. Inoltre disponiamo di strumenti raffinati per trasmettere informazioni (statistiche, tabelle, realtà virtuale...). Qualora il contenuto informativo di un' "esperienza" sia "comunicabile", che scopo avrebbe fare ancora esperienze a fini conoscitivi? Sarebbe molto più sensato attingere altrove quel contenuto. Con sistemi informativi tanto economici ed ipertrofici l' esperienza a fini conoscitivi (viaggi, frequentazioni, pratica...) si svaluta irrimediabilmente.



Chissà se potrà mai essere vera, per esempio, un' affermazione di questo tipo: chi si documenta sull' Africa potrebbe avere una "conoscenza" del continente più accurata rispetto a chi ci va regolarmente vivendo a fondo la sua esperienza.



Mi hanno fatto riflettere le parole di Davide su Robin Hanson "... mi sembra un fuori di testa che passa il suo tempo a pensare, seduto su una poltrona, e con assai poche esperienze vissute davvero..."



In effetti Robin non sembra molto concentrato sulla "sperimentazione". Non essendo nemmeno coinvolto nelle conclusioni a cui giungerà (è l' incarnazione di un' imparzialità atarassica), i "dati" materiali dell' esperienza se li fa passare dallo "scienziato anonimo". Uno vale l' altro, purchè ci sia il timbrino dell' accademia in modo da evitare discussioni alle quali sarebbe completamente disinteressato.



Ma non è di Robin e delle sue idee (specie di quelle più selvagge) che voglio parlare. Mi chiedo solo se davvero così facendo, ovvero ragionando sul contenuto informativo di un' esperienza comunicata e non vissuta, il suo lavoro rimanga seriamente pregiudicato in partenza.



P.S. Solo una parola sulla personalità di Robin, che effettivamente, nel leggerlo, sembra un automa insensibile. Mi ha fatto impressione come Caplan si è rivolto a lui nel preambolo di una contesa accademica che li vedeva contrapposti: "... Despite his moral views, Robin is an incredibly nice, decent person. He wouldn’t hurt a fly. To know Robin is to love him. Robin Hanson, you complete me!... ". Parole che raramente echeggiano in Università, specie tra colleghi. Per gli amanti della fisiognomica eccolo su blogginhead...