martedì 5 dicembre 2017

Arrivano!

Arrivano!

Sono mesi che la NASA registra un’inquietante presenza nello spazio che sembra avvicinarsi a noi con modalità indubitabilmente “intelligenti”.
Non lo si puo’ dire apertamente ma a quanto pareci siamo, sono “loro”, arrivano.
Li abbiamo attesi a lungo e ora non sappiamo come reagire. Che stupidi!
Per noi gli alieni, a parte la loro presenza incombente, restano un mistero.
Come ci comporteranno? Come reagiremo?
La cosa migliore è ascoltare i quattro consiglieripiù stimati sui temi della politica estera.
1. LA PAROLA AL SIGNOR THOMAS
Prudenza innanzitutto.
Se volete la pace preparatevi alla guerra.
Deterrenza, e poi il resto.
Meglio te che me.
Aiutati che dio ti aiuta.
Pensare a se stessi è d’obbligo per un semplice fatto: quando il gioco si farà duro anche gli altri lo faranno. Non lasciatevi sedurre dalle belle parole.
Non fate troppi voli pindarici: la sicurezza è tutto. Poi viene il resto.
E ricordatevi soprattutto che l’unica alleanzapossibile non è quella tra “terrestri”.
Tessere accordi con gli alieni, o anche solo con una parte di loro, potrebbe essere la soluzione migliore per il vostro gruppo.
Non cadete nella trappola di pensare ad un confronto Alieni vs Terrestri. Sareste degli ingenui: le alleanze sono ancora tutte da stipulare, e lo si fa “durante”, non “prima”.
L’arrivo degli alieni puo’ essere per voi un’opportunità da sfruttare per migliorare la vostra posizione sullo scacchiere.
Se sono bellicosi e vogliono sfogarsi, fategli subito capire che è molto meglio lo facciano lontano da qui, laddove gli stati sono più deboli.
Quando la conoscenza degli alieni crescerà, calcolate gli equilibri possibili e spingete per quello che avvantaggia il vostro gruppo, avendo sempre in mente che non conta il guadagno ma il guadagno relativo: è una competizione darwiniana.
2. LA PAROLA AL SIGNOR WOODROW
Se ci separiamo è finita.
I nostri nemici, prima ancora che gli alieni, sono gliopportunisti che sfruttano il lavoro di chi si dà da fare tessendo pazientemente la rete diplomatica.
Per rafforzare la nostra coesione occorre puntare su una maggiore interdipendenza economica e una democrazia più spinta.
La democrazia ci rende meno bellicosi tra noi e più risentiti contro il nemico comune.
Incoraggiamo gli sforzi democratici di chi è rimasto indietro, questo faciliterà la creazione di ungoverno mondiale che parli con una sola voce agli alieni.
Un’azione collettiva è possibile, ma occorronoorganizzazioni internazionali che la facilitino e la coordinino.
3. LA PAROLA AL SIGNOR LEO
La democrazia ci indebolisce e ci rende fragili.
Quindi, diffonderla, è garanzia di pace. La democrazia minimizza i nostri rischi.
Se vuoi la pace, diffondi la democrazia.
Facciamolo al più presto, facciamolo anche presso gli alieni.
Facciamolo anche esportandola con la forza, ma soprattutto non contiamo sulle organizzazioni internazionali, infiacchite come sono da un bizantino metodo democratico a cui concorrono una miriade di democrazie già bolse di loro.
4. LA PAROLA AL SIGNOR SIGMUND
Ricordatevi che il nemico tende ad assumere le sembianze della rappresentazione che voi ne date.
E’ un po’ come vostro figlio: così come lo trattate lui diventa. Se gli dite “cretino” lui diventa un cretino.
Anche voi finirete per coincidere con l’identità che decidete di conferirvi.
Lavorate innanzitutto su questi fattori perplasmare voi stessi e il vostro nemico.
La società umana si costruisce su simboli e tabù: per cercare la coesione lavorate su slogan efficaci e parole d’ordine precise. In questo modo vi riconoscerete e vi distinguerete.
E’ anche il modo migliore per tessere una politica transnazionale.
Un’identità forte vi corazza contro il panico diffuso dalla presenza aliena. E’ una cura per lo sconforto, nonché l’arma più potente per assimilare lo “straniero”.
Dite chi siete, ditelo a tutti e anche a voi stessi, ditelo e ripetetelo a voce alta. Gridatelo. E come per incanto le cose cambieranno in meglio: sarete più coraggiosi, sarete più ammirati, sarete voi stessi.
5. LA PAROLA AL SIGNOR JOHN
Non delegate troppo.
I gruppi a cui appartenete, a partire dagli stati, non sono persone, non ragionano come persone, non hanno una volontà, non hanno intenzioni.
Le pseudo intenzioni degli stati sono in realtà intenzioni della sua burocrazia.
Spesso la burocrazia è in cerca di problemi più che di soluzioni.
Ma non c’è solo il conflitto d’interesse, c’è anche l’incompetenza congenita di chi 1) pensa ad altro, e 2) si trova di fronte a problemi complessi.
Meglio andarci con i piedi di piombo, meglio dividersi, che ognuno faccia il suo tentativo e gli altri imiteranno i vincenti. Meglio organizzarsi come si organizza la natura.
La natura e la scienza siano le vostre maestre.
Volente il “rappresentante unico”? Istituitelo, ma non dategli troppi poteri. I poteri veri, decentrateli sul territorio concedendo generose autonomie.
Al limite consentite agli alieni l’invasione e rintanatevi nei luoghi più impervi per colpire conle armi della guerriglia e del terrorismo.
Tante cellule, tante piccole intelligenze disperseche apprendono per tentativi e imitazioni, valgono più di qualsiasi cervellone.
***
Difficile pesare questi consigli così autorevoli, tutti contengono un nocciolo di verità.
La mia priorità (al momento): 5-1-4-2-3.
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lunedì 4 dicembre 2017

Perché esistono gli omosessuali? SAGGIO


Perché esistono gli omosessuali?


La risposta sembra strana: i loro fratelli sfornano più figli della media.
Il dilemma dell’omosessualità perseguita gli evoluzionisti da sempre: fare sesso con persone dello stesso non è una buona idea per generare progenie.
E infatti gli omosessuali hanno 1/5 dei bambini rispetto agli etero.
L’omosessualità è di fatto una forma di sterilizzazione.
Tuttavia, l’omosessualità persiste. Come mai?
A quanto pare la genetica dell’omosessualità ereditata in “piccole dosi” ci rende: 1) eterosessuali e 2) più attraenti verso l’altro sesso.
L’omosessualità “in piccole dosi” è presente soprattutto nei parenti dell’omosessuale.
***
Da tempo – grazie agli studi comparati – sappiamo che l’omosessualità ha una base genetica robusta.
Il genere, per giungere a questa conclusione, si confronta la concordanza di orientamento sessuale tra fratelli.
Se un gemello è omo, l’altro avrà una probabilità del 52% di esserlo a sua volta.
Se un fratello è omo, l’altro avrà una probabilità del 22% di esserlo a sua volta.
Se un fratello adottato da piccolo è omo, l’altro avrà la probabilità dell’11% di esserlo a sua volta.
Cio’ significa che esiste una base genetica dell’omosessualità che possiamo quantificare in un intervallo che va dal 31 al 74% (27-76 per le donne).
In passato qualcuno (Dean Hamer) ha persino ritenuto di identificare il “gene dell’omosessualità”. Giravano magliette con la scritta “Xq28”.
Altri (George Rice) si sono presi la briga di confutare un’ipotesi del genere.
Oggi riteniamo che l’orientamento omosessuale non sia mediato da un gene ma piuttosto dall’azione combinata di un potpurri di fattori genetici.
E’ difficile isolare una soglia che faccia scattare l’omosessualità.
Ma perché la selezione naturale consente a questa configurazione genetica di perpetuarsi?
In passato è stata formulata la “teoria della zia”: l’omosessuale si dedica ai nipoti alleggerendo il carico dei fratelli e consentendo loro di avere molti figli.
Ma erano solo parole: nessuna evidenza. Nessuno aveva mai contato quanti figli in più poteva avere il fratello di un omosessuale grazie al suo aiuto.
E poi, per la zia, non sarebbe stato meglio essere asessualepiuttosto che omosessuale?
Troppi conti non tornavano.
Ma oggi esiste una variante decisamente più promettente: una configurazione modificata del corredo genetico omosessuale aumenta il sex-appeal senza far scattare l’omosessualità.
L’uomo più sensibile, più gentile, più cortese, più amichevole viene preferito dalle femmine al rozzo “macho”. Forse tratti del genere segnalano un buon padre in potenza.
Anche la donna con una psicologia mascolina intrattiene di fatto un maggior numero di relazioni sessuali, questo è risaputo. E’ il fascino della “maschiaccia”.
Ma una base genetica del genere è tipica dei fratelli dell’omosessuale, e a loro basta poco a compensare la sterilità di chi non avrà figli.
A quanto pare, per compensare, basta si accresca il grado di attrazione sessuale del 2% nei fratelli.
Se una teoria del genere fosse vera, per inciso, spiegherebbe anche perché l’omosessuale medio ha più parentidell’eterosessuale medio.
In effetti, a compensare, non sono solo i fratelli ma anche igenitori e gli zii.
Ma c’è di più: le madri degli omosessuali hanno anche meno probabilità di incorrere in aborti spontanei e infezionitipiche della gravidanza.
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So che parlare dell’omosessualità come di una malattiapuo’ risultare sgradevole, ma gli evoluzionisti la vedono essenzialmente come tale.
In questo senso puo’ essere vista come una malattia su base genetica che serve per proteggerci da altre malattie.
Ci sono molti esempi simili. Eccone uno: la base genetica che provoca l’anemia ci rende più resistenti alla malaria. Eccone un altro: la base genetica responsabile delle fibrosi cisticheche immunizza dalla diarrea.
La teoria è anche supportata da esperimenti nel mondo animale. Osservando la mosca della frutta si nota che i soggetti con un corredo genetico omosessuale generano una prole molto più fertile della media.
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P.S.: Brendan Zietch lavora a Brisbane, è da lui che vengono le conferme empiriche più vigorose della teoria di cui sopra.
P.S. Un precedente post sull’argomento.
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venerdì 1 dicembre 2017

Il ritorno del dilettante

Il ritorno del dilettante

La rete è il regno degli editoriali a cura del dilettante.
Puo’ essere utile la riflessione dilettantesca o è solo una forma degradata della riflessione professionale?
Puo’ il dilettante tappare i buchi del professionismo esasperato o è destinato solo a rimestare nel torbido?
Puo’ il dilettante sfruttare le inadeguatezze del sapere scientifico ufficiale?
Sappiamo che il dilettante è spesso ideologizzato e approssimativo, ma anche il mondo accademico ha i suoi buchi.
Del resto, in passato, il dilettantismo è stato molto prezioso: pensiamo al ruolo da protagonisti che i dilettanti hanno avuto nella rivoluzione industriale.
Poi sono spariti, e ora tornano con l’avvento del web.
***
Nel mondo della ricerca accademica si fronteggiano ricercatori e finanziatori.
La scienza è il regno della verità ma la scienza la fanno ricercatori e finanziatori, due soggetti che non mettono il sapere in cima alla loro lista di priorità.
I ricercatori in genere vogliono pubblicare i loro lavori e ottenere delle citazioni poiché questo costituisce  un buon viatico verso la cattedra e la carriera personale.
Il numero di citazioni ottenute per ora di lavoro puo’ essere un indice adeguato su cui parametrare il loro sforzo.
In questo senso il lavoro accademico è “inadeguato”  per chi ricerca onestamente la verità.
Ma le distorsioni si presentano anche sul lato dei finanziatori, i quali sono alla ricerca di prestigio.
La quota di prestigio per euro spesa è una misura che inquadra bene il loro sforzo.
Il finanziatore vuole una ricerca che finisca sui giornali,meglio se compare accanto al nome di Stephen Hawking.
Il micro-Hawking per euro misura bene lo sforzo del finanziatore.
In queste condizioni molti lavori promettenti sono tralasciatidal mercato accademico, questo perché non producono né prestigio né citazioni.
E’ questo il terreno di pascolo del dilettante.
Si noti che se anche il sistema accademico ha delle falle, resta sempre estremamente competitivo.
Su un mercato competitivo non esistono occasioni da cogliere. In un sistema competitivo non si liberano mai nuove energie.
Si eviti quindi di cadere nella “fallacia dell’energia libera”, che è tipica di chi ragiona così:
Il sistema ha lo scopo di cucinare frittate, e tuttavia, anche se appare competitivo, sforna pessime frittate. Perché mai non potrei sfruttare le mie abilità di cuoco entrando nel sistema e offrendo le mie notevoli frittate?
Chi ragiona così probabilmente non ha capito che il sistema compete su dimensioni diverse rispetto a quella da lui ipotizzata, di conseguenza lì non c’è nulla per lui.
Una volta entrato su quel mercato sarà subito espulso o uniformato.
Capirà subito che non basta saper cucinare delle buone frittate.
Per pubblicare un lavoro scientifico, è meglio lavorare in un’università prestigiosa, per esempio. E’ meglio che il lavoro contenga parecchia matematica di alto livello, per esempio. Questo anche se tutto questo non ha molto a che fare con l’adeguatezza del risultato finale.
Il fatto di saper “fare le frittate” puo’ essere un bonus da sfruttare solo se hai tutti gli altri requisiti.
finanziatori non hanno soldi da dare per le tue “buone frittate” visto che molti altri cuochi stanno già competendo tra loro per ottenerli.
Il sistema accademico non è adeguato ma è efficiente, ovvero non ha energie da liberare: ha raggiunto un suo equilibrio e non si smuove se non accadono cose nuove. E’ impossibile lavorare nel sistema se non uniformandosi.
Questa discrasia tra efficienza ed adeguatezza offre una possibilità al dilettante (colui che sta fuori dal sistema) e a chi lo segue.
***
Che lezione trarre?
1. Un dilettante appassionato merita di essere letto quando si occupa di temi marginali trascurati dai giornali.
Per esempio, un mio parente era soggetto ad una malattia rarissima, ho perso parecchio tempo per informarmi in merito e ora sono abbastanza convinto di saperne di più rispetto al medico medio. Questo perché a nessuno frega niente di quella malattia.
2. Il dilettante appassionato merita di essere letto anche quando prende posizioni controcorrente che in società farebbero perdere prestigio.
Esempio: in rete ho reperito molti argomenti anti-scuola che trovo meritevoli. Li tengo in considerazione anche quando non hanno un buon supporto scientifico poiché questo è il tipico tema dove mi aspetto una produzione accademica inadeguata.
Parlare bene della scuola, della donna, del povero, del malato, del bambino, della costituzione, del papa, del migrante… è “socialmente desiderabile”, questo rende più credibili i blogger controcorrente su questi temi.
In questo senso è più proficuo leggere i blogger politicamente scorretti, o comunque lontani dal mainstream.
In sintesi: il dilettante appassionato, non ideologizzato, senza conflitti di interesse,  scorretto, che si occupa di temi marginali… è quello più meritevole di essere seguito.
In caso contrario, rivolgetevi a un professionista: la rete è zeppa di pubblicazioni accademiche.
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giovedì 30 novembre 2017

Due teorie del significato

Bertrand Russell credeva che una certa parola fosse in realtà una descrizione mascherata.

Il significato di un termine coincideva cioè con la descrizione di quel termine.

Possiamo considerare descrizione di un termine la lista di proposizioni a cui attribuire il valore di Vero/Falso  una volta che in esse sostituiamo l'incognita con il termine in questione.

Saul Kripke considerava questa teoria del significato decisamente inadeguata.

Secondo Kripke noi possiamo utilizzare in modo appropriato un termine anche senza conoscerne la descrizione. Evidentemente tra significato e descrizione c'è una differenza sostanziale.

Nel caso dei nomi propri questo è patente. Se battezzo mia figlia Giovanna, con questo atto io stabilisco un chiaro riferimento tra il nome e la cosa o persona. Dicendo "Giovanna" in certi contesti è chiaro che mi riferisco a mia figlia.

Magari non tutti assistono al battesimo prendendo atto di questo legame, ma attraverso una catena causale di eventi molte persone ne verranno a conoscenza e utilizzeranno la parola Giovanna in modo appropriato.

Bertrand Russell era giunto alla teoria delle descrizioni per evitare alcuni paradossi logici, cosa che poi comunque non riuscì ad aggirarea. Kripke trovava il suo resoconto sul significato estremamente fallace.

Esempio, noi possiamo correttamente riferirci a individui pur non avendone alcuna descrizione.

Possiamo correttamente riferirci ad alcuni individui pur avendone una descrizione sbagliata.

Per esempio, possiamo parlare di Cristoforo Colombo pensando che fu il primo uomo ad andare in america. Questo non è vero ma ciò non toglie che i nostri interlocutori sappiano di che parliamo quando parliamo di Cristoforo Colombo.

Possiamo infine utilizzare dei termini parlando in modo ipotetico, cosa che non potremmo fare se le parole si identificassero con le loro descrizioni.

Potremmo per esempio dire "se Aristotele fosse morto giovane". Una frase perfettamente sensata. Chi lo negherebbe? .Ma la teoria della descrizione la rende assurda poiché per essa, tra le altre cose, Aristotele è "colui che istruì Alessandro il Grande", e di conseguenza non può per definizione morire giovane.

Sì, il significato comincia dunque da un battesimo. È un po' come se cominciasse dal indicare qualcosa di generico che va via precisandosì con il tempo.

In questo senso esiste una necessità anche a posteriori. Per esempio, con il termine acqua indico quella cosa fluida e magari, dopo secoli, scopro che si tratta di h2o. Che l'h2o sia l'acqua è una necessità che si manifesta a posteriori rispetto al battesimo.