Ssssst.
Non si puo' dire, eppure la Sudbury School esiste.
The Sudbury Valley model of education is not a variation of standard education. It is not a progressive version of traditional schooling. It is not a Montessori school or a Dewey school or a Piagetian constructivist school. It is something entirely different. To understand the school one has to begin with a completely different mindset from that which dominates current educational thinking. One has to begin with the thought: Adults do not control children's education; children educate themselves.
Forse esiste per la felicità di Diana. Di sicuro conferma la visione di Hanson: School isn't about learning!
domenica 22 agosto 2010
sabato 21 agosto 2010
Metti il casco, si parte!
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Illusionisti per dispetto
L' empirismo è quella teoria per cui tutto cio' che conosciamo lo consciamo attraverso i sensi.
Nel XX secolo l' empirismo ha goduto di buona fama e ancora oggi possiamo dire che è in salute.
Strano perchè forse non esiste nulla di più facile da confutare. Bastano pochi controesempi e il gioco è fatto.
Prendiamo l' affermazione "A":
"A": Non esiste nulla che sia interamente rosso e, allo steso tempo, interamente grigio.
"A" è vera, e ciascuno constata che non sono i "sensi" a renderci edotti di questo fatto.
L' empirismo collassa.
Non serve a molto dire che "A" è vera per la definizione che diamo di "rosso" e per la definizione che diamo di "grigio": un' inferenza per derivare "A" è sempre necessaria, non si scappa.
Le regole dell' inferenza sono dunque vere e non vengono apprese tramite i sensi.
Per l' empirismo è uno scacco.
Le regole dell' inferenza non possono poi nemmeno essere definite come "convenzioni".
Se fossero convenzioni allora potremmo definire per convenzione la falsità di "A". Il che è piuttosto assurdo.
Prendiamo una vera convenzione e chiamiamola "B".
"B": in italia si deve guidare a destra.
Anche "B" è vera. Questa verità sì però chè dipende da convenzioni, infatti basta mutare certe convenzioni per falsificare "B" agli occhi di tutti.
Ciascuno vede la differenze tra "A" (vera nella realtà) e "B" (vera per convenzione). Fine dell' empirismo.
Ma allora perchè l' empirismo è ancora tra noi?
Non so, forse per motivi estetici.
Non c' è dubbio che noi conosciamo moltissime cose attraverso i sensi. Sarebbe bello e semplice poter dire che noi conosciamo TUTTO attraverso i sensi, le altre conoscenze, un po' per dispetto, le dichiaro "illusorie".
A chi non viene in mente un' analoga dispettosa fuga nell' illusionismo?
Chi non ricorda una certa estetica materialista?: poichè la mente non è un' entità materiale, allora dichiaro che l' evidenza della sua esistenza è illusoria.
Un albero flessuoso ed elegante, ma sotto un intrico contorto di radici.
Nel XX secolo l' empirismo ha goduto di buona fama e ancora oggi possiamo dire che è in salute.
Strano perchè forse non esiste nulla di più facile da confutare. Bastano pochi controesempi e il gioco è fatto.
Prendiamo l' affermazione "A":
"A": Non esiste nulla che sia interamente rosso e, allo steso tempo, interamente grigio.
"A" è vera, e ciascuno constata che non sono i "sensi" a renderci edotti di questo fatto.
L' empirismo collassa.
Non serve a molto dire che "A" è vera per la definizione che diamo di "rosso" e per la definizione che diamo di "grigio": un' inferenza per derivare "A" è sempre necessaria, non si scappa.
Le regole dell' inferenza sono dunque vere e non vengono apprese tramite i sensi.
Per l' empirismo è uno scacco.
Le regole dell' inferenza non possono poi nemmeno essere definite come "convenzioni".
Se fossero convenzioni allora potremmo definire per convenzione la falsità di "A". Il che è piuttosto assurdo.
Prendiamo una vera convenzione e chiamiamola "B".
"B": in italia si deve guidare a destra.
Anche "B" è vera. Questa verità sì però chè dipende da convenzioni, infatti basta mutare certe convenzioni per falsificare "B" agli occhi di tutti.
Ciascuno vede la differenze tra "A" (vera nella realtà) e "B" (vera per convenzione). Fine dell' empirismo.
Ma allora perchè l' empirismo è ancora tra noi?
Non so, forse per motivi estetici.
Non c' è dubbio che noi conosciamo moltissime cose attraverso i sensi. Sarebbe bello e semplice poter dire che noi conosciamo TUTTO attraverso i sensi, le altre conoscenze, un po' per dispetto, le dichiaro "illusorie".
A chi non viene in mente un' analoga dispettosa fuga nell' illusionismo?
Chi non ricorda una certa estetica materialista?: poichè la mente non è un' entità materiale, allora dichiaro che l' evidenza della sua esistenza è illusoria.
Un albero flessuoso ed elegante, ma sotto un intrico contorto di radici.
venerdì 20 agosto 2010
Ninna nanne da tutto il mondo
Berlusconi al CEPU
Berlusconi in visita ieri al CEPU:
"... non preoccupatevi il valore legale del titolo di studio non si tocca..."
Riferito da Franco Debenedetti su Radio Radicale.
"... non preoccupatevi il valore legale del titolo di studio non si tocca..."
Riferito da Franco Debenedetti su Radio Radicale.
Gates andrà in paradiso?
Forse.
La sua attività filantropica è massiccia.
Ma i suoi veri meriti riguardano le attività lucrative:
Even if Mr. Gates makes progress in achieving his ambitious philanthropic objectives—eradicating disease, reducing global poverty, and improving educational quality—these accomplishments are unlikely to match what he achieved by giving us the amazing capability we literally have at our fingertips to access and spread information. The very doctors and scientists who may develop cures for diseases like malaria will rely on the tools Microsoft supplies to conduct their research. Had Mr. Gates decided to step down from his company and turn to philanthropy sooner than he did, they might have fewer such tools
La sua attività filantropica è massiccia.
Ma i suoi veri meriti riguardano le attività lucrative:
Even if Mr. Gates makes progress in achieving his ambitious philanthropic objectives—eradicating disease, reducing global poverty, and improving educational quality—these accomplishments are unlikely to match what he achieved by giving us the amazing capability we literally have at our fingertips to access and spread information. The very doctors and scientists who may develop cures for diseases like malaria will rely on the tools Microsoft supplies to conduct their research. Had Mr. Gates decided to step down from his company and turn to philanthropy sooner than he did, they might have fewer such tools
Comprare vicino? Ma quando mai!
Una lezione di economia per gli amanti della spesa localistica. Serve eccome.
... e se non bastasse...link
... e se non bastasse...link
Marx Brothers in Africa
JUBA, Sudan – A city shaped like a giraffe? A rhino-shaped town? Even one that looks from above like a pineapple? Southern Sudan has unveiled ambitious plans...
I nuovi ingegneri sociali ci danno dentro...
I nuovi ingegneri sociali ci danno dentro...
Tre moltitudini
Molti affermano che "il mercato ha bisogno di regole".
Molti non sanno dissimulare la loro diffidenza verso il mercato.
Molti non capiscono nemmeno cosa sia il mercato.
Ecco, queste tre moltitudini tendono a coincidere.
Vernon Smith è forse la persona più idonea per illustrare questa coincidenza, è forse la persona più idonea ad illustrare la razionalità intrinseca dell' economia.
***
A volte ci si scorda che le "regole" tanto invocate dovrebbero giungere dalla politica.
Ma tutti noi ammettiamo che l' unica "politica" sana sia quella di matrice democratica.
Spingendo oltre la riflessione si deve ammettere che questa preferenza deriva dal fatto che i regimi democratici prevedono una competizione.
Solo la presenza di un elemento competitivo "salva" la Politica.
Ecco, ma se le cose stanno così, è proprio accentuando questo elemento che la politica migliora.
Ma accentuare questo elemento trasforma lentamente la Politica in Economia. Il mercato è infatti il luogo deputato per la competizione.
In ultima analisi è dunque il "mercato" che deve dare regole al mercato.
Un esempio tanto per capirci: il mercato necessita di regole, la politica le fornisce, la globalizzazione spinge la politica verso alcune regole piuttosto che altre.
Ma cio' che chiamiamo "globalizzazione" non è altro che il mercato internazionale.
Cosa è successo? E' successo che il mercato ha regolato il mercato.
Adesso intravvediamo meglio cosa intende vernon Smith quando dice che "l' economia ha una sua razionalità interna".
E magari capiamo anche meglio la coincidenza delle tre moltitudini.
Molti non sanno dissimulare la loro diffidenza verso il mercato.
Molti non capiscono nemmeno cosa sia il mercato.
Ecco, queste tre moltitudini tendono a coincidere.
Vernon Smith è forse la persona più idonea per illustrare questa coincidenza, è forse la persona più idonea ad illustrare la razionalità intrinseca dell' economia.
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A volte ci si scorda che le "regole" tanto invocate dovrebbero giungere dalla politica.
Ma tutti noi ammettiamo che l' unica "politica" sana sia quella di matrice democratica.
Spingendo oltre la riflessione si deve ammettere che questa preferenza deriva dal fatto che i regimi democratici prevedono una competizione.
Solo la presenza di un elemento competitivo "salva" la Politica.
Ecco, ma se le cose stanno così, è proprio accentuando questo elemento che la politica migliora.
Ma accentuare questo elemento trasforma lentamente la Politica in Economia. Il mercato è infatti il luogo deputato per la competizione.
In ultima analisi è dunque il "mercato" che deve dare regole al mercato.
Un esempio tanto per capirci: il mercato necessita di regole, la politica le fornisce, la globalizzazione spinge la politica verso alcune regole piuttosto che altre.
Ma cio' che chiamiamo "globalizzazione" non è altro che il mercato internazionale.
Cosa è successo? E' successo che il mercato ha regolato il mercato.
Adesso intravvediamo meglio cosa intende vernon Smith quando dice che "l' economia ha una sua razionalità interna".
E magari capiamo anche meglio la coincidenza delle tre moltitudini.
giovedì 19 agosto 2010
Uè uè
Il mondo culturale contemporaneo è ipertrofico ma dispersivo.
C' è molto di tutto: molta cultura, molti libri, molta spazzatura, molta qualità, molto pop e molto elitarismo con la puzza sotto il naso.
Il mondo letterario non fa eccezione.
Da un lato il regno dell' abbondanza ci rassicura e ci esalta, dall' altro ci angoscia facendo uscire il nostro lato reazionario.
E' diventata centrale la capacità di scegliere: passiamo più tempo a scegliere che a consumare.
Fortunatamente il teorema Alchian/Allen ci rassicura: la qualità oggi conviene pù che in passato. Il motivo? lo stesso per cui il vino italiano consumato dagli australiani è di qualità migliore rispetto al vino italiano consumato dagli italiani.
Ma intanto l' ansia di dover scegliere resta.
E' un po' come per il telefono: dopo la privatizzazione una ridda crescente di offerte e di alternative hanno offuscato il nostro orizzonte una volta felicemente sgomberato dalla penuria.
C' è perfino chi ha rimpianto il monopolio con recondite motivazioni molto simili a chi rimpiange l' infanzia: che bello quando altri sceglievano per noi!
La libertà porta con sè la responsabilità e per questo molti la odiano senza poterla odiare direttamente per via della buona stampa di cui gode.
Non è solo il tiranno a limitare le nostre libertà positive, anche la penuria puo' fare la sua parte: niente da mangiare, nessun menù da cui scegliere.
Alzare un peana al dittatore non è elegante, per contro un inno alla carestia è ancora concesso. E' così che l' angosciato dall' abbondanza puo' ancora trovare un idolo a cui rivolgersi.
L' "angosciato" che fa più chiasso in questo periodo è il critico letterario Giulio Ferroni, anche oggi scrive l' elzeviro del Corriere.
Ha le carte in regola per trattare il tema visto che l' ha già fatto oggetto di un famoso libro: "Dopo la fine" (Donzelli).
Ferroni non arriva a dire "che bello quando altri sceglievano per noi", si limita ad un più modesto "che bello quando non c' era granchè da scegliere".
Ferroni si occupa di narrativa, lamenta la "costipazione dei numeri", la "plateale impossibilità di fare il punto della situazione".
Le colpe vengono fatte ricadere sulla prepotente abbondanza, sull' elefantiasi della produzione.
Non ha mica tempo di leggere tutto, Ferroni.
Le rassegne critiche che cercano di isolare il meglio della nostra produzione letteraria, come quella recente curata sul supplemento del 24 ore, appaiono a Ferroni come altamente inaffidabili. Il motivo è esmpre lo stesso e potete leggerlo retrocedendo di qualche capoverso.
A Ferroni viene il capogiro se pensa a tutto quanto viene scritto e detto ogni giorno.
Il titolo dell' articolo suona così: "Critica e qualità uccise dal mercato".
Ma il contenuto dell' articolo non accenna alla qualità, è solo una testimonianza del disorientamento che subisce l' angosciato in preda ai suoi impulsi reazionari.
La gente ha voglia di leggere. E tutto cio' sembra di essere di grave nocumento alla letteratura e alla critica letteraria.
Che bello se uscisse un libro all'anno!
Ferroni potrebbe ritirarsi in campagna, fumare i suoi sigari e nelle volute distillare una pagina al giorno del capolavoro. Lasciarla decantare per un anno, dopodichè far cadere dall' alto la sua ingegnosa chiosa.
Leggere Ferroni non mi fa tanto pensare al panorama letterario italiano, in fondo tutti siamo al corrente della frenetica produzione libraria, mi fa piuttosto pensare a Ferroni. E non sono bei pensieri.
A me Ferroni sembra un po' spudorato.
Senza soffrire di un certo delirio di onniscienza, mi dico, non si puo' soffrire l' abbondanza come la soffre Ferroni.
Ferroni mi appare come quei matti che hanno la mania di avere tutto sotto controllo. Io li rispetto, la sofferenza è sofferenza. Ma anche la pazzia è pazzia.
Non si puo' avere tutto sotto controllo, se oggi lo si puo' ancor meno di ieri la sostanza non cambia.
Ma Ferroni non è matto, cos' è allora?
Forse è un bambino capriccioso. In più spudorato perchè incapace di non esibire il suo capriccio.
Ferroni in fondo rimpiange di non essere onnisciente, di non avere tutto in testa.
Rimpiange che tutti i libri del mondo non riescano a stare sulla sua scrivania. Rimpiange che si scrive troppo e lui non riesce più ad imparare tutto a memoria, si è rotto l' incantesimo.
E' un po' come se mio figlio rimpiangesse di essere nato nel 2010: "se fossi nato nel medioevo a scuola dovrei studiare molta meno Storia!".
Chiunque reagirebbe dicendo: "bambinate!".
E infatti al lamento di Ferroni cade presto il travestimento per assumere alle mie orecchie il tono lamentoso di un puerile uè uè.
Ma caro Ferroni, cosa vuoi che ti dica, in questa abbondanza usa le tue antenne (i tuoi filtri, direbbero Alchian/Allen) per isolare gli autori che ritieni degni e presentaceli.
Abbandona le tue ammorbanti volute di fumo campagnole e datti da fare per costruire dei buoni filtri.
Se qualcun altro ci presenterà autori alternativi che tu non conosci nemmeno, mordi il manicotto e soffri in silenzio.
Devi sapere che non si tratta di una nobile sofferenza, molto più probabilmente è solo invidia cagionata da metodi di cernita che non sono all' altezza.
E' un genere di sofferenza che la gente dotata di un minimo di senso del pudore cerca di nascondere in quanto disonorevole, un segnale della grettezza d' animo.
Inutile esibirla limitandosi ad un camuffamento raffazzonato che vorrebbe vendercela come "critica all' abbondanza" del moderno.
++++
link
C' è molto di tutto: molta cultura, molti libri, molta spazzatura, molta qualità, molto pop e molto elitarismo con la puzza sotto il naso.
Il mondo letterario non fa eccezione.
Da un lato il regno dell' abbondanza ci rassicura e ci esalta, dall' altro ci angoscia facendo uscire il nostro lato reazionario.
E' diventata centrale la capacità di scegliere: passiamo più tempo a scegliere che a consumare.
Fortunatamente il teorema Alchian/Allen ci rassicura: la qualità oggi conviene pù che in passato. Il motivo? lo stesso per cui il vino italiano consumato dagli australiani è di qualità migliore rispetto al vino italiano consumato dagli italiani.
Ma intanto l' ansia di dover scegliere resta.
E' un po' come per il telefono: dopo la privatizzazione una ridda crescente di offerte e di alternative hanno offuscato il nostro orizzonte una volta felicemente sgomberato dalla penuria.
C' è perfino chi ha rimpianto il monopolio con recondite motivazioni molto simili a chi rimpiange l' infanzia: che bello quando altri sceglievano per noi!
La libertà porta con sè la responsabilità e per questo molti la odiano senza poterla odiare direttamente per via della buona stampa di cui gode.
Non è solo il tiranno a limitare le nostre libertà positive, anche la penuria puo' fare la sua parte: niente da mangiare, nessun menù da cui scegliere.
Alzare un peana al dittatore non è elegante, per contro un inno alla carestia è ancora concesso. E' così che l' angosciato dall' abbondanza puo' ancora trovare un idolo a cui rivolgersi.
L' "angosciato" che fa più chiasso in questo periodo è il critico letterario Giulio Ferroni, anche oggi scrive l' elzeviro del Corriere.
Ha le carte in regola per trattare il tema visto che l' ha già fatto oggetto di un famoso libro: "Dopo la fine" (Donzelli).
Ferroni non arriva a dire "che bello quando altri sceglievano per noi", si limita ad un più modesto "che bello quando non c' era granchè da scegliere".
Ferroni si occupa di narrativa, lamenta la "costipazione dei numeri", la "plateale impossibilità di fare il punto della situazione".
Le colpe vengono fatte ricadere sulla prepotente abbondanza, sull' elefantiasi della produzione.
Non ha mica tempo di leggere tutto, Ferroni.
Le rassegne critiche che cercano di isolare il meglio della nostra produzione letteraria, come quella recente curata sul supplemento del 24 ore, appaiono a Ferroni come altamente inaffidabili. Il motivo è esmpre lo stesso e potete leggerlo retrocedendo di qualche capoverso.
A Ferroni viene il capogiro se pensa a tutto quanto viene scritto e detto ogni giorno.
Il titolo dell' articolo suona così: "Critica e qualità uccise dal mercato".
Ma il contenuto dell' articolo non accenna alla qualità, è solo una testimonianza del disorientamento che subisce l' angosciato in preda ai suoi impulsi reazionari.
La gente ha voglia di leggere. E tutto cio' sembra di essere di grave nocumento alla letteratura e alla critica letteraria.
Che bello se uscisse un libro all'anno!
Ferroni potrebbe ritirarsi in campagna, fumare i suoi sigari e nelle volute distillare una pagina al giorno del capolavoro. Lasciarla decantare per un anno, dopodichè far cadere dall' alto la sua ingegnosa chiosa.
Leggere Ferroni non mi fa tanto pensare al panorama letterario italiano, in fondo tutti siamo al corrente della frenetica produzione libraria, mi fa piuttosto pensare a Ferroni. E non sono bei pensieri.
A me Ferroni sembra un po' spudorato.
Senza soffrire di un certo delirio di onniscienza, mi dico, non si puo' soffrire l' abbondanza come la soffre Ferroni.
Ferroni mi appare come quei matti che hanno la mania di avere tutto sotto controllo. Io li rispetto, la sofferenza è sofferenza. Ma anche la pazzia è pazzia.
Non si puo' avere tutto sotto controllo, se oggi lo si puo' ancor meno di ieri la sostanza non cambia.
Ma Ferroni non è matto, cos' è allora?
Forse è un bambino capriccioso. In più spudorato perchè incapace di non esibire il suo capriccio.
Ferroni in fondo rimpiange di non essere onnisciente, di non avere tutto in testa.
Rimpiange che tutti i libri del mondo non riescano a stare sulla sua scrivania. Rimpiange che si scrive troppo e lui non riesce più ad imparare tutto a memoria, si è rotto l' incantesimo.
E' un po' come se mio figlio rimpiangesse di essere nato nel 2010: "se fossi nato nel medioevo a scuola dovrei studiare molta meno Storia!".
Chiunque reagirebbe dicendo: "bambinate!".
E infatti al lamento di Ferroni cade presto il travestimento per assumere alle mie orecchie il tono lamentoso di un puerile uè uè.
Ma caro Ferroni, cosa vuoi che ti dica, in questa abbondanza usa le tue antenne (i tuoi filtri, direbbero Alchian/Allen) per isolare gli autori che ritieni degni e presentaceli.
Abbandona le tue ammorbanti volute di fumo campagnole e datti da fare per costruire dei buoni filtri.
Se qualcun altro ci presenterà autori alternativi che tu non conosci nemmeno, mordi il manicotto e soffri in silenzio.
Devi sapere che non si tratta di una nobile sofferenza, molto più probabilmente è solo invidia cagionata da metodi di cernita che non sono all' altezza.
E' un genere di sofferenza che la gente dotata di un minimo di senso del pudore cerca di nascondere in quanto disonorevole, un segnale della grettezza d' animo.
Inutile esibirla limitandosi ad un camuffamento raffazzonato che vorrebbe vendercela come "critica all' abbondanza" del moderno.
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mercoledì 18 agosto 2010
Relevant techniques for figuring out my ideology--if I'm dead
E' abbastanza noto che un po' in tutto il mondo i giornali presentino una "distorsione a sinistra", è il cosiddetto "liberal bias", difficile da misurare ma facile da constatare.
Recentemente David Henderson ha toccato con mano ancora una volta questa caratteristica dei media americani.
Recentemente David Henderson ha toccato con mano ancora una volta questa caratteristica dei media americani.
La verità del reale
Se volete capire come passa la giornata in un Gulag per indignarvi con più veemenza, allora non vi aiuterà molto leggere i "Racconti della Kolyma", uno dei migliori libri scritti sui Gulag siberiani.
Qui troverete solo un vero scrittore che narra veri racconti. Qui troverete alta letteratura.
Il gulag è lontano, almeno quanto lo è la Rivoluzione industriale in Dickens.
In un certo senso l' arte sopraffina di Varlam Salamov penalizza il suo ruolo di testimone. La scrittura fabulistica ci avvince alle storie facendoci dimenticare il posto terribile dove siamo capitati.
Quando accenno alla "fabula" non penso tanto all' incanto di un sogno ad occhi aperti, quanto all' esilio claustrofobico in un' altra dimensione.
Il "reale" sembra essere l' unica via per cogliere il "terribile", ma Salamov sceglie una via alternativa.
I prigionieri, dimentichi e quindi esiliati dal loro passato e dal loro triste destino, sono assorbiti unicamente dalla loro irrilevante lotta quotidiana per giungere a fine giornata, domani si vedrà.
Quando non ha senso formulare un progetto che vada al di là di due giorni, come puo' avere senso... la "dimensione storica" della vicenda?
Il gulag, Stalin, la Siberia, l' Unione Sovietica sono concetti che fuggono per svanire nel nulla, dapprima fuggono dalla testa dei prigionieri, subito dopo dalla pagina dell' autore, e presto anche dalla testa del lettore.
Eccoci in esilio da ogni dimensione storica, eccoci in grado di cogliere la minuscola prigione in cui lo spirito umano viene rinchiuso quando il corpo è rinchiuso nell' enorme carcere siberiano.
In un luogo tanto mostruoso la cosa facile sarebbe quella di indugiare su sentimenti mostruosi, ma i sentimenti descritti da Salamov li abbiamo su per giù provati anche noi sui banchi di scuola o nei luoghi di lavoro.
Perchè l' uomo dia il peggio di sè non sembra necessario che pesi 35 kg e attenda alle sue 20 ore di lavoro giornaliere a meno 50 gradi.
Pesare un terzo del proprio peso forma quando fuori ci sono 50 gradi sotto zero significa stare all' inferno. Cos' ha allora di caratteristico l' Inferno?
Una cosa negativa: predomina il sentimento dell' odio. Ma per fortuna l' odio è solo un sentimento, e allora soccorre la seconda caratteristica, forse positiva: il sentimento non puo' essere coltivato, nemmeno provato a lungo, emerge brevemente per poi scomparire. La vendetta è intorpidita fino ad essere abortita. I pallidi colori pastello dell' invidia ne fanno un fantasma incosistente.
Ciascun racconto occupa poche pagine, è un piccolo ed effimero francobollo.
Si conclude sempre in modo compassato consegnando al silenzio l' essenziale.
Il "terribile" è scontato e mai menzionato, solo l' epifenomeno desta interesse, solo la nota a margine ci parla con tono di verità.
Levi e Trouffaut l' hanno insegnato: svelare un trucco è oggi cento volte più appassionante che narreare le gesta eroiche del santo o quelle blasfeme del diavolo.
Salamov esegue e supera i maestri.
Forse ora anche noi suoi fedeli lettori sedotti per sempre saremmo capaci di sbarcare il lunario in un Lager.
Chissà se Salamov voleva essere cio' che è stato per me. In fondo lui andava predicando che la verità del reale è di un genere tutto particolare.
Secondo lui, fino al secolo scorso, lo scrittore non doveva conoscere troppo bene il suo soggetto: in quel caso avrebbe tradito il lettore in favore di quest' ultimo.
Ma i tempi andavano cambiando, diceva, e lo scrittore doveva divenire uno "specialista", doveva conoscere da dentro cio' di cui parlava. E lui, non per niente, aveva una conoscenza di prima mano del gulag.
Tuttavia, nonostante queste intenzioni, la verità di Salamov anzichè avere l' odore della realtà conserva l' odore della letteratura. Dell' alta letteratura.
Qui troverete solo un vero scrittore che narra veri racconti. Qui troverete alta letteratura.
Il gulag è lontano, almeno quanto lo è la Rivoluzione industriale in Dickens.
In un certo senso l' arte sopraffina di Varlam Salamov penalizza il suo ruolo di testimone. La scrittura fabulistica ci avvince alle storie facendoci dimenticare il posto terribile dove siamo capitati.
Quando accenno alla "fabula" non penso tanto all' incanto di un sogno ad occhi aperti, quanto all' esilio claustrofobico in un' altra dimensione.
Il "reale" sembra essere l' unica via per cogliere il "terribile", ma Salamov sceglie una via alternativa.
I prigionieri, dimentichi e quindi esiliati dal loro passato e dal loro triste destino, sono assorbiti unicamente dalla loro irrilevante lotta quotidiana per giungere a fine giornata, domani si vedrà.
Quando non ha senso formulare un progetto che vada al di là di due giorni, come puo' avere senso... la "dimensione storica" della vicenda?
Il gulag, Stalin, la Siberia, l' Unione Sovietica sono concetti che fuggono per svanire nel nulla, dapprima fuggono dalla testa dei prigionieri, subito dopo dalla pagina dell' autore, e presto anche dalla testa del lettore.
Eccoci in esilio da ogni dimensione storica, eccoci in grado di cogliere la minuscola prigione in cui lo spirito umano viene rinchiuso quando il corpo è rinchiuso nell' enorme carcere siberiano.
In un luogo tanto mostruoso la cosa facile sarebbe quella di indugiare su sentimenti mostruosi, ma i sentimenti descritti da Salamov li abbiamo su per giù provati anche noi sui banchi di scuola o nei luoghi di lavoro.
Perchè l' uomo dia il peggio di sè non sembra necessario che pesi 35 kg e attenda alle sue 20 ore di lavoro giornaliere a meno 50 gradi.
Pesare un terzo del proprio peso forma quando fuori ci sono 50 gradi sotto zero significa stare all' inferno. Cos' ha allora di caratteristico l' Inferno?
Una cosa negativa: predomina il sentimento dell' odio. Ma per fortuna l' odio è solo un sentimento, e allora soccorre la seconda caratteristica, forse positiva: il sentimento non puo' essere coltivato, nemmeno provato a lungo, emerge brevemente per poi scomparire. La vendetta è intorpidita fino ad essere abortita. I pallidi colori pastello dell' invidia ne fanno un fantasma incosistente.
Ciascun racconto occupa poche pagine, è un piccolo ed effimero francobollo.
Si conclude sempre in modo compassato consegnando al silenzio l' essenziale.
Il "terribile" è scontato e mai menzionato, solo l' epifenomeno desta interesse, solo la nota a margine ci parla con tono di verità.
Levi e Trouffaut l' hanno insegnato: svelare un trucco è oggi cento volte più appassionante che narreare le gesta eroiche del santo o quelle blasfeme del diavolo.
Salamov esegue e supera i maestri.
Forse ora anche noi suoi fedeli lettori sedotti per sempre saremmo capaci di sbarcare il lunario in un Lager.
Chissà se Salamov voleva essere cio' che è stato per me. In fondo lui andava predicando che la verità del reale è di un genere tutto particolare.
Secondo lui, fino al secolo scorso, lo scrittore non doveva conoscere troppo bene il suo soggetto: in quel caso avrebbe tradito il lettore in favore di quest' ultimo.
Ma i tempi andavano cambiando, diceva, e lo scrittore doveva divenire uno "specialista", doveva conoscere da dentro cio' di cui parlava. E lui, non per niente, aveva una conoscenza di prima mano del gulag.
Tuttavia, nonostante queste intenzioni, la verità di Salamov anzichè avere l' odore della realtà conserva l' odore della letteratura. Dell' alta letteratura.
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Zanna rossa
Jack London è conosciuto da tutti come uno scrittore di libri d' avventura per ragazzi. Chi non ha noleggiato i suoi classici alla bibliotechina scolastica alzi la mano.
La moda di portare in serie A chi milita onestamente in serie B, fa parlare molti di lui come di un "grande scrittore".
Cio' mi ha spinto a rileggerlo, il volume dato via con il giornale conteneva una prefazione commossa dell' Oriana Fallaci, una specie di "posto delle fragole".
Veniva ricordato con la lacrimuccia il posto fisico (in alto a destra) dove erano allocati sullo scaffale fiorentino di papa' i volumi di Zanna Bianca.
In lui però ho rinvenuto quel che mi aspettavo: un' onesta militanza in serie B.
Per carità, non è poco, la compagnia è ottima, al suo fianco c' è Andrea Pazienza, le sorelle Bronte, Liala e anche Umberto Eco, tanto per dire. Mica paglia.
Cio' che non tutti sanno però è che London fu un fervente socialista, si schierò in modo inequivoco in favore della rivoluzione e dell' assassinio della classe dirigente del suo paese.
Ancora più nascosto è il fatto che London fu un razzista tutto di un pezzo: "Prima di tutto sono un uomo bianco, solo dopo sono un socialista".
Questo strano coacervo di ideali potrebbe sembrare il frutto confuso della tipica mente confusa che portano a spasso molti artisti, così incapaci di vedere il mondo com'è, forse per l' eccesso di sensibilità.
Ma London non è uno scrittore di serie A e la sua mente non puo' essere tanto confusa.
E infatti...
Il socialismo è un ideale utopico e chi non difetta del tutto di realismo sa bene che deve procurarsi una vittima sacrificale per far girare quell' innaturale macchina.
Il socialismo è una leva potente ma richiede un solido punto di leva per essere azionata.
Gli esempi si sprecano. Il socialismo di Marx richiedeva in modo petulante l' annientamento della classe borghese, il socialismo di Hitler proclamava a gran voce gli ebrei come suo punto di leva, il socialismo scandinavo puntava tutto sull' eugenetica...
Le magnifiche sorti progressive di London, chiedevano solo di sacrificare "negri" ed altra umanità di scarto. La vogliamo far funzionare o no la nostra amata macchina? E allora, non facciamo tanto gli schifiltosi.
Tutto il resto è chiacchiera da artisti, e chi è abituato alla dura vita sotto zero, delle chiacchere non sa che farsene.
**********
Il London impresentabile è ritratto qui.
Ma la tradizione del razzismo progressista è lunga (anche per i motivi spiegati). Qualche link puo' essere utile.
link
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Cosa si puo' concludere? Mah, forse che solo l' ideologia liberale mette al riparo da ogni razzismo, destra e sinistra possono sempre finire in quella malsana palude immersi fino al collo.
La moda di portare in serie A chi milita onestamente in serie B, fa parlare molti di lui come di un "grande scrittore".
Cio' mi ha spinto a rileggerlo, il volume dato via con il giornale conteneva una prefazione commossa dell' Oriana Fallaci, una specie di "posto delle fragole".
Veniva ricordato con la lacrimuccia il posto fisico (in alto a destra) dove erano allocati sullo scaffale fiorentino di papa' i volumi di Zanna Bianca.
In lui però ho rinvenuto quel che mi aspettavo: un' onesta militanza in serie B.
Per carità, non è poco, la compagnia è ottima, al suo fianco c' è Andrea Pazienza, le sorelle Bronte, Liala e anche Umberto Eco, tanto per dire. Mica paglia.
Cio' che non tutti sanno però è che London fu un fervente socialista, si schierò in modo inequivoco in favore della rivoluzione e dell' assassinio della classe dirigente del suo paese.
Ancora più nascosto è il fatto che London fu un razzista tutto di un pezzo: "Prima di tutto sono un uomo bianco, solo dopo sono un socialista".
Questo strano coacervo di ideali potrebbe sembrare il frutto confuso della tipica mente confusa che portano a spasso molti artisti, così incapaci di vedere il mondo com'è, forse per l' eccesso di sensibilità.
Ma London non è uno scrittore di serie A e la sua mente non puo' essere tanto confusa.
E infatti...
Il socialismo è un ideale utopico e chi non difetta del tutto di realismo sa bene che deve procurarsi una vittima sacrificale per far girare quell' innaturale macchina.
Il socialismo è una leva potente ma richiede un solido punto di leva per essere azionata.
Gli esempi si sprecano. Il socialismo di Marx richiedeva in modo petulante l' annientamento della classe borghese, il socialismo di Hitler proclamava a gran voce gli ebrei come suo punto di leva, il socialismo scandinavo puntava tutto sull' eugenetica...
Le magnifiche sorti progressive di London, chiedevano solo di sacrificare "negri" ed altra umanità di scarto. La vogliamo far funzionare o no la nostra amata macchina? E allora, non facciamo tanto gli schifiltosi.
Tutto il resto è chiacchiera da artisti, e chi è abituato alla dura vita sotto zero, delle chiacchere non sa che farsene.
**********
Il London impresentabile è ritratto qui.
Ma la tradizione del razzismo progressista è lunga (anche per i motivi spiegati). Qualche link puo' essere utile.
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Cosa si puo' concludere? Mah, forse che solo l' ideologia liberale mette al riparo da ogni razzismo, destra e sinistra possono sempre finire in quella malsana palude immersi fino al collo.
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Dopo il divorzio
Dopo la rottura tra Fini e Berlusconi è necessario tornare alle urne o è preferibile ricercare una maggioranza alternativa?
Formalmente s' impone la seconda soluzione, la Carta costituzionale parla chiaro.
Sostanzialmente le cose stanno in modo diverso: ormai, da quando è iniziata la cosiddetta seconda Repubblica, c' è accordo diffuso che la maggioranza destinata a governare sia scelta direttamente dagli italiani il giorno delle votazioni.
Almeno fin qui siamo d' accordo?
Chi si dissocia da questa premessa è autorizzato a non considerare stringente quanto segue. Ma non penso siano in molti a farlo, almeno stando alle opinioni espresse finchè nessun interesse di bottega era comparso all' orizzonte.
Allora proseguiamo.
Quando Forma e Sostanza giuridica collidono, cosa privilegiare?
Dipende, e qui entrano in campo le ideologie.
La prima ideologia la chiamerò AUTORITARIA.
Per gli autoritari prevale sempre la forma. La forma è la lettera della legge e la Legge è la volontà dell' Autorità (inchino, please).
Come si cambia la volontà dell' Autorità?
Semplice, un bel giorno l' Autorità stessa deve alzarsi dal letto con la voglia di cambiare, dopodichè delibera una nuova legislazione che rettifichi la precedente. Et voilà.
La forma mentis degli autoritari non è così complessa da spiegare. Per loro esiste una volontà indiscutibile con la quale l' autorità organizza il reale e lo plasma in conformità al suo progetto intelligente.
Finchè parliamo di società questa Volontà è il valore più alto, nonchè la fonte della Legge destinata a prevalere.
Chi aderisce all' ideologia autoritaria è necessariamente un "creazionista giuridico".
La seconda ideologia in gioco la chiamerò LIBERALE.
Il liberale ha un istinto ben preciso: al "creazionismo" giuridico antepone l' "evoluzionismo" giuridico.
Per il liberale l' Autorità è al servizio del Reale. La legislazione, cioè, "insegue" il reale e lo suggella con i suoi timbri burocratici.
Come si cambia la Legislazione, dunque?
Semplice, il Reale muta evolvendo ed instaurando nuove consuetudini e l' autorità si conforma a questo mutamento rettificando di conseguenza la legislazione di cui è responsabile.
Avete notato che nel descrivere l' ideologia liberale ho usato il termine "Legislazione" e non "Legge"?
L' ho fatto apposta: per il liberale solo il Reale produce Legge attraverso costumi e consuetudini spontaneamente emerse, l' Autorità puo' porre mano solo alla Legislazione, ovvero ai provvedimenti parlamentari.
Per il liberale una Legislazione è legittima solo nella misura in cui si appiattisce sulla Legge.
Bene, detto questo il più è fatto. Inquadrato il problema nella sua cornice teorica non vale neanche la pena di affaticarsi con le conclusioni, ciascuno ormai puo' vedere da sè cosa dovrebbe conseguire dal Divorzio estivo più famoso d' Italia.
Formalmente s' impone la seconda soluzione, la Carta costituzionale parla chiaro.
Sostanzialmente le cose stanno in modo diverso: ormai, da quando è iniziata la cosiddetta seconda Repubblica, c' è accordo diffuso che la maggioranza destinata a governare sia scelta direttamente dagli italiani il giorno delle votazioni.
Almeno fin qui siamo d' accordo?
Chi si dissocia da questa premessa è autorizzato a non considerare stringente quanto segue. Ma non penso siano in molti a farlo, almeno stando alle opinioni espresse finchè nessun interesse di bottega era comparso all' orizzonte.
Allora proseguiamo.
Quando Forma e Sostanza giuridica collidono, cosa privilegiare?
Dipende, e qui entrano in campo le ideologie.
La prima ideologia la chiamerò AUTORITARIA.
Per gli autoritari prevale sempre la forma. La forma è la lettera della legge e la Legge è la volontà dell' Autorità (inchino, please).
Come si cambia la volontà dell' Autorità?
Semplice, un bel giorno l' Autorità stessa deve alzarsi dal letto con la voglia di cambiare, dopodichè delibera una nuova legislazione che rettifichi la precedente. Et voilà.
La forma mentis degli autoritari non è così complessa da spiegare. Per loro esiste una volontà indiscutibile con la quale l' autorità organizza il reale e lo plasma in conformità al suo progetto intelligente.
Finchè parliamo di società questa Volontà è il valore più alto, nonchè la fonte della Legge destinata a prevalere.
Chi aderisce all' ideologia autoritaria è necessariamente un "creazionista giuridico".
La seconda ideologia in gioco la chiamerò LIBERALE.
Il liberale ha un istinto ben preciso: al "creazionismo" giuridico antepone l' "evoluzionismo" giuridico.
Per il liberale l' Autorità è al servizio del Reale. La legislazione, cioè, "insegue" il reale e lo suggella con i suoi timbri burocratici.
Come si cambia la Legislazione, dunque?
Semplice, il Reale muta evolvendo ed instaurando nuove consuetudini e l' autorità si conforma a questo mutamento rettificando di conseguenza la legislazione di cui è responsabile.
Avete notato che nel descrivere l' ideologia liberale ho usato il termine "Legislazione" e non "Legge"?
L' ho fatto apposta: per il liberale solo il Reale produce Legge attraverso costumi e consuetudini spontaneamente emerse, l' Autorità puo' porre mano solo alla Legislazione, ovvero ai provvedimenti parlamentari.
Per il liberale una Legislazione è legittima solo nella misura in cui si appiattisce sulla Legge.
Bene, detto questo il più è fatto. Inquadrato il problema nella sua cornice teorica non vale neanche la pena di affaticarsi con le conclusioni, ciascuno ormai puo' vedere da sè cosa dovrebbe conseguire dal Divorzio estivo più famoso d' Italia.
domenica 15 agosto 2010
Indovina chi viene a pranzo
Buon ferragosto ai Broncobillis, con questo pranzo scaciato ma prelibato romano, che è un vero gioiello di umorismo e umanità.
(Il trailer americano è migliore - più chiaro e immediato, al solito.)
sabato 14 agosto 2010
La questione di Dio
Ho postato tanto in merito ma alla fine cosa abbiamo concluso? Vediamo di fare il punto.
Innanzitutto vorrei dire che sulla questione di Dio intendo giudicare come su ogni altra questione, impegnando le medesime facoltà mentali che metto in campo per scegliere le pere all' Esselunga.
In altre parole, anche qui possiamo ridurre tutto ad un affare di probabilità, esattamente come tutte le questioni, comprese quelle scientifiche.
E' il reverendo Bayes che ci insegna a maneggiare con rigore questo genere di faccende.
Diffidate degli altri, in particolare dei "frequentisti", è gente che propaganda metodiche semplificate partendo dall' assunto che la probabilità sia una misura oggettiva (casi vincenticasi possibili).
E' una via scorretta ma più semplice, utile ma falsa.
Il bayesiano doc sa bene invece che ogni calcolo probabilistico deve rifarsi ad una probabilità a priori, che nelle questioni complesse è sempre soggettiva. La scommessa è il paradigma di cui si serve per illustrare al meglio il concetto di probabilità.
Far cadere la maschera al "frequentista" non è poi così difficile, mi permetto di riproporre il solito caso, è troppo eloquente per rinunciarvi.
Se un test medico ha un falso positivo del 5% e voi risultate positivi, quale sarà la probabilità di essere malati?
Per un frequentista la risposta è semplice: 95%.
Ma è anche una risposta falsa proprio perchè non tiene conto della probabilità a priori, ovvero della percentuale di malati che conta la popolazione.
L' errore non è da poco: se ritengo che solo l' 1% della popolazione sia malato, il test mi dice in realtà che sono malato con una probabilità del 10%.
Frequentisti: 95% (sbagliato), bayesiani 10% (corretto). Capita la differenza?
Solo il bayesiano "spiega" la scienza, in particolare spiega la presenza di disaccordi, di posizioni alternative, di discussioni, di avvicinamenti. Un frequentista rischia di concepire una scienza robotizzata: si contano le frequenze e fine, nessun disaccordo, nessuna soggettività.
Nella scienza non esistono nè test infallibili, nè esperimenti criciali, ecco allora che diventa decisiva una probabilità soggettiva come quella a priori.
La questione di Dio è simile.
Persino se ammettessimo l' esistenza di test in grado di darci un qualche responso sull' esistenza di Dio, rimarrebbe cruciale l' aspetto soggettivo della faccenda, la probabilità a priori.
Il test potrebbe persino dirci con una probabilità del 95% che Dio non esiste, ma la probabilità su cui l' uomo razionale fa la sua scelta è un' altra e tiene conto della probabilità a priori, ovvero la probabilità soggettiva che il buon senso assegna all' esistenza di Dio.
Se i numeri fossero quelli dell' esempio precedente dovremmo concludere che Dio esiste con una probabilità del 90%!
Insomma, il buon senso ha un ruolo chiave sia nella scienze dove le occasioni di sperimentazioni sono rare e imprecise (le scienze umane, per esempio) sia nella questione di Dio, dove test attendibili probabilmente non esistono nemmeno e non esisteranno mai.
Dicevo per inciso che la probabilità soggettiva si forma con il buon senso, il che è vero. Faccio presente che il buon senso attinge pur sempre alla ragione.
Ora parlo per me.
Il mio buon senso mi dice che Dio esiste, potrei tentare di spiegarlo in modo semplice o in modo più sofisticato ma è proprio così che mi parla.
Forse Davide ha ragione quando contesta il termine "dimostrazione", si tratta comunque di qualcosa a cui la ragione non puo' che essere sensibile.
Innanzitutto vorrei dire che sulla questione di Dio intendo giudicare come su ogni altra questione, impegnando le medesime facoltà mentali che metto in campo per scegliere le pere all' Esselunga.
In altre parole, anche qui possiamo ridurre tutto ad un affare di probabilità, esattamente come tutte le questioni, comprese quelle scientifiche.
E' il reverendo Bayes che ci insegna a maneggiare con rigore questo genere di faccende.
Diffidate degli altri, in particolare dei "frequentisti", è gente che propaganda metodiche semplificate partendo dall' assunto che la probabilità sia una misura oggettiva (casi vincenticasi possibili).
E' una via scorretta ma più semplice, utile ma falsa.
Il bayesiano doc sa bene invece che ogni calcolo probabilistico deve rifarsi ad una probabilità a priori, che nelle questioni complesse è sempre soggettiva. La scommessa è il paradigma di cui si serve per illustrare al meglio il concetto di probabilità.
Far cadere la maschera al "frequentista" non è poi così difficile, mi permetto di riproporre il solito caso, è troppo eloquente per rinunciarvi.
Se un test medico ha un falso positivo del 5% e voi risultate positivi, quale sarà la probabilità di essere malati?
Per un frequentista la risposta è semplice: 95%.
Ma è anche una risposta falsa proprio perchè non tiene conto della probabilità a priori, ovvero della percentuale di malati che conta la popolazione.
L' errore non è da poco: se ritengo che solo l' 1% della popolazione sia malato, il test mi dice in realtà che sono malato con una probabilità del 10%.
Frequentisti: 95% (sbagliato), bayesiani 10% (corretto). Capita la differenza?
Solo il bayesiano "spiega" la scienza, in particolare spiega la presenza di disaccordi, di posizioni alternative, di discussioni, di avvicinamenti. Un frequentista rischia di concepire una scienza robotizzata: si contano le frequenze e fine, nessun disaccordo, nessuna soggettività.
Nella scienza non esistono nè test infallibili, nè esperimenti criciali, ecco allora che diventa decisiva una probabilità soggettiva come quella a priori.
La questione di Dio è simile.
Persino se ammettessimo l' esistenza di test in grado di darci un qualche responso sull' esistenza di Dio, rimarrebbe cruciale l' aspetto soggettivo della faccenda, la probabilità a priori.
Il test potrebbe persino dirci con una probabilità del 95% che Dio non esiste, ma la probabilità su cui l' uomo razionale fa la sua scelta è un' altra e tiene conto della probabilità a priori, ovvero la probabilità soggettiva che il buon senso assegna all' esistenza di Dio.
Se i numeri fossero quelli dell' esempio precedente dovremmo concludere che Dio esiste con una probabilità del 90%!
Insomma, il buon senso ha un ruolo chiave sia nella scienze dove le occasioni di sperimentazioni sono rare e imprecise (le scienze umane, per esempio) sia nella questione di Dio, dove test attendibili probabilmente non esistono nemmeno e non esisteranno mai.
Dicevo per inciso che la probabilità soggettiva si forma con il buon senso, il che è vero. Faccio presente che il buon senso attinge pur sempre alla ragione.
Ora parlo per me.
Il mio buon senso mi dice che Dio esiste, potrei tentare di spiegarlo in modo semplice o in modo più sofisticato ma è proprio così che mi parla.
Forse Davide ha ragione quando contesta il termine "dimostrazione", si tratta comunque di qualcosa a cui la ragione non puo' che essere sensibile.
Pregare previene l' alcolismo
Quando parte il programma pubblico? Lo mettiamo nella prossima finanziaria? Fatemelo sapere.
Scherzo? Per legami molto meno evidenti si spendono miliardi.
link
Scherzo? Per legami molto meno evidenti si spendono miliardi.
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Marilynne Robinson
Una maestrina che scrive fiabe fa la lezione a Richard Dawkins, Daniel Dennett, Steven Pinker, E.O. Wilson.
Ascolteranno?
No, ma deporre l' astio ed affidarsi alla bellezza e alla semplicità puo' sempre aiutare.
Una maestrina che scrive fiabe fa la lezione a Richard Dawkins, Daniel Dennett, Steven Pinker, E.O. Wilson.
Ascolteranno?
No, ma deporre l' astio ed affidarsi alla bellezza e alla semplicità puo' sempre aiutare.
Il video di una sua conferenza a Yale.
Ascolteranno?
No, ma deporre l' astio ed affidarsi alla bellezza e alla semplicità puo' sempre aiutare.
Una maestrina che scrive fiabe fa la lezione a Richard Dawkins, Daniel Dennett, Steven Pinker, E.O. Wilson.
Ascolteranno?
No, ma deporre l' astio ed affidarsi alla bellezza e alla semplicità puo' sempre aiutare.
Il video di una sua conferenza a Yale.
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