Una domanda eterna alla quale cerca di rispondere in modo compiuto Gary Saul Morson nel saggio “Can Reading Literature Make Us Moral?”.
Alcuni suoi illustri predecessori si sono pronunciati recisamente per il “no”: il libro, come del resto l’arte in generale, cela pericoli. Platone (contro i poeti), i riformatori protestanti (contro i cattolici), i governanti comunisti (contro i borghesi)… tutti uniti nel lanciare un grido d’allarme:
… Plato thought fiction dangerous and regretted, for instance, the depiction of the gods as given to laughter… During the Reformation, much Catholic art was destroyed… the Chinese Cultural Revolution sought to rid the world of reactionary artworks; and the Soviets, when they took power, were faced with the choice of banning pre-revolutionary literature or, as they eventually decided, reinterpreting it…
In realtà l’opera letteraria spesso allarga i nostri orizzonti e apre la mente verso il “diverso”…
…reading literature will seem like a way of acquiring wisdom; it gets us off our little island in time and place and shows us how our own values might appear to others. We no longer accept our own values as the only possible ones for a decent, intelligent person to hold…
Se “il diverso” ci assedia con le sue idee per noi scorrette, proviamo un moto di repulsa. Ma se invece lo percepiamo vivere in un romanzo siamo disposti, non dico a sposare la sua diversità, ma a simpatizzare con lui per un attimo.
Per capire il nazismo meglio leggere Celine o Drieu de la Rochelle più che festeggiare il 25 aprile. Per capire chi era un partigiano meglio leggere Fenoglio che frequentare l’ ANPI.
Ma molti non ci stanno. Per molti l’altro ha torto e lì il discorso deve chiudersi. Nel momento in cui la diversità s’insinua nel nostro mondo appellandosi all’empatia cio’ costituisce un pericolo da fugare…
… Some view such broadening as potentially dangerous. The more one regards differing perspectives as necessarily evil or stupid, the less one wants others to practice seeing the world from such perspectives…
Facciamo un esempio concreto: i regimi comunisti e la tragedia greca…
… Tragedy, for example, was considered pernicious for at least two reasons. First, it contradicted the official optimism of Communist philosophy, which held that it was inevitable that people would reach universal happiness. Second, tragedy affirms that the human mind is inadequate to understand the strange universe, whereas Communist philosophy held that, guided by Marxism-Leninism, people could not only understand the laws of nature and society, but also change them at will…
Ma è un bene per una persona mettersi temporaneamente nei panni del “nemico”? In parte sì, inoltre esistono delle modalità letterarie per ridurre i rischi di fascinazione del male.
Se restiamo sul romanzo realista dell’ottocento, fu Jane Austen a realizzare in modo prudenziale questo transfert attraverso la tecnica delle due voci…
… Jane Austen invented a technique for allowing us to enter into the process of another person’s thoughts, and in so doing she in effect invented the realist psychological novel… The Russian philosopher Mikhail Bakhtin called this technique “double-voiced words.” Here’s how it works: The author paraphrases the sequence of a hero’s or heroine’s thoughts from within. The paraphrase assumes the tone, manner, and typical choice of words of the character, and we hear how she speaks to herself. Thus, when she needs to justify herself to herself, we hear her address an invisible judge. When she wants to do something she feels she shouldn’t, we witness her talking herself into it, banishing contrary arguments, veering away at the first sign she is about to stumble onto a consideration too strong to evade…
Con le “due voci” noi possiamo contemporaneamente metterci nei panni del “nemico” e prenderne le distanze…
… there is all the difference between simply not thinking of something and avoiding the thought of that thing. That difference is visible only to someone who can follow the process of her thoughts…
Jane Austen, George Eliot, Leo Tolstoy, e Henry James sono scrittori che hanno fatto ampio uso della doppia voce.
Facciamo un esempio tratto da una pagina di “Anna Karenina”, in cui Anna nel leggere un romanzo ripensa a sè con indulgenza...
“… L’eroe del romanzo aveva già cominciato a raggiungere la sua felicità inglese: il titolo di baronetto e un possedimento, e Anna desiderava andare con lui in quel possedimento, quando a un tratto sentì che lui avrebbe dovuto vergognarsi e che lei si vergognava proprio di questo. Ma di che cosa lui doveva vergognarsi? «Di che cosa mi vergogno io?» si domandò con offeso stupore. Lasciò il libro e si distese sullo schienale della poltrona, stringendo con forza con entrambe le mani il tagliacarte. Non c’era nulla di cui vergognarsi. Riandò a tutti i suoi ricordi di Mosca. Erano tutti belli, gradevoli. Ricordò il ballo, ricordò Vrònskij e il suo viso innamorato e sottomesso, ricordò tutti i propri rapporti con lui: non c’era nulla di cui vergognarsi. E tuttavia proprio a questo punto dei ricordi la sensazione di vergogna si faceva più forte, come se una voce interna, proprio a questo punto, quando lei si ricordava di Vrònskij, le dicesse: «Caldo, caldissimo, bruciante.» «E con questo?» si disse risolutamente, cambiando posizione nella poltrona. «Che vuol dire questo? Perché, io ho forse paura di guardare in faccia a questo? E allora? Possibile che fra me e quest’ufficiale ancora ragazzo esistano e possano esistere altri rapporti che non quelli che si hanno con qualsiasi conoscente?» Sorrise con disprezzo e riprese nuovamente il libro, ma ormai non riusciva più, veramente, a capire quel che leggeva. Fece passare il tagliacarte sul vetro, poi ne avvicinò la liscia e fredda superficie a una guancia e per poco non scoppiò a ridere forte dalla gioia che l’aveva presa a un tratto senza motivo. Sentiva che i suoi nervi si tendevano sempre di più come corde su cavicchi che si avvitavano. Sentiva che i suoi occhi si aprivano sempre più, che le dita delle mani e dei piedi si muovevano nervosamente, che dentro qualcosa le soffocava il respiro, e che tutte le immagini e i suoni in quella penombra vacillante la colpivano con straordinaria intensità.”
La verità trapela e il modo in cui il protagonista la elude è molto umano.
Nella lettura di Anna Karenina il senso di giustizia e il senso di umanità convivono anche se sono in apparente contraddizione tra loro.
Chi potrebbe approvare la sua condotta? Nessuno. Ma chi potrebbe non simpatizzare con lei? Nessuno. E’ il miracolo della letteratura quando scaturisce da un genio come Tolstoj.
E’ questo obiettivo che caratterizza la doppia voce rispetto al flusso di coscienza…
… Another reason we need double-voicing, rather than stream of consciousness, is that the moral complexity of the sequence of thoughts depends on hearing simultaneously both the character’s thoughts and the perspective of another who might listen in…
Nel romanzo riusciamo ad amare chi deploriamo. Amare il peccatore è una missione impossibile che l’arte spesso porta a termine felicemente…
… Readers often feel that Anna Karenina and Lily Bart (in The House of Mirth), for instance, represent values they deplore. And yet those same readers— if I am an example— still feel deep compassion as Anna and Lily descend into suicide…
Oltre a metterci in contatto con persone “diverse”, la letteratura ci puo’ far abitare mondi con valori “diversi”. Se riusciamo a starci e a comprenderli, forse riusciremo a convivere meglio anche con l’avversario politico o sportivo nella vita di tutti i giorni…
… to read The Iliad or Paradise Lost is to share, however briefly, an epic perspective on events, as well as to adopt the values taken for granted by ancient Greek or English Renaissance culture. The more alien the culture, the more we are likely to encounter authors or protagonists who do not share our values. If we learn to empathize with them, and regard them as holding their views for motives no less sincere than our own, could we perhaps learn to do the same for people in our own culture, for example, who do not share our political party or social class?…
Purtroppo, oggi il potere empatico della letteratura va scemando. Il libro diventa sempre più una macchina da costruire e decostruire. Oppure un contenitore di messaggi da estrarre e giudicare con relativa sentenza di condanna o assoluzione…
… Some literary critics and teachers have tried to “de-literize” literature. They try to remove the essential literary act of experiencing other points of view by treating literature as propaganda that endorses what one already believes, or by only assigning works by approved authors with an approved message…
Al punto che gli studenti di lettere si chiedono perché mai sobbarcarsi libri tanto ponderosi come i romanzi ottocenteschi quando il nocciolo non sta più nell’atmosfera incantatrice necessaria a produrre un transfert verso i protagonisti, anche i più bizzarri. Il meccanismo, in effetti, richiede molto meno per essere realizzato…
… students are bound to wonder why they should put in the hard work to read long books only to learn what they already knew….
Una cultura paternalista a tutela del regime oppure ossessionata dall’università come “safe space” vede questo transfert valoriale come rischioso, meglio limitarsi all’esercizio sulle regole, meglio dedicarsi all’esperimento decostruttivo e strutturalista…
… The more a culture wants to protect its citizens from potentially harmful viewpoints, the more it will de-literize the literary. For totalitarian regimes, intolerant religions, and morally superior social-justice warriors, the way literature can make us moral may seem like a threat to all they hold sacred…
COMMENTO PERSONALE
L’ultimo libro ponderoso che ho letto è stato quello di David Foster Wallace, Infinite Jest. In effetti l’ho trovato “inutilmente ponderoso”. Tutto era fermo, non scorreva, non evolveva. Era un meccanismo, non un organismo. Un esercizio, non una creazione. La lettura non ne soffriva nemmeno aprendo casualmente, lo stile sembrava tutto. Se è possibile rintracciarvi delle “atmosfere”, allora bisogna concludere che ce n’era solo una: quella legata ad al degrado, alla decomposizione. Una sola, dall’inizio alla fine tutto era “malato” e destinato a disfarsi. In questo senso mi ritrovo nella disamina di Morson.