martedì 30 dicembre 2014

Violento/a

Gli antropologi ci spiegano che la violenza è sempre stata un buon metodo per risolvere i conflitti. Di sicuro il più popolare.
I violenti sopravvivevano, i pacifici soccombevano.
Presso le tribù amazzoniche che vivono oggi sul pianeta in condizioni simili ai nostri antenati, nel tempo libero non si fa altro che parlare e vantarsi di quanti nemici sono stati stroncati con la forza. Si è praticamente incapaci di pensare se non in termini di "guerra al nemico".
Sarà per questo che ancora oggi - dove la violenza si esprime in modo più obliquo - sia l' uomo che la donna conservino istinti belluini.
Ci si chiede solo dove allignino meglio, c' è chi opta per l' uomo e chi invece, salomonicamente, li vede equi-distribuiti.
Penso di appartenere al primo gruppo e cerco di illustrare le mie ragioni partendo da una considerazione presa a prestito dalla psicologia evolutiva:
  1. la violenza dell' uomo è maggiormente proiettata nell' ambito sociale;
  2. la violenza della donna è maggiormente proiettata nell' ambito personale.
Viviamo tempi in cui si denuncia la "violenza in famiglia" e questo ci fa dimenticare l' ovvio: i nostri nemici stanno soprattutto fuori dalla famiglia.
Ora, poiché i nemici per lo più stanno "là fuori", è normale che il maschio, per quanto detto prima, sia più pronto a ricorrere all' aggressione e a sviluppare nel tempo un istinto aggressivo.
Millenni di guerre e conflitti tribali - per lo più ingaggiati dagli uomini - non passano senza lasciare traccia.
Vengo all' ovvia obiezione: e tutti gli episodi di cronaca in cui "lui" strapazza "lei" all' interno di una relazione di coppia?
Sembrerebbe che la violenza dell' uomo sia preponderante anche nella dimensione più intima.
L' osservazione è imbarazzante, la mia impalcatura è in pericolo.
Vedo solo questa doppia "contromossa" difensiva: non è sempre facile distinguere tra dimensione personale e dimensione sociale. Non è nemmeno sempre facile distinguere tra violenza e violenza.
violence
Distinguere tra pubblico e privato
Faccio un esempio.
Non penso che la disistima del partner sia un vulnus insopportabile per l' uomo, almeno finché questo sentimento non assurga ad una dimensione pubblica, finché cioè non viene in qualche modo ufficializzato e reso noto a tutti, magari attraverso la minaccia di un abbandono, mossa non più occultabile e destinata inevitabilmente a condizionare il giudizio sociale sul soggetto in questione.
A questo punto "lui" reagisce, ma reagisce proprio perché si abbandona la dimensione intima per entrare in una dimensione pubblica che pregiudica il suo status.
In caso contrario, quando la disistima è circoscritta nella sfera privata, quando i panni sporchi saranno lavati in famiglia, lui troverà modo di compensare questa mancanza, per esempio grazie agli amici, o grazie all' amante, oppure anche grazie a un hobby o a qualsiasi interesse da coltivare a latere.
Al contrario, la donna è meno interessata alla sfera pubblica, lei soffre l' ostilità del partner a prescindere e questo puo' solleticare la sua aggressività indipendentemente dalla minaccia di essere lasciata.
Distinguere tra violenza e violenza
C' è poi un' altra considerazione da fare, parto dall' aspetto più generale: noi oggi non siamo meno violenti dei nostri predecessori o dei nostri fratelli dell’ Amazzonia, siamo al limite più temprati dall' esperienza, sappiamo evitare i conflitti inutili anche se la nostra aggressività è tutt'altro che sopita, e lo vediamo bene quando ci viene offerta l' opportunità di assalire un imbelle senza conseguenze per la nostra persona. Pochi si tirano indietro.
Insomma, il violento s' impratichisce e diventa più raffinato ma non si libera del suo istinto. Sarà un paradosso ma in certi ambiti la "brutalità" segnala una scarsa abitudine alla pratica violenta, almeno dal punto di vista evolutivo.
Ora, siccome la donna pratica da sempre la violenza nell' ambito delle relazioni personali, possiede oggi in questo ambito un grado di raffinatezza che l' uomo non ha e spesso capisce meglio dell' uomo quanto la violenza bruta sia controproducente per ottimizzare la sua condizione, meglio dare forme alternative alla propria aggressività.
Riferimenti bibliografici
  1. Sulla violenza come fattore evolutivo: Napoleon Chagnon: Tribù pericolose. La mia vita presso gli Yanomamo.
  2. Sulla tipizzazione della violenza maschile e femminile: Roy Baumeister, Is There Anything Good About Men?: How Cultures Flourish by Exploiting Men.
  3. Su come nel tempo si raffini la violenza: Jeffrey Pfeffer, Power: Why Some People Have It and Others Don't.
Tutto il resto sono mie congetture bisognose di verifica.