venerdì 28 marzo 2008

Corto circuiti: contro l' "aziendalizzazione" della scuola in nome della...responsabilità!? (2)

Ho interagito con il prof. Giorgio Israel sul tema di cui al post (1). E' una personalità che stimo molto anche se dal carattere, a mio giudizio, piuttosto fragile e propenso a scambiare il disaccordo con l' offesa. Ecco qui di seguito le inutilmente aspre parole a cui ha affidato la sua replica.

Preferisco non leggere la polemica altrimenti viene voglia anche a me di essere polemico.

Il suo discorso è autoreferenziale perché lei non mette in discussione la ragione per cui la scuola non è un'azienda: e cioè perché non fornisce né prodotti né servizi, bensì qualcosa che non è né una merce né una prestazione di servizio: cultura ed educazione.

Quindi continuare a intorcinarsi sulla questione dell'utenza non ha senso, se utenza non c'è. Forse chi va a scuola è come chi va ad acquistare un prodotto al supermercato o a pagare una bolletta all'ufficio postale? È da questa pazzesca confusione che nasce lo sbandamento di quei genitori che vanno a prendere a schiaffi il professore se non promuove il figlio, come si protesterebbe in un supermercato che vendesse merce avariata.

Comunque non posso dilungarmi perché tutto questo è spiegato in dettaglio e argomentato nel mio libro. Andrebbe letta anche Hannah Arendt al riguardo. Quindi si tratta di cose serie e delicate (pensate da menti non di secondo piano) che non si risolvono con le formule dell'ingegneria gestionale o con gli slogan tipo benchmark, buoni per una fabbrica di automobili. E siccome sono questioni serie preferisco non vederle liquidate con polemiche sommarie, altrimenti - ripeto - cadrei anch'io nella polemica. Il che è facile, di fronte alla superficialità e ignoranza dei valutatori e tecnocrati che impazzano sulla scuola.

Un'osservazione detta davvero con spirito amichevole e costruttivo. Ma se uno dichiara di non saperne gran che del mondo della scuola e si trova di fronte a un'affermazione di cui dichiara anche di non capire bene il senso, non sarebbe meglio aspettare, riflettere, leggere, invece di buttarsi a corpo morto a far polemica? In fin dei conti, non pretendo che quel che dico sia la Verità, ma è frutto di riflessioni di anni e di letture documentate.



Ringrazio Giorgio Israel per la risposta fumantina che ha voluto dedicare la mio intervento.


Mi permetto un' ulteriore replica poiché penso che abbia un suo “contenuto” indipendentemente dalla lettura del suo ultimo libro (ho comunque letto il Liberarsi dai Demoni trovando una consonanza su più punti).


Ecco gli spunti che mi ha offerto.

“…ma se uno… si trova di fronte ad un'affermazione di cui dichiara…di non capire bene il senso… non sarebbe meglio aspettare, riflettere…”

Infatti io “chiedevo”, e senza alcuno spirito polemico (quello semmai era nell’ altrove che segnalavo, e non era poi nemmeno tanto aspro).

Quanto al “senso” del termine “aziendalizzazione”, con tutti i miei limiti, penso di conoscerlo abbastanza visto che lo impiego all’ interno della disciplina che lo ha coniato. Visto che ho partecipato da vicino ad alcune “aziendalizzazioni” di successo e ho una vaga idea di cosa le faccia fallire.

Mi rimane invece il dubbio che il senso originario abbia subito delle storpiature nel passare in altri “ambiti”, magari distanti dalla disciplina che lo impiega nell' accezione originaria. E poiché esiste un dibattito pubblico, queste storpiature non sono formalismi su cui sorvolare (sono molti i settori in cui, in nome della de-aziendalizzazione, potrebbere trovare fondamento la richiesta di privilegi smaccati e arbitrari).

“…la scuola non è un’ azienda…”

Quindi la scuola non ha né obiettivi pubblici né obiettivi privati da perseguire? Quindi la scuola non produce né costi né benefici? Quindi in ambito scolastico è superflua ogni forma d’ incentivo? Quindi nella scuola non c’ è possibilità di individuare uno scambio tra corpo docente e allievi? Quindi nella scuola non ha senso il tentativo di progettare azioni razionali anche solo in forma limitata? Oppure in questo ambito non ha alcun senso “misurare” le grandezze a cui accennavo e una misura vale l’ altra?

Sì perché la concezione di “azienda” nelle discipline economiche è parecchio mutata da almeno 25 anni (almeno dai lavori di Coase e Becker) e ho paura che Hanna Harendt non possa tenerne granchè conto. Senza queste nozioni la confusione semantica diventa rischiosissima.

L’ azienda è un organizzazione che si realizza per poter “internalizzare” i frutti dell’ azione che produce.

Internalizzare, cioè’ far ricadere sulle spalle di chi ha prodotto certe azioni le conseguenze di quelle stesse azioni. In altri termini, l’ azienda è un modo per agire in modo razionale sfruttando come armi la RESPONSABILITA’ e gli incentivi.

Laddove non ha senso parlare di “responsabilità”, di “incentivi”, di “azione razionale”, non ha senso neppure parlare di “aziendalizzazione”

“…superficialità e ignoranza dei valutatori e tecnocrati che impazzano sulla scuola…”

Guardi che anche il mercato è pieno di aziende (canoniche) che lavorano male per CARENZA NEL VALUTARE i propri dipendenti, i propri collaboratori, i prezzi futuri, i costi previsti… e chi più ne ha più ne metta. In genere subiscono una ristrutturazione per non fallire. Non una de-aziendalizzazione.

“…Forse chi va a scuola è come chi va ad acquistare un prodotto al supermercato o a pagare una bolletta all'ufficio postale? È da questa pazzesca confusione che nasce lo sbandamento di quei genitori che vanno a prendere a schiaffi il professore se non promuove il figlio, come si protesterebbe in un supermercato che vendesse merce avariata…”

Da questa lineare esemplificazione si coglie bene un classico ribaltamento dei termini.

Se la Scuola fosse un’ Agenzia demandata dall’ utenza (pubblica e privata) a fornire una preparazione all’ allievo (prodotto? servizio?), allora il genitore (utente) andrebbe semmai a prendere a schiaffi il professore perché suo figlio non ha superato i test di ammissione dell’ Università prestigiosa (prodotto avariato). E una situazione del genere (a parte gli schiaffi) non è certo patologica!!

Se le nostre scuole sono dei diplomifici in cui irrompono genitori isterici è per altri motivi (obbligatorietà della scuola, valore legale del titolo di studio, fallimento dell' utenza pubblica, mancanza di un college premium sul mercato del lavoro…)

L’ economista Alex Tabarrok (si è occupato soprattutto di carceri e ferrovie) individua tre fasi che inquadrano l’ aziendalizzazione di agenzie pubbliche 1) realizzazione (ovvero responsabilizzazione dell’ agenzia) 2) fallimento dell’ utenza (in genere l’ utenza è il soggetto pubblico che fallisce nel progettare le richieste o nell’ implementare i controlli) 3) ristrutturazione dell’ utenza 3) successo crescente.

Ci sono tutti i segnali per dire che siamo nella fase 2.

L' arte di provocare

Non si sa bene se conti di più il coraggio o l' esibizionismo, ci sono però alcuni studi curati da economisti che possono tranquillamente essere considerati come "molto provocatori". Non a caso hanno scatenato una miriade di risposte tese a ridimensionarne la portata delle loro conclusioni quando non la confutazione pura e semplice. Il tutto condito da contro repliche e bagarre accademica.

Di seguito vorrei accenarne qualcuno.

John Lott non solo si limita a smentire ogni rapporto tra diffusione delle armi e diffusione di crimini violenti ma addirittura rileva una correlazione negativa.

Isaac Ehrlich in un suo storico studio rileva un chiaro effetto deterrente della pena di morte.

Robert Martinson, in uno studio che ha fornito la costola da cui è uscito mezzo mondo di studi accademici, rilevava come tutti programmi riabilitativi in favore dei carcerati avessero un effetto praticamente nullo.

Charles Murray: Bell Curve. Intelligence and Class Structure in America. Per conoscere a grandi linee il futuro di una persona (successo economico, capacità lavorativa, potenziale criminale...) la cosa più ragionevole da fare è guardare al suo QI. Con il QI si faranno predizioni più adeguate rispetto a chi si concentra sul contesto o il grado di istruzione. Cio' significa, per esempio, che un datore di lavoro dovrebbe discriminare in base al QI se vuole agire ragionevolmente. Aggiungiamo poi che il QI è strettamente legato all' etnia e... Davvero imbarazzante. Certo, il QI delle etnie cambia nel tempo (qui la vulgata ha tradito il buon Murray banalizzando il suo messaggio), però...bel colpo Murray, ci hai davvero provocato a dovere.

Greg Mankiw propone di tassare in base alla statura. L' ironia è scoperta. La provocazione sta nel fatto che una simile tassa risponde a tutti i requisiti dell' ottima politica fiscale così come la intendiamo oggi.

Bryan Caplan invita a disincentivare l' afflusso al voto. Quando la percentuale dei votanti è bassa si alza la percentuale degli "esperti" e il voto risulta più consapevole.

Robert Fogel: la schiavitù fu un sistema efficiente e, prima della guerra civile americana, la qualità di vita di uno schiavo del Sud era più elevata rispetto a quella di un operaio del Nord.

Daniel Gros: le "bolle" fanno bene all' economia, basta una rassegna delle più recenti per capirlo.

...continua...

giovedì 27 marzo 2008

Ridurre le irrazionalità legate ai rischi

In tema di scelta in condizioni di rischio, è dato spesso di notare tra le persone comportamenti irrazionali. Come possono essere interpretati da chi intende mettere al centro dei suoi paradigmi la razionalità degli operatori?

Prendiamo il caso più noto: se un problema è presentato in termini di "perdite possibili", allora il decisore sarà più propenso ad assumersi dei rischi rispetto alla situazione in cui il medesimo problema venga presentato in termini di "guadagni possibili".

Questo comportamento è chiaramente irrazionale poichè il decisore prende risoluzioni differenti fronteggiando un problema che formalmente è il medesimo. Eppure la forma potrebbe contare anche per agenti razionali.
Qui, meglio precisarlo, parliamo di soggetti reali posti di fronte ad un test. Si vuole sostenere come tali soggetti non possano essere tanto facilmente liquidati come "irrazionali".

Ricondurre un simile decisore nell' alveo della razionalità è impresa possibile solo se valgono alcune considerazioni.

  1. Il decisore vive in un contesto di complessità dove spesso deve necessariamente ricorrere a strategie legate a forme di razionalità limitata.
  2. Le risorse "possedute" dal soggetto, a parità di valore nominale, hanno un valore sostanziale mediamente maggiore rispetto alle "risorse ottenibili". Questo perchè le prime, in genere, sono "investite" ovvero ad esse è incorporato un progetto che genera un surplus di valore rispetto alle risorse disponibili ma svincolate da ogni progetto.
  3. La realtà descritta al punto 2 è incorporata nei meccanismi decisionali del soggetto.
  4. Poichè il soggetto agisce spesso in condizioni di razionalità limitata, è normale che i suoi meccanismi decisori abbiano un ampio grado di automatismo.
  5. I meccanismi decisori del soggetto sono quindi perfettamente razionali visto anche l' ambito in cui il soggetto agisce.
  6. Posto davanti al problema di cui sopra, nel soggetto scattano taluni automatismi che lo inducono ad una scelta irrazionale per quell' occasione.


Considerazioni stimolate dalla lettura di KAHNAMEN cap. 3 EF

Il microbo che mangia la CO2

Interessante colloquio con Craig Venter sul sole del 27.3.2008 p.17 a cura di Marco Magrini. Nel confronto tra resilienti e prevenienti, un punto segnato dai primi.

Idee sulla scuola. Non dico da realizzare ma almeno da avere in testa






Una ventina di spintarelle nella direzione giusta. Ormai, in questo settore, fa paura parlare di riforme.

  1. Buoni per facilitare la scelta della scuola. Ma seri, in modo da avvicinare il costo medio di un alunno nella scuola statale di oggi (3/4.000 euro). In alternativa molto subordinata la piena detraibilità dalle imposte.
  2. Un minimo di libertà didattica. E diamo un po' di libero sfogo a questi pedagoghi. Il direttore ha pur sempre la facoltà di cacciare i più invasivi.
  3. Aumentare gli esami con commissari esterni.
  4. Congegnare esami bipartiti: una parte centralizzabile, una parte caratteristica dell' istituto.
  5. Valutare le scuole (valutazione diretta, profitto matricole - anche i licei hanno il test... ). In GB apri la pagina internet e trovi le scuole ordinate per merito da istituti indipendenti. Non dico di arrivare a quel punto ma... Istituti di valutazione già ci sono. Per esempio il codice IRIS di Giuseppe Lo Nostro dell' università di Genova. Anche l' INVALSI dovrebbe essere reso operativo in modo serio. Il politecnico di milano pubblica il politest top school. In Trentino esiste un comitato ufficiale per la valutazione scolastica. Il modello è la Finlandia, si vuole stimolare una gara al miglioramento tenndo presente i punti di partenza. L' Eurydice parla chiaro: l' Italia è l' unico paese dove le scuole scampano a qualsiasi valutazione. In Svezia, Rep.Ceca, portogallo e Islanda la pagella è pubblica. In Norvegia e Finlandia è di competenza delle autorità locali. Nel Regno Unito spetta ad un ente privato indipendente.
  6. Attenzione alla qualità e alla quantità dei test.
  7. Attenuare il valore giuridico del titolo.
  8. Bilanciare i due modelli classici di scuola. Dal merito oggettivo (modello continentale: scuola servizio pubblico con obiettivi e programmi prefissati che tutti devono raggiungere pena bocciatura) al merito adattivo (varietà dell' offerta e programmi personalizzabili modello nord europeo). Vaciago, sole 26/3/08 p.4 (nota che il secondo modello puo' essere temperato dalla pedagogia di cui sopra mentre il primo dall' autonomia).
  9. Una certa autonomia delle assunzioni.
  10. Una certa autonomia dei programma.
  11. Finanziamento correlato alle performances e alla capacità attrattiva 8misurazione delle iscrizioni fuori distretto.
  12. Prevedere la possibilità di appaltare interi istituti a staff privati.
  13. Allentare l' obbligatorietà offrendo alternative.
  14. Possibilità di stabilire rette anche per gli istituti pubblici.
  15. Fissazione di un tiket scolastico flessibile.
  16. Possibilità di contrattualizzare gli studenti fissando percentuali sugli stipendi futuri.
  17. Dilatare il periodo di studi con la possibilità di sovrapporlo a quello lavorativo.
  18. Incentivare anche materialmente il profitto degli studenti (vedi qui Mele e Lacetera sugli incentivi monetari, vedi anche altrove nel blog).
  19. Possibilità di Home Schooling.
  20. Possibilità di Charter school (scuole fondate in piena autonomia dai genitori con finanziamenti e valutazione pubblica).
  21. Possibilità per la scuola di stipulare autonomamente contratti con imprese ed altri soggetti.
  22. Eliminare ogni discriminazione di trattamento tra profit e non profit.




  23. ...

Vinile o CD? (2)

Mi è giunta la seguente obiezione:


...e la copertina più bella vale i graffi e la polvere che rovinano il suono?


Ma il suono (su cd o vinile) non esiste più per essere "ascoltato". Quell' attività verrà per lo più svolta in mille altre maniere e con altri supporti. L' offerta è talmente ipertrofica che dobbiamo immaginarci un mercato in concorrenza perfetta con prezzi bassissimi o azzerati.

Dobbiamo quindi riferirci a beni che prescindano dal suono pulito del pezzo (ovvero da qualcosa reperibile ovunque senza troppo sforzo).

Se la differenzizione diventa essenziale, cosa offre in più il prodotto in Vinile? Faccio delle congetture.
  1. La dimensione. Anche quella conta. Il vinile ne offre una naturale più idonea per la pruzione di un oggetto creativo.
  2. Una tradizione in cui inserirsi. Da tempo esistono mostre d’ arte relative all’ oggetto o alle copertine dei dischi in vinile. Non mi risulta che nulla del genere accada con il cd.
  3. L’ illusione data al consumatore di inserirsi in un club ristretto di collezionisti. Infatti, per molto tempo, i pochi resistenti del vinile hanno finito per formare un' elite.
  4. Il vinile si presta meglio alla “funzione tamagotchi” tanto amata dai feticisti: solo il vinile ti consente di dimostrare la perfetta cura che hai dell’ oggetto oppure come l’ oggetto interagisce con te (ti consente per esempio di dimostrare che non l’ hai mai ascoltato, oppure che l’ hai ascoltato in continuazione e che fa parte della tua formazione).
  5. La trasformazione della traccia su vinile in mp3, in effetti, è un pochino più “costosa”.
  6. Il vinile trascina con sè tutta un’ oggettistica di “arredamento”. Sia arredamento moderno che arredamento di modernariato.
  7. ...



Forse da questo potrebbe emergere che, per “ascoltare” meglio l’ i-pod e simili, per “inscenare” meglio il vinile.



Insomma, per chiudere con un paradosso circa il trade-off che denunciavi tra copertine&polvere, non prendermi alla lettera ma ci siamo quasi: ok, Il vinile s' impolvera e si graffia. Ma prima, polvere&graffi erano un rischio, oggi stanno diventando un' opportunità

mercoledì 26 marzo 2008

Vinile o CD?

Il CD surclassa il Vinile per praticità d' uso. Lo porti ovunque, anche in auto, in spiaggia, lo ascolti random, reperisci immediatamente le tracce, isoli gli intervalli, disponi le sequenze...

Ma questa qualità che lo rendeva vincente, oggi viene ridimensionata visto che i files viaggiano benissimo in rete e in rete sono reperibili e duttili al pari di come te li metteva a disposizione il CD.

Esempio. L' altra settimana ho ascoltato a San Remo una canzone piacevole. Dopo due minuti passati sul pc era già nelle mie mani pronta per essere inserita nelle raccolte personali in combinazioni variegate che neanche il kamasutra... Ecco allora che viene rivalutato il vinile poichè, visto che la traccia musicale è ormai facilmente disponibile, aumenta il valore del package e di ogni altro elemento che differenzi il prodotto.

In conclusione, secondo me, il vinile fornisce più opportunità di differenziare il prodotto. E la differenziazione diventa cruciale una volta che il nucleo del prodotto perde di valore per l' offerta ipertrofica.

In passato il fenomeno era di nicchia e riguardava solo i collezionisti, costoro, per motivi precauzionali, acquistavano senza ascoltare. L' ascolta avveniva su altre fonti. E secondo voi se uno acquista senza ascoltare opta per il vinile o per il cd? In questi casi il vinile surclassa il cd per la ricchezza e creatività del package che consente.

Oggi tutti hanno la possibilità di ascoltare da fonti alternative e se acquistano...Insomma, tutti sono nelle condizioni in cui erano i collezionisti una quindicine di anni fa.

Riproducibilità del vinile? Fatemi chiudere offrendo questo Vladimir Visotsky registrato proprio da vinile. Bello per i nostalgici che amano la "frittura" da graffi & polvere che si mischia con altre sporcizie legate alla vocalità. Ma questa è un' altra storia.

Corto circuiti: contro l' "aziendalizzazione" della scuola in nome della...responsabilità!?

L' argomento scuola sembra sia terreno di conquista, si puo' prendere la parola deresponsabilizzati di tutto. Magari la si prende proprio per proclamare l' avvento di una nuova stagione per la responsabilità dello studente.

In questa intervista è Pirani a condurre la "tirata".

Il grande giornalista imputa i mali della scuola all' "aziendalizzazione" e invita ad una regressione verso il sapere basico basicamente impartito.

Avendo studiato per molti anni "economia aziendale" pensavo di conoscere il significato del termine. Eppure l' uso che ne fa Pirani, nonchè altri impegnati nel dibattito sulla scuola, revoca in dubbio le mie certezze. Spero si tratti di un uso improprio. Di seguito faccio delle ipotesi.


  1. A volte sembra denunciare l' eccessiva dipendenza che lo sbocco lavorativo impone alla conformazione degli studi. Se è così allora la doppia recriminazione di Pirani appare semplicemente incongruente. L' efficacia nell' acquisizione di saperi - requisito che il mercato del lavoro domanda - è maggiormente garantito proprio dall' istruzione tradizionale che, nel linguaggio pedagogico moderno, potremmo identificare come Direct Instruction, ovvero istruzione con apprendimento guidato e dimostrazioni dirette da parte dell' insegnante e ripetute dagli allievi. Uno schematismo che sembra proprio quello invocato da Pirani nella sua lamentela.


  2. Se invece per "aziendalizzazione" si intende una maggiore elasticità nel piano degli studi e una maggiore flessibilità dell' offerta, allora il Pirani va contro-corrente rispetto alla tendenza. E, attenzione, parlo della tendenza generale, anche e soprattutto quella dei paesi con le migliori performance. Le migliori performance segnalate proprio nei tomi che Pirani brandisce per decretare lo stato agonico della scuola italica. Guarda in questo stesso blog i post relativi alla scuola finlandese.

  3. A volte sembra che l' "aziendalizzazione" implichi che il cittadino sia un utente. Punto e basta. In parte è vero ma non è l' unico utente. Al suo fianco svolge un ruolo di utenza anche il soggetto pubblico che formula le sue richieste indicando le alternative di programma praticabili. Prendiamo un caso di "aziendalizzazione" che ha conseguito ampio successo e che conosco da vicino, quello relativo all' Agenzia delle Entrate. L' efficienza di questi istituti si è impennata dopo la riforma così come il tasso di innovazione interna. Dopo l' "aziendalizzazione" si puo' forse dire che il contribuente sia l' utente dell' agenzia entrate? Ovviamente non è l' unico, altrimenti chiederebbe di essere esentato da ogni accertamento fiscale. L' utente dominante resta il Ministero. Allora non puntiamo il dito sull' "aziendalizzazione" ma piuttosto su come l' organo esecutivo svolge il suo ruolo di utente. Se poi togliamo ogni valore giuridico al titolo di studio e favoriamo un college premium sul nostro mercato del lavoro, anche il cittadino sarà un utente più responsabile.


  4. Sarebbe poi il caso di denunciare l' esistenza di una trappola in cui Pirani sembra cadere con un tonfo assordante. Ricordo infatti che l' "aziendalizzazione" è un mezzo e non un fine. E un mezzo efficiente usato per perseguire fini erronei puo' facilmente rivelarsi dannoso. Pirani ha tutta l' aria di accanirsi sul coltello lasciando perdere l' accoltellatore. Meglio per noi invece raccogliere con cura quel coltello e consegnarlo nelle mani del provetto macellaio che ci taglierà la fettina.

Origini della Rivoluzione Industriale

Per gli economisti dello sviluppo esiste un prima e un dopo. lo spartiacque è la rivoluzione industriale inglese. Non esiste paragone tra i ritmi dello sviluppo precedente e quello successivo. Se così è, si capisce bene l' urgenza di rintracciare le cause di un simile cambiamento. Offro di seguito alcune ipotesi che cercherò di mantenere aggiornate nel tempo.

  1. Marx. Giocano un ruolo decisivo gli espropri terrieri del XV secolo. Vedi su questa linea anche Dobb.


  2. Toynbee. Giocano un ruolo decisivo la distribuzione delle terre e la loro recinzione (vedi sul punto anche Zingales: Difendere il Capitalismo dai capitalisti, e Ashley: la rivoluzione industriale.


  3. Hartwell. Ha contato la crescente domanda interna.


  4. Rostow. L' innovazione ha segnato una rottura. Contro Gershenkron: in realtà i processi di sviluppo si sono chiaramente differenziati nei vari paesi nonostancte che le innovazioni fossero ormai disponibili per tutti.


  5. Clark. Ha contato l' evoluzione: solo in Inghilterra il successo economico si è tradotto in profonda selezione demografica (beneficienza stigmatizzata).


  6. Findlay-O'Rourke. L' Ingjilterra, anche grazie alla sua potenza militare (marittima) ha saputo porsi al centro di un mercato globale in cui non era estraneo il commercio degli schiavi e i successi dell' agricoltura estensiva statunitense (Londra-Africa-Virginia). Questi effetti benefici vennero prolungati con la pax britannica del 1815.



Per ulteriori suggestioni si rinvia all' articolo di Gianni Toniolo sul domenicale del sole 23.3.2008 p. 43

Dodici illusioni statistiche...sistematiche!

Poichè lo strumento statistico è tra quelli privilegiati attraverso cui realizzare la comunicazione "democratica", e poichè al suo apparire si presenta sempre circonfuso da una certa aurea di autorevolezza, puo' essere prezioso sottolineare alcuni effetti illusionistici che produce comunemente.

Attenzione, non sto parlando di specchietti che attirano soltando le allodole più ingenue, non parlo dei "polli di Trilussa", parlo di errori sistematici che lo strumento statistico/probabilistico induce "naturalmente", quindi anche nell' esperto.


  1. Probabilità a priori degli esiti. Si tende a sottovalutare le frequenze a priori del contesto. Se dico che Tizio è laureato un italiano laureato in medicina, chi ascolta tende a calcolare le probabilità che Tizio sia un medico senza tener conto del numero di medici esistenti in Italia.

  2. Dimensioni del campione. Una volta sicuri che il campione sia perfettamente rappresentativo della popolazione, si tende a trascurare la dimensione dello stesso. Eppure la dimensione continua ad essere enormemente influente sugli scostamenti misurati in percentuali. Le percentuali calcolate su "numeri piccoli" sono molto più ampie rispetto a quelle calcolate su "numeri grandi".

  3. Casualità non rilevata. Tirando al moneta una sequenza CTCTCCTT ci appare come casuale mentre una sequenza CTTTTTTT ci appare come pilotata. Eppure entrambe le sequenze hanno la medesima probabilità estrattiva.

  4. Probabilità delle probabilità. Tendiamo a formulare le nostre previsioni utilizzando delle distribuzioni probabilistiche. Nello stesso tempo siamo portati a non tener conto dell' incertezza con cui sono state costruite quelle medesime distribuzioni. Esempio, una volta fissata una proxy, ci dimentichiamo presto, nel valutare i nostri risultati finali, del margine con cui approssima la variabile reale che ci occorrerebbe.

  5. Regressioni verso la media. E' un fenomeno naturalmente sottostimato. Prendiamo una gara articolata su due manches. I migliori nella prima tornata peggioreranno sicuramente la loro prestazione media nella seconda. Altro esempio, prendiamo delle coppie di coniugi e valutiamo i mariti per la loro preparazione culturale. Isolando i più preparati e passando poi a considerare le mogli ci rendiamo conto che la prestazione di queste ultime non è, nell' insieme relativo alle mogli, all' altezza di quella dei corrispondenti mariti nell' insieme che li riguarda. Ci sorprendiamo di questo fatto nonostante sia del tutto naturale.

  6. Disponibilità. Vengono sopravvalutate le frequenze che saltano più all' occhio nell' esperienza comune. Se leggo un elenco di nominativi contenente parecchie donne famose e poi chiedo se nell' elenco erano più numerose le donne o gli uomini, probabilmente mi verrà risposto che erano più numerose le donne.

  7. Correlazione illusoria. Se nella mia immaginazione penso ossesivamente a due elementi finirò per trovarvi una correlazione anche quando non esiste.

  8. Aggiustamento insufficiente dell' ancoraggio. Se devo produrre una stima partendo da un punto di riferimento mi dimostrerò riluttante a scostarmi eccessivamente da quel punto. Esempio, richiesto di fornire in pochi secondi il seguente prodotto: 8*7*6*5*4*3*2*1, darò un numero più elevato rispetto alla stessa richiesta così formulata: 1*2*3*4*5*6*7*8. Questo perchè comincerò con le prime moltiplicazioni tanto per avere un riferimento, poi mi discosterò intuitivamente da quell' ancoragio.

  9. Eventi congiunti, semplici e disgiunti. Si tende a considerare i primi come più probabili anche se non lo sono. Si tende a considerare i secondi come più probabili dei terzi anche se non lo sono. Evento congiunto: estrarre 7 volte CONSECUTIVAMENTE una pallina rossa da un sacchetto reintegrato che contiene il 90% di palline rosse. Evento semplice: estrarre una pallina rossa da un sacchetto che contiene 50 palline rosse e 50 palline bianche. Evento disgiunto: estrarre ALMENO una pallina rossa su sette tentativi da un sacchetto che contiene il 10% di palline rosse.

  10. Code corte. Nel congetturare una distribuzione probabilistica soggettiva si tende a sottostimare gli eventi eccezionali producendo code corte nella campana gaussiana.

  11. Critica di Lucas. Nelle scienze umane, specie nell' economia, l' individuazione di una regolarità statistica è la premessa affinchè cessi. Almeno se gli operatori sono razionali. Pensate a cosa succederebbe se si scoprisse che le quotazioni di borsa si alzano sempre al Lunedì mattina (vedi Taleb p. 125).

  12. Bias del complotto. Esperimento: poniamo che A dica al CEO B di una multinazionale di avere una grande idea che però comprometterà l' ambiente e il CEO reagisca in questo modo: "dell' ambiente non mi interessa, passiamo subito all' azione". Ora poniamo invece che A dica a B di avere una grande idea che, oltre a fruttare parecchi profitti, giovas all' ambiente. Il CEO reagisce così: dell' ambiente non me ne frega niente, passiamo subito all' azione. Con una strana asimmetria chi guarda alla prima scena giudica B un delinquente mentre nella seconda scena non è affatto disposto a giudicarlo un eroe.



Per la messe di test sperimentali si rinvia al cap.2 di KAHNEMAN EF

martedì 25 marzo 2008

Incentivi inquietanti

La motivazione principale che sollecita gli arresti della polizia (di Baltimora) consiste nell' incassare lo straordianrio. Questo è particolarmente vero se esiste una base criminale legata alla droga. In effetti l' arresto di un piccolo spacciatore non è particolarmente rischioso.

Le ferrovie inglesi come punto di riferimento per l' Europa

Posti di fronte alla privatizzazione delle ferrovie spesso s' invocano i fallimenti inglesi in questo campo, specie per cio' che concerne la sicurezza.

A parte il fatto che si trascurano esempi simili ma di successo, faccio il caso delle ferrocie svedesi, si dimentica anche di citare la progressiva evoluzione in senso positivo del Regno Unito, al punto che oggi è proprio quella rete ferroviaria ad essere indicata dall' Europa come esempio da imitare.

L’esperienza inglese, nel breve periodo ha avuto sicuramente dei punti deboli, quali la diminuzione della sicurezza ferroviaria. La privatizzazione della rete ferroviaria non ha aiutato in questo senso, in quanto per alcuni anni sono stati compiuti investimenti al di sotto di quelli necessari.
Dal punto di vista economico, la privatizzazione della rete si è rivelata un fallimento di mercato, mentre la liberalizzazione nel medio periodo si è rivelata la scelta più giusta. Il mercato inglese è stato valutato dall’Unione Europea come un mercato di riferimento nel trasporto ferroviario. Diversi rapporti prendono ad esempio la liberalizzazione britannica e quella svedese.

Questo successo è riscontrabile sia dal numero di operatori che operano sul mercato inglese, sia dal limitato uso di risorse pubbliche per lo sviluppo del mercato stesso.

Teoria dei bisogni indotti

La teoria dei bisogni indotti (TBI) punta il dito contro la pubblicità: le informazioni pubblicitarie, facendoci pensare a cio’ di cui non conoscevamo l’ esistenza, alzano i nostri costi-opportunità rendendoci più infelici. Affinchè cio’ sia vero sarà anche necessario rilassare un’ ipotesi come quella del “consumatore perfettamente informato”. Nulla di più facile vista l’ inverosimiglianza di una simile ipotesi.

E poi questo fenomeno lo sperimentiamo tutti i giorni sulla nostra pelle ed è difficile negarlo!

Eppure quanto detto non descrive il fenomeno nella sua interezza.
Il pubblicitario ci appalesa un nostro bisogno ma ci consegna anche i mezzi per soddisfarlo.

Probabilmente il consumatore, una volta placato il “bisogno indotto”, non avrà implementato il grado di felicità iniziale, cio’ nonostante la “cassetta degli attrezzi” a disposizione della comunità si sarà ampliata. L’ intero processo quindi produrrà delle esternalità positive e non avrà molto senso ostacolarlo, specie laddove la difesa delle idee innovative è meno arcigna.

I sarà notato che sto tralasciando tutti gli effetti distributivi legati al fenomeno.
In conclusione, porre dei freni al “consumismo” in nome della TBI puo’ ripercuotersi sulla capacità innovativa del sistema.

Ma esistono ben altri argomenti che ci fanno vedere con preoccupazioni comportamenti “consumistici”.

La TBI, riformulata in modo meno ingenuo, puo’ essere ricondotta alla teoria dei bias cognitivi (TBC).

TBS ipotizza che il consumatore (più in generale il decisore) commetta degli errori sistematici nel realizzare le sue opzioni. Questa ipotesi è da prendere sul serio per il semplice fatto che si fonda sui fatti (test sperimentali).

Cosa succede, dunque. Il pubblicitario sfrutterebbe a suo favore i bias cognitivi sistematici del consumatore guidando le sue scelte senza per questo doversi compromettere in azioni fraudolente.

Se tutto cio’ è verosimile, ecco che un’ autorità benevola potrebbe, attraverso misure paternalistiche, massimizzare l’ utilità dei consumatori regolamentando la libera contrattazione.

In altre parole, il decisore non è razionale, ovvero, gli assiomi della teoria della scelta razionale vengono violati. In particolare viene violato l’ assioma di “invarianza” secondo il quale un problema, anche se formulato in termini differenti, avrà sempre la stessa soluzione.

L’ ipotesi legata alla razionalità degli operatori non è l’ ipotesi di “perfetta informazione”. Allentarla potrebbe essere problematico e, forse, in merito, qualcosa si può opinare.

Infatti la nuova teoria del consumatore (NTC) ha opinato (sul punto vedi i lavori di Stigler e Becker, in particolare il loro storico articolo: De Gustibus).

Secondo NTC il consumatore è da figurarsi, alla stregua di un’ impresa, come un soggetto impegnato a produrre la propria felicità. Si confronta quindi con una funzione produttiva in cui intervengono beni diversi, ognuno con suo prezzo.
Facciamo un esempio.

Se il consumatore apprezza le arance ne consumerà in abbondanza, sempre facendo attenzione al prezzo relativo del prodotto. Ma se verrà a conoscenza del fatto che le arance contengono vitamina C e sono quindi benefiche per la sua salute, probabilmente alzerà i suoi consumi. Gli alzerà anche se, nei fatti, nulla è cambiato rispetto a prima. Questo comportamento è tutt’ altro che irrazionale. La nuova informazione ha alzato il valore del prodotto trasformandolo in qualcosa di differente.

La funzione della pubblicità risiede proprio in questa differenziazione dei prodotti e questa differenziazione puo’ avvenire anche in modi molto più sottili rispetto a quelli che compaiono nell’ esempio, ovvero creando un’ “immagine” appropriata da legare al prodotto.

Riassumendo, secondo TBC la pubblicità impedisce al consumatore di massimizzare le sue funzioni di utilità distorcendole in maniera illusoria. Secondo NTC, per contro, la pubblicità differenzia i prodotti in modo che il consumatore consideri delle funzioni di utilità alternative ma non per questo meno reali.

NTC si applica bene a molti fenomeni in cui si è indotti a considerare irrazionale il comportamento del decisore: moda, pubblicità, dipendenza, tradizioni…

Trincee per difendersi dallo "psicologismo"

Chi guarda al mondo con il cannocchiale messo a disposizione dagli economisti, non puo' fare a meno di adottare l' assunzione relativa all' Homo Economicus, ovvero, non puo' che adottare il postulato della razionalità: l' agente economico compie le sue scelte seguendo criteri razionali.

Ma questo assunto è stato spesso contestato, soprattutto dagli psicologi, i quali rilevano come, nella realtà dei fatti, esso sia inconsistente. Possiamo ricondurre la contestazione più circostanziata all' opera di Daniel Kahneman, recente premio Nobel. Già in passato, ricordiamo i paradossi di Allais e Ellsberg, un attacco era stato tentato. Il filone della cosiddetta "economia comportamentale" è oggi abbastanza seguito.

Una premessa essenziale per confutare sperimentalmente l' assunto consiste nel sostanziarlo, cioè nello specificare in che cosa si esplica la razionalità dell' operatore. Kahneman chiede una definizione ristretta e sostanziale di razionalità, una volta fornita potrà confutarne l' esistenza attraverso i suoi esperimenti.

Molti libertari temono l' attacco "psicologista2 poichè è fuoriero di "paternalismo": se l' individuo ha comportamenti irrazionali sarà possibile correggerlo per il suo stesso bene.

Come si è reagito a questo attacco contro i paradigmi neoclassici e non solo? Vediamo alcune risposte.

Mises. La razionalità è un assunto formale e quindi di per sè inconfutabile. Eventuali debolezze possono essere neutralizzate mediante l' assunto parallelo del soggettivismo radicale. Esempio: domando a Tizio se preferisce A o B, lui mi risponde A. Poi ripeto la domanda invertendo l' ordine, lui mi risponde B. Anzichè concludere che le preferenze di Tizio sono incoerenti posso sempre dire che le ha cambiate nel frattempo, oppure che esiste una preferenza dominante consistente nello scegliere il primo termine di un dilemma.

Hayek. Si adottano posizioni razionali solo attraverso processi evolutivi. Al cambiare della realtà si cambiano le proprie posizioni sperimentalmente fino a che si viene condotti su posizioni razionali di equilibrio. Chi nega la razionalità degli operatori, in realtà, sopravvaluta i residui dovuti al transito da una posizione all' altra, considera errore cio' che in realtà è adattamento. Ecco un caso.

Friedman. Poichè l' economia è una scienza convenzionale non ha rilevanza confutarne le ipotesi quando il modello funzioni bene. Ha invece rilevanza confutarne gli effetti. A proposito dobbiamo notare che gli effetti di base della teoria del consumatore sono confermati nel lavoro di un economista sperimentale premiato con il Nobel assieme a Kahnamen, parlo di Vernon Smith.

Stigler/Becker. La razionalità va sostanziata diversamente rispetto a quanto fa Kahnamen. Due punti fermi devono essere mantenuti: la stabilità dei gusti e la loro omogeneità nel tempo e nello spazio. L' omogeneità significa che statisticamente siamo abbastanza simili nelle preferenze. Se una popolazione presenta differenze, queste non sono imputabili ai gusti, bensì a differenze nei prezzi relativi prodotti dall' ambiente in cui vive. Il consumatore è visto come un produttore di utilità, in quanto tale ha una sua funzione di produzione e un costo da minimizzare e in questo processo non rientrano solo considerazioni intorno al prodotto specifico oggetto di scelta ma anche intorno al capitale umano e ad altre variabili. S/B applicano la loro nuova teoria del consumatore a casi tipici in cui il consumatore sembra agire in modo irrazionale: moda, dipendenza, pubblicità, rischio, tradizione.

sabato 22 marzo 2008

Ancora su famiglia e politiche previdenziali

Tanto per dissipare ogni equivoco, riformulo meglio prendendo ad esempio il sistema previdenziale, asse portante del nostro welfare. Ecco due soluzioni stilizzate e alternative.



SOLUZIONE A: Il sistema previdenziale viene "socializzato" e ad ogni cittadino che superi una certa soglia di età (60 anni) viene garantito un vitalizio mensile pari al suo ultimo stipendio.



SOLUZIONE B: Il sistema previdenziale viene fondato su più "pilastri". Un ruolo è giocato anche dal settore assicurativo privato. Viengono garantite solo prestazioni minime e regole che rendano concorrenziale ed efficiente il sistema finanziario.



Di seguito derivo un paio di conseguenze a cui probabilmente andrà incontro la comunità che decide di passare senza traumi dalla SOLUZIONE A alla SOLUZIONE B.



CONSEGUENZA 1: i bisogni previdenziali saranno soddisfatti in modo più efficiente.

CONSEGUENZA 2: il valore economico dei figli crescerà e la fertilità sarà incentivata.



Se le conseguenze sono davvero queste qualcuno riterrà con il "passaggio" di avere colto due piccioni con una fava.



Magari l' Utilitarista e il Cattolico faranno comunella per sponsorizzare la riforma. Con una fava del genere ci sarà cacciagione da dividersi in modo proficuo per entrambi.



Altri, terrorizzati dall' apparire della CONSEGUENZA 2, riterranno che stiamo importando il "Modello Africano" con tutte le sue iatture. Tra il serio e il faceto equipareranno i danni di una simile riforma ai danni della malaria.



Quest' ultima conclusione, che ho caricato nei toni, avrebbe qualche senso se la causa di tutti i guai dell' Africa fosse l' alto valore economico dato alla prole e quindi l' alta fertilità.



Ma stiamo per l' appunto commentando una lettera che proprio a questa necessaria premessa sembrerebbe opporsi!

venerdì 21 marzo 2008

L' assasinio: una via per la democrazia

Le probabilità di democratizzazione crescono se gli attentati hanno successo. La via dell' assassinio paga.

Le tasse fanno male

Un' altra "schippettata".

La croce sulle piccole imprese

La bassa produttività di cui soffre il sistema italiano viene da molti imputata ad una struttura in cui prevalgono le piccole imprese. Ma le piccole imprese non sono di per sè scarsamente innovative. Anzi, in certi settori sono le più innovative come chiarisce questo studio. Inoltre, il vero nucleo dinamico del sistema è formato dalle medie imprese che sono state anche piccole. Allora bisognerebbe chiedersi cosa da noi faccia da ostacolo a queste dinamiche che altrove sembrano essere naturali.


Il primo colpevole sembrerebbe essere il nostro sistema pensionistico: altissimi oneri contributivi finiscono per rendere conveniente un outsourcing esagerato. Da lì la nascita di microimprese a bassa produttività. Se a questo si assomma la soffocante sindacalizzazione nella medio-grande impresa, si capisce come pur di fuggire da quell' incubo si battano tutte le piste disponibili.

Il microcredito fa bene? Panico

Surowiecki ne dubita, da lì non è mai uscita un' impresa importante. La risposta è pronta: giudicare il microcredito alla stregua di una politica industriale è sviante, trattasi di politica di welfare e come tale funziona abbastanza bene.


Lo stesso argomento si puo' adottare contro chi scrolla la testa nell' osservare la struttura del nostro sistema produttivo ed esclama "...troppe microimprese!!". Vero, e molte cause potrebbero essere rimosse. Però, per quanto sulla micro impresa che non si sviluppa puo' essere emessa una sentenza di condanna produttiva, bisogna invece decantarne le qualità welferistiche. Il piccolo fruttivendolo che presidia il terrirorio con il suo negozietto dai margini minimi, dà spesso sostentamento minimo e significato ad un paio di vite che hanno fatto tutta la vita quel lavoro.

L' inesistente conflitto d' interessi fiscale

Richiamandosi alle pratiche d' oltroceano molti, per combattere l' evasione fiscale, invocano detrazioni su misura che inneschino un conflitto d' interesse tra i contribuenti.
Ma questi rimandi ai sistemi fiscali stranieri non hanno consistenza. Negli USA esistono molte detrazioni ma sono tutte previste per agevolare i contribuenti, praticamente nessuna per far emergere evasione.
Studio SOGEI Dino Pesole sul sole p.33 21.3.08