i ricordate il coro di plauso bipartisan attorno alla legge sulle quota rosa? Un quinto di donne a partire dal 2012, un terzo dal 2015 nei cda delle società quotate e a partecipazione pubblica. “Una decisione storica”, il commento euforico del ministro Mara Carfagna. “Un passo in avanti sulla strada della valorizzazione del talento e delle energie femminili”, così sentenziò lei che di talento s’intende. Oggi si spinge a dire che la legge comincerebbe a produrre i suoi effetti perché “da gennaio sono entrate 24 donne con ottimi curricula”.
Che siano entrate, ne sono sicura. E altre ne entreranno. Il ministro trascura però i risultati di una ricerca Consob fresca di pubblicazione. Francesco Manacorda ne dà notizia su La Stampa. La ricerca mostra che esiste una relazione, tutta italiana, tra la presenza delle donne nei cda delle società quotate in borsa e la qualità della governance. Una relazione inversamente proporzionale. Sobbalzeranno le paladine della “parità”, ma i numeri sono numeri.
“Il numero di riunioni del consiglio d’amministrazione e la presenza media ai consigli – ritenuti comunemente indicatori di una buona governance – sono più bassi nelle società in cui almeno una donna siede nel cda”. La gestione rosa invece non avrebbe ripercussioni, né in meglio né in peggio, sulla performance del titolo e la sua volatilità.Ora vi chiederete come sia possibile un tale risultato. Secondo le autrici dello studio l’effetto negativo della presenza femminile è legato principalmente all’affiliazione familiare, ovvero al moderno privilegio dinastico.