David Stove – Darwinian fairytales
Ricordate David Stove?… Qualcuno ha detto che leggerlo è come veder danzare Fred Astaire. Ebbene, ho voluto concedermi un giro di walzer in sua compagnia.
In questo libro lo sfavillante filosofo non nasconde la sentita disistima che nutre per certo darwinismo e in genere per quelle teorie che hanno sempre una risposta a tutto; il che, ci viene detto, è un pessimo segnale per chi ambisce allo status di “scienza”.
Sono le cosiddette puppet-theory: voi siete pupi manovrati da un invisibile puparo. Che poi il puparo sia l’ “inconscio”, la “classe” o i “geni”, poco importa.
Non di rado, si osserva, quando il paradigma darwiniano incontra difficoltà nel rendicontare i crudi fatti, l’ adepto finisce per prendersela con i fatti stessi e passa repentinamente quanto tacitamente dal registro relativo all’ “essere” a quello relativo al “dover essere”.
Purtroppo di fatti che “creano problemi” ce n’ è una caterva. In questo voluminoso tomo ci si limita a prendere in considerazione quelli che iniziano con la “a” (aborto, alcolismo, altruismo, ascetismo, adozione…).
Precisiamo solo una cosa per non ingenerare equivoci: il libro non parla di biologia, non s’ indaga sull’ origine della specie. Ci si limita a far notare come i caposaldi della teoria di Darwin non spieghino affatto la storia conosciuta dell’ uomo (e dici poco!), limitandosi ad alternare verità ovvie a scioccanti falsità, roba a cui nessuna persona istruita potrebbe mai prestare fede in modo serio. A meno che non faccia finta, il che capita spesso, specie tra i più preparati.
L’ interesse è dunque sull’ “uomo” e sulle “società umane”. Ovvero, in termini darwiniani, su sociobiologia e psicologia evolutiva.
Risiede in questi saperi un dilemma genuinamente darwiniano, provate a pensarci: da un lato l’ evoluzionismo è maledettamente plausibile, dall’ altro la vita dell’ uomo come la constatiamo non è affatto quella sfrenata competizione per sopravvivere che dovrebbe essere.
Come riconciliare tessere che non vogliono sapere in alcun modo di incastrarsi?
C’ è chi si limita a convivere con il dilemma: si tratta di coloro che hanno frequentato un buon college e non se la sentono di rinnegare la prima affermazione (gliel’ hanno instillata con dovizia di particolari persone tanto distinte e a modino, e ora ne vanno molto fieri). Cio’ non toglie che, per quanto miopi, abbiano ancora occhi sulla testa per vedere confermata anche la seconda.
Sto parlando dei “soft man”.
L’ “hard man”, invece, ingaggia la sua battaglia personale con i fatti: l’ uomo “dovrebbe” competere di più per la sua sopravvivenza, altro che balle! Al diavolo ospedali, preti, soldati, filantropia!… se mandiamo “al diavolo tutto”, i conti quadreranno.
Nello stesso Darwin covava probabilmente un “Hard man”. La nipotina Gwen Ravatar, nel suo libro di memorie, ritraeva un nonno completamente privo della capacità di relazionarsi con persone dall’ umile condizione, dalla salute precaria o dallo spirito religioso. Come escludere che fosse all’ opera una sorta di rimozione tesa a “far quadrare i conti”?
Infine c’ è il “cave man”: secondo lui una volta l’ uomo “lottava” egoisticamente per la propria sopravvivenza. “Una volta”, oggi il giro del fumo è ben diverso: ci siamo civilizzati e certi e cose non si fanno più.
Quando parla il “cave man”, l’ “hard man”, per quanto suo correligionario, si sente mancare e mette una mano sul volto in modo da mascherare lo scoramento, poi scalpita e diventa viola dal livore. Come dargli torto: tirare una riga e dire che “la teoria vale fino a qua” getta tutto nel ridicolo e sortisce un effetto controproducente.
Tutto, in fondo, puo’ essere ricondotto al problema dell’ altruismo. Purtroppo circolano tra noi uomini che hanno tutta l’ aria di essere altruisti… e questo non è ammissibile!
Il fatto che esista qualcosa del genere è piuttosto imbarazzante e come dice solennemente Wilson (suscitando i frizzi di Stove): “la cosa richiede ulteriori approfondimenti”.
Il dott. Dawkins non riesce per esempio a rassegnarsi al fatto che mamma gibbone s’ intristisca allorché un’ altra femmina del branco gli rapisce la prole per adottarla. Ma come? La pratica è diffusa da sempre, il “rapito” sopravviverà altrove concedendole la libertà di accoppiarsi nuovamente riproducendosi prima del previsto. Meglio di così?! Eppure la mamma “liberata” si aggira melanconica e non trova pace. E non trova pace neanche il dott. Dawkins che si rigira a sua volta nel letto sudato in cerca di riannodare fili che ormai vanno per conto loro. Pensa al suo giocattolino tanto bello che quella stupida scimmia ha disfato inopinatamente. Per parafrasare Wilson: “la cosa richiede ulteriori approfondimenti”.
Naturalmente occorre subito dire che l’ altruismo, in via teorica, puo’ nascere anche dall’ egoismo.
Ammettiamo di stare uno di fronte all’ altro carichi del nostro egoismo darwiniano e ammettiamo che la mia azione dipenda dalla tua e viceversa… e viceversa, e viceversa, e viceversa… In questo gioco di specchi la conoscenza è limitata e in una condizione del genere, non si sa affatto come sia meglio agire, cosicché qualsiasi strategia egoistica conserva una sua plausibilità, anche la strategia di “comportarsi come un altruista”. Puo’ essere strategica persino la capacità di resettare la propria coscienza per depurarla dalle volizioni egoistiche dimenticando così chi si è realmente in origine.
Seguendo una traccia del genere è facile spiegare in termini egoistici l’ altruismo, anche quello più sentito e sincero! In altri termini: noi siamo sinceri ed esprimiamo desideri autentici solo quando siamo egoisti, il resto (quello che non rientra nello schemino) è pura illusione creata ad arte. Roba che noi crediamo di fare e di vedere ma che non esiste (in quanto non contemplata).
Detto questo, non abbiamo risolto però un bel niente.
Abbiamo solo dimostrato che, in termini darwiniani,… possiamo spiegare tutto!
Se siamo a corto di spiegazioni e - forse perché siamo un po’ cinici amiamo l’ allure darwiniana - possiamo pescare questa “spiegazione” tra le molte disponibili sul mercato. Se abbiamo invece altri gusti, ci serviremo presso un’ altra bottega. Ma cio’ non ci evita di tornare alla considerazione inziale: avere una teoria che spiega tutto a priori non è certo un buon segno per chi ambisce fare della scienza.
Anche il Santo in fondo sa benissimo che rischia sempre l’ esibizionismo (banale verità). Tutti lo sanno, ma pochi honest truth seeking negherebbero che esista anche solo in piccola parte qualcosa come la santità! Negarlo equivarrebbe ad affermare una scioccante falsità. E basta una parte davvero piccola per mettere in crisi i bulldog di Darwin.
Ricordo che Tyler Cowen prendeva amabilmente in giro il suo collega evoluzionista Hanson dicendo che lo avrebbe nominato a capo del “Department of Isn’t”.
Infatti, quando l’ evoluzionista integrale non riesce a darsi ragione di una certa azione umana che si prefigge X, dice che in realtà si prefigge Y: si fa una certa cosa ma in realtà si vuole camuffare l' intenzione di farne un’ altra. Ed è proprio cio’ a cui si dedica giorno e notte il vecchio buon Robin:
Food isn’t about NutritionClothes aren’t about ComfortBedrooms aren’t about SleepMarriage isn’t about RomanceTalk isn’t about InfoLaughter isn’t about JokesCharity isn’t about HelpingChurch isn’t about GodArt isn’t about InsightMedicine isn’t about HealthConsulting isn’t about AdviceSchool isn’t about LearningResearch isn’t about ProgressPolitics isn’t about Policy… no sex? Can that somehow be signaling to get more sex?…
Il che in parte è senz’ altro vero, non bisogna essere ingenui. Ma solo in parte!
La parte che manca, ci dice Stove, è un bello sbrego proprio nel bel mezzo di una teoria per il resto tanto carina come quella darwiniana.