martedì 24 giugno 2008

L' anello mancante: lo scienziato cattolico d' assalto

Steven Pinker afferma che difficilmente sapremo mai quanto la genetica influenzi le differenze che dividono i generi e le razze (parla proprio di razze).

Questo settore di ricerche è taboo per gli accademici e chi tocca muore, almeno professionalmente.

Da parte sua però è pronto ad accettare il fatto che la genetica giochi un ruolo importante nel caratterizzare i talenti tipici delle donne tenendoli ben distinti da quelli degli uomini. Lo stesso dicasi per le razze.

Chi di fronte ad affermazioni del genere fa scattare l' accusa di "sessismo" o "razzismo", è semplicemente un analfabeta statistico.

Sarebbe interessante chedere a Pinker cosa intende per "razzista".

Altra osservazione: il fatto che certi settori di ricerca siano oggi taboo per le scienze è una chiara accusa al secolarismo. Eppure penso proprio che Pinker simpatizzi con la tendenza secolare.

Il secolarismo affida unicamente alla scienza sperimentale il compito di ricercare il Vero. Quando si profila un Vero scomodo non puo' che tirare le briglie.

Bisogno estraneo a chi, avendo a disposizione "altre dimensioni", puo' concedersi il lusso di porre l' enfasi sul lato strumentale della ricerca senza imporsi dei limiti.

La Fede Religiosa è un' ottima produttrice di "altre dimensioni".

Dopo tanto trambusto sulla religione, vuoi vedere che proprio il secolarismo (nella sua variante più avanzata del politically correct) sia il vero nemico pronto ad imbavaglare le scienze?

La logica della conclusione fila da dio.

Peccato latiti la figura dello scienziato cattolico spregiudicato.

Ma non disperiamo, sembra che al San Raffaele, tanto per dirne uno, si diano da fare per costruirla.

D' altronde questa impasse è la stessa che coglieva Feynman nel momento in cui non trovava nessuna incompatibilità tra fede e scienza, salvo poi rilevare quanto gli atei affollino la comunità scientifica in proporzioni ben maggiori rispetto alla comunità civile.

L' uragano degli aiuti

Difficilmente il settore della protezione civile potrà mai essere privatizzato. Cio' non toglie che i privati possano giocare un ruolo importante.

Il day-after di Katrina ha insegnato ancora cio' che tutti sanno: l' efficienza del settore pubblico è bassissima. Con concorrenti del genere era naturale che gli sforzi di Wal-Mart spiccassero per qualità e tempismo.

Ma Dan Rothschild va oltre soffermandosi non tanto sull' apporto positivo quanto sui danni che un ritiro dell' intervento pubblico risparmia. Tenta una stima di quanto costino le mancate promessa e il relativo spiazzamento dell' iniziativa privata. Si arriva a cifre vicine a quelle del disastro.

The lesson of Katrina that matters the most is that the promise of federal assistance that will likely never materialize can be as destructive as the initial disaster...

What residents need in this maw of confusion is certainty. They need to know which roads will be rebuilt, and when the power and water will come back online. They need to know that the rule of law will be enforced. In short, they need to know what economists call the "rules of the game" for rebuilding.

sabato 21 giugno 2008

Il ronzio di Carver

Raymond Carver: Cattedrale



Fa piacere sapere che se subisci un torto puoi sempre correre a casa e confortarti con un racconto di Carver.

Funziona anche se il torto lo infliggi.

Funziona ogni volta che resti senza parole.

Ray fa bisbigliare i tuoi silenzi attoniti, sottrae dramma e tensione alla sconfitta esistenziale senza occultarla sotto patine plastificate. Lei resta sempre lì a due passi da te, quando sarai pronto potrai darle un' occhiata.

Non c' è fretta, nel frattempo possiamo farci un goccetto.

Ray ti fa parlare e ti parla. Parla a tutti i cuori che hanno bisogno di rallentare il loro battito.

La sua compagnia è gradevole, non ti chiama continuamente a "fare il punto della situazione". Non si sognerebbe mai di chiederti un "chiarimento" su cose dette o fatte. Men che meno si interessa ai tuoi "progetti". Con lui le impellenze vanno a farsi benedire.

Quando un estraneo entra in casa tua e si guarda in giro, hai sempre l' impressione che non gli piaccia cio' che vede. Ecco, con Ray apprensioni del genere ti vengono risparmiate.

In realtà nemmeno apre bocca finchè nella stanza non aumentano certe misteriose pressioni e lui, messo alle strette, si sente in dovere di farlo.

Si chiacchera un po' del più e del meno, quando le batterie della discussione si esauriscono (quasi subito), propone di accendere la TV. Da qualche parte c' è sempre un telegiornale o un documentario.

Capita spesso che sia sul punto di dire qualcosa, ma poi non dice niente.

Tanta discrezione a volte crea delle stasi, non lo nego. In questi casi si resta lì come fulminati, con i nostri faccioni imperlati di sudore. Le copertine di Gabriella Giandelli illustrano bene il modo in cui i televisori dilatano l' iride, appesantiscono la palpebra, gonfiano la borsa oculare. Sono piccole deformazioni facciali che i personaggi di ray presentano invariabilmente.

Le parole di Ray non sono granchè, ma perlomeno le puoi toccare. Le puoi tenere in mano come fossero suppellettili. In mano ci stanno in modo stabile, la cosa è rassicurante per tipi come noi che hanno le mani grosse e callose. In testa è diverso, lì le parole si muovono in continuazione, scivolano via che è un piacere. Quando le cerchi non ci sono mai.

Ray non sopporta troppa "realtà" tutta in una volta.

Ricordo quando dovette incontrare e ospitare nei suoi racconi un cieco, era tutto eccitato e apprensivo. Non finiva più di riempire i vuoti di quel racconto con la parola "cieco". E il cieco di qua... e il cieco di là...

Un cieco nei suoi racconti, un cieco in casa sua. Che stranezza! Era già al limite e, come se non bastasse, quando il cieco aprì la porta ed entrò nel racconto, si scoprì che aveva la barba, un gran barbone. Pure la barba, un cieco con la barba, decisamente eccessivo per Ray.

Un' altra volta Ray in un suo racconto c' ha messo dentro un pavone (forse ha fatto anche la ruota ma sul punto il testo è ambiguo).

Ma che ci fa un pavone dentro racconti dove cercheremmo invano anche il nome del protagonista?

Per compensare questa esagerazione incongrua ha dato fondo a tutto il suo virtuosismo.

Noi lettori abituali l' abbiamo notato subito il pavone e ci siamo guardati con fare interrogativo. Anche perchè i pavoni sono esseri agitati, non stanno comodi nei racconti di Ray, non sono quelle le gabbie adatte a loro. Nell' altra raccolta una presenza del genere sarebbe stata impensabile impensabile.

Noi lettori abituali guardavamo questo strano pavone e nutrivamo un certo imbarazzato; in quel racconto ci siamo sentiti come ospiti in visita pieni di cautele. Abbiamo bussato in equilibrio sulle uova, cercando di darci un tono leggermente migliore del nostro solito, dare una buona impressione era importante. D' altronde eravamo in un racconto con tanto di pavoni e ci sembrava naturale mostrare una certa confidenza con un simile uccello.

Quando l' anfitrione - ovvero Ray - ci ha aperto la porta per farci entrare anche il pavone - che fino a quel momento razzolava convulsamente in giardino - ha voluto accedere. Ray lo scacciava trattandolo anche malino, devo dire. In quel traffico abbiamo toccato timorosi la bestia con lo stinco e abbiamo detto "Oh".

Nel suo racconto Ray ha dato grande evidenza a questo "Oh". Non se l' è lasciato sfuggire. In questo senso Ray è una sicurezza, non delude mai.

Sono contento perchè il nostro "Oh" compensa di gran lunga la bizzarra presenza di un pavone tra le righe di Ray. Non solo la compensa, la giustifica e la valorizza. Ora sono contento che Ray abbia scritto un racconto con un pavone, lo sono perchè in quel racconto c' è anche quell' "Oh".

A distanza di due giorni, memore di quel passaggio letterario, sono tornato sulla pagina a rileggere l' "Oh". Non mi capita spesso di recuperare alcune righe, di solito quello che è "letto" è "letto", avanti il prossimo.





Le parole di Ray ronzano.

Ray si è dimenticato le sue opinioni, forse una volta ne possedeva ma ora non ha più giudizi praticamente su niente e non se ne cruccia, tanto a colmare le lacune ci pensa il ronzio che emette in continuazione.

Se Il tran tran avesse un suo spartito, allora potrei dire che Ray ha sia lo strumento che il talento idoneo per eseguirlo al meglio.

Ci sono dei conti da fare, delle somme da tirare, delle conseguenze da fronteggiare, lo sai anche tu. Ma quel ronzio è una sirena, ti invita a dilazionare le noie, ad isolarti dalle pressioni della donna istigatrice; ti approva quando ti fermi un attimo a farti un goccetto. Ti seduce infine conducendoti nel lazzaretto dei procastinatori: un minuscolo inferno ammobiliato con tanto di tinello. E con un bel televisore a cui dare un' occhiata quando sei alle strette.

Rastrelli di classe

Non capisco tanta perizia nel rastrellare il giardino quando tanto non invito mai nessuno per il barbecue.

venerdì 20 giugno 2008

Paradisi mormoranti

Svoltato il tornante cosa troveremo? Non siamo poi così certi di portare al sicuro il nostro corpo - corpo infreddolito dall' umidore dei fanghi delle trincee, smembrato dalle granate-ananas, traforato dalle schegge, intontito dal clangore del bazooka, meccanizzato dagli ordini di caserma, intossicato dall' antracite, straziato da fili spinati, irradiato dagli urani impoveriti. Non siamo sicuri che veramenti ci spetti come ci hanno detto di depositarlo in un qualunque Paradiso. Varchiamo la soglia intimoriti, il posto sembra quello giusto, ci sono i Martiri, c' è Lazzaro... ma la voce che c' accoglie è timida, è stanca anche lei, come noi. Poi sopraggiunge l' angelo e le sicurezze si rafforzano scaldandoci nella loro stretta: cio' che è reso aspro dalle timidezze si scioglie nella confidenza, cio' che è contratto nel crampo della stanchezza si rilassa. Nuove voci sempre più coordinate ci soccorrono cullandoci in un riposo cicatrizzante. Sono tutti contenti di vederci, rinunciano con fatica a imprigionare il canto della loro calma gioia, ubbidiscono con riluttanza anche al tocco della campana paradisiaca quando ordina il raccoglimento nella preghiera. La strada era giusta, l' indicazione corretta, è proprio qui che elargiscono il lumino fioco che scaccia i timori cedendo solo al sonno fausto che riunisce e asciuga le labbra della piaga più rognosa. Dobbiamo ringraziare Benjamin Britten per averci spinto fin qui gonfiando la nostra vela con la sua musica ventilata; affrettiamoci! Ora che la fa solo mormorare... è sul punto di lasciarci.

E sbrigatevi anche voi ad acquistare il doppio della Decca con il War Requiem in occasione a 10 euri!!


Il realismo dell' inesperto

Ho sempre cercato di capire il mio disinteresse per la politica estera.

Ogni tanto mi piace giocare a quello fa l' "umile": la politica estera tratta un soggetto talmente lontano dalle mie esperienze consuete che sento forte il dovere di osservare un silenzio compunto.

Un' uscita come la precedente ti dà un certo tono quando sei in compagnia ma se presa sul serio non convince nessuno. In fondo pontifico su mille questioni che trascendono di gran lunga le mie esperienze quotidiane.

Probabilmente la questione è più semplice. Su questi temi è difficile imbattersi in idee seducenti.

Certo, alcune forme di isolazionismo radicale o di pacifismo ad oltranza sono guide sicure in grado di indirizzare senza ambiguità l' azione di chi le abbraccia. Ma sono anche idee del cavolo votate al fallimento. Hanno senso solo come lussi di chi è condannato alla minoranza che nulla deciderà mai.

Altri tentativi di ingabbiare il problema sono estremamente precari. Praticamente tutti utilizzano un apparato concettuale vago.

E alla fine, dopo aver enunciato fior di principi, chi vuole fare la guerre, con quattro distinguo introdotti ad hoc, la fa quando e come vuole.

Questo vale per la teoria della guerra giusta tanto cara ai cristiani.

Mani slegate pure a destra.

Per non parlare della sinistra: porte aperte a qualsiasi invasione (basta mettere qualche puntino sulle i).

Lo spettacolo è deprimente. Mi abbandono al realismo, che per un inesperto significa lasciar fare agli altri e pensare ad altro.

Sanare le zoppie

Chissà un fresco maturando che esce dalla scuola italiana che punteggio riporterebbe in un test di questo tipo. Oltre a testare lui si testerebbero anche le affermazioni di chi ritiene che certe impostazioni asimmetriche siano solo roba vecchia che ammorbava la scuola di un secolo fa. Da ultimo, m' incuriosirebbe proprio somministrare il tutto a chi queste affermazioni le ha in bocca tutti i giorni. Lo score sarebbe decisivo per dare a costoro seria udienza.

giovedì 19 giugno 2008

Sergentemagiù Rigoni

Solo l' anno scorso, dopo consulto con la miri, lessi la sua opera magna. Visto che l' altro giorno si è involato, forse l' occasione è buona per riprendere vecchie impressioni annotate a suo tempo fresco di quella vicinanza.


***


Mario Rigoni Stern: Il sergente nella neve.

Questi scrittori di guerra li riconosci subito, hanno tutti un rigo dal cominciamento che attacca d' impeto, come se la storia bruciasse loro tra le dita.

Poi si acquietano, ne hanno passate tante e ora ce le raccontano ritmati dalla lenta gravità delle loro stanchezze, svuotati da tutto per potersi svuotare da ogni rancore e da ogni rivalsa, neanche poi così contenti come si aspettavano di essere "tornati a baita".

Il cervello di quelli venuti giù dalla Russia poi, mentre raccontano, è ancora intontito dal crocchio della neve sotto lo scarpone, è ancora trapassato dal quadrante di Cassiopea fissato per ore durante le marce notturne.

Nella steppa hanno combattuto una guerra dura contro altri uomini, e una seconda ancora più dura contro i topi slavi che cercavano di condividere le loro coperte.

Poche soddisfazioni, pochissime. Giusto a Natale due fette di polenta e gatto, ma polenta dura eh? (alla bergamasca). Però due fette grandi come mattoni, Il tutto innaffiato con ottima acqua di neve, e per codina un caffè pestato nell' elmetto.

Che era Natale lo si capiva subito dal modo di bestemmiare. Uno smadonnamento fiorito, soave e disteso, non come quel rosario sparato senza neanche prendere fiato che partiva quando ti impigliavi nei gabbioni di filo spinato, e ci finiva dentro la naja, la fidanzata, la posta, gli imboscati, i russi, mussolini, e altri personaggi inventati sul momento. Il tutto da godere ticketless.

Come tutte, anche quella guerra era più che altro un sovrapporsi di interminabili e snervanti momenti di pace.

Una pace satura di attività poco indicate per lo sviluppo di un solido capitale umano. Potevi dedicarti all' ascolto degli starnuti del nemico, a vedere diventar bianchi e poi scoppiare i pidocchi buttati sulla piastra, allo staccio della farina, alla fumatina di una Milit, a cambiar trincea saltellando nella neve come un capretto a primavera, a pensare parole nuove da scrivere alla ragazza (parole nuove = parole diverse da baci, bene, amore, ritornerò), a fumarti la posta ricevuta, a giocarti a carte i soldi della deca, a evitare i conducenti che odoravano di mulo e che si grattavano la scabbia.

Poi finalmente, attesissima, liberatoria, arriva la guerra (detta anche la sagra). Con il miagolio nell' aria delle pallottole che passano di sopra.

Oggi pomeriggio ne muore solo uno che non conoscevi neanche tanto bene, Cade e la neve gli entra nella bocca, fai le tue cose e quando lo riguardi il sangue gli esce sempre più piano.

Ma smette subito anche questo pezzo di guerra che non voleva consumarsi, smette sussultando come smette la risata di un ubriaco, con qualche fucilata raminga che si attarda senza credere più in se stessa. La fucilata ingiustificabile di uno che è invasato dalla rabbia degli stanchi, degli stanchi di guerra e di vita.

Quando vedi il comandante più tignoso e incapace con la gamba in cancrena ti viene da dire che era un buon diavolo anche lui. E pure questo sentimento ti sale spinto dalla spossatezza, è una misericordia regalata dalla stanchezza. Era un tenente giovane e impazzito, la truppa aveva imparato l' arte di non obbedirgli assecondandolo. Il capitano era il primo ad inorgoglirsi per questa abilità sopraffina e provvidenziale che deve essere il bagaglio primario di ogni buon soldato.

Intanto - mentre passando vedi ancora alcuni alpini placidamente addormentati che muoiono immobili, incassati come piccioni stravecchi dalla massa dimezzata definitivamente ai margini dello stormo - il Don è un Lete che spinge alcuni fortunati ormai indifferenti fuori dalla "sacca".

Morale naturale e microscopi

C' è una sngolare simmetria nel giudicare la sessualità.

Se leggi "Il Manifesto" tenderai a credere che l' orientamento sessuale sia detrminato geneticamente.

Anche per questo riterrai assurdo "curare" un omosessuale. Per te un omosessuale si ravvede solo pervertendosi.

[... in realtà penso che il nesso di causalità sia inverso: sarai morbosamente interessato a dimostrare l' origine genetica per mettere una freccia in più nell' arco di chi combatte la battaglia per evitare ogni "cura"...]

D' altro canto riterrai che nelle differenze di "genere" la genetica non conti un tubo. Per cui il fatto di trasmigrare da un genere sessuale all' altro richiede solo una riverniciatura all' impalcatura culturale.

Per i lettori de "L' Avvenire" probabilmente vale l' esatto contrario.

L' orientamento sessuale è libero (quindi ha senso che un omosessuale si ravveda) mentre il genere è determinato a priori (quindi il trans-gender è un perverso).

Ma la cosa è davvero tanto rilevante?

Il perchè di queste posizioni è comprensibile: se un comportamento ha base genetica è molto costoso modificarlo, lo si puo' fare solo nel corso di più generazioni quando lo si puo' fare.

D' altro canto nulla di eticamente rilevante si puo' concludere osservando un DNA o qualsiasi altro acido.

Anche per questo mi stupisco quando la Chiesa parla di "morale naturale" e alcuni ingenui mettono mando d' istinto al microscopio.

I poveri come nuovi parassiti

Negli Stati Uniti comincia a serpeggiare il credo che i veri parassiti siano i poveri e non i ricchi.

Lo ribadisce Kenneth Arrow constatando, tra l' altro, da dove provengano le contestazioni più aspre alle varie "affirmative action": dai giovani bianchi figli dei colletti blu.

Ci sono poi le ore lavorate: aumentano vertiginosamente con l' aumentare del reddito.

mercoledì 18 giugno 2008

Roger Abravanel non affonda il bisturi: 400 pagine condite da buoni sentimenti

La lettura del libro di Roger Abravanel sulla meritocrazia si sta rivelando piuttosto deludente.

Secondo lui una società è meritocratica quando fa uso massiccio dei test. Punto, passiamo oltre.

Nonostante il titolo non perde molto tempo a spiegarci cosa sia la meritocrazia. Dà per scontato che meritocrazia = test + mercato.

Nemmeno ci si sofferma sulle molte difficoltà che sorgono nel tentativo di isolare l'intelligenza. E dire che il libro conta quasi 400 pagine, lo spazio non manca.

Se qualcosa fa difficoltà, RA lo liquida in quattro e quattr' otto.

Sono contento di tanta sicumera perchè in fondo anch' io sono dalla sua parte, ma avrei sperato che mi fornisse qualche arma letale con cui difendere le postazioni. Invece niente (per ora). Purtroppo RA non è d' aiuto visto che il suo testo è praticamente privo di fatti, dati e note che rinviino a fatti e dati.

Come posso sapere se sia stato premiato veramente chi merita? RA la fa facile: chi merita è colui che ha superato il test.

RA sembra uomo di sinistra in adorazione del mercato (va così di moda). Secondo lui la meritocrazia ha uno scopo: innescare la mobilità sociale.

Ma se ci si ferma lì, anche i dadi innescano mobilità sociale.

Perchè dovremmo affidarci ai test? RA non lo dice, chiede un affidamento cieco affinchè questi intralci da cacadubbi vengano aggirati e si passi alla fase implementativa. Io mi fido abbastanza ma mi sarebbe piaciuto qualche argomento.

RA ha sempre in bocca l' espressione "pari opportunità". I test sono l' arma per fornirle.

Di solito uno non parla molto volentieri dei suoi spauracchi. Forse lo spauracchio di RA riguarda la validità a tutto campo dei test.

Un altro spauracchio di RA è la genetica. Se l' intelligenza dipende dalla genetica, addio pari opportunità.

Non potendo eludere del tutto l' argomento "genetico", RA ne parla in modo piuttosto vago: Michael Young, l' inventore della meritocrazia che concluse i suoi studi dichiarando fallito il progetto a causa delle inevitabili derive genetiche, viene liquidato come "personalità ambigua" invecchiata male.

Ma oltre alle vaghezze c' è di peggio, ci sono gli svarioni veri e propri, come quando si dice: "... The Bell Curve: Intelligence and Class Structure in American Life di Herrnstein e Murray sostiene che alla fine conta solo la genetica...".

Ma questa è la cazzata madornale di chi non vuole vedere in faccia i problemi e storpia cio' che dà fastidio quando proprio non riesce a rimuoverlo del tutto.

H/M non hanno affatto sostenuto cio' che viene fatto loro dire. Il fatto che RA si accodi ad una lunga schiera, aggrava la topica visto che viene commessa dopo mille precisazioni già fornite sul tema.

H/M si limitavano a considerare che se vogliamo conoscere il reddito futuro di un americano, l' informazione più preziosa che dobbiamo richiedere è il suo IQ misurato dai 15 ai 23 anni. Altre informazioni, come per esempio le condizioni socio-economiche della famiglia di provenienza, ci dicono molto meno.

H/M non facevano dipendere l' IQ dalla genetica, lasciavano in sospeso la questione disinteressandosene.

Certo, visto che SEF (condizioni socio economiche familiari) contano poco, evidentemente i fattori a monte dell' IQ, qualora non siano genetici, riguardano la cultura profonda. E azzerare una cultura è molto costoso per una policy.

Anche per questo H/M invitavano ad evitare aiuti alle "culture" che producevano povertà (es. i sussidi alle ragazze madri).

Poichè TBC è forse il libro più dibattuto del ventennio, H/M hanno avuto modo di puntualizzare ripetutamente alle critiche mai veramente serie ricevute. Peccato che ad RA il dibattito sia sfuggita e abbia tutta l' aria di volerlo ricominciare riproponendo le prime fasi.

Ma ipotizziamo la situazione ideale: tutte le culture vengono spazzate via (o compensate con l' affirmative action), i bimbi crescono in una campana di vetro che per tutti è la stessa, poi subiscono la selezione in base ai test. La mobilità sociale sarebbe garantita, ma se questo è il valore ultimo siamo sicuri che l' esito sia eticamente diverso rispetto al semplice impiego dei dadi? Siamo sicuri che tolte di mezzo le culture la genetica non finisca per contare ancora di più? Siamo sicuri di non assistere ad una lotteria dei talenti?

Il fatto che si tratti pur sempre di una "lotteria", rende la cosa eticamente sospetta.

Il fatto che riguardi i talenti la rende utilitaristicamente rilevante, ma allora devono essere considerati anche i costi sociali che comporta l' azzeramento di una cultura, proprio come segnalavano H/M.

RA non sembra interessato a questi nodi (le sue vaghezze e i suoi svarioni lo confermano).

Peccato che io invece lo sia e il promettente libro invece non mi aiuta molto a sbrogliare la matassa.

A volte ho il sospetto che libri del genere abbiano una funzione propagandistica. I lettori in Italia sono prevalentemente di sinistra, è l' unico popolo che richiede "spiegazioni". Spiegazioni per ricominciare, dopo il 68, ad accettare una società in cui ci siano "classifiche", "perdenti" e "diseguaglianza". Ma cosa ha effetto per il popolo progressista dalle lenti spesse? Abravanel offre 400 pagine e tanti buoni sentimenti. Forse puo' bastare.

martedì 17 giugno 2008

Dal nulla

E' timida la musica di Vacchi. Si presenta ancora e sempre in boccio. Appartata risuona da uno strano giardino e ci fa un cenno, a noi che di fretta passiamo sulla strada. Ha la fronte bassa e lo sguardo trasversale di una Geisha. Ma non è umiltà. Quell' occhio narcotizzante ci invita a varcare strane soglie. Cedo e lascio i miei affari scartando dalla via maestra, cosa succederà adesso?

"Dal nulla", è la richiesta della didascalia per certi attacchi.

Cap & trade a scuola e in tribunale

Le intercettazioni sono troppe?

Lo scienziato triste ha la soluzione, si tratta sempre della stessa: fissare un minutaggio massimo per procura consentendo alle procure di negoziare tra loro i minuti.

Naturalmente la cosa funziona solo se i procuratori sono resi responsabili in base ai risultati. Oggi non sembra sia così.

I prof. con il tempo sono diventati troppo di manica larga danneggiando così i migliori allievi?

Lo scienziato triste ha la solita soluzione: fissare un budget di voti che ciascun professore puo' distribuire e introdurre forme di commercializzazione dei voti tra prof..

Gli alunni appartenenti ad una classe sopra la media sarebbero penalizzati. Ma lo sarebbero ancora di più se la "manica larga" non fosse disincentivata.


La cosa funziona, ma solo se i prof. sono responsabilizzati rispetto ad un risultato finale.

A proposito, ma perchè la "manica larga" danneggia i migliori? Semplice, se i voti si concentrano in alto, l' informazione che veicolano è dettagliata nel descrivere il profitto dei peggiori ma è molto scarsa nel descrivere quello dei migliori.

Battesimo come signalling

Ma perchè se mi comporto esattamente come un cristiano modello, contrariamente a lui, per il semplice fatto di non aver ricevuto il battesimo, metto a repentaglio la mia salvezza?

La questione è saltata fuori nei commenti ad un post. Mi sembra interessante sintetizzarla qui.

Perchè il battesimo farebbe la differenza? come si puo' rispondere secondo ragione?

Innanzitutto c' è una questione sostanziale: le intenzioni contano.

Fare la cosa giusta nutrendo intenzioni sbagliate vanifica il nostro gesto. La "cosa giusta" va fatta in nome di Dio, altrimenti conta poco. I sacramenti sono a garanzia delle nostre intenzioni.

Ma l' obiezione puo' essere spinta oltre: ammettiamo che le opere siano accompagnate dalle giuste intenzioni, mancherebbe solo il mero formalismo di una loro aperta manifestazione.

Anche il formalismo ha una sua funzione, serve in quanto "segnale" comunitario.

Il Sacerdote deve indirizzare correttamente la comunità attraverso segnali visibili, in caso contrario ogni comunicazione verrebbe neutralizzata nell' interiorità più intima e appartata.

L' elemento formale dei sacramenti realizza questo elemento comunicativo. Prestarsi al formalismo significa anche offrirsi alla comunità affinchè si svolga una funzione tanto importante.

Quest' offerta alla comunità è ragionevole, in varie forme e in altri ambiti già la realizziamo.

Robin Hanson, economista, da tempo elabora una teoria del "signalling". Molte nostre azioni hanno obiettivi che si affiancano o che sostituiscono del tutto quello che appara come principale.

Esempio: Hanson trova che gran parte della spesa farmaceutica non abbia lo scopo di guarirci dalle malattie ma piuttosto di comunicare il messaggio: "mi prendo cura di me". Messaggio molto apprezzato dalla comunità, una persona che si cura è affidabile. Oppure, in alternativa, il messaggio ancor più forte dal punto di vista relazionale: "mi prendo cura di te".

Anche per questo motivo, medicine che sono poco più che placebo, vanno a ruba.

Hanson applica la teoria del "signalling" ad una serie di casi svariati (not just medicine, but real estate transactions, the wooing of a spouse, the role of education in the job market, parenting, the economics of self-deception, and Robin's argument that we spend too much time on admirable activities...). Ecco un podcast di Robin sul tema.

Andrebbe precisato che Hanson avanza la sua teoria per giustificare il taglio dei sussidi sui farmaci. Secondo lui a risentirne non sarebbe la salute visto che gli utenti sacrificherebbero dapprima l' attività di "signalling."

lunedì 16 giugno 2008

Noi e loro

"... so che questo genere di discorsi provoca nette contrapposizioni e segnare facilmente punti a proprio vantaggio non fa che peggiorare le cose..."


Elizabeth Costello




Ecco quattro posizioni tipiche con cui possiamo rapportarci agli animali:





  1. Posizione Rothbard: l' animale è oggetto di proprietà. Il soggetto proprietario ha il diritto di trattarlo come un Re o di sottoporlo ai lavori più duri. Ultriori diritti potranno essere concessi all' animale nel momento in cui loro stessi presenteranno una petizione. Oppure nel momento in cui si riterrà ragionevole imputarli sottoponendoli a processo.


  2. Posizione Nozick: nell' ambito dei diritti l' uomo è un fine: non si puo' sacrificare un uomo per salvarne altri cento. In altri termini: all' uomo non possiamo applicare criteri utilitaristici. Una morale utilitaristica potrebbe però essere applicata agli animali: abbiamo diritto di utilizzarli ma non di vessarli gratuitamente.


  3. Posizione Singer: all' animale spettano diritti in relazione alla coscienza che ha di sè.


  4. Posizione Costello: tutti gli animali sono uguali. E' una conclusione che traiamo dall' empatia che sperimentata in loro compagnia.



Mi sia consentito di liquidare le prime due posizioni.

David Friedman, in un memorabile articolo, invitava i rivoluzionari a sgombrare le piazze e a deporre i loro bellicosi propositi: i tanto agognati diritti avrebbero potuto comprarseli senza tante barricate con vantaggio per tutti. Poi faceva quattro conti considerando il monte salari USA e la capitalizzazione di borsa di tutte le imprese. Risultato: in 4 anni (anche 3 tirando la cnghia) gli operai avrebbero potuto comprare tutte le imprese amricane quotate in borsa. A quel punto, essendo loro i padroni, avrebero potuto assegnarsi tutti i diritti che credevano.

Con questo voglio dire, in modo forse un po' troppo mediato, che le posizioni 1 e 2 non sono così distanti, anzi sono simili: i diritti degli animali possono essere "acquistati" da chi li valuta molto. E' un appello all' Animal Liberation Front affinchè la smetta con gli attentati: perchè la violenza quando c' è il mercato? Con poche leggi un mercato dei diritti degli animali potrebbe essere tirato su. Certo, dapprima non sarebbero diritti universali, alcuni animali sarebbero affrancati ed altri no, l' importante è partire e valutare quanto gli animali ci stiano veramente a cuore al di là della retorica e al di qua del portafoglio.

***

Singer è uno studioso contoverso ma prestigioso, la sua posizione merita di essere discussa.

Ecco un buon punto di partenza difficile da eludere: se un animale dà valore alla propia vita, allora acquisisce dei diritti sulla propria vita.

Ma per "dare valore" a qualcosa occorre una coscienza.

C' è un problema quindi: la gallina scappa quando la voglio uccidere. Sta dando valore alla sua vita o si comporta solo in base ad istinti meccanici?

Altro pericolo da eludere. Se il mio canarino muore ne soffro. In questo caso sono io a dare un valore alla sua vita, non lui. Il fatto che io soffra tanto non è un' informazione utile per chi si propone di difendere gli animali. Singer, correttamente, non tiene conto di questa sofferenza per assegnare diritti. Non gli interessa il valore della vita animale "per me" ma il valore della vita animale "in sè". Se contasse il valore "per me", allora la posizione Rothbard sarebbe sufficiente ad offrire una tutela.

Uccidendo un animale lo privo del suo futuro. Ma un animale ha coscienza del suo futuro? Per Singer questa coscienza è minima quando non nulla. Il suo cane Max non pensa a cosa farà l' anno prossimo o la settimana prossima. Al limite pensa alla prossima passeggiatina quando sente il guinzaglio tintinnare.

Singer però è convinto che l' animale soffra, quindi ha coscienza del suo presente.

Se fosse vero l' animale avrebbe perlomeno diritto a morire senza accorgersene, senza soffrire per quanto possibile.

Naturalmente in questo ragionamento il lessico è problematico, anzi i veri intoppi si annidano lì. Pensiamo solo al termine "coscienza". Dal senso che diamo dipende tutto.

Rothbard ha un buon metodo: una volta affibbiata una coscienza bisogna essere coerenti, altrimenti abbiamo barato. Se l' animale è cosciente (anche solo nell' immediato) deve essere anche imputabile e processabile quando viola diritti altrui.

La coscienza è coscienza dei diritti propri e altrui (in questo senso si dice pronto a concedere diritti agli animali non appena gliene faranno richiesta).

In effetti nessuno di noi metterebbe mai sotto processo un animale. Se l' animale è pericoloso viene eliminato, non imputato.

Singer coglie il punto debole. Fa presente però che esistono anche gli handicappati mentali. Loro non sono imputabili e nemmeno maltrattabili. Singer chiede per gli animali un trattamento simile a quello degli handicappati mentali.

Poichè Singer è un filosofo della bioetica spregiudicato e un entusiasta dell' eutanasia (gli handicappati mentali rischiano grosso quando lui è nei paraggi), Singer chiede semplicemente che gli animali vengano uccisi con procedure indolore. In fondo se non esistessero allevamenti intensivi e i mattatoi adottassero procedure idonee, per Singer non avrebbe più senso il vegetarianesimo.

***

Elizabeth Costello è un personaggio inventato da Coetzee. Anzichè tenere la sua conferenza sul tema degli animali il Nostro ha scritto un raccontino dove EC è la protagonista. D' altronde EC è una vecchia conoscenza per chi legge i libri di Coetzee.

Nel raccontini/conferenza EC è un' anziana scrittrice di gialli invitata ad una conferenza. Anzichè parlare dei suoi libri decide di affrontare il tema che più gli sta a cuore: i diritti degli animali. La sua prolusione è scioccante, parte a razzo paragonando quel che succede agli animali ad Auschwitz. Secondo EC usare la ragione su questi temi è inutile e sviante. Basta l' empatia, basta guardare negli occhi un animale per leggervi i suoi diritti.

Non è detto che Coetzee sostenga posizioni tanto radicali. Altrimenti non si spiega come mai abbia spintonato in avanti la vecchietta evitando di prendere la parola in prima persona.

Non solo, il personaggio di EC non è l' unico protagonista della fiction-conferenza: mentre la sciura si produce, la nuora e il figlio sono in sala. Lavorano proprio nella città e nell' Università dove EC è stata invitata. Il figlio è contento che la nonna sia scesa in città per qualche giorno e abbia potuto vedere i nipotini. Non capisce perchè anzichè parlare di gialli si sia imbarcata con gli animali, non che sull' argomento abbia opinioni precise, da piccolo ha avuto dei criceti, punto. Ma è anche tremendamente sulle spine nel suo ruolo di spettatore ("...ecco, si è impantanata...", "...non è il suo mestiere... chi gliel' ha fatto fare di venire...", "... adesso si litiga di sicuro...", "... che faccia che ha il rettore...", "... non sa più che pesci prendere...", "... legge in modo inespressivo senza mai alzare gli occhi dal foglio...". La nuora è neurobiologa studiosa del comportamento animale ed è irritatissima, ci mancava solo che la suocera piombasse per tre giorni in casa, con i figli che devono pranzare nella sala giochi solo per poter mangiare il pollo, e poi quello che dice la vecchia non sta nè in cielo nè in terra. Ogni tanto emette un leggero sospiro di esasperazione che percepisce solo il marito, ma tanto solo lui doveva sentirlo.

L' inesperta EC chiude la conferenza in modo inesperto. Forse voleva colpire ma non c' è riuscita. "Che finale strano... " pensa il figlio. Forse lo pensano tutti perchè l' applauso parte dimesso solo dopo che EC si è tolta gli occhialoni e ha ripiegato i fogli.

Il bello è che EC accetta di rispondere a qualche domanda; il figlio ne è sconvolto ("... ma non sa che le conferenze universitarie attirano pazzi e squilibrati come un cadavere attira le mosche..."). Ormai è tardi, persino la nuora, silenziosamente strattonata dal figlio, ha alzato la mano, forse vuole offrire solo un diversivo che funga da scudo.

Ad una domanda che dura quasi quanto la conferenza e che le chiede tutta una serie di specificazioni, la nonna risponde che "... bisogna aprire il proprio cuore e ascoltare quel che dice...".

Anche se una vera risposta non potrebbe mai fermarsi lì, lei sembra proprio intenzionata a farlo. Dopo due secondi di silenzio anche il figlio che sperava in qualche abbellimento si rassegna: la risposta deve ritenersi esaurita. Un moto d' insoddisfazione serpeggia tra i presenti, il Preside tossicchia un po' imbarazzato, anche chi ha posto la domanda lo è. Non sto qui a raccontarvi del povero e sudato figliolo. E pensare che deve ancora tenersi lo spuntino post-dibattito, come se la caverà la mensa universitaria? Probabilmente con il solito pesce: anche se ha la colonna vertebrale non allatta la prole.

sabato 14 giugno 2008

Nel cuore della donna/bestia

J.M. Coetzee: Nel cuore del Paese.




Cara Magda,

siamo tutti addolorati nell' auscultare il battito del tuo cuore di bestiola sola e vendicativa a cui è rimasta come unica meta quotidiana quella di strisciare ogni giorno al sicuro nel proprio mausoleo e chiudersi una porta alle spalle nella vana ricerca di una beata passività.

La fierezza corrosiva che ti consuma, è un chiasso per impedire a paura e vergogna di trapelare. Ma poi c' è quel cuoricino tremante che ti tradisce puntualmente.

Che strazio doversi sempre alternare tra le fatiche del dramma e i languori della meditazione solipsistica, estenuata e infruttuosa.

Mentre te ne stai lì ostentando le gengive, con le guance compresse dai pugni e i gomiti puntati sul tavolo, un altro pomeriggio da zitella in disfacimento sguscia via.

Credevi di salvarti immaginando il peggio. Povera ingenua, non sapevi che il peggio arriva ugualmente.

Il nocciolo di rabbia che ti fa la spola tra cuore e ventre va e viene giorno e notte incarnandosi in ulcere, coliti, tumori... Quando lascia spazio è la paura a riempirlo. Con il basso continuo del tuo ringhio impotente, ti sfoghi senza rigenerarti; con il torvo sguardo da roditore, cerchi qualcosa da rosicchiare che nutra il rancore covato; ogni tuo respiro nasconde un piccolo elegante gemito che si accumula per affiorare più tardi nell' impresentabile veste di guaito sgraziato.

Dal cantuccio in cui fermentano i tuoi odori pensi e ripensi, ti manca il coraggio per smettere di dare voce interiore al tuo monologo sconnesso, di morire nel silenzio da cui sei venuta. Prima di spirare farai un capriccio, scommetto.



Non c' è più miseridordia in te, quelle pose ricattatrici hanno smesso di funzionare ma tu non hai più la forza di elaborarne altre; nessuno ha più tempo e voglia di consolarti, tutti sono convinti che se ti levi di torno le cose cominceranno a girare bene; quando te ne vai noi uomini ci rilassiamo. Gli anticorpi di una società sana ti hanno individuato, sterilizzato e isolato. Torva e negletta hai ancora l' energia per espellere un sogno striminzito che nessuno è disposto più a considerare.

Perchè arrossisci? Forse per la mancanza d' afrore delle tue carni dure e fossilizzate? Per quei tristi contrassegni della donna non usata, per quei toni e quegli odori acri come l' isteria e l' urina? Che delusione per un uomo che desiderasse ancora avvicinarsi affondando il naso nel muliebre cavo ascellare.

Magda, mi guardi come una bambina, come una bambina vecchia. Una buona volta qualcuno dovrebbe farti un buco e drenarti i liquidi che ti stagnano dentro. Sai bene che una donna non è all' altezza del compito, è inutile che tu perda tempo con simili compagnie.

Un attimo fa, nell' ultimo accesso di recriminazioni che ti ha colto sfigurandoti, credevi ancora di avere ragione, credevi, come fanno sempre gli insicuri, che l' errore ti risparmiasse. Ma l' aculeo della lucidità fa breccia sempre più spesso nelle tue maglie slabbrate, un tempo tanto coese. Ecco che l' inestinguibile sincerità ti punge: hai torto, hai torto Magda, la tue brutture montano con i tuoi torti, i glutei magri e flaccidi sono lo specchio desolante dei tuoi torti, hai torto sin dal giorno in cui sei nata: nel posto sbagliato, nel momento sbagliato, nel corpo sbagliato.

E' triste non avere più qualcuno che testimoni della tua infelicità, della forma che prenderà stasera.

Cara Magda,

ora che sei sola immagini di sentire il frutto vizzo del tuo ventre guizzare inutilmente, sei solo una zitella pazza di solitudine. Lascia che ti scosti: dopo quello che hai passato non puoi essere innocua, non sei il tipo che accetta di scorrere dal nulla al nulla senza lasciare un segno.

Il tuo bambino nasce nella fantasia febbrile che fermenta in un buco di mondo dimenticato da tutti: da chi invidi, da chi fa finta ancora di conoscerti, da chi non conoscerai mai. E' un bimbo giallognolo ammalato in tutti gli organi vitali, segue la madre trotterellando sulle gambette rachitiche, nascondendo il viso nel grembiule davanti ad estranei. Ma chi vorrebbe l' unica qualità di bambino che il corpo della Magda sa espellere? Chi è disposto a risvegliare i suoi ovuli pallidi e surgelati?

Ma non senti la spossatezza che si accumula quando continui anche nella tana romita a raccontarti le cose alla tua maniera, a riformulare una comoda versione dei fatti che ti regali una tregua almeno per stanotte?

Tanto il morale non si alza, le tue arti conoscono solo colpi per ferire. Pensi alle cose che ami, non riesci ad evitarlo, poi corri a vedere fotografie e ritratti dove le cose che ami non ci sono e non ci saranno mai.

Cara Magda, nessuno di noi si stupirebbe se tu fossi sterile, corrispondi in pieno allo stereotipo della donna sterile. Hai un corpo ammalato per gli usi a cui non è stato sottoposto; è qualcosa lasciato in disparte, dimenticato, impolverato come una scarpa vecchia che sogna fino al delirio.

Adesso sei stanca senza essere ammalata. Non puoi essere ammalata, cara Magda, non puoi conoscere il sollievo di sapersi malati e riconosciuti tali con i crismi dell' ufficialità. Le tue carni sono troppo acide per accogliere microbi. E' la stessa zolla di carne indurita da cui spremi lacrime avare per la vita che non hai vissuto, per la disponibilità di un corpo non usato, ora non commestibile per i veleni che lo attraversano, secco, disgustoso e disgustato da tutti coloro che odiano cio' che si muove incerto nell' ombra; un corpo dove il sangue pulsa rallentato da una stanchezza ricca di avarie. Solo il balsamo del sonno potrebbe...

Ti ricordi quando sei stata picchiata? Non è stato poi così male, non sentivi dolore, nella tua vita accadeva qualcosa, meglio dell' abbandono, eri quasi contenta. Dapprima hai tentato una timida fuga, sul pavimento si sentiva il fuggi fuggi delle zampette di un topo. Poi ti sei imolata. Cio' che consideravi la tua sofferenza, sebbene non fosse che solitudine, cominciava a dileguarsi tra i calci; i calci di un uomo, che arrivano all' osso. I fasci nervosi della faccia si sgelavano, un emolliente sembrava agire su quell' animo duro come una conchiglia, la secchezza del tuo corpo mummificato si inumidiva di sangue e così concimata riprendevi a fiorire, tornava la morbidezza del mammifero di un tempo. Il colpo culla e rimprovera ma non trascura. Se non fosse che l' indignazione saliva e lo sfregio ti tatuava il cuore: un momento fa eri come vergine di botte e dopo non lo eri più. Sebbene da quel giorno in ogni tua azione si sarebbe insinuato un vuoto, avevi perlomeno qualcosa a cui pensare nell' immensità soffocante del tempo libero; qualcosa da portarti dietro una volta sola nel letto, e da stringere a te. Il risentimento, tua unica compagnia, il desiderio di vedere noi uomini colpiti, seduti nella nostra pozza di sangue con lo sguardo vitreo del bambino che se l' è fatta addosso, le mosche che ci strisciano sul volto e nemmeno le scacciamo, noi, così schizzinosi in altre occasioni mondane.

Mangia! Ti taglia una fetta e la spinge verso di te con il coltello. La voce ruvida vuole essere capita subito. Ma nessuno la capisce a parte la nostra cara Magda che è rimasta negli angoli della casa a guardarlo tutta la vita. Sa che quelle rabbie e i silenzi ombrosi sono solo maschere di una tenerezza che non osa mostrare e che lo travolgerebbe. Odia perchè non sa amare, odia per non andare in pezzi. E' aspro e autoritario solo perchè non sopporta di chiedere e ricevere un rifiuto, tutti i suoi ordini sono suppliche segrete, inutile spiegarlo a Magda, lei sembra nata apposta per capire questa verità. E' solo un tale poco considerato che crede di aver trovato l' amore per il fatto che mangia pane e nutella con la sua ragazza in attesa che l' acqua del caffè cominci a bollire.

Inetti per vendetta

"... stava bene solo nel suo letto con gli occhi chiusi..."
Tozzi


C' è sempre un soprassalto di tedio quando parlando di letteratura comincia a spuntare il nome di Freud, oppure quando vengono tirate in ballo le sue stantie strutture come chiave interpretativa. Si sa già come va a finire.

Ma se il cuoco che maneggia un simile prezzemolo è Giacomo Debenedetti, allora il pericolo è scongiurato. Aprite bene le orecchie e mantenete la massima ricettività. Il piatto di sempre verrà reso una leccornia.

Esempio, il critico spiega mirabilmente come l' elettricità tra padre e figlio si riversi nella pagina di Tozzi fornendo le ossa ad ogni creazione artistica dello scrittore. Ma il Tozzi è solo una cavia ben scelta, a Debenedetti interessa isolare la filigrana del romanzo novecentesco.

Il padre di Tozzi era di un' affettuosità tirannica: uomo energico, tenace. Da contadino nullatenente aveva creato una bottega prospera, era riuscito a farsi la roba e a conservarla. Naturale che avesse aspettative sul figlio, ma con la sua rustichezza non fu in grado di mdularle nel modo più proprio.

Il figlio sarà pigro a scuola, si dimostrerà inetto nei vari studi che intraprende e in tutte le manifestazioni della vita pratica proprio al fine di affermarsi negativamente consapevole delle attenzioni e delle sofferenze che puo' così infliggere a chi lo ama.

Offre al Padre il triste, irritante, sconcertante spettacolo della propria vita mutilata. Incapace e impotente proprio per vendicarsi, proprio per rendere a qualcuno le mutilazioni subite.

Il Padre inveisce dandogli del "buono a nulla" (il figlio in realtà non desidera altro), finchè non cede e trae le conseguenze da una situazione bloccata nell' auto-distruzione. Con le resistenze di chi accetta un figlio finocchio, si decide a far concorrere il degenerato ad un piccolo subordinato impiego statale alle Poste e Ferrovie.

Ed ecco finalmente la divisa perfetta del Figlio: impiegato subordinato. E' la vera unifome in grado di rivestire la sua intimità. Indossandola puo' sempre ostentare al Padre (che si reincarna in varie persone incontrate sul percorso) una rappresentazione clamorosa e rabbiosa di cio' che egli è, di cio' a cui l' ha ridotto il trauma iniziale.

Ultimo snodo: il Tozzi poi tornerà a prendersi cura del patrimonio paterno. Il Padre gli dà (gli impone) un' altra magnanima occasione. Succede quel che deve succedere: con una specie di ottusa, cieca, indifferente ostinazione larvata di passività, debolezza, infingardaggine, egli si adopera per dissipare il patrimonio affidatogli. I beni materiali sono il simbolo della potenza paterna da minare, e lui deve rinfacciare a qualcuno la propria impotenza.

Non ci siamo divertiti a costruire un caso clinico. I personaggi più significativi della letteratura novecentesca escono da dinamiche similari.

Il modo migliore per dimostrare di non averli capiti è di considerarli degli inetti poco abili alla vita pratica. Debenedetti rimprovera questa ingenuità a Luigi Russo.

Non si tratta di inettitudine o di impotenza, bensì di devastanti e rabbiose vendette compiute con l' arma della passività.

E' lo "sciopero dei personaggi". E' la passività che nasce dall' odio. E' la renitenza di chi aggredisce il nemico che lo ama subendo tutto "con gli occhi chiusi"

La colpa è del problema

Giacomo Debenedetti spreme il succo del romanzo novecentesco. Secondo lui il dolore dei personaggi finsce per trascenderli.

Il caso che presentano via via, per quanto disperato, cessa di essere un caso "singolo", autodistrugge il suo lato aneddotico.

E la colpa si trasferisce lentamente ma inesorabilmente sul destino.

La colpa è del problema, direbbero i sociologi. La freccia che ci trafigge è scagliata senza motivi apparenti da qualche dio dell' olimpo.

Più che Provvidenza, Natura matrigna. Ma sempre da quelle parti stiamo.

Il Tozzi è uno dei teatri dove Debenedetti ama presentare le sue evoluzioni.

I personaggi di Tozzi sono paradigmatici perchè completamente ripiegati in se stessi, sempre alle prese con una febbrile introspezione, con arzigogolati esami di coscienza. In essi c' è la prefigurazione di molti eroi patologici che verranno.

Cio' non significa che il loro marchio stia in questo lavorio sull' interiorità. E' l' inconcludenza disperata di questa autoterapia a marchiarli.

I monologhi interiori novecenteschi non sarebbero l' esaltazione dell' interiorità quanto piuttosto la messa in scena di un groviglio le cui spire soffocheranno il malcapitato protagonista. Le sue analisi non guariscono, i mali si esulcerano. Il pensiero è una medicina sbagliata che estende le infezioni.

Mi piace il fatto che un' estetica chieda così tanto in termini di contenuti.

Ma leggere Debenedetti cercando di isolarne il messaggio centrale è una faticaccia per almeno 2 motivi :
  1. il suo libro è disorganico; visto che ne possiede in abbondanza, si lascia prendere dall' ispirazione senza governarla. E come dagli torto;

  2. il lettore alla ricerca delle tesi centrali è continuamente depistato dalle seduzioni. Anche quando sai di leggere una pagina periferica non riesci a smettere per passare oltre come richiede il tuo obiettivo. Il tempo passa e tu sei solo un lettore felice ma ben lungi dall' afferrare questo critico sfuggente e dotato. Non mi sembra un inconveniente gravissimo e il mio non è un lamento.

venerdì 13 giugno 2008

Finalmente due Film

Trascinato al cine dalla miri ora le rendo grazie, finalmente ho potuto vedere due film italiani notevoli: Gomorra e Il Divo.

Il primo mi è decisamente piaciuto, è un film realistico e noi italiani abbiamo un debole per il genere. Asciutto, privo di moralismi e pallose denunce; cio' probabilmente lo rende superiore al libro. Chi è disinteressato al problema della camorra non commetta l' errore di disinteressarsi a questo bel film.

Il Divo si presenta ben diverso ma (quasi) altrettanto riuscito.

Sorpresa: le ambiguità non caratterizzano tanto la personalità andreottiana quanto piuttosto il tessuto drammatico del racconto. Tutto diventa palude sgargiante. Non esattamente il contesto ideale per chi è in cerca di chiarezze che consentano di fare i conti con la storia italica.

Andreotti sembra non abbia gradito l' omaggio, probabilmente per gli stessi motivi che hanno indotto molti anti-andreottiani a storcere il naso: non è la voce di Andreotti ad essere genialmente inattendibile, quanto la "voce" che narra le sue vicende.

Andreotti viene così privato del suo virtuoso talento elusivo mentre i complottisti della loro acida contro-informazione così tronfia nella sua sicumera. Questi ultimi vengono invece invitati a rilassarsi, magari scatenandosi al ballo del toop toop.

Non vedo nemmeno una denuncia contro la classe politica italiana del tempo. Vedo solo un occhio che, ovunque rivolga il suo sguarso, non cesserebbe di vedere un mondo siffatto.

Le pavane che mostrano il Divo Giulio passeggiare cogitabondo e immerso nei suoi misteri con mezzo mondo come scorta che mette sottosopra la Roma notturna, fanno da contraltare le stranianti presenze DAAAHHH DAAAAHHH DAAAHHH (la miri, che non è certo una menefreghista disimpegnata come me, alla fine cantava come un fringuello il motivetto).

Alla fine della scienza

La ricerca scientifica non si esaurisce per definizione.

Cerchiamo però di immaginarci un tempo in cui questo sapere avrà detto praticamente tutto quel che potrebbe dire sulla mente umana.

Non escludo certo a priori che possa farlo, magari la biologia e la genetica avranno parole decisive da pronunciare in merito.

Ripeto, sto immaginando un futuro per ragionare sulle conseguenze. Non mi interessa il probabile, mi interessa il possibile.

Per coloro i quali il sapere scientifico è di primaria importanza, l' uomo sarebbe ridotto ad un robot programmabile. L' uomo agisce e noi avremmo la risposta del perchè l' ha fatto. Sapremmo anche come fare per indurlo a comportamenti differenti. Un robot.

La mia posizione è ben diversa: per quanto la scienza vada a fondo sul tema della mente umana, per definizione non potrà mai "spiegarla". Non esiste spiegazione senza "causa prima" e la scienza si disinteressa delle "cause prime".

Non penso che l' uomo sia un robot, anzi sono certo che non lo sia. Se lo fosse non avrebbe senso parlare di "diritti", di "intenzione", di "responsabilità". Invece per me ha senso, ha senso parlare di diritti, per esempio.

Secondo me l' uomo non è un robot, proprio perchè ha senso dire che, per esempio, Tizio ha il diritto a non essere ucciso, specie se non si è reso colpevole di nulla. Un robot non avrebbe certo il diritto ad essere "salvato", neanche quando fosse "innocente". Non ha nemmeno senso dire che un robot è "innocente".

Il monista scientifico ha pronta la sua obiezione: "l' esistenza in sè di diritti è un' illusione. Molto più semplicemente, tu, io e e tutti i nostri antenati programmati dal caso con quella "illusione" feconda, abbiamo vinto la lotteria della selezione naturale e, ora che ci siamo solo noi, quella illusione è diventata universale e ci appare come una certezza".

Ma sulla base di cosa il monista scientifico puo' fare certe affermazioni? Sulla base del fatto che il sapere scientifico è l' unico da considerare.

Personalmente sono sicuro che Tizio non sia un robot, che Tizio abbia diritti. Ne sono sicuro con un grado di certezza, diciamo pari a C1.

Quando interpreto l' esito di un esperimento scientifico sono sicuro delle mie conclusioni con un grado di certezza pari a C2, persino quando l' interpretazione è elementare non posso andare oltre C2. Anche le leggi logiche mi appaiono corrette con un grado di certezza pari a C'1.

Nel mio caso C2 è inferiore a C1 mentre C1 e C'1sono abbastanza simili.

Sulla base di quanto detto, non vedo come conclusioni costruite assommando delle verità con gradi di certezza pari a C2 e C'1, possano mai confutare una verità ben più robusta con grado di certezza pari a C1. Ma è proprio quello che pretende di fare il monista con la sua obiezione.

Lui, il monista, probabilmente è in buona fede; lui - non ne capisco il motivo ma probabilmente è così - non vede che l' uomo si differenzia da un robot, lui non vede con l' occhio della mente che è ingiusto stuprare un innocente. Per lui queste cose vanno "dimostrate". Per lui queste cose sono dei punti di arrivo e non dei solidi e rigorosi punti di partenza.

A volte il monista tradisce la sua concezione scientista simpatizzando con la morale utilitarista: è giusto cio' che è utile.

C' è un salto logico! La scienza dei fatti, per quanto possa darci una mano nel calcolare cio' che è utile, non ci dirà mai che cio' che è giusto. Come potrebbe?

Il fatto che i più efficienti sopravvivano non significa che adottino i comportamenti "giusti" in senso etico.

Senza contare che l' utilitarismo ci costringe a parecchie scelte arbitrarie, all' utilità bisogna dare un contenuto: utile per chi? Per me, per i miei figli, per i miei nipoti, per il mio vicino di casa? Domande a cui rispondere lanciando il dado qualora si voglia passare dai fatti ai valori.

In conclusione vorrei solo precisare una cosa che spesso viene equivocata: la mia posizione non mi preclude in alcun modo la ricerca scientifica più completa sulla mente umana. Non trovo alcun imbarazzo nel mappare con la maggiore precisione e cura possibili la parte "robotica" dell' uomo. Sarei felicissimo e non vedo l' ora che si scopra "il cromosoma dell' etica". In questo senso, nel campo della ricerca, avrei le mani libere esattamente quanto il monista.

***
Naturalmente la faccio facile. Distinguere tra pensiero scientifico e pensiero non-scientifico non è una bazzeccola. E' il "problema della demarcazione" o problema kantiano. Non è facile discernere un "fatto" da una "teoria".

A me sembra che tutta la faccenda del "problema della demarcazione" possa essere aggirata. Pragmaticamente noi siamo in grado di distinguere un fatto materiale e chiamarlo così. Quando parlo di scienza, quindi, mi riferisco a quel sapere verificato o confutato sulla base di fatti materiali.

giovedì 12 giugno 2008

Abile e arruolato

Clint Eastwood esterna:

"I don't pay attention to either side," he claims. "I mean, I've always been a libertarian. Leave everybody alone. Let everybody else do what they want. Just stay out of everybody else's hair. So I believe in that value of smaller government. Give politicians power and all of a sudden they'll misuse it on ya."

Le battaglie dell' evoluzionismo: come distinguere gli schieramenti

Non penso che sull' enigma dell' intelligenza umana le discipline evoluzioniste possano mai farci un quadro completo.

Esiste un elemento spirituale che non sono in grado di cogliere.

Dimenticarsene conduce agli esiti insoddisfacenti del neo-materialismo. Naturalmente questi esiti sono estremamente "soddisfacenti" se si vuole stupire ed acquisire fama.

Sfruttando il recente dialogo tra due evoluzionisti, forse riesco meglio a ribadire la mia posizione.

Facchini, sacerdote cattolico e docente di Antropologia, comincia con l' escludere sul tema la credibilità di posizioni che fanno capo all' Intelligent Design. Non sarebbe scienza.

In effetti ID formula solo congetture non verificabili, ipotesi su cui non ha senso scommettere poichè non ha senso verificare o confutare. La stessa procedura che adottano certi evoluzionisti in vena di spingersi oltre il seminato e puntare diretti sull' origine della vita. In questo senso non fanno scienza nè i primi nè i secondi.

Facchini mi piace quando reclama una trascendenza all' origine della mente umana. Ma al passo successivo che compie già mi tocca abbandonarlo, in particolare quando dice che:

"... l' attitudine a fare progetti, il linguaggio simbolico, l' autocoscienza e l' autodeterminazione, la capacità di gestire consapevolmente l' ambiente sono caratteristiche peculiari dell' uomo, che non si possono ricondurre al semplice sviluppo dell' attività cerebrale..."

Ma qui non c' interessa se queste attività si possano ricondurre ad una semplice evoluzione del cervello bensì il fatto se si possa o meno farlo in via di principio. Non vedo affatto questa impossibilità.

Mi ritrovo allora nelle posizioni di Pievani. Soprattutto quando prosegue il ragionamento affermando:

"... una volta acclarato che l' uomo tende ad aggredire i suoi simili per ragioni biologico-adattative, posso al tempo stesso decidere PER ALTRE motivazioni, di natura morale, che quel comportamento è illegittimo e va messo al bando...".

Infatti: PER ALTRE RAGIONI. Ragioni che non vengono dalla scienza eppure non sono elaborate in modo meno rigoroso.

Purtroppo lascio anche Pievani al suo destino nel momento in cui formula questa uscita:

"... l' irriducibilità del comportamento umano alla biologia non richiama automaticamente la trascendenza. È come dire che c' è un mistero su cui l' indagine scientifica non ha nulla da dire. Io, invece, non credo che esista una dimensione per principio inattingibile. Può esserlo di fatto, perché la scienza è un sapere provvisorio e avrà sempre di fronte a sé l' ignoto..."

E invece questo "mistero inattingibile" c' è. E' costituito dall' etica. Naturalmente non credo affatto che sia un "mistero inattingibile", lo è solo per la scienza. Per essa è un mistero su cui nulla ha da dirci in via di principio perchè è in via di principio che non si puo' passare dai fatti materiali (dominio scientifico) ai valori (dominio etico).

Non che fatti e valori siano del tutto privi di legami. Se proprio qualcosa li lega è qualcosa che va dai valori ai fatti piuttosto che viceversa. Meglio abbandonare questo filone della discussione per tornare sulla via maestra.

Pievani prosegue:

"... se i meccanismi biologici dell' evoluzione non bastano a spiegare la peculiarità culturale dell' uomo possiamo ricorrere ad altri livelli di analisi riguardanti le scienze umane: psicologia, sociologia, filosofia morale. Il tutto rimanendo su un terreno naturalistico e senza ricorrere a fattori trascendenti..."

In questo passaggio Pievani si riferisce alla filosofia morale appellandola "scienza".

Ma è sicuro che si tratti si una "scienza" al pari della fisica o della chimica?

La mia risposta è un deciso NO.

Ha dovuto chiamare questa scienza come "umana". Ma spesso le "scienze umane" non si caratterizzano solo per avere un oggetto di osservazione particolare, hanno anche un loro metodo particolare.

Certo, come dice Pievani possono avere un orientamento "naturalistico" nel senso per cui esiste un diritto naturale. Non si fondano su fatti materiali bensì su "fatti etici", fatti che hanno una natura ben diversa da quella materiale. Bisogna accettare questo dualismo e Pievani non mi sembra disposto a farlo.

Morale: nelle battaglie culturali intorno ai temi dell' evoluzionismo la distinzione decisiva quindi è tra monisti e dualisti, sarebbe meglio non dimenticarsene al fine di eludere i facili abbagli che proiettano altre distinzioni e categorie (ID, radicali, moderati...) che vengono spesso alla ribalta. Un dualista non sarà mai intimorito da nessuna impertinenza scientifica, conosce bene sia l' importanza che i limiti di quelle competenze.

mercoledì 11 giugno 2008

Messaggio per Robin Hood

Nel 2006 su ogni barile di petrolio l' Italia ha guadagnato 90 dollari, il produttore 60 e i malefici petrolieri 10.

Vai Robin, e fagliela pagare.

P.S. non lo dico mica io, lo dice il Prof. Clò.

Quel libertario di nome Gesù

Ma Gesù era un libertario?

Invitava il ricco a "dare" del suo, considerava tutto cio' un buon investimento. Non lo invitava a prendere con la forza da altri per dare.

Come dice il senatore Tom Coburn:

"... show that true giving and compassion require sacrifice by the giver. This is why Jesus told the rich young ruler to sell his possessions, not his neighbor's possessions. Spending other people's money is not compassionate..."

Le condizioni necessarie per arruolarlo tra i libertari ci sono. Mancano quelle sufficienti.

Questa lacuna ha portato ad un' evoluzione un po' forzata del messaggio evangelico.

Oggi si ritiene che il governo debba intervenire in aiuto dei più bisognosi laddove la società civile non ce la faccia.

E' il principio di sussidiarietà.

Diventa chiara una cosa: se la società civile è in grado di cavarsela, allora Gesù resta un libertario.

Non è poi così impossibile dimostrare che la filantropia privata, laddove lasciata libera di agire, sopravanza i programmi pubblici.

E lo fa sia in termini di efficienza che in termini quantitativi.

Vuoi vedere che anche il Gesù riveduto e corretto resta un libertario/liberista?

Se non è l' Emilia Romagna è la Svezia

Alcune battaglie internettiane tornano sempre. I cripto-socialisti, sempre a corto di concretezza, vivono abbarbicati al mito della Svezia e dei paesi scandinavi. Ecco un buon articolo per respingere gli ultimi assalti velleitari su questo fronte.

Che la Svezia abbia recentemente registrate delle performances relativamente buone non significa granchè.

Quel che conta è sapere se il suo welfare esteso ne sia la causa e non piuttosto un freno rilevante e un produttore di inefficienze.

La forte disoccupazione effettiva del Paese smbrerebbe avallare la seconda ipotesi.

Un dato interessante è l' alto assenteismo sul lavoro: in uno dei popopli più sani della terra si registra il record OCSE di malattie e congedi sul lavoro. La rigida etica protestante è un vantaggio buttato alle ortiche dai cattivi incentivi dell' assistenzialismo.

Senza contare che queste inefficienze altrove sarebbero amplificate poichè la Svezia è favorita da contingenze quali il fatto di avere una popolazione omigenea.

Spesso si citano alcuni settori particolarmente virtuosi come quello della scuola, quello pensionistico o la libertà sui mercati in genere. Ci si dimentica di dire che sono proprio i settori dove sono intervenute profonde riforme in controtendenza da parte dei governi conservatori.

"... in other words, Swedish social democracy, and its concomitant hostility to entrepreneurship and overly generous network of financial benefits for immigrants and asylum seekers, is a significant contributor to high unemployment rates..."

"... one final point. Amazingly, Geier revels that "the Swedish economy is competitive, the school system offers choice, and pensions are partially privatized" but fails to note—or is simply unaware—that almost all of these policies were either implemented or introduced by the conservative government of Carl Bildt, against the strenuous objections of the Swedish left, after the economy sunk into a deep recession in the 1990s..."

"... Sweden does have the highest rate of workers on sick leave in Europe, despite being consistently ranked by the OECD as Europe's healthiest country..."

"... Geier argues that it is absurd to claim that Sweden's welfare "success" (cough) has benefited from a "homogeneous population" and cites "blogger and political science professor Lane Kenworthy... Geier, debunker of myths about Sweden and Swedish socialism, surely knows that the plurality of the foreign-born in Sweden are Finns and Finlandsvensk—Swedish-speaking Finns—who are very much a part of the Nordic welfare tradition. This will soon change, with the influx of asylum-seekers from the Middle East, and we'll soon see how much stress this puts on the "Swedish model." That said, and as Geier seems to concede but not comprehend, the remaining 87 percent are native-born Swedes with, for the most part, a common cultural, religious/irreligious, social, and political heritage. This is, obviously, not the case with native-born Americans, a patchwork of ethnicities and religious affiliations. (Incidentally, I am an American-born permanent resident of Sweden.)..."


ADD1 altri links sul tema.

martedì 10 giugno 2008

Forza azzurri?

Tempo di europei di calcio. Chi spera che l' Italia perda?

  1. chi tifa contro l' italia. Ci sono varie motivazioni che inducono molti a tifare "contro". Difficilmente si tratta di motivi nobili, quasi mai vengono ammessi;
  2. chi non tifa ma è disturbato o è invidioso della gioia altrui. Anche in questo caso si tratta di soddisfazioni da godersi al coperto;
  3. chi è appassionato di calcio e ama parlarne. Dopo una sconfitta prevale l' analisi e la discussione (basta accendere la TV per rendersene conto); dopo una vitoria prevale il festeggiamento inarticolato.
  4. ...

Imbarazzi libertari

Siamo più liberi oggi o lo eravamo di più ieri?

Naturalmente conta cosa intendiamo con la parola "libertà".

Il libertario tende ad essere nostalgico. Guarda a come cresce nel tempo la spesa pubblica degli Stati e si immalinconisce fino a raggiungere prostrazioni da cui non lo tira su più nessuno.

Una posizione paradigmatica in questo senso puo' essere fatta risalire a Bertrand de Jouvenel (Sorbona, Oxford, Cambridge, Yale, Chicago, Berkeley) e al suo libro "Il Potere. Storia della sua crescita." (Sugarco).

Lui la risposta alla domandina del primo rigo l' aveva già formulata negli anni 70, dopo una lunga maturazione condotta parallelamente ad una guerra che lo segnò parecchio.

Per Potere intende quella forza coercitiva in grado di ottenere la sottomissione (schiavitù) del prossimo anche solo con la minaccia.

BdJ nota e descrive come nel corso della storia il Potere sia sempre più cresciuto. Le guerre dell' ultimo secolo hanno mobilitato e richiesto l' obbedienza di una moltitudine impensabile solo qualche secolo prima.

Però c' è un altro insegnamento che viene dalla storia: per trarre i migliori frutti da una persona sottomessa, specie sul lungo periodo, è necessario che venga "trattato bene", è necessario concedere a costui dei privilegi.

Il Potere ha imparato e impara sempre più questa lezione.

La risultante di queste due forze si riassume in una formula storicistica di questo tipo: nella storia la condizione di schiavutù è andata estendendosi, così come sempre più estesa è stata la consapevolezza di quanto convenga rispettare lo schiavo assicurandogli un trattamento sempre migliore.

Certo le concessioni che fa il Potere riservandosi il diritto di revocarle quando desidera (cosiddetta libertà repubblicana) sono certamente un bene prezioso, ma sono ancora libertà?

Una volta la libertà era un concetto radicale, aveva natura aristocratica, era il dominio che il Potere non era ancora riuscito ad invadere.

Oggi le barriere sono travolte, il Sovrano straborda e la libertà ha assunto una dimensione artificiale: è cio' che il Potere onnipresente ci concede graziosamente dall' alto finchè non ci ripensa.

Forse non diversa, ma giocata su un' inontonazione ottimistica è la posizione di Tylor Cowen che puo' essere così riassunta:

"...he made a cogent case for the idea that we (in the developed world, at least) are freer now than we were in the past, and that it’s unwise for libertarians to look back on any particular era as some sort of libertarian elysium. If government was small way back when, in large part it was because everything was small. There is a tendency among some libertarians to argue for the future by going back to a past that did not exist; Cowen exposed this tendency very effectively..."



Il privato non ha mai dominato tanta ricchezza quanta ne domina oggi. Certo, ma in proporzione puo' darsi che la sua fetta sia diminuita. E come è spesa la ricchezza maneggiata dai governi? Forse è spesa anche per dare sicurezza alla proprietà privata. Tutti interrogativi che sospendono la sentenza finale.

In effetti, limitandosi all' economia, potremmo concentrarci nel valutare i parametri presi in considerazione da indici quali quello dell' Heritage Foundation o quello del Fraser Institute. Anzichè nello spazio si potrebbero stilare graduatorie nel tempo. Ho l' impressione che, nonostante le alte tassazioni, le società di oggi risulterebbero, nei fatti, molto più libere.

Cowen è concentrato sui "fatti", mentre Jouvenel sulle "minacce potenziali". Povero de Jouvenel, lo capisco visto che gli è toccato salvare la pelle in un periodo in cui quelle minacce si sono scatenate al massimo grado.

La posizione di Cowen è imbarazzante per un libertario, implica che, forse si poteva far meglio, ad ogni modo l' istituzione statale ha giovato alla causa libertaria. Vaglielo a raccontare a un misesiano.

L' essenza statale non sarebbe quindi quella espressa da De Jasay (quello che, anzichè chiedersi "cosa posso fare per lo Stato", trovava più proficuo chiedersi "cosa farei se fossi lo Stato). La libertà arricchisce e, prima o poi, tra mille resistenze anche lo Stato si piega a queste ragioni, specie se messo in concorrenza con altre istituzioni.

Mi sento abbastanza vicino a Cowen e penso che oggi, prima ancora che battersi affinchè lo Stato si estranei dalla vita sociale e di mercato, convenga "difendersi" offendendo, ovvero spingendo l' adozione di procedure di mercato all' interno delle istituzioni statali. Qualcuno chiamerà tutto questo "ingegneria" e sospetterà, a me pare una via promettente.

lunedì 9 giugno 2008

Mai così vicini alla pace universale. Contenti?

Forse la sicurezza percepita a livello locale in Italia si discosta da quella effettiva. Forse, sul tema, siamo tutti preda di un' occulta campagna di stampa orchestrata dai soliti burattinai.

Ma forse la stessa cosa accade a livello internazionale.

Togliamo l' Iaraq. Dal 2001 le vittime del terrorismo sono letteralmente crollate di un buon 40%.

Il numero dei conflitti nell' Africa sub-sahariana - una delle zone più tormentate della terra - si è dimezzato dal 1999 al 2006. Il costo di questi conflitti è poi crollato del 98%. Smile!

Senza dimenticare che il numero di conflitti dopo la guerra fredda è in costante declino e non accenna a rallentare la sua rassicurante marcia.

Traggo le buone nuove di cui sopra da questo studio.


Come si spiegano tutti sti progressi? A chi dobbiamo attribuirne il merito?

Calma, una cosa per volta. Per intanto cominciamo a registrarli.

P.S. un altro mondo sarà senz' altro possibile ma il nostro - ovvero un modo in cui le guerre vanno via via sparendo - non è poi così male. E sorridete una buona volta!

Fuitine

Qualcosa non va? Sei imbarazzato? Avresti voglia di sparire, di non essere lì, di prendere le distanze? Di startene un po' da solo mettendo qualche miglio tra te e il mondo.

Puoi farlo in modo più rapido di quanto tu non creda. Prendi esempio da lui:



Senza mai dimenticare l' incredibile.

Tutti insieme appassionatamente

Sempre più difficile stare soli tra la folla delle grandi città. Sembra che in qualche modo sia inevitabile familiarizzare. Anche gli incentivi della forza dell' ordine non vanno sottovalutati. Qui siamo a Tokyo nell' ora di punto.



Adesso voglio proprio sentirli i pendolari delle FNM protestare.

Atonie singhiozzanti

Per riportare meglio le sensazioni imbarazzate prodotte dalla lettura di "Fosca", già ho rubato una formula che Gadda utilizzava per annientare un minore (il Lucini).

Siccome mi sono messo su questa strada, proseguo con i miei prestiti. Questa volta attingo dall' ingiusto bombardamento che il Gargiulo riserva al Tozzi.

A quanto pare, nel T., certe menifestazioni di carattere morboso con cui impingua la sua pagina marcescente, sono tutt' altro che giustificabili nell' economia delle vicende.

Il Gargiulo rinviene parecchie aggravanti: "... fenomeni abulici o di atonia, malesseri, svenimenti, scoppi di pianto irrefrenabile, voglie improvvise di morire; poi inspiegabili impeti d' ira, di odio, scatti di crudeltà e violenza, impulsi criminosi..."

Non so se l' atto di accusa si adatti all' opera del Tozzi, non credo. So che si adatta al Tarchetti. All'incapacità di dominare ed equilibrare la pagina preso com' è da un' esaltazione personalistica che lo rende preda di una libidine per la degradazione.

Debenedetti dice che Gargiulo azzecca la prognosi avendo toppato la diagnosi.

Nella sua diagnosi Gargiulo indaga la personalità dell' autore passando al vaglio diverse testimonianze, tutte concordi: il Tozzi è un ipersensibile squilibrato e terrorizzato dalle altrui presenze. Un carattere del genere è incompatibile con la produzione artistica, per il G. la pagina è già condannata prima di essere letta, la sua funzione cambia.

Di fronte a questi apriorismi Debenedetti s' imbizzarrisce: le disarmonie vanno lette nel testo, isolate ed esorcizzate. La personalità dell' autore è secondaria, al limite irrilevante.

Il Tozzi è un ipersensibile esaltato, quel che scrive ci appare ammorbato da una sensibilità estenuata ed esaltata. Possiamo condannare? Forse al Debenedetti basta. A me no.

Dobbiamo rimodulare i significati riconducendoli al contesto storico attraverso un confronto con autori coevi. Questa operazione cervellotica è imprescindibile per i non contemporanei. E' l' operazione che rende pallosi i classici per chi li vuole leggere realmente e che appesantisce i libri man mano che si allontanano dal nostro contesto spazio-temporale.

Solo se i difetti permangono anche dopo aver considerato questa tara, la condanna potrà essere emessa e il libro bruciato.

Sono contento di aver accompagnato il malumore germogliato dalla lettura di Fosca con il rimpianto delle prudenze manzoniane. In fondo, facendo così mi paro almeno in parte dalla folgore debenedettiana.

sabato 7 giugno 2008

Un raggio spettinato

Igino Ugo Tarchetti: Fosca



"... la consecuzioni delle immagini sobbalza, per intoppi imprevisti, in incresciose dissonanze...".

Sono parole che Gadda aizza contro un altro ma io le dirotto per colpire in fronte il fosco Tarchetti.

Ora che ci penso, vuoi vedere che il Manzoni è davvero grande?

Forse è autore maiuscolo e paradossalmente sottovalutato. Lo lessi senza piaceri, lo rilessi in assenza di trasalimenti emotivi degni di nota; eppure la sua figura s' ingrandisce illuminata dalla distanza.

Sempre più genio, eternato nella gloria dall' inconcludente ghirigoro di chi si è impantanato saggiando vie alternative.

Il raggio di luce proiettato dal Tarchetti è tra i più sfolgoranti. Alla caccia di un definitivo anti-manzonismo, mi ha somministrato il libro che non avrei mai voluto vedere scritto.

Mi riesce di parlarne solo nella forma didascalica del "manuale dello scapigliato". Come programma risulta perlomeno edificante al pari dei Promessi Sposi.

E allora: siate ribelli alla misura comune, non convenzionali a tutti i costi (anche quando i costi sono altissimi), stancate il lettore più volenteroso nell' impervio lavoro di separare la realtà dal paradosso.

I temperamenti prediletti siano i soliti: nelle pagine in cui la convulsione non esplode, affiori pur sempre con il suo mortifero influsso.

Imprescindibile anche il contorno di sventure: passate, operanti e incombenti. Non si risparmi sulla messa a punto delle configurazioni più variegate con cui la tragedia si abbatte rapace addosso al mesto quotidiano sfigurandolo.

Per quanto possibile si trascuri invece il mesto quotidiano in favore dell' allucinazione deformante.

Fosca, la predestinata al fallimento col botto, fungerà da architrave della storia. Nel precipitarla agl' inferi, fate in modo che i paraggi pullulino di quante più persone è possibile, moriranno come filistei con sansone trascinate nel vortice dalla tapina.

Si badi che i caratteripersonaggi abbiano nature "a molle", in modo tale che quando la descrizione di una crisi epilettica arrivi al suo naturale esaurimento, si possa subito riattaccare la successiva dedicata alle sfumature che l' esangue pallore pre-salma spande sempre nelle costituzioni linfatiche.

L' ambiente esterno sia pure incantevole, purchè abbandonato da anni all' opera distruttrice del tempo e a quella liberamente creatrice della natura. Insomma: rovine.

Ricordate: una buona pornografia dei nervi deve presentarli sempre scoperti. Non lasciatevi intimidire dalla monotonia o da quel senso di spossatezza che spande sempre una tensione troppo a lungo trattenuta. Sono difetti pronti a trasmutarsi in virtù.

Poichè state scrivendo un libro maledetto, fate in modo che in esso compaia almeno una cervellotica maledizione dedicata ai libri.

I libri... pausa farcita di languori... questi fiori che spargono alla loro sommità un polline dolce e salubre atto ad occultare sostanze mortalissime.

Con un lacrimotto che fa capoccella accennerete alla vostra storia di farfalline golose che hanno trangugiato il calice fino alla base. Ed ora eccovi qua, ora che leggete solo per dimenticare: per consolarvi nelle gioie che il mondo dispensa ai felici godendo di quell' eco vibratile che riuscite ancora ad intuire...

... sapendo che questa cura, ben lungi dall' essere anche solo un palliativo, è in realtà il colpo di grazia inferto all' ipersensibile, il classico colpo di grazia che i libri riservano sempre a chi li avvicina per dimenticare. Quale errore! Loro infatti, dopo una breve variante, vi ripiombano immancabilmente ancor più vicini alle memorie fatali. L' idea fissa dalla quale volevate distogliervi trova mille conferme in quei pensieri che tormentano la piaga originaria esacerbandola: portare i dolori nella solitudine di un libro significa accettare che ci dominino.

Si è capito che "Fosca" non mi è piaciuto poi tanto?

Se sì vorrei anche far capire che qualcosa salvo: l' assalto che il nostro eroe subisce ad opera di un' innamorata "disperata" e morbosa, lo lascia senza fiato nè scappatoie. Quest' apnea sconcertata è deliziosa a leggersi.

Si ricrea un crocevia tra il comico, l' imbarazzante, l' impaurito e il disorientato, tutto molto moderno: ciascuna delle varie strade viene per qualche metro percorsa in modo esagitato e irresoluto, salvo rinculare smarriti al centro del quadrivio per valutare scelte alternative quando ormai non si ha più il cervello per farlo. La resa del tentennamento è riuscita: quel che deve apparire triste, appare tale. Quel che deve apparire ridicolo, appare tale.

C' è trasparenza pur nello spiazzamento.

Trasparenza: non è poco quando s' indossano le lenti aberranti degli scapigliati.

Spaiazzamento: unica stoccata di giustezza inflitta a quel museale filatore di destini altruiche fu l' arcinemico Manzoni, lui che non muove un passo senza la scorta di colei che mai fu presa in castagna: la Provvidenza.

Il guard rail di Thomas Schelling. Moneta e razionalità.

Adoriamo LA vita e per essa faremmo pazzie. UNA vita invece ci lascia piuttosto freddi.

Lo notava Thomas Schelling quando si chedeva come mai nella sensibilità sociale sarebbe disumano non sganciare 1 milione di euro per salvare Alfredino Rampi incastrato nel pozzo mentre l' istallazione di un guard rail sull' autostrada che salverebbe in media una vita all' anno, non ci coinvolge e, in ogni caso, già qualche centinaio di euro sarebbero troppi.

TS non parlava di Alfredino Rampi, ma ci siamo capiti lo stesso.

Il problema è di difficile soluzione visto che tra LA vita e UNA vita, esiste solo una distinzione grammaticale che non dovrebbe incidere sui valori.

La vita di Alfredino, un estraneo, non vale di più per il fatto di essere etichettata con un nome rispetto alla vita di uno sconosciuto. E' un fatto logico.

Eppure le differenze di valutazione che si scatenano sono esorbitanti.

Non sembra nemmeno che esistano motivazioni morali per distinguere tra la vita di uno sconosciuto e la vita di una persona di cui conosco solo il nome di battesimo.

Naturalmente se investo 1 milione di euro per salvare Alfredino, condanno molte vite di sconosciuti. Eppure la cosa, per quanto insensata, ci sembra del tutto naturale.

Forse esiste un istinto egoistico che ci fa preferire la vita di chi ci sta vicino, di chi conosciamo meglio. La nostra in primis.

Alfredino, in fondo ci sta un pelino più vicino: della sua vita conosciamo almeno il nome. E' una "vicinanza" insensata, ma pesa in modo sconcertante.

La preferenza per Alfredino, per quanto inspiegabile, enfatizza qusto nostro egoismo di fondo. Un istinto clanico, familista. L' uomo con il nome è dei nostri, l' uomo senza nome appartiene ad un' altra tribù.

Se so che ogni esecuzione della pena capitale salverà almeno 10 vite (mi tengo basso) è insensato non tenerne conto. Ma del condannato, per quanto sia un estraneo, conosco nome e cognome; delle 10 vite che potrei salvare non conosco nulla, per quanto siano vite in carne ed ossa, sono solo vite statistiche. Questo mi fa optare per la soluzione meno ragionevole. Probabilmente sono guidato da un istinto egocentrico.

Ma più ancora dell' egoismo, pesa l' ipocrisia.

Molti non se la sentono di quantificare il valore di una vita e di affidarsi alla ragione trattando questi temi. A domanda diretta si indignano ed evitano di rispondere.

Ma è solo ipocrisia visto che tutti i giorni quantificano in denaro il valore della vita umana propria e di chi li circonda.

Se compro la Nutella anzichè donare il corrispettivo alla Lega Antitumori, è perchè, per me come per tutti, esiste un limite oltre il quale non intendo pagare per salvare delle vite umane. Per molti è atroce scoprire quale sia per loro questo limite e girano la faccia dall' altra parte con un comportamento immaturo.

Ci sono parecchi modi attraverso cui assegnamo un valore pecuniario alla nostra vita.

Nel momento in cui intraprendiamo comportamenti a rischio dietro un certo corrispettivo, è possibile per chiunque dedurre il valore pecuniario che diamo alla nostra vita biologica.

Guardiamo solo alla maggiorazione di stipendio che un camionista chiede per trasportare esplosivi. Sapremo l' ammontare dell' assegno che stacca per la sua vita. Dare a quella vita un prezzo diverso lo renderebbe infelice. Se noi impedissimo all' autotrasportatore di intraprendere il suo viaggio nonostante abbia raggiunto un accordo con il committente, costui subirebbe una vessazione.

Noi tutti diamo un prezzo in euro alla nostra vita. Se altri ce ne impongono uno diverso, la cosa non puo' che renderci infelici.

Kip Viscusi calcola che l' americano medio valuta la sua vita 7 milioni di dollari.

Gli avvocati monetizzano tutti i giorni la vita umana. Visto che sarebbe assurdo non farlo che lo si faccia in modo logico, come fa Kip Viscusi.

Dalla monetizzazione della vita traiamo preziose informazioni: per esempio, Hahn e Tetlock hanno considerato economicamente sconveniente bandire l' uso dei cellulari in auto, sebbene siano causa frequenti di incidenti mortali. I calcoli sono discutibili, molto meno la logica che ci sta sotto.

Contro egoisti e ipocriti, la monetizzazione della vita umana è un invito alla ragione e al dialogo trasparente tra le persone. I tentativi saranno opinabili ma opinare significa appunto discutere.

venerdì 6 giugno 2008