lunedì 1 dicembre 2014

Una teoria dell' arte come riciclo

DAI DINOSAURI AL PARADISO
L'istinto musicale
la musica fa appello ai nostri istinti di base, sarà per questo che i bambini non le sono affatto estranei.
Il ritmo, in particolare, si appella all'istinto del movimento. Quando sentiamo una marcia ci viene istintivo andare al passo. Il dinamismo è fondamentale per vivere su questa terra: solo i morti stanno fermi.
La melodia si appella al nostro istinto relazionale. Il bambino imita le melodie del discorso materno prima ancora che le parole. Lo avete mai sentito un bambino piccolo che simula una conversazione al cellulare? Anche la mamma, del resto, si mette in comunicazione con lui riproducendo in modo piuttosto ridicolo la linea melodica delle sue lallazioni.
L'armonia si appella invece al nostro istinto all'ordine. Sì, noi abbiamo un istinto all'ordine, anche se dallo stato delle camerette dei nostri figli non si direbbe. Eppure è così: ve ne accorgete quando guardando il cielo cercano di capire quale forma conosciuta assumano le nuvole. Le nuvole sono caotiche ma loro vorrebbero tanto vederci un ordine. Lo vogliono talmente che chiamiamo questo desiderio onnipresente “istinto”.
Potrei proseguire: il timbro soddisfa il nostro desiderio di identificare le cose. Distinguere la voce della mamma da quella del papà è importante e madre natura ci ha facilitato il compito rendendoci sensibili al timbro dei suoni.
Anche l'intensità sonora è collegata ad un istinto, quello dell'auto-identificazione. Se lo capite smetterete di chiedervi perché mai vostro figlio grida tanto: vuole solo dire "io ci sono e sono qua". Vuole dirlo anche a se stesso ricoprendo tutte le altre presenze grazie all'intensità del suo urlo di guerra. Il narcisismo preso in dosi moderate non è una patologia ma un istinto naturale che deve trovare il suo sfogo.
Conclusione: gli elementi fondamentali della musica sembrerebbero trovare una corrispondenza nella natura umana.
C'è una teoria sull'origine della musica, non so quanto attendibile, la quale nasce dall'esigenza di spiegare come mai l'uomo preistorico - un essere così vulnerabile - sia sopravvissuto in ambienti tanto ostili. Ebbene, la proto-musica sarebbe stata un mezzo per spaventare nientemeno che i dinosauri (le bestie feroci in generale).
Un'attività che richiede dinamismo (ritmo), affiatamento (melodia) e coordinamento (armonia). Poi richiede anche grandi volumi sonori nonché timbri terrorizzanti. Immaginatevi adesso un'orda di uomini esagitati che si muove in modo più o meno coordinato urlando con voci d'oltretomba. Assomigliano o no ad una grande e minacciosa bestia capace, anche solo avanzando, di mettere in fuga dinosauri di stazza notevole ma non tanto scemi da voler fare conoscenza con una "roba" tanto ripugnante?
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La musica come linguaggio abortito
Ma torniamo ai nostri giorni, forse basterebbe pensare ai giochi dell'uomo per fare un parallelo con l'attività musicale. Si inizia con i giochi ripetitivi (ritmo), si passa ai giochi di ruolo (melodia, timbro e intensità) per concludere con i giochi di regole (armonia). Se il gioco è attività naturale - e chi puo' negarlo? - allora forse lo è anche la musica.
Tuttavia, descritta così, la musica sembrerebbe un' esclusiva del bambino preda degli istinti e ancora privo di competenze linguistiche.
Il linguaggio naturale in fondo puo' spingerci a fare le stesse cose in modo ben più accurato.
Il linguaggio naturale ha la capacità di “specificare”, risponde alla domanda "quale?", domanda che lascia impotente la musica.
Il ritmo, per esempio, richiama ad un movimento. Ma quale? Il movimento del cuore? Del passo? Boh. Il linguaggio musicale ha la capacità invece di riferirsi ad un movimento specifico.
La melodia richiama una relazione. Sì, ma quale? La relazione con la mamma, con la fidanzata Giovanna? Con la moglie Sara?
L'armonia richiama ad un ordine. Ma quale ordine? Dell'universo? Del paradiso? Della cameretta? Boh.
Insomma, la musica è un linguaggio vago per cui ci si chiede perché mai non sostituirlo con un linguaggio più accurato, visto che lo possediamo.
In effetti la teoria maggioritaria sull'origine della musica è piuttosto deprimente: la musica sarebbe uno scarto evolutivo prodotto dall' uomo sulla via della ricerca linguistica.
Ecco da dove deriva la vaghezza della musica, dal fatto che è un linguaggio abortito. Lo abbiamo abbandonato per impossessarci di linguaggi più sofisticati.
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La musica come riciclo
Ma la musica in sé non l'abbiamo affatto abbandonata, è ancora felicemente tra noi e risuona nelle nostre vite, oggi più che mai. Evidentemente il linguaggio abortito di cui sopra è stato riciclato per altri fini.
Ma a che ci serve un linguaggio vago? In fondo, una certa dose di vaghezza viene conservata anche nei linguaggi naturali: o domani verrà anch'essa espulsa oppure ha una funzione sua propria. In genere si opta per questa seconda ipotesi.
Se esiste una funzione propria della vaghezza allora l'attività musicale puo' essere considerata un modo per allenarci ad espletarla.
C'è chi sostiene che la vaghezza abbia la funzione di innescare una "ricerca comune". Esempio triviale: quando sono assetato di pettegolezzi butto lì qualcosa a "chi-so-che-sa-anche-se-non-so-cosa-sa". Si tratta di un'esca vaga giusto per indirizzare il discorso visto che nemmeno io so di preciso cosa potrebbe farmi sapere l'interlocutore. Costui, magari perché pensa che io sappia già qualcosa, prende la palla al balzo e parla (o sparla). Io a mia volta non resisto e aggiungo il mio mattoncino alle informazioni parziali che lui fornisce. Risultato: grazie all' innesco della vaghezza prima eravamo due persone male informate ora siamo due persone molto più informate dei fatti.
C'è anche chi sostiene che la vaghezza serva per produrre mezze verità. Un modo per limitare i danni senza mentire apertamente compromettendo la nostra autorevolezza. Dio sa quanto sono utili le mezze verità per convivere. In questo caso la vaghezza sarebbe al servizio della coesione sociale. I secchioni che hanno studiato la teoria dei giochi sanno quanto serva al bene pubblico la cosiddetta “conoscenza comune” (gli altri vadano su wikipedia): per minimizzare i morti quando scoppia un incendio al cine nulla di più utile allo sgombero che una voce autorevole disposta a raccontare mezze verità al megafono (tipo: “tranquilli, nulla di grave, andrà tutto bene…”).
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Le funzioni della musica
Ecco allora sintetizzata una possibile funzione della vaghezza: facilitare la ricerca di gruppo e la coesione del gruppo.
Ma la musica si esercita sulla vaghezza producendosi in virtuosismi: la semplice collaborazione diventa comunione e la ricerca materiale diventa ricerca di senso, cosicché la "comune ricerca" puo’ trasformarsi in "ricerca di comunione".
In altri termini: nel linguaggio naturale le posizioni sono asimmetriche, chi parla è attivo, chi ascolta è passivo. Chi parla possiede il significato e lo comunica a chi ascolta, che si limita a riceverlo. Nel linguaggio musicale  invece l'esito finale, il significato, è come se dipendesse sia dall'attivismo di chi "parla" che da quello di chi ascolta. I due interlocutori agiscono in comunione.
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La musica è un fenomeno
Per realizzare una comunione tra persone bisogna fare appello a cio' che le lega.
Cosa hanno in comune due uomini? Direi, l'interiorità, la coscienza; qualcuno parlerebbe più propriamente di anima. In fondo è cio’ che ci distingue dagli altri animali.
Bene, per ricercare una comunione con il nostro prossimo dobbiamo entrare in simpatia con la sua anima e, per quanto detto prima, la musica ci aiuta in questo.
Importante è notare che l'anima dell'altro non puo' essere conosciuta attraverso una descrizione. Io che scrivo potrei essere un robot e non ci sarebbe nessuna descrizione oggettiva di me stesso che possa smascherare questa mia natura. E' solo vivendo con me che puoi, al limite, scoprire che non lo sono, che posseggo un'anima. E' solo grazie all'esperienza comune che puoi capire chi sono veramente.
Lo stesso vale per la musica, descriverla non serve a comprenderla, è necessario sperimentarla. Un sordo non comprenderà mai nulla della musica, anche di una musica di cui sa tutto, anche di una musica che potrebbe suonare alla perfezione. Non potendola sperimentare è impedito nella conoscenza poiché il senso profondo della musica emerge in modo indipendente dalla sua struttura, ovvero da cio’ che si può descrivere e che il sordo puo’ comprendere.
Per questi motivi la musica è un fenomeno: mentre gli oggetti sono conosciuti attraverso le descrizioni oggettive, i fenomeni sono conosciuti solo attraverso esperienza diretta.
Entrando in contatto con la musica noi sentiamo aleggiare un'anima ora gioiosa, ora ansiosa; ora in attesa, ora euforica; ora frustrata, ora speranzosa... Comunque un'anima affine alla nostra perché quella gioia è la nostra gioia, la riconosciamo evocando le nostre esperienze personali; quell'ansia è la nostra ansia, la riconosciamo evocando le nostre esperienze specifiche. Eccetera. Solo un uomo puo' avere accesso e comunicare quel sentimento di gioia, o di ansia, o di euforia, o di speranza, o di attesa.
Ecco allora che si realizza una comunione: quel solipsismo radicale che mi impedisce di provare attraverso il linguaggio naturale che non sono un robot, è vinto dalla musica. Attraverso la musica ho la prova di essere un uomo e di essere in compagnia di altri uomini.
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La musica e la bellezza
Nel momento in cui sento la mia umanità attraverso la musica, nel momento in cui attraverso l'ascolto sento la compagnia di un mio simile, nel momento in cui stabilisco questo cruciale contatto, sperimento la bellezza.
Non ci sono musiche belle, la bellezza è qualcosa che si manifesta dentro di me. La bellezza non è una proprietà dell'oggetto artistico ma un'esperienza personale: la posso vivere anche guardando un tramonto, o una ragazza.  Senz'altro ci sono musiche più funzionali a produrre queste esperienze ma anche qui avventurarsi in descrizioni oggettive sarebbe temerario visto che al mondo esistono personalità tanto diverse tra loro.
I sette autori di riferimento
Sulla musica come istinto: Edgar Willems.
Sulla musica come arma contro i dinosauri: Joseph Jordania.
Sulla musica come linguaggio abortito: Steven Pinker e Daniel Sperber.
Sulla vaghezza come specifico della musica: Vladimir Jachelevitch.
Sulla funzione della vaghezza per la ricerca comune: Bart Lippman.
Sulla funzione della vaghezza per la coesione sociale: Robert Aumann.
Sulla musica come fenomeno: Roger Scruton.
Foto

Sono del 74enne Arno Rafael Minkkinen, uno specialista della fusione uomo/natura.


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Homo Aestheticus
Da un lato ci sono gli "esteti estenuati", quelli per cui “… la bellezza non s’interroga, regna per diritto divino”. Dall’altro i “modernisti”, quelli per cui il divorzio tra arte e bellezza vanifica ogni discorso su quest’ultima. Tutti si fanno belli tacendo sulla “bellezza”, o guardando male chi ha l'impudicizia di parlarne apertamente. In queste condizioni non è facile essere propositivi sull'argomento, ci vuole un bel coraggio per prendere la parola.
Spero che nessuno si offenda se provo ugualmente a porre 15 domande in merito e a selezionare le risposte che più mi hanno convinto.
  1. Come posso identificare (e valutare) la bellezza artistica? Un buon metodo consiste nel chiedersi se l'opera adempie in modo soddisfacente alla sua funzione.
  2. Grazie, ma il problema si è solo spostato: come posso identificare la funzione dell'opera artistica? Un buon metodo consiste nel chiedersi qual è la sua origine.
  3. Grazie ancora, ma il problema ha solo fatto un ulteriore passettino più in là restando intatto: come posso identificare l'origine dell'attività artistica? Non si è spostato invano visto che qui è già più agevole formulare delle ipotesi. La più attendibile vede l'attività artistica come un riciclo dei linguaggi scartati nel corso di quel processo evolutivo che ha poi selezionato i linguaggi naturali impiegati oggi dall'uomo.
  4. E perchè mai dovremmo "riciclare" dei materiali linguistici di scarto? Poiché  trattasi di linguaggi lacunosi causa la loro approssimazione, rappresentano una palestra ideale per chi intende dedicarsi ad "esercizi di vaghezza".
  5. Non capisco proprio perchè mai l'uomo dovrebbe sentire la necessetà di applicarsi a questo genere di esercizi. Allora? Perchè la vaghezza, per quanto una sua presenza eccessiva deteriori la comunicazione, conserva pur sempre una funzione cruciale positiva anche nei linguaggi più sofisticati. Dominarla è un'abilità importante per colui che comunica.
  6. E qual è la funzione della vaghezza nei linguaggi naturali? Qui viene la parte difficile, una risposta sintetica è impossibile, mi limito a dire che la funzione è duplice (e ce la spiegano nel dettaglio i teorici dei giochi):1) corrobora la ricerca collettiva della verità e 2) consolida la coesione del gruppo. Ricerca e comunione.
  7. L'opera riuscita è dunque l'opera che scopre una verità? L'emersione della bellezza richiede "ricerca" più che "scoperta". Richiede una ricerca infinita, un viaggio da scoperta in scoperta: non si risponde a quiz ma a domande esistenziali inesauribili del tipo: "chi sono io?".
  8. Cos'è allora l'arte? Una ricerca di se stessi (ricerca identitaria) attraverso l'incontro con l'altro, ovvero l'artista.
  9. E la bellezza? L'esperienza di chi vive questo evento. Attenzione, la bellezza è dunque un'esperienza umana più che una proprietà formale dell'oggetto artistico.
  10. Ma queste considerazioni come si concretizzano, quali possono essere dei criteri specifici di giudizio? Qui posso solo fare congetture, non chiedermi di andare oltre. Io, per esempio, do un certo peso a tre elementi: ambiguità dell’opera, originalità e contaminazione.
  11. Perché l’ambiguità? Perché, come dicevo, è lo “specifico” del linguaggio artistico: l’opera non deve lasciarsi “fermare” da un’etichetta, deve invece sgusciare via e rinascere continuamente grazie alla sua vaghezza.
  12. Perché la novità? C’è un legame col punto precedente: se un’opera sfugge alle classificazioni si mantiene sempre fresca e nuova, cosicché quest’ultimo elemento diventa un sintomo della sua forza espressiva. Ma c’è un motivo ancora più importante: poiché l'esperienza artistica è un'esperienza essenzialmente identitaria - aderendo ad un'opera vogliamo dire “chi siamo” - e poiché ci riteniamo "unici", cercheremo nell'opera qualcosa di "unico", ovvero di "nuovo". Cio' che è vecchio e risaputo ci respinge poiché saremmo chiamati ad aderire a cio' a cui hanno già aderito le generazioni passate mentre il processo identitario ci chiede uno smarcamento e una distinzione. La bellezza "inaugura", questo elementare fenomeno è macroscopico nelle esperienze estetiche più "basse", guarda solo alle classifiche dei dischi o dei libri, se la gente cercasse semplicemente "buona musica" o "buona letteratura" sarebbe assurda la netta prevalenza della novità. Guarda poi alla scuola: difficile sperimentare il bello quando, nel tempio dell'ortodossia consolidata, ti vengono proposte opere col "visto" ufficiale allegato. Ecco, questi sono solo esempi macroscopici (con tutte le eccezioni del caso), quello che mi interessa chiarire è l'interazione tra opera e fruitore: un processo che si realizza a tutti i livelli, sia "bassi" che "alti".
  13. E perché la contaminazione? Perché la novità prende corpo per lo più con accostamenti inediti.
  14. Quindi cos'è un capolavoro, chi è un grande artista? Chi inaugura una genealogia, chi fa una proposta originale e fertile, una proposta in grado di produrre un seguito nella storia e ispirazioni a catena.
  15. L'arte ha il monopolio della bellezza? No, poiché la bellezza è un' "esperienza" e non una "forma" particolare, noi possiamo provarla anche ammirando lo spettacolo della natura, per esempio. Ci sono poi alcune esperienze molto vicine all'esperienza estetica, quella religiosa, per esempio: arte e religione sono amiche da sempre, qualcuno arriva a dire che sono due facce della stessa medaglia. Da quanto detto si evince anche che la bellezza non esiste senza un uomo che la esperisca: uno spettacolo naturale, quindi, non potrà mai essere definito "bello" senza l'ammirazione dell'uomo che lo contempla, esattamente come il crocifisso cessa di essere sacro con l'estinzione degli adoratori.
  16. bellezz






Una teoria in otto punti.
  1. Il linguaggio artistico ricicla uno scarto dell' evoluzione linguistica.
  2. Da 1 deriva lo specifico del linguaggio artistico: la vaghezza.
  3. La vaghezza linguistica conserva nei linguaggi sofisticati una funzione di ricerca.
  4. La vaghezza linguistica conserva nei linguaggi sofisticati una funzione di legame sociale.
  5. Da 3 e 4 ricavo il fine dell' arte: verità (ricerca) e comunione (legame).
  6. Una ricerca infinita (pura) è possibile solo se l' oggetto  è infinito (spirituale).
  7. Una comunione è possibile solo tra coscienze.
  8. Da 6 e 7 deduco che il bello è un' esperienza cosciente (non una proprietà dell' opera) e l' opera un fenomeno che ci sta di fronte (non un oggetto che esiste in sé).
art1
1. 
Si tratta di un' ipotesi dibattuta ma che trova il sostegno di molti studiosi. Prendiamo la musica vista dall’ evoluzionista:
"… la musica per l’ uomo non ha nessuna utilità vitale… non mostra segni di avere alcuna attinenza con lo scopo di una lunga vita… non aiuta ad incrementare la prole o a sopravvivere rendendoci più predittivi circa la realtà… Rispetto al linguaggio naturale, al coordinamento motorio, alla razionalità sociale e alle proprietà visive, la musica potrebbe scomparire domani senza conseguenze per la specie umana, il nostro stile di vita non cambierebbe… La musica non ha alcun ruolo nella sopravvivenza della specie… Dal punto di vista evoluzionistico la musica è come un parassita…”
2. 
Data l' origine spuria, è logico attendersi che l' arte adempia in modo imperfetto la sua funzione linguistica. Ancora sulla musica:
"... La musica ha le spalle larghe! Con essa tutto quanto appare è plausibile: le ideologie più fantastiche, le ermeneutiche più insondabili… Chi mai ci smentirà?... La musica è ineffabile e vaga nello stabilire un senso..."
art2
3. 
Ma la vaghezza non è solo lacuna, conserva una sua funzione anche nei linguaggi più sofisticati.
Un primo esempio:
"... Immagina di chiedere a qualcuno di prenderti il "libro blu" nell' altra stanza e immagina che tra voi esista un leggero sfasamento percettivo sul colore blu. Se alla parola "blu" corrispondesse una descrizione precisa, allora il tuo aiutante cercherebbe il libro secondo i suoi parametri percettivi e non trovandolo dovrebbe a quel punto procedere a caso con scarse possibilità di successo... Se invece "blu" è definito in modo vago, il tuo aiutante, pur non trovando il libro cercato, potrebbe comunque restringere la sua ricerca ulteriore aumentando l possibilità di successo rispetto al caso precedente..."
Morale: un linguaggio vago puo' facilitare la ricerca in condizioni d' incertezza.
4. 
Altra funzione, altro esempio.
"Pensiamo ad un caso di questo genere. Se la situazione finanziaria peggiora (per esempio se viene approvata una manovra pessima), a tutti conviene mettere in atto comportamenti (per esempio, la svendita di BOT e BTP) che provocano la catastrofe economica planetaria, o perlomeno europea, o italiana. Insomma, qualcosa di brutto e indesiderabile. Non si può farne una colpa, nessuno di noi è un cattivo speculatore con cappello a bombetta: stiamo cercando di salvare i nostri risparmi. È un problema di coordinamento: quando la manovra fa schifo, se tutti svendono, conviene svendere anche a me, ma se nessuno svende, meglio tenersi i BOT. Se la manovra fosse buona, allora non converrebbe mai svendere.
Tutti sanno che la manovra fa schifo, ma non sanno che gli altri lo sanno. Se gli altri non lo sanno, non svendono i BOT. Dunque neanche a me conviene svendere. Io non so che gli altri lo sanno, né loro sanno che io lo so, quindi anche loro si comporteranno allo stesso modo. Ma se Draghi - un' autorità AFFIDABILE deputata anche a salvaguardare il BENE COMUNE -  annuncia "la manovra fa schifo", cambia tutto. Ora so che gli altri lo sanno, e loro sanno che io lo so, e so che sanno che io lo so... e così via all'infinito. Si crea quello che in gergo definiamo "common knowledge". La conseguenza è che tutti svendiamo e il mondo crolla.
Al contrario, quando Draghi dice che la manovra è un "importante passo avanti" [ESPRESSIONE VAGA PROVENIENTE DA PERSONA  AUTOREVOLE], questo non ha alcuna conseguenza indesiderata anche se sappiamo che Draghi è un bravo economista e sta mascherando la verità. Nemmeno se lo sanno tutti, che Draghi è reticente. Perché non so che gli altri sanno che sta mentendo. Questa asimmetria deriva dall'asimmetria iniziale sulle conoscenze: tutti sanno che la manovra fa schifo. Una frase di Draghi che va nello stesso senso crea common knowledge. Una frase in senso contrario, invece, aumenta l'incertezza e consolida la decisione iniziale di attendere avvenimenti chiarificatori.
Come avrete capito, l'argomentazione tiene senza assumere che esistano delle incertezze sulla bontà della manovra. In pratica, le affermazioni da parte delle AUTORITA' servono anche a spostare le credenze degli incerti, riducendo la probabilità che avvenga il patatrac. È un gioco delicato fra la convenienza, nel breve periodo, a calmare i mercati, e quella, nel lungo, a mantenere una reputazione di competenza e veridicità che deve essere usata nei momenti critici...."
La vaghezza è quindi funzionale a cogliere un duplice obbiettivo: 1) dire una bugia a fin di bene e 2) non mentire spudoratamente giocandosi quell' autorevolezza tanto preziosa per il bene comune.
art3
5. 
Se il fine della ricerca è la scoperta di una verità e il legame più profondo implica una comunione, allora il linguaggio vago diventa sofisticato quando mira ad "unire nella verità".
art4
6. 
Una ricerca pura è infinita ma una ricerca del genere necessita di avere un oggetto infinito, purtroppo la realtà materiale è finita.  Non restano che le realtà spirituali.
Ancora un esempio sulla musica.
"... sono persuaso che i suoni non siano proprietà ma eventi... che il suono sia un' esperienza da vivere e non un' oggetto da descrivere... che le persone sorde, per quanto intelligenti, non potranno mai sapere cosa sono i suoni... che abbiano poco a che vedere con la loro origine... che il loro scopo non sia quello di informarci della vibrazioni (o delle note) che stanno all' origine della loro presenza... che possono essere ascoltati separatamente da cio' che li ha prodotti... che sono "oggetti secondari"... che sono meglio spiegati da una psicologia gestalt... che un computer del futuro potrà anche comporre musica sofisticata ma non potrà mai ascoltarla perché produrre e capire i suoni sono cose distinte... che comprendere la musica significa associare e fondere un' esperienza di ascolto con un' esperienza di vita... facendole incontrare in una dimensione interiore che possiamo ben definire  "spirituale"..."
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7. 
Classico esempio di solipsismo:
"... potremmo degli stessi oggetti non avere le stesse sensazioni, per esempio vederli con lo stesso colore, ma nonostante questo potremmo comunque concordare, cioè trovare coerenti, lo stesso le diverse sensazioni credendo che siano identiche. Se guardo il sole e affermo che "Il sole è giallo", e lo indico, non posso sincerarmi che il mio interlocutore lo veda giallo come me, magari lo vede di un colore che io chiamerei blu, ma concorda lo stesso nel chiamarlo giallo, perché per egli quello è il nome del colore che al sole ha dato..."
Ebbene, la comunione è un atto che sconfigge la barriera solipsistica e ci fa dire (per esempio): capisco il tuo dolore.
Per avere comunione tra individui, occorrono innanzitutto degli individui. L' artista realizza la sua identità tramite lo stile.
art6
8. 
Se l' uomo non esistesse la bellezza cesserebbe di esistere, anche se continuerebbero ad esistere le cose che chiamiamo belle.
CITAZIONI
PUNTO 1: potpourri di Steven PinkerDaniel Sperber e John Barrow.
PUNTO 2: Vladimir Jachelevitch.
PUNTO 3: Bart Lippman.
PUNTO 4: Andrea Moro
PUNTO 6: Roger Scruton
PUNTO 7: Moritz Schlick
ILLUSTRAZIONE
Federico Uribe: tappeti assemblati con componenti di pc.
NOTA
 Qui per altri corollari e aggiunte postume.

ARTICOLO 2

Dove sta il bello nella musica?
Ardua domanda. Urge sdrammatizzare immediatamente.
kivy
No, quella roba qua sopra non è un’ opera d arte, e nemmeno la simboleggia. È un disegnino che ho fatto personalmente in soggiorno cinque minuti fa.
Nonostante la sua rozzezza serve alla bisogna poichè mi serve un’analogia e non un esempio.
Dunque, punto primo: per apprezzare una musica bisogna dapprima coglierne il senso.
Se il linguaggio della musica fosse un linguaggio naturale tra i tanti il percorso per giungere a questo risultato sarebbe noto. Uno si mette lì di buzzo buono e comincia a studiare la grammatica e il lessico. Ma purtroppo le cose non stanno così, il linguaggio della musica è un linguaggio sui generis.
In che senso “sui generis”? E qui parto con le analogie.
Torniamo allora al disegnino di cui sopra. Qual è il suo senso? A cosa rinvia?
Risposta ingenua: rinvia ad una ragazza o qualcosa del genere!
Sbagliato. Rinvia a “Sara”.
Chi ci fa caso lo vede piuttosto chiaramente, c'è scritto!: le "s" non sono altro che i capelli e le braccia, il volto sorridente con gli occhi forma poi delle "a", e infine il corpo con le gambe non è altro che una grande "r".
Altra domanda: che doti bisogna avere per realizzare il disegnino?
Bè, bisogna conoscere l' anatomia di una donnina e saperla poi riprodurre sulla carta con un pennarello.
Che doti bisogna avere per comprendere il disegnino? Bisogna essenzialmente conoscere le lettere dell’ alfabeto.
Ma soprattutto bisogna avere l’ immaginazione sufficiente per scovarle nel disegnino e metterle in fila affinché acquistino un senso compiuto.
Ecco, lo scambio musicale funziona all'incirca così: da una parte c’ è un tale che conosce a menadito le donnine e le sa disegnare, dall’ altra un tipo che le guarda in caccia di lettere e parole dal senso compiuto.
L’ immaginazione è la facoltá fondamentale su cui far leva per compiere per benino tutto il fondamentale lavoro “trasformativo”.
Fuor di analogia: "donnine, "lettere" e "parole" sarebbero concetti da sostituire con "strutture formali", "emozioni", "stati d'animo", eccetera,  eccetera.
Concludo con quattro osservazioni in parte rilevanti per la discussione partita in seguito al post del sette.
Prima osservazione. Se guardo il disegno vedo una donnina anche se non volessi farlo. Per vedere le lettere invece devo sforzarmi.
Per questo i filosofi, a proposito della musica, parlano di "oggetto intenzionale": il bello non viene da te, devi stanarlo tu con la volontá e l’immaginazione.
Seconda osservazione: per scovare le lettere non è fondamentale saper disegnare le donnine, così come per saper disegnare le donnine non è fondamentale conoscere le lettere.
Per questo i filosofi, a proposito del musicista, parlano di intentional fallacy: puoi essere anche un insensibile ottuso che ha ben poco da dire sul senso della sua opera e restare ciononostante un notevole artista.
Terza osservazione. Il bello non è né rappresentato né contenuto nella musica ma emerge grazie al lavoro immaginativo dell'ascoltatore.
Per questo gli psicologi trattano l'esperienza musicale con gli strumenti messi a disposizione dalla psicologia gestaltica piuttosto che con quelli tipici del cognitivismo.
Quarta osservazione. Per quanto l' esperienza soggettiva dell'ascolto sia essenziale per realizzare la bellezza di una musica, nulla si ricava da queste considerazioni circa la natura oggettiva del giudizio estetico.
Anche qui mi spiego con un'analogia: i numeri. I filosofi considerano "i numeri" concetti che emergono nell' interiorità dell'uomo senza per questo negare necessariamente la loro natura oggettiva.
Bibliografia:
Un classico contro questa impostazione: “Il bello musicale” di Eduard Hanslick.
Un classico che appoggia questa impostazione: “Estetica come scienza dell'espressione” di Benedetto Croce.
Un contemporaneo contro questa impostazione: “Filosofia della musica. Un'introduzione” di Peter Kivy.
Un contemporaneo che appoggia questa interpretazione: “Comprendere la musica. Filosofia e interpretazione” di Roger Scruton.
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=cB46mn8Exd8]
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***NELLA CAMERETTA DI SILVIA
Non c’è niente da ridere, in questo post vorrei occuparmi di un argomento serio: le condizioni necessarie per vivere un’esperienza estetica. Ma cerchiamo subito di “sdrammatizzare”.
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Facciamo il caso di una ragazzina un po' tamarra e priva di ogni cognizione musicale che dalla sua cameretta nelle case popolari della periferia milanese ascolti sullo stereo "Silvia" di Vasco Rossi.
Compie un'esperienza estetica autentica?
Per certo non lo sapremo mai poiché l'esperienza è qualcosa di interiore, non visibile ad occhio nudo e non misurabile col metro. Tuttavia, possiamo osservarla da vicino per trarne degli indizi. Poniamo di aver messo una “cimice” nella sua cameretta e di poterla intercettare mentre parlotta tra sè e sè (ha questo vizietto).
Dopo l'ascolto dice: "bellissima canzone, mi ha emozionato un casino".
Poi, nel suo gergo tamarro, dice qualcosa che io tradurrei  così: "mi ha proprio toccata sul vivo, sento che parla di me, ha colto la mia natura più intima, mi ha fatto rivivere qualcosa di profondo che mi riguarda vicino, allora forse esisto anch'io!, evvai!"
Infine aggiunge: "Vasco, sei grande, mi conosci meglio di quanto io conosco me stessa, con canzoni come questa sai raccontarmi come io non saprei mai fare, grazie di esistere, mi viene da piangere dalla gioia, adesso esco di qui e spacco tutto".
Nel dire e pensare tutto questo è sinceramente commossa, piange di felicità, si sente compresa e parte di una comunità più vasta.
Ora, perché dovrei negare statuto di esperienza estetica a quanto è avvenuto in quella cameretta? In fondo quella ragazza ha in testa e dice proprio quel che, secondo me, dovrebbe dire un critico raffinato davanti ad una bella musica che lo entusiasma. Senz’altro quest’ultimo scenderà in particolari in grado di esaltare la sua perizia, ma la sostanza è quella. 
Stando quindi alle parole della protagonista ricorrono tutti gli elementi  per dire che ha sperimentato l'azione reale del bello su di sé: le sue reazioni sono sincere e tipiche.
Una teoria estetica che negasse tutto cio' sarebbe come minimo astrusa, qualsiasi persona di buon senso la evita se puo’.
  [youtube https://www.youtube.com/watch?v=TwZXs62fTfM]

p.s. siccome queste considerazioni sono ispirate da una discussione con Davide, ci tengo a far notare che una pera di eroina fa tutt'altro effetto e suscita reazioni ben diverse.
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Vale di più una sinfonia di Beethoven o dieci canzoni dei Beatles?

Ardua domanda, tralasciamo la risposta finale per concentrarci sul metodo più adeguato da seguire per giungervi.
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Urge analogia: quanto vale una tratta da 100 euro?
La tratta ha un valore potenziale, una probabilità d'incasso (che dipende da chi è il nostro debitore)   e un valore reale.
Poniamo che il debitore sia Wanna Marchi e la  probabilità d'incasso sia solo del 20%.
Il valore potenziale della tratta è 100 ma quello reale è 20.
Cerchiamo ora di identificare questi tre valori nel caso che ci interessa.
Per farlo immaginiamo che esista l'ascoltatore onnisciente, una figura immaginaria ma facilmente concepibile. Un tale che conosce tutto di tutto e ha fatto tutte le esperienze passate e futuribili che un uomo può fare.
Costui potrebbe dirci che il pacchetto di canzoni beatlesiane vale 50 e la sinfonia vale 80.
Ora sappiamo la bellezza potenziale delle opere ma qual è la loro bellezza reale?
Bisogna stabilire una "percentuale di realizzazione" e questa dipende necessariamente dal pubblico del momento in cui avviene la valutazione e dai condizionamenti storico-sociologici che riceve dall'ambiente in cui è immerso.
Nel nostro periodo storico ipotizziamo che la "percentuale di realizzazione" del pacchetto di canzoni sia 80% mentre quella della sinfonia sia  50%.
Se ne deduce che la bellezza reale delle canzoni uguaglia quella della sinfonia, entrambe le opere possiedono una bellezza reale pari a 40.
Sia le canzoni dei Beatles che la sinfonia di Beethoven (qui ed ora) liberano la stessa bellezza.
Questa conclusione tiene conto sia di elementi oggettivi (la bellezza potenziale) che da elementi soggettivi (il pubblico).
Come aumentare la bellezza presente sulla terra?
Qualcuno preferisce agire socialmente: plasmiamo la mente del pubblico in modo da alzare la % di di realizzazione delle musiche a più alto potenziale. Altri preferiscono agire artisticamente: realizziamo nuovi prodotti con la bellezza reale più elevata possibile.
Il secondo approccio è quello tipico delle società commerciali (dove la domanda comanda e l'offerta si adegua). E' anche il mio preferito: la manipolabilità delle menti mi lascia sempre scettico, anche quando raggiunge qualche risultato parziale o si nasconde dietro parole più rispettabili come "educazione" o "istruzione".
P.S. nel mio resoconto do per scontate alcune cose ma in particolare una premessa problematica che non tutti accettano: la bellezza non è una proprietà dell'oggetto artistico ma un'esperienza interiore di chi fruisce dell’opera.


**************************** APPENDICE ***********************

SOMMARIO

L' arte ricicla un linguaggio abortito sulla via dell' evoluzione, un linguaggio in embrione, un linguaggio vago. La vaghezza linguistica serve a facilitare la ricerca e il legame comunitario. Per avere una ricerca infinita occorrono realtà spirituali, per avere un legame profondo occorrono delle coscienze. Poichè l' arte tocca le coscienze, l' oggetto artistico (descrizione) passa in secondo piano a favore del fenomeno artistico (esperienza). La bellezza è un' esperienza intima: ci dice chi siamo e ci lega al suo autore.

SVOLGIMENTO


Questo post ha un duplice obbiettivo:

1) abbozzare una “filosofia dell’ arte”, ovvero rispondere alla domanda “cos’ è l’ arte?”

2) abbozzare a una filosofia estetica, ovvero rispondere alla domanda “cos’ è la bellezza?”.

I pensatori contemporanei più influenti si limitano ormai solo alla prima domanda ma io penso che il duplice obbiettivo non possa essere scisso poiché quando si tenta di perseguire il primo isolatamente si arriva sempre a un punto in cui l’ arte viene definita come X + Y + Z + … + B. Dove B sta per bellezza, un concetto che richiama l’ estetica. Purtroppo, una formula senza B non è in grado di distingue l’ arte da altre operazioni ordinarie.

Per cominciare mi avvalgo del concetto di arte che hanno molti psicologi evoluzionisti: l’ arte è un linguaggio abortito. L’ arte è un prodotto di scarto del lungo lavorio di affinamento che ha portato alla formazione evolutiva del linguaggio.

L’ arte, dunque, più che un linguaggio è il rudere di un linguaggio, e le sue mille lacune emergono dalla vaghezza che contraddistingue questo significante.

Come linguaggio l’ arte non ha dignità, ma l’ uomo ha pensato bene di riciclare questo rudere per altri fini.

D’ altronde la vaghezza del linguaggio è presente anche nel linguaggio ordinario, e non sempre in forma di lacuna. Molti si sono chiesti perché un linguaggio avanzato non opti sempre per la precisione? La vaghezza ha due funzioni:

1) la prima è una funzione di ricerca: grazie alla vaghezza si crea una collaborazione fruttuosa nella ricerca della verità. Pensate solo a un robot in grado solo di dare interpretazioni precise di quanto ascolta. Se chiedessi a una tale macchina di prendermi le scarpe “marroni”, lei tradurrebbe secondo i suoi precisi protocolli il termine “marrone”, e una volta constatato che scarpe del genere non esistono nella scarpiera, procederebbe a tentoni senza indicazioni di sorta. Chi condivide invece con noi un linguaggio vago avrebbe comunque delle indicazioni sulle mie preferenze al fine di ovviare alla richiesta imprecisa in modo sensato. L' autore che più ha approfondito questo aspetto è Bart Lippman.

2) la seconda è una funzione sociale: il legame sociale richiede di coniugare autorità e reticenza. L’ ipocrisia è un collante sociale di prim’ ordine, anche per questo le “alte istituzioni” ne fanno largo uso. Sentiamo il discorso di fine anno del Presidente a reti unificati, sappiamo di essere di fronte a prosopopea ma ne usciamo motivati e incoraggiati. Le profezie non si autorealizzerebbero senza una lettura dei fatti distorta da lenti rosa. La vaga reticenza qui è centrale, se fossimo di fronte a mere “balle” il Presidente sarebbe liquidato come un mero mentitore e perderebbe tutta la sua autorevolezza. Per approfondire questo aspetto basta un semplice manuale di teoria dei giochi.

L’ arte è dunque essenzialmente “arte del discorso vago”. In essa si esaltano le due funzioni viste sopra.

Vediamo come questa prima considerazione ci aiuta a fissare alcuni punti topici intorno ai quali ferve la discussione dei filosofi dell’ arte contemporanei.

  1. L’ “intentional fallacy” (l' autore non ha un ruolo centrale nell' interpretazione dell' opera) va riabilitata: il segnale vago trova il suo compimento lontano da chi lo produce e in modo indipendente da chi lo produce. IF indica l’ irrilevanza delle opinioni dell’ autore circa l’ opera. Il caso della precocità illumina: Mendelssohn o Mozart erano pienamente coscienti della loro opera precoce?
  2. L' approccio “gestalt” va riabilitato contro isomorfismo e simbolismo perché evidenzia bene l' ambiguità di fondo dell' opera d' arte come oggetto in cui percepiamo due cose diverse contemporaneamente, come se fossero una nell' altra. Ascoltando una frase musicale noi percepiamo distintamente un movimento laddove non esiste nessun movimento nei suoni prodotti. Evidentemente il movimento è "nei" suoni ed intuito dalla nostra interiorità.
  3. Il relativismo estetico va scartato: se l’ arte viene definita X+Y+B dove B è la bellezza, allora bisognerà avere un criterio di bellezza e rinunciare così al relativismo. D' altronde è stata dimostrata la compatibilità tra teoria anti realista e assolutismo estetico.
  4. Realismo o anti-realismo? Trovo più convincente la seconda opzione. Premessa: entrambe le posizioni si sposano con l' oggettivismo. E' anche vero che oggettivismo e realismo è l' accoppiata vincente: se un' opera mi appare bella, allora la sua bellezza è qualcosa di reale che posso descrivere. Molti pongono l' estetica in parallelo con l' etica facendo notare il realismo di quest' ultima: se un' azione mi pare buona, allora la sua bontà è qualcosa di reale che possono descrivere. In realtà, però, il buon senso sembra spingerci verso un' asimmetria tra etica ed estetica. L' etica si occupa dei valori umani mentre l' estetica delle emozioni umane. Ma anche la psicologia si occupa delle emozioni umane descrivendole puntualmente (realismo), eppure non potrebbero esistere due discipline che si occupano dello stesso oggetto. L' arte deve quindi differenziarsi da approcci concorrenti, esigenza che l' etica non ha. Lo fa allora rinunciando alla "descrizione" in favore dell' "espressione". L' arte non descrive emozioni ma le esprime. L' espressione ci parla di cio' che sfugge alla psicologia e a qualsiasi approccio descrittivo. L' espressione fa appello a un' esperienza interiore di emozioni da condividere: il sentimento della bellezza emerge quindi dentro di noi (anti-realismo) in una condivisione sincera. Essendo un' esperienza cessa di essere un attributo reale dell' opera d' arte. Senza una "destinazione" umana, il bello non esisterebbe.
  5. La ragione ha una sua parte nel giudizio valutativo: dove c’ è oggettività, c’ è ragione.

***

Veniamo ora a trattare più da vicino la parte più delicata,  ovvero il tema della bellezza.

  1. Il lavoro artistico non puo’ prescindere da delle abilità specifiche. Anche Duchamp, in fondo, aveva un’ abilità sua propria: fare le cose giuste al posto giusto e al momento giusto. Forse questo non lo rendeva un pittore ma lo rendeva un artista, malgré soi.
  2. L’ abilità dell’ artista è “caratteristica” e si chiama stile. Lo stile 1) consente di produrre un linguaggio vago poiché indica in modo trasversale e 2) consente di produrre un linguaggio personale. Il virtuosismo è abilità senza stile. La bellezza richiede una "personalizzazione",  ha dunque una relazione con il singolo. La comunicazione ha bisogno di individui per realizzarsi. L’ arte relaziona le coscienze (autore/fruitore), quindi agisce su singole realtà spirituali (vedi sotto).
  3. Poiché le abilità stilistiche sono extraconcettuali, l’ artista non potrà mai essere considerato filosofo.
  4. L' arte è rappresentazione o espressione? Poiché l' arte ha un significato viene facile considerarla una rappresentazione, tuttavia il suo significato, diversamente dalle altre rappresentazioni, è difficilmente traducibile e cio' instilla molti dubbi. Per contro, Croce considerava l' opera come espressione intuitiva dell' autore; in effetti l' elemento umano sembra imprescindibile per avere un' opera d' arte, tuttavia 1) l' intentionally fallacy non sarebbe tanto manifesta se davvero le cose stessero in questi termini e 2) dire che il significato dell' opera è racchiuso nell' intuizione dell' autore nulla ci dice del significato stesso. Bisogna mediare tra queste due posizioni: l' opera ha dei suoi significati e la natura espressiva dell' opera stessa è fondamentale per definirli in modo non arbitrario, tuttavia è fondamentale che il fruitore interiorizzi i contenuti espressi nell' opera legandoli ad esperienze personali, solo in questo modo "comprende" l' arte con cui entra in contatto.
  5. C' è chi dice che nel caso dell' arte il verbo "esprimere" dovrebbe essere usato in modo intransitivo. Ma una simile prudenza è eccessiva, basta precisare che la specificazione di cio' che viene espresso avviene nell' interiorità di ciascun fruitore. Se l' autore esprime un dolore, puo' essere compreso solo connettendo la sua opera a cio' di indicibile di cui abbiamo fatto esperienza in circostanze dolorose, ma una simile connessione non si realizzerebbe mai se l' espressione fosse solo intransitiva.
  6. Il problema del significato dell' opera non è posto dalla domanda "qual è il significato di questa musica?" ma piuttosto dalla domanda "ha senso collegare questa musica a questa mia esperienza umana?".
  7. Il formalismo à la Hanslick sembra insufficiente a dar conto della bellezza musicale: proibisce con vigore l' uso di metafore ma poi le adotta lui stesso anche se appena meno specifiche. Perché, per esempio, vietare la metafora cardiaca ma consentire la metafora della pulsione quando la musica che si esamina non è né un cuore né una presenza pulsante. Forse che la metafora "gestalt" cessa di essere metaforica? Altri formalisti in passato sono caduti nella medesima contraddizione, evidentemente c' è qualcosa che non và nel formalismo: alle metafore che legano arte e vita non si puo' e non si deve rinunciare poiché la musica assume senso proprio avvicinando l' esperienza dell' ascolto alle esperienze vitali.
  8. Per comprendere l' arte occorre comprendere le logiche del linguaggio metaforico. Il linguaggio metaforico non ha lo scopo di descrivere ma quello di connettere le cose coinvolgendo l' umanità di chi parla e di chi ascolta.
  9. Bisogna intendersi meglio sull' oggetto di cui ci occupiamo (suono, immagine...). Esiste una distinzione importante tra oggetti e fenomeni. L' oggetto ha una sua fisicità e le sue proprietà possono essere ben rese attraverso descrizioni fisiche. Il fenomeno è inestricabilmente legato alla coscienza umana e non puo' essere penetrato in assenza di essa. Per esempio, il suono è da molti ritenuto un fenomeno poiché il sordo non puo' comprenderlo appieno, non puo' capire di cosa si parla quando si parla di suono, per quanto comprenda perfettamente il resoconto oggettivo che lo descrive in termini di vibrazioni frequenziali di un oggetto. Ebbene, questa interpretazione del suono mi sembra la più appropriata.
  10. Contro la visione materialista, il suono/evento è dunque sganciato dalla fonte che lo produce. Cio' si ripercuote sull' epistemologia dell' opera d' arte. In questo senso viene accantonata l' impostazione "produttivista": per la comprensione dell' arte non è strettamente necessario comprendere appieno le modalità di realizzazione della stessa. In altri termini: l' esecutore (musicista, pittore, cineasta, scrittore...) non possiede particolari privilegi per comprendere l' opera (sinfonia, romanzo, tela...) che esegue. Insomma: in teoria potrebbe esistere un computer che compone musica di alto livello attraverso un software (e oggi roba del genere comincia a spuntare) ma non potrà mai esistere un computer che ascolta e comprende la musica, questo deve dirci qualcosa su cosa debba intendersi per "comprendere" l' arte.
  11. Capire la musica significa assegnarle un significato non arbitrario che la connetta con qualcosa di rilevante appartenente alla nostra esperienza emotiva più profonda. Questa stessa connessione è essa stessa un' esperienza. La bellezza non è una proprietà dell' oggetto ma emerge da un' esperienza che il contatto con quell' oggetto ci facilità.
  12. Il riferimento dell' arte risiede nel mondo emotivo dell' uomo e il fine ultimo dell’ arte è spirituale: la vaghezza innesca una ricerca di significati ma questa ricerca deve essere infinita e non arbitraria affinché i termini da cui parte possano essere definiti autenticamente vaghi. In caso contrario saremmo di fronte a termini complessi ma precisi. Le uniche realtà che richiedono una ricerca infinita sono le realtà spirituali.
  13. Dal combinato disposto dei punti precedenti emerge che l’ arte si riferisce a realtà astratte: lo spirito è reale e non materiale. Ogni forma di nominalismo va abbandonata.
  14. L' originalità, essendo così legata allo stile e quindi ad una persona e ad una coscienza, è strettamente legata anche al bello.
  15. L'originalità. Torniamo per un attimo alla funzione dell'arte: l'arte serve a farci scoprire chi siamo (verità) attraverso l'incontro (comunione) col genio dell'artista, ovvero colui che esprime cio' che abbiamo nel cuore. Ebbene, siccome riteniamo che la nostra personalità sia unica, anche l'arte che sentiamo nostra dovrebbe essere originale e nuova. Il novo evita l'appiattimento sul vecchio, ovvero su cio' che è stato approvato dalle generazioni passate. Attraverso il contatto con l'arte noi costruiamo la nostra personalità ed è difficile farlo assimilandoci con le generazioni passate, dobbiamo prendere le distanze dall'altro per scoprire chi siamo noi.
  16. La contaminazione. Tecnicamente l'originalità si realizza accostando materiale eterogeneo in abbinamenti singolari. Per questo che la contaminazione tra i generi è così importante nella produzione di bellezza.
  17. La contaminazione produce ambiguità e favorisce l' emergere della bellezza. Le arti di genere sono arti secondarie che antepongono i codici alla vaghezza. In merito nota la distinzione tra arte di genere e arte d'autore; la seconda è definita in negativo, come qualcosa che si nobilita sfuggendo all' etichetta e rifugiandosi nel mero stile.
  18. La bellezza non emerge da proprietà dell' oggetto ma è piuttosto  un’ esperienza. Noi facciamo esperienza del bello. Questa esperienza consiste in una ricerca infinita di significato interiore, una ricerca che il fruitore compie in collaborazione e sotto la guida dell’ autore. L’ arte che riesce ad innescare e a rendere particolarmente ricca questa esperienza, ovvero questa ricerca infinita di significato, puo' dirsi riuscita, ovvero “bella”. Per semplificare potremmo chiamare "bello" l' oggetto che favorisce l' inizio di un' esperienza del genere.
  19. Possiamo tentare una sintesi. Cos' è il bello? Il bello è un' esperienza in cui 1) ricerchiamo senso trovandolo ma senza mai esaurirlo 2) ci poniamo in comunione con la coscienza dell' autore nel corso della ricerca.
  20. Perché la scienza - che è ricerca - non puo' dirsi arte?: Perché utilizza un linguaggio preciso, analitico quindi la sua ricerca in qualche modo "finisce", il suo senso viene assegnato e tutto termina, per questo non puo' applicarsi alle realtà spirituali. Una teoria scientifica è "finita". Poi magari è sbagliata e va corretta, ma è formulata per esaurire il proprio senso e venir verificata. Non ha senso recuperare vecchie teorie, il sapere scientifico è cumulativo. Inoltre, la ricerca scientifica non contempla lo stile evitando di caratterizzare l' individuo e la sua coscienza identitaria, ma cio' preclude quella comunione di coscienze tipica dell' arte. Il brividino estetico che puo' dare una teoria deriva dal fatto che anch' essa veicola una comprensione meravigliosa in cui il piccolo (formula) sintetizza mirabilmente il grande (universo), esattamente come fa il gesto artistico.
  21. Perché il discorso del politico o del retore - che pure è vago - non è mai arte? 1) perché non implica ricerca autentica (la sua funzione consiste nel far credere che gli altri credano) e 2) in assenza di stile non implica comunione di coscienze.
  22. Perchè uno spettacolo naturale - pur rinviando a significati vaghi - non è arte? Perché la natura non ha uno stile e quindi non realizza una comunione di coscienze (autore/fruitore). Naturalmente uno spirito religioso puo' pensare, per esempio, a Dio come autore e all' armonia come stile, ecco perché è tanto facile realizzare delle esperienze estetiche ammirando dei panorami naturali.
  23. Perché in passato l' originalità - oggi imprescindibile - non era una virtù artistica? Il concetto di artista è recente (ottocento?). Prima si prendeva a modello il bello naturale, ovvero senza autore, senza coscienza. La religiosità più diffusa consentiva di vedere Dio come autore e la comunione si realizzava con nostro Signore, il vero autore dietro l' opera era considerato un artigiano illusionista.
  24. Secondo i sostenitori della cosiddetta "art pour l' art", i criteri di valutazione dell' opera sono autonomi. Se quanto abbiamo deto fin qui è vero, esiste invece un collegamento tra opera e interiorità della coscienza, il che rende probabile un legame tra valori estetici e valori morali: l' opera agisce in modo potente sulla vita interiore del fruitore. Il moralismo più stantio è innanzitutto un errore estetico!
  25. Tentiamo una sintesi. Come si diceva all' inizio la vaghezza linguistica ha anche una doppia funzione positiva 1) sviluppare conoscenza comune (gli esempi non mancano) e 2) far cooperare più soggetti alla ricerca di verità. La musica è un linguaggio vago che 1) ci unisce e 2) ci dice chi siamo realmente. Comunità e Verità. Per avere ricerca infinita è necessario che ci si applichi sulle realtà spirituali, per avere comunione è necessario avere delle coscienze. Ma come possono essere legati verità e unità? Attraverso la comunione per simpatia tra autore e ascoltatore. Un esempio banale per farsi un' idea: se due soggetti guardano un oggetto blu diranno di vedere entrambi un oggetto blu, ma come possono essere sicuri di intendere per "blu" la stessa cosa? In altri termini, come possono essere sicuri di provare la stessa sensazione di fronte ad un oggetto blu? Non esiste questa garanzia, puo' darsi che di fronte a quell' oggetto il primo soggetto provi le stesse sensazioni che il secondo soggetto prova rispetto ad un oggetto giallo. L' equivoco di fondo è sempre possibile poiché le convenzioni linguistiche sono impotenti nell' affrontarlo, non esistono parole precise per esprimere l' esperienza del guardare un oggetto blu, e se questo vale per i colori, gusti e suoni, vale ancora di più per le emozioni e i valori. La nostra conoscenza più importante è di tipo "solipsistico" e l' arte - con la ricerca e l' unità che realizza - vince il solipsismo. L' intuizione è al centro di tutto e la musica lavora proprio sull' intuizione interiore di chi è chiamato a comprenderla.
  26. La musica (e l' arte in generale) cerca in ultima analisi di colmare il nostro solipsismo, di diminuire le probabilità di equivoco con l' altro. L' arte crea una simpatia tra noi e l' autore riducendo gli equivoci a cui è sempre esposto il resoconto dell' esperienza interiore. Comunità e verità, quindi.
  27. Molti critici delle arti contemporanee fanno notare come questo mondo manchi di capolavori. C' è qualcosa di vero in questo rilievo ma occorre aggiungere che, forse, oggi i capolavori non vengono nemmeno cercati, si ritiene pressoché impossibile crearne. Faccio un' analogia forse azzardata: anche la scienza manca di "grandi scoperte" ma è forse per questo meno apprezzabile rispetto alla scienza dei tempi di Newton o Einstein? No, più verosimilmente oggi viviamo in un mondo estremamente complesso, la scienza stessa è talmente complessa da essere quasi incomprensibile anche agli addetti ai lavori, ognuno si specializza nella sua nicchia e non è in grado di dominare l' intero panorama delle conoscenze, nemmeno di quelle inerenti alla sua materia. In queste condizioni difficilmente emergerà una figura in grado di regalarci scoperte sconvolgenti, l' impresa scientifica oggi non puo' che essere cooperativa. Forse accade lo stesso per l' arte, il panorama è inevitabilmente saturato da una pratica e una riflessione enorme esplosa negli ultimi due secoli. Ogni artista si specializza in modo cervellotico. Il Mozart c' era tutto: dramma, gioco, grottesco, satirico. Oggi possiamo ancora trovare di tutto e ad alto livello, ma dobbiamo spostarci da un autore all' altro, viaggiare tra i generi. Ecco: lo spettatore deve essere disposto a muoversi lui stesso per costruirsi da sé il suo "capolavoro". Il capolavoro, forse, non puo' che essere cooperativo e, forse, anche involontario. O meglio, è il fruitore che deve metterlo insieme raccogliendo un po' qua e un po' là formandolo come fosse una sua personale playlist.
  28. ADD1. Ancora sul giudizio estetico. Per quanto si riconosca l' esistenza di valori estetici oggettivi, è praticamente impossibile ordinare per valore le opere, le comparazioni sono spesso assurde: valgono più 10 songs di Gerschwin o una sinfonia di Prokofiev? Vale di più l' Amleto o il Re Lear? Bisogna allora trovare altri metri: forse è più significativo valutare la produttività artistica di alcuni periodi storici. Ma con quale criterio? La qualità media dello opere non sembra un criterio adeguato, meglio concentrarsi sui picchi. Ma anche i picchi isolati possono trarre in inganno. Propongo due criteri: 1) considerare la qualità estesa (es. primi 100 picchi) e 2) considerare la varietà (i picchi nei vari generi).
  29. C' è sempre il problema della qualità e dei generi bassi. Ma se la bellezza è un' esperienza prima ancora che un requisito, possiamo tracciare un parallelo con la fede. Ora, possiamo avere la fede del raffinato teologo come possiamo avere la fede dell' ignorante pastorella (magari di Lourdes). Chi dei due sperimenta una fede più degna? Difficile dirlo, di sicuro la sperimentano sfruttando tramiti differenti: il primo sfrutta i ponderosi libri di teologia per accendere la sua fiammella, la seconda sfrutta l' accorata preghiera della devozione popolare. Esiste una sorta di qualità sia nel primo mezzo che nel secondo, una qualità che porta ad una fede degna sia nel primo caso che nel secondo. Così pure nella musica la bellezza puo' essere sperimentata sia apprezzando una grandiosa sinfonia che immergendosi in una canzone popolare costruita con tutti i crismi dell' autenticità.
  30. In Praise of Commercial Fame di Tyler Cowen
    • La celebrità rimpiazza oggi l' eroismo di ieri ma sono in molti a lamentarsi del degrado della cultura che questa dinamica favorisce.
    • Ci si concentra solo sui costi di un simile cambiamento: il degrado. Ma i benefici? A volte l'eroismo o per lo meno la sua ricerca era fonte di guai, di violenza diffusa. meglio competere sul mercato che in guerra
    • Problemi di filtro: la fama ci orienta almeno all inizio. E' una bussola utile anche a chi vuole fuggire certi prodotti. 
    • La fama ci coordina dandoci un comune argomento di discussione
    • Non esiste solo la fama assoluta ma anche quella relativa, cosicché uno puo' lamentarsi della fama assoluta ma puoi trarre i benefici di cui sopra dalla fama relativa
    • Problemi di status: le nicchie della celebrità sono molte. Il libro dei record è un tomo immenso e anche mia nonna puo' trovare una specialità in cui primeggiare e appagare il proprio status. La varietà è incentivata dalla molteplice scala dei valori: se ci fosse un solo record da battere migliaia di recordmen resterebbero a casa frustrati
    • Se merito e fama nn fossero separati nn avremmo varietà e le frustrazioni si moltiplicherebbero... 
    • Le forze commerciali forse non educano ma rintracciano i gusti reali delle persone meglio di molti critici.
    • La celebrità innesca anche un  rito di coordinamento che instaura relazioni (giù i costi di comunicazione)
    • La celebrità offre opportunità di giudizio estetico anche agli esclusi. Spesso la celebrità offre esperienze estetiche anche a chi non ne avrebbe mai avute.
    • La celebrità offre ampie garanzie ai prodotti che sponsorizza: il suo patrimonio reputazionale è immenso
    • Un mondo costruito sulla fama lascia molte vie di fuga ai fan rispetto al mondo costruito sul merito oggettivo. Tutto cio' è consolatorio
    • C'è manipolazione delle menti? Difficile in un mondo dove i medium sono tanti: il medium modella il messaggio ma spesso è il messaggiato che sceglie il medium
    • Con il metodo della sottoscrizione costruisci la tua cultura
    continua
  31. La Bellezza paga: Tutti i vantaggi dell'essere attraenti -  Daniel Hamermesh
    • Tesi: esiste una relazione tra bellezza e reddito
    • Tema: perchè un economista deve occuparsi di bellezza?...
    • Siamo ossessionati dalla bellezza: i tempi di toletta dell'americano medio. Un'ossessione universale e senza tempo...
    • Susan Boyle: lo scandalo della bruttezza...
    • Problema: la discriminazione dei brutti. Secondo molti è più acuta di quella razziale...
    • Esiste una bellezza naturale e una artificiale (moda). Con la seconda ci distinguiamo dagli altri e ci affiliamo ad un gruppo. 
    • La bellezza è scarsa x definizione, altrimenti cesserebbe la sua funzione distintiva..
    • La bellezza incide sul lavoro: salario e posto. Incide in positivo sulla redditività d'impresa, sulla politica dei governi...
    • Cos'è la bellezza? Affrontiamo il tema empiricamente: quando concordiamo nel definire bella una xsona?...
    • Limitiamoci al volto: è la bellezza che genera più conseguenze economiche...
    • La bellezza può generare conseguenze solo se esistono canoni comuni...
    • I canoni della bellezza sono quasi-universali con un favore verso i tratti occidentali. Ciò nn toglie che variazioni culturali esistano ancora, vedi le fat farm della Mauritania...
    • Le differenze di valutazione registrate riguardano più la generosità di alcune culture che nn l'ordine finale. I cinesi per esempio fanno una gran fatica a collocare qlcn sotto la media...
    • Le valutazioni della bellezza sono coerenti nel tempo...
    • Donne e uomini sono mediamente belli uguali ma gli estremi sono occupati dalle donne...
    • Se i valutatori sono bianchi si reagisce in modo più estremo sui bianchi a parità di media...
    • I vecchi sono più brutti e nn di poco. Specie se sono donne. Anche qui a prescindere dalla cultura. La differenza xsiste anche se si chiede di tener conto dell'età. Perchè? Forse xchè accoppiamento fertile e bellezza sono interrelate...
    • Altra legge: i brutti anatroccoli diventano brutte anatre...
    • La bellezza si riconosce molto presto: già nell'infanzia...
    • La simmetria facciale è fonte di bellezza...
    • Cambiare la propria bellezza è molto difficile e costoso e il costo nn vale la candela in termini economici: difficile rimuovere le asimmetrie fondamentali. Qs nn vale solo x la chirurgia ma anche x vestiti e cosmesi. Ma gli effetti economici nn sono tutto...
    • Difficile anche xdere la propria bellezza, giusto gli incidenti che ci sfigurano. Siamo sostanzialmente inscindibili da essa...
    • IMHO: forse anche x qs che le diseguaglianze si qs punto generano al massimo un'invidia xsonale che nn si tramuta mai in senso d'ingiustizia collettivo. Non serve a nulla giustificare moralmente una predazione che nn può tecnicamente realizzarsi
    • Gli effetti della b. sul salario sono minori x le donne (anche se la loro bellezza si nota di più)...
    • La discriminazione in termini di bellezza pesa di più sugli uomini...
    • Problema: nn è che le donne che lavorano sono più belle degli uomini? Possibile visto che la partecipazione resta inferiore
    • Le aziende dove i dipendenti sono più belli sono più produttive. Tuttavia, esiste un unico studio che lo asserisce
    continua
  32. Bellezza e musica di genere. La bellezza è oggettiva? Per me sì, ma in un senso particolare.

    Non cioè nel senso che si identifica con alcune proprietà oggettive del manufatto artistico.

    Aderisco alla tesi per cui la bellezza è un'esperienza. Un'esperienza del soggetto. Un'esperienza di "verità e comunione". Comunione con l'autore. L'opera è bella quando fa vivere questa esperienza.

    Ma l'esperienza del soggetto è soggettiva per definizione, quindi la bellezza così definita dovrebbe essere soggettiva.

    Sì ma la verità è soggettiva? Poniamo che non lo sia.

    Se la verità è una sola probabilmente sperimentarla è qualcosa di unico. 

    Tuttavia, questo è vero, anche chi coglie una verità ingannevole compie ugualmente una sua personale "esperienza di verità", magari anche intensa e probabilmente molto simile all'esperienza di verità che compie chi coglie la verità unica.

    Allora diciamo: che cerca la verità con la scienza, quando s'inganna non porta a casa nulla; chi cerca la verità con l'arte, quando s'inganna porta pur sempre a casa un'"esperienza di verità", magari depotenziata rispetto all'ideale ma che resta pur sempre un bottino di grande valore.

    E si puo' andare oltre, considera un'ipotesi azzardata ma plausibile: ci puo' essere chi viene a contatto con una lezione inappuntabile di verità senza però sperimentarla in nessun modo, così come è immaginabile chi viene a contatto con una lezione dubbia che però, magari per la verve dell'insegnante, gli consente di fare ugualmente "esperienza di verità", anche se magari temporanea.

    Molti ascoltatori di "musica bassa" fanno esperienza di verità, non si puo' negarlo. Molti ascoltatori di musica alta no. In questi casi la musica bassa è "più bella" di quella alta. Il che non toglie che fare esperienza di verità grazie ad una musica alta non sia qualcosa di particolare.

    Come creare il massimo di bellezza in una società? Facendo in modo che si realizzi il giusto mix tra alto e basso. Inutile dire che il giusto mix dipende dai soggetti di cui la società si compone.

    C'è una strategia alternativa ma io non ci credo: costruire l'orecchio ideale in tutti gli uomini, bandire la musica bassa e imporre quella alta.

    E' più bella una sonata di Beethoven o una canzone di Gershwin? Forse c'è una domanda più utile: crea più bellezza una sonata di Beethoven o una canzone di Gershwin?  Sì, esiste una bellezza potenziale tutta da scoprire sulla quale possiamo fare congetture, tuttavia esiste e forse conta anche di più la bellezza realizzata. 
  33. Beauty: A Very Short Introduction Roger Scruton
    • relativismo culturale: il bello nn esiste
    • croce e le due bellezze: Bellezza e bellezza
    • l arte ha un contenuto (inseparabile dalla forma) e và capita
    • rappresentare ed esprimersi: possedere un significato farebbe pensare a una rappresentazione ma il significato dell opera è intraducibile. Croce: l arte è espressione intuitiva... poichè in essa l umano è imprescindibile. 
    • problemi: 1 l arte ha un significato e dire che l arte è un intuizione nulla ci dice del suo significato 2 l intentonally fallacy non sarebbe così evidente se l opera fosse davvero pura espressione
    • esprimere come verbo intransitivo. riprendi la lezione della psicanalisi e dell'evoluzionismo: l'esprezzione è connaturata prima ancora che intenzionale.
    • formalismo: si contraddice usando esso stesso un linguaggio metaforico nello spiegare l opera.
    • capire l opera = capire la logica metaforica
    • l arte si connette alla nostra esperienza emotiva + profonda (il qs senso è espressiva). 
    • la bellezza non è una proprietà dell oggetto ma una esperienza di connessione.
    • l arte come ordine incipiente che ci predispone alla gratuita ricerca di senso
    • arte e verità: ordine e ricerca gratuita di significato... l arte ci conduce alle verità ultime
    • arte x arte: l arte va giudicata solo con il criterio suo proprio... ma x quanto detto prima capiamo che l arte nn può essere moralmente neutrale... il tanto vituperato moralismo nell arte è innanzitutto un errore estetico
    • cos è la bellezza? non una proprietà ben definita ma un' esprienza di ricerca. di ricerca di significato, in particolare. un esperienza dove la ragione gioca un ruolo decisivo. il significato da ricercare ha una natura spirituale
    continua
  34. Understanding Music: Philosophy and Interpretation Roger Scruton
    • Suono: proprietà vs evento (della coscienza): i sordi e il suono
    • fenomeni vs oggetti... internalismo vs estrrnalismo... x' un sordo non saprà mai cos è un suono?
    • la comprensione dei suoni è sganciata dalla comprensione della loro produzione (musicista vs non musicista)
    • psicologia sperimentale: non sembra che la connessione tra suoni e fonte sia privilegiata, come ritengono gli evoluzionisti

    Xxxxx
    • il significato della musica è ciò che comprende chi capisce la musica
    • come riconosciamo chi comprende la musica? w. assimila la compr della musica alla compr. della mimica facciale
    • la grammatica musicale (es tonalità o dodecafonia) non è la grammatica della musica. non si capisce la musica spiegandone la grammatica
    • linguaggio naturale vs musica: la comprensione della prima è testimoniata dall uso corretto. x la musica qs non vale
    • x w comprendere la musica (come la mimica) equivale a comprendere un espressione. s sostiene che un espressione nn può essere compresa senza interiorizzarla (mettendosi nei panni) e rievocando proprie esperienze
    • 2 significati del verbo esprimere. a w. basta l intransitivo ma a s no. senza l espressione transitiva nn esiste semantica e giudizio. la connessione con l espressione xsonale nn può che essere transitiva
    • l introspezione è decisiva x il giudizio estetico: l esperienza e il coinvolgimento in prima xsona fanno emergere in noi il sentimento della bellezza

    Xxx
    • tesi: la metafora è indispensabile x comprendere cosa sia la musica.
    • gestalt: il tutto nn è la somma delle parti
    • oggetto secondario: ciò che emerge dalle parti
    • oggetto intenzionale: oggetto visibile solo grazie alla volontà e all esperienza pregressa
    • linguaggio: la musica, in quanto "oggetto intenzionale" è un linguaggio sui generis. Ovvero: il linguaggio è capito anche senza intenzione (anche se non si vorrebbe capirlo) la musica invece richiede un'intenzione precisa.
    • immaginazione: facoltà che xcrpisce gli oggetti intenzionali. Alla domanda se la musica coinvolga intelletto o sentimenti è corretto rispondere che coinvolge l'immaginazione, ovvero una facoltà a cui contribuisce sia l'intelletto che la sensibilità emotiva.
    • In filosofia si usa il concetto di "oggetto intenzionale". Si tratta di qualcosa che io riesco a capire solo se lo voglio fare, solo se m'impegno con la mia immaginazione. Prendiamo una frase del tipo "la mela è sul tavolo" se uno la pronunciasse davanti a me io la capirei anche se non la volessi capire, anche se non decidessi di applicare ad essa la mia immaginazione. Questo perché il linguaggio naturale non costruisce oggetti intenzionali. Certo, puo' darsi che una frase difficile richieda uno sforzo per essere compresa e la produzione di questo sforzo sia intenzionale ma cio' non toglie che quella frase non sia affatto un oggetto intenzionale poiché quella frase è realizzata grazie ad un linguaggio che non ha le potenzialità per costruire oggetti intenzionali. L'immaginazione non ha un ruolo in questo lavoro. Ebbene, molti filosofi considerano la musica un oggetto intenzionale.
    • oggetti intenzionali: xcepiti con l immaginazione grazie a metafore. es: il volto di donna schizzato dall artista

    Xxxxx
    • se la musica esprime le emozioni occorre una teoria dell espressione
    • una teoria dell espressione è una teoria estetica anti realista: il bello nn è una proprietà degli oggetti ma un esperienza interiore.
    • esprimere = comunicare l indescrivibile. es far capire cos è il sapore dolce rinviando chi ascolta ad una esperienza
    • i 4 test: convenzione/esperienza...comprensione... valore... struttura
    • la musica come metafora delle emozioni
    • ci si esprime senza riferirsi ad oggetti ma x simpatia
    • la relazione con l opera è una relazione umana x questo implica vizi e virtù
    • la musica congiunge i soggetti che si comunicano ciò che nn si può comunicare
    • l arte mette in relazione il ns solipsismo. è una prova che quando parliamo del colore blu parliamo della stessa sensazione
    • Xxxx
    • quando un suono diventa musica? quando lo ascoltiamo prescindendo dalle sue cause materiali
    • ritmo: cosa distingue quello musicale da quello materiale
    • differenze tra ritmo e tempo
    • il ritmo può emergere dalla melodia o calare dall alto estraneo alla musica (es in certo pop)
    • il discorso ha un suo ritmo... la differenza col tempo qui è evidente.
    • il ruolo della danza

    Xxxx
    • adorno rispettato x la sua fede politica. ma per il resto le sue idee erano accolte con malumori. il parallelo con eliot parla chiaro
    • critica della cultura consumistica da sinistra
    • x s: la condanna di a è corretta ma è formulata su premesse sbagliate
    • francoforte vs marx
    • 1968: poichè è ridicolo negare la libertà capitalista (il cfr è con l URSS), si dice che la libertà capitalista è illusoria. Adorno viene allora preso sul serio
    • il grano di verità in adorno era già presente nella bibbia: non sostituite gli idoli a dio
    • kitsch: godimento senza sforzo... mancanza di coraggio ed eroismo
    • jazz/rock: è l america che colonizza l europa. a. nn può che condannare. a. critica tutto condannando chi digerisce di tutto 
    • la riabilitazione del basso ha toccato il suo vertice: non si puo' più nemmeno discriminare tra canzone e canzone.
    • tonalità. a.: la tonalità si è esaurita... è un cliché. s: ok ma  l avanguardia non ci salva certo dai cliché. cosa c è di + noioso e scontato dell ennesimo duchamp o dell ennesimo cage
    continua
  35. Dieci canzoni dei Beatles valgono una sinfonia di Beethoven? 

    Ardua domanda, tralasciamo la risposta finale per concentrarci sul metodo più adeguato da seguire per giungervi.

    Urge analogia: quanto vale una tratta da 100 euro?

    La tratta ha un valore potenziale, una probabilità d'incasso e un valore reale (che dipende da chi è il nostro debitore).

    Poniamo che il debitore sia Wanna Marchi e la  probabilità d'incasso sia solo del 20%. 

    Il valore potenziale della tratta è 100 ma quello reale è 20.

    Cerchiamo ora di identificare questi tre valori nel caso che ci interessa. 

    Per farlo immaginiamo che esista l'ascoltatore onnisciente, una figura immaginaria ma facilmente concepibile. Un tale che conosce tutto di tutto e ha fatto tutte le esperienze umane.

    Costui potrebbe dirci che il pacchetto di canzoni beatlesiane vale 50 e la sinfonia vale 80. 

    Ora sappiamo la bellezza potenziale dell'opera ma qual è la loro bellezza reale?

    Bisogna stabilire una "percentuale di realizzazione" e questa dipende necessariamente dal pubblico del momento in cui avviene la valutazione e dai condizionamenti storico-sociologici che riceve dall'ambiente in cui è immerso. 

    Nel nostro periodo storico ipotizziamo che la "percentuale di realizzazione" del pacchetto di canzoni sia 80% mentre quella della sinfonia sia  50%. 

    Se ne deduce che la bellezza reale delle canzoni uguaglia quella della sinfonia, entrambe le opere possiedono una bellezza reale pari a 40.

    Sia le canzoni dei Beatles che la sinfonia di Beethoven qui ed ora liberano la stessa bellezza. 

    Questa conclusione tiene conto sia di elementi oggettivi (la bellezza potenziale) che da elementi soggettivi (il pubblico).

    Come aumentare la bellezza presente sulla terra? 

    Qualcuno preferisce agire socialmente: plasmiamo la mente del pubblico in modo da alzare la % di di realizzazione delle musiche a più alto potenziale. Altri preferiscono agire artisticamente: realizziamo nuovi prodotti con la bellezza reale più elevata possibile.

    Il secondo approccio è quello tipico delle società commerciali (dove la domanda comanda e l'offerta si adegua). E' anche il mio preferito: la manipolabilità delle menti mi lascia sempre scettico, anche quando raggiunge qualche risultato parziale o si nasconde dietro parole più rispettabili come "educazione" o "istruzione".

    P.S. nel mio resoconto parto da due premesse: 1) la bellezza non è una proprietà dell'oggetto artistico ma un'esperienza interiore 2) la bellezza contiene sia elementi oggettivi che soggettivi.
  36. Avanguardia e pop - cowen tabarrok an economic thery of avantgarde
    • Premessa: l artista è un tipo particolare: produce e consuma il suo lavoro
    • Premessa: per ragionare in termini economici distingui tra arte riproducibile (moltiplicabili a costo zero) e nn ripr
    • Musica e film sono riproducibili e il mercato per loro diventa una tentazione. La pittura è poco riproducibile (costi opportunità bassi) e nn per niente è la regina delle avanguardie
    • Guarda all estensione del mercato. Se il mercato è esteso si creano nicchie che favoriscono le avanguardie poichè favoriscono l incontro tra fornitore e consumatore, specie se l arte è nn riproducibile questo è uno stimolo all'avanguardia come specializzazione. Se è riproducibile le nicchie sono compensate dai costi opportunità di cui sopra.
    • Guarda anche al costo: i film devono coprire un alto costo rispetto alla pittura
    • Guarda alla ricchezza di una società. Le soc ricche producono più avanguardia. L artista ricco pensa più a se stesso. L utente con molto tempo libero approfondisce di più.
    • Convergenza: mozart e beet erano le rockstar dei loro tempi. Boulez e carter sono oggi degli sconosciuti. Perchè? 1 perchè la ricchezza libera l artista 2 perchè i sussidi alla cultura puovono
    continua
  37. Teoria della variabile spuria. Molti notano che tra i musicisti (coloro che dominano la tecnica esecutiva) la capacità di giudizio estetico sia mediamente più elevata, ma forse la tecnica in sè è una variabile spuria. Costoro, infatti, per poter acquisire una tecnica adeguata, si sottopongono ad un  contatto più prolungato con le opere e sviluppano necessariamente anche un giudizio estetico più affinato dato questo loro privilegio (possono per esempio fare confronti con la tradizione o con altri autori eccetera). Se questo è vero la capacità di giudizio estetico non è dovuto alla tecnica acquisita ma all'esperienza di ascolti ripetuti e meticolosi.
  38. Condizioni necessarie per l'esperienza estetica.

    Facciamo il caso di una ragazzina un po' tamarra e priva di ogni cognizione musicale che dalla sua cameretta nelle case popolari della periferia ascolti "Silvia" di Vasco Rossi.

    Compie un'esperienza estetica autentica?

    Per certo non lo sapremo mai poiché l'esperienza è qualcosa di interiore, non visibile ad occhio nudo e non misurabile col metro. Tuttavia, possiamo osservarla da vicino per trarne degli indizi.

    Dopo l'ascolto dice tra sé: "bellissima canzone, mi ha emozionato un casino".

    Poi pensa: "mi ha proprio toccata sul vivo, sento che parla di me, ha colto la mia natura più intima, mi ha fatto rivivere qualcosa di profondo che mi riguarda vicino, allora forse esisto anch'io!"

    Infine aggiunge: "Vasco, sei grande, mi conosci meglio di quanto mi conosca io, con canzoni come questa sai raccontarmi come io non saprei mai fare, grazie di esistere, mi viene da piangere dalla gioia, adesso esco di qui e spacco tutto".

    Nel dire e pensare tutto questo è sinceramente commossa, piange di felicità, si sente compresa e parte di una comunità più vasta.

    Ora, perché dovrei negare statuto di esperienza estetica a quanto è avvenuto in quella cameretta?

    Stando alle parole della protagonista ricorrono tutti gli elementi di per dire che ha sperimentato l'azione reale del bello su di sé: le sue reazioni sono sincere e tipiche.

    Una teoria estetica che negasse tutto cio' sarebbe come minimo astrusa. Suggerisco di sostituirla al più presto.  

    p.s. una pera di eroina sarà altrettanto piacevole ma fa tutto un altro effetto.

    https://www.youtube.com/watch?v=TwZXs62fTfM 


  39. Tecnica, forma ed estetica. Se il dominio della tecnica e della forma:

    - non è condizione sufficiente per l'esperienza estetica (vedi il caso dell'ascoltatore sordo),

    - non è condizione necessaria per l'esperienza estetica (vedi caso della tamarra delle case popolari),

    - non si riscontra necessariamente nella realtà empirica (vedi teoria della variabile spuria),

    perché mai dovrebbe essere postulata in una teoria estetica? Una teoria, a parità del resto, è tanto più potente quanto più è semplice.
  40. Beauty and Desecration di Roger Scruton
    • lo scopo dell arte? ieri: la bellezza; oggi: l originalità e il disturbo al borghese
    • l' inizio. clement greenberg: kitsch e avanguardia: tutto quel che non disturba, ovvero l'avanguardia, è pacchiano
    • ma la trasgressione ostentata è una forma di sentimentalismo di cattivo gusto.
    • il più esplicito: arthur danto: la bellezza è uno scopo ingannevole per l'arte.
    • ormai la marginalizzazione della bellezza è ortodossia. dove constatarlo? soprattutto nelle messe in scena operistiche.
    • il ratto del serraglio di mozart esprime il suo ottimismo: la bontà è ovunque. nella rappresentazione di beito copule e violenza sommergono la musica anche nei suoi momenti più teneri. tipico.
    • tarantino: violenza gratuita e deserto morale. stop.
    • oggi l arte non celebra la vita ma la colpisce la profana.
    • oggetto dell odio è la cerimonia la forma ben costruita. che il divino possa incarnarsi nel mondo in un oggetto in una cosa sembra mera superstizione
    • cessa di esistere la contemplazione ovvero un modo di porsi davanti al mondo senza interessi da proteggere ma solo aperti alla sua bellezza.
    • un esempio di contemplazione: tornate a casa dal lavoro oppressi dalle preoccupazione quando girato l angolo compare un arcobaleno. per un attimo tutto si sospende. ecco, in quella sospensione c'è la contemplazione della bellezza.
    • altro esempio di bellezza: preparate il tavolo di natale e la sua cura rappresenta un senso di casa e di famiglia. cio' vi rende felici. 
    • la bellezza ci rende la vita. non di solo pane vive l uomo.ma la violenza di una musica caotica potrà mai riempirci la vita?
    • ma questa bellezza non appartiene alle cose non puo' essere descritta dalla scienza. appartiene a noi, al nostro cuore e noi la fabbrichiamo con la nostra immaginazione osservando le cose. l arte facilità questa produzione.
    • la dissacrazione è solo il rovescio della medaglia. il dissacratore è consapevole del sacro.
    • antropologia: il sacro è un universale.
    • il sacro ci strappa dal quotidiano facendoci incontrare l infinito
    • il tentativo di molta arte contemporanea è di eliminare lo spirito dai corpi. pornografia e violenza hanno questa funzione.
    • per recuperare il sacro nell arte dobbiamo innanzitutto recuperare il sacro nella vita. lo si puo' fare partendo dalle piccole cose del quotidiano.

    continua
  41. L'orecchio musicale del bambino di Sara Pezzotti
    • Il bambino è musicale fin dalla nascita
    • Attratto dai suoni ha un attitudine, un dono musicale
    • Nel b la musica è un istinto
    • Timbro. Identità.
    • La voce della mamma e del papà.
    • Ritmo. Fisiologia. Dinamismo. Movimenro. Energia.
    • Ritmo. Lunghezza delle note. Parlare.
    • Misura. Accenti. 3\4 ecc. Respirazione.
    • Tempo. Metronomo. Camminare.
    • Divisione. Raddoppi. Cuore.
    • Melodia. Affetti e comunicazione. Relazione.
    • Melos canto. Relazione tra suoni. Resta in testa. Si fissa.
    • Il b esplora la voce. Nel parlare riproduce la melodia. Il baby talk. Lallazioni. Autoripetizione. Voce e melodia.
    • Con la melodia stabiliamo un contatto col bimbo.
    • intensità: autoidentificazione. il bambino urla per avere coscienza di sé, per ricoprire l'altro.
    • Armonia. Intelletto. Ordine.  Proporzione. 
    • Armonia. Dominante e tonica.
    • Macchie do rorschach. Guarda le nuvole e dimmi cosa vedi. Lo scienziato davanti all universo.
    • Ogni suono contiene gli armonici.
    • Conclusione: la musica è espressione della mia umanità.
    • Gli strumenti didattici per insegnarla sono il canto e il corpo in movimento.
    • XXXXXIMHO: come proseguire il discorsoXXXX
    • la musica si appella ai nostri istinti ma senza specificare.
    • Il ritmo ci rinvia ad un movimento. Ma a quale movimento?
    • La melodia ci richiama le relazioni? Ma quale relazione?
    • Il timbro richiama l identità. Ma a quale identità?
    • L armonia rinvia ad un ordine. Ma a quale?
    • Conclusione: la musica è un linguaggio grezzo. Il linguaggio naturale in fondo puo' fare altrettanto in modo più preciso: teniamoci quello che funziona meglio.
    • Ma che ce ne facciamo di un linguaggio vago? Giusto una mera propedeutica al ai linguaggi naturali?
    • no. la modalità evocativa ha funzioni sue proprie (anche nel linguaggio naturale). 
    • un linguaggio grezzo si presta ad essere completato (molto meglio che un linguaggio sofisticato
    • un linguaggio grezzo incentiva la collaborazione tra emittente e ricevente. in un linguaggio sofisticato il ricevente è passivo.
    • in un linguaggio grezzo chi parla e chi ascolta collaborano nella ricerca di un senso. 
    conclusione
  42. san tommaso: la bellezza è lo splendore della verità

***


APPENDICE

Avevo iniziato a scrivere questo post ma poi mi sono stufato e l' ho piantato a metà. Forse la materia si è allargata un po' troppo e francamente ora non ho voglia di fare quello sforzo intellettuale necessario per riannnodare i fili. Pazienza, forse domani... per ora posto ugualmente i lavori in corso.

***

Sono convinto che un’ autentica esperienza musicale sia qualcosa di raccomandabile: oltre ad arrecare piacere, contribuisce all’ edificazione spirituale della persona e al rafforzamento delle sue convinzioni più profonde. 

Anche per questo sarebbe auspicabile che un giovane sia messo nelle condizioni più propizie per dedicarsi a 

Tuttavia, sono anche convinto di esprimere un’ idea eccentrica, l' introduzione alla musica si compie quasi sempre su altre basi. 

Mi spiego meglio.

Introdurre alla musica significa essenzialmente accompagnare per mano il neofita nel mondo dei suoni, senonché esistono concezioni molto diverse di cosa sia un suono.

Una semplice domanda spesso utilizzata da chi approfondisce queste faccende è già in grado di discriminare tra impostazioni radicalmente diverse: si puo’ introdurre una persona sorda nel mondo dei suoni?

Il buon senso ci dice di no ma secondo alcuni parrebbe invece di sì.

La risposta, evidentemente, dipende dalla concezione che si ha del suono e da questa concezione dipendono poi molte altre cose. 

Chi risponde affermativamente ritiene che per capire cosa sia un suono basta descrivere come viene prodotto. 

A questo punto si cominciano a menzionare oggetti vibranti, onde,  frequenze, meccanismi di trasmissione nell’ etere, orecchi con relativa dotazione di timpani, membrane e quant' altro. 

Per chi predilige questa impostazione il suono è semplicemente la proprietà che hanno alcuni oggetti di produrlo allorché opportunamente trattati.

Le azioni necessarie per produrre un suono possono essere puntigliosamente descritte e anche una persona sorda (ma intelligente) puo’ comprenderle abbastanza bene. Tutto puo’ essere anche visualizzato ed esemplificato, e questo senz’ altro aiuta. Insomma, col sordo si puo' fare di tutto tranne che ascoltare, cosicché divnta difficile dire se una persona del genere possa mai essere realmente "introdotto nel mondo dei suoni". In effetti a questa trafila sembrerebbe mancare qualcosa di fondamentale.

Eppure, considerare il suono come una semplice proprietà degli "oggetti risonanti” sembra entusiasmare molti. Perché?

Fateci caso. Cosa domina in questa visione? 

Oggetti, aria, membrane… La materialità sembra farla da padrona nel resoconto "produttivista", e forse proprio questo piace tanto all’ uomo moderno che si sente come rassicurato e à la page dalla precisione e dalla concretezza "scientifica", per quanto arida possa essere.

L' evoluzionista, per esempio, guarda volentieri ai suoni in questa ottica: l’ uomo primitivo era abile nel risalire dai suoni alle fonti, per lui l' identificazione delle fonti era fondamentale, una questione di vita e di morte: le foglie del bosco schiacciate in una certa maniera producevano un suono che indicava l’ avvicinarsi dell’ orso da fuggire. Questa enfasi sui meccanismi di produzione sonora rende il suono in se stesso un epifenomeno trascurabile, quel che conta è la "fonte" e la sua identificazione.

Peccato che una descrizione del suono in questi termini, oltre che arida, sia anche lacunosa e insoddisfacente nel momento in cui pretende, contro il senso comune, che anche il bambino sordo possa comprendere appieno la musica.

Ma allora qual è l’ alternativa?

Per capirlo bisogna pensare meglio dove l' impostazione "produttivista" forza la mano. 

In poche parole, essa identifica indebitamente il suono con le fonti sonore, il prodotto finito con il processo di produzione. Una volta descritti i processi per produrlo, si pensa di aver dato conto del suono, di aver fornito gli elemeti necessari per comprenderlo. Per questo motivo ho voluto chiamare questa visione "approccio produttivista".

Ma il suono, forse, è qualcosa di diverso, qualcosa di concepibile come a se stante, sebbene, nessuno lo nega, per esistere sia necessario che venga prodotto in qualche modo.

Questa confusione genera il paradosso del bambino sordo perfettamente consapevole della musica che non ascolta.

Fateci caso, in teoria anche un sordo sarebbe in grado di suonare uno strumento, persino di comporre una musica valida. Ma se è solo per questo anche un computer potrebbe in teoria suonare e comporre (cominciano in effetti a comparire prototipi in grado di superare il test di Turing relativo). D'altro canto, un computer non puo' ascoltare musica, proprio come il sordo. E' per questo motivo che chi non aderisce all' ideologia produttivista ritiene estremamente problematico introdurre alla musica sia il computer (per quanto intelligente) che il sordo (per quanto intelligente). 

Ma proviamo allora ad evitare le forzature commesse dall' impostazione produttivista, proviamo ad essere più rigorosi, vediamo dove il rigore ci conduce e forse scopriremo anche perché si è tanto riluttanti a seguirlo.

L' alternativa migliore consiste nel considerare il suono un fenomeno (puro evento), ovvero qualcosa che noi possiamo anche descrivere parlando delle cause che lo hanno generato ma per comprenderlo appieno doppiamo necessariamente sperimentarlo.

Quando siete a tavola, provate a spiegare cosa si prova degustando il "dolce" ad una persona molto arguta che però non puo' sentire i sapori.

Il bambino sordo non puo’ comprendere i suoni perché puo’ comprenderne solo la descrizione. Ma se è vero che i suoni sono innanzitutto dei fenomeni, la loro comprensione implica sperimentazione diretta, attività preclusa al bambino sordo.

Ho quindi distinto il suono/oggetto dal suono/fenomeno, poiché solo quest’ ultima formula è rigorosa.

Non si puo’ dar conto di un fenomeno senza ricomprendere nel resoconto il soggetto che lo percepisce.

Non si puo’ dire cosa sia un suono senza far rientrare nel resoconto l’ orecchio che lo percepisce.

Nell' impostazione alternativa, quindi, l' orecchio in ascolto è più importante sia della mano che batte, pizzica o pigia, sia della bocca che soffia.

In realtà parlare di “orecchio” non basta. Se lo scenario fosse popolato solo di orecchi, mani e bocche avremmo in scena una serie di oggetti che interagiscono tra loro, e saremmo punto e a capo.

Per uscire dal circolo vizioso occorre che all’ altro capo della relazione ci sia una mente in grado di fare esperienze.

Si tratta di esperienze necessariamente solipsiste, ovvero non comunicabili, anche se possiamo supporre che l' esperienza di coloro a cui ragionevolmente attribuiamo una mente simile alla nostra, somigli in qualche modo alla nostra.

Ma forse parlare di mente è ancora poco, molti potrebbero avere una concezione fisicalista della mente, potrebbero pensare che i processi mentali siano descrivibili, io direi allora che occorre una coscienza. E per chi ritiene che anche la coscienza dell' uomo sia riducibile a descrizioni fedeli, è allora necessario parlare di spirito: per introdurre alla musica l' elemento centrale è lo spirito dell' ascoltatore.

Al cosiddetto "approccio produttivista" si contrappone quindi il cosiddetto "approccio spiritualista".

Riepilogo: noi capiamo cosa sia un suono, non attraverso una descrizione rigorosa dello stesso, ma mettendo al centro chi è in grado di capirlo. Solo mettendo al centro CHI capisce la COSA riusciamo a capirla noi stessi. 

In altri termini, il suono è quel fenomeno prodotto da certe reazioni ben descritte dalla scienza acustica che puo’ essere compreso fino in fondo solo da una persona che ne fa un' esperienza diretta e solipsista, ovvero non comunicabile.

E allora diventa chiaro che perché il mondo dei suoni ha un senso necessariamente amputato per i bambini sordi che non potranno mai farne un' esperienza solipsista, pur potendo accedere a tutte le descrizioni più accurate in merito.

Ora diventa chiaro anche perché la via dettata dal senso comune, la via più rigorosa, chiara e priva di paradossi sia minoritaria: perché implica concetti quali quello di “introspezione”, "coscienza", “spirito” che sono come fumo negli occhi per molti uomini del nostro tempo in grado di tollerare a malapena il concetto di "orecchio".  

D’ altro canto, spero, comincia a diventare meno improbabile la mia affermazione iniziale: “… un’ autentica esperienza musicale… contribuisce all’ edificazione spirituale dell’ uomo…”.

Se i suoni, e quindi la musica, sono così intimamente connessi con la mente umana, e quindi con lo spirito dell’ ascoltatore, diventa più plausibile che agendo opportunamente sui suoni si possa agire in modo edificante e consolante anche sullo spirito di chi ascolta.

***
Dopo aver chiarito come intendere il "suono" possiamo ora dedicarci alla musica e al suo significato.

Così come il suono è cio' che sente chi ascolta un suono, il significato della musica è cio' che comprende chi capisce una musica. Ma cosa significa capire la musica?

La musica ordina i suoni come il linguaggio naturale ordina le parole e i concetti ma l' analogia non puo' protrarsi molto oltre. 

Una persona dimostra di comprendere una parola del linguaggio naturale utilizzandola correttamente ma per la musica vale qualcosa del genere?

Il "produttivista" risponde affermativamente ma lo "spiritualista" è molto più prudente: suonare correttamente un brano musicale - cosa alla portata di sordi e computer, tanto per dire - non è garanzia di comprensione dello stesso così come, d' altro canto, una musica puo' essere compresa da chi l' ascolta senza essere in grado di riprodurla. Anzi, questo è il caso più comune.

Chi parla in modo goffo, meccanico e autistico puo' tuttavia comprendere benissimo il significato di cio' che dice mentre chi esegue volontariamente l' Adagio di Barber in modo goffo, meccanico e autistico, pur potendo fare altrimenti, non ha capito niente della musica che interpreta.

C' è chi pensa allora che comprendere la musica sia piuttosto assimilabile alla comprensione della mimica facciale dei nostri interlocutori. Non c' è dubbio infatti che è soprattutto attraverso questo espediente che noi diamo una coloritura espressiva alle frasi che pronunciamo. 

In questo caso il parallelo regge senz' altro meglio. In effetti, per comprendere la mimica facciale del nostro interlocutore non è importante saperla riprodurre autonomamente. Perché mai un abile ritrattisti dovrebbe essere particolarmente abile nel dominare la sua mimica facciale?

Tuttavia anche questo parallelo rischia di essere incompleto, tanto è vero che non si vede perché un "produttivista" non possa farlo suo. Cosa impedisce, infatti, che attraverso una descrizione accurata della mimica facciale si possa poi redigere un dizionario analitico delle emozioni? Molta psicologia si dedica proprio a questo compito, e con successo! Ma se la sua descrizione analitica esaurisce la comprensione dell' emozione, allora siamo in pieno approccio "produttivista". 

Noi comprendiamo la mimica facciale del nostro interlocutore solo se riusciamo a metterci nei suoi panni, solo se in noi esiste un' esperienza in qualche modo simile a quella che lui intende comunicarci. Per comprendere la sua mimica facciale dobbiamo necessariamente fare appello alla nostra vita interiore, in particolare isolando in modo non arbitrario quelle esperienze vissute in cui abbiamo potuto vivere a fondo delle emozioni quanto più simili a quelle che ora lui tenta di esprimere. Solo in questo caso c' è autentica comprensione della mimica facciale.

E per la musica è un po' lo stesso, in essa l' artista rappresenta alcune emozioni ed esiste un solo modo per comprenderle:  fare appello alla nostra vita interiore isolando in modo non arbitrario l' esperienza personale che ci ha regalato emozioni in qualche modo assimilabili. E' solo con un riferimento all' esperienza personale, quindi, che si comprende la musica; attenzione però, non dico che l' esperienza concreta debba apparire in modo chiaro alla nostra immaginazione di ascoltatori, la musica non deve necessariamente rinviare a fatti concreti della nostra vita, il centro di tutto è l' emozione e solo quella, ma noi, per quanto detto prima, sappiamo che non possiamo conoscere cosa sia quell' emozione se non l' abbiamo esperita direttamente e in modo solipsistico.

Ora dovrebbe essere ancora più chiaro quanto sostenevo all' inizio: “… un’ autentica esperienza musicale… contribuisce all’ edificazione spirituale dell’ uomo…”: se la musica rinvia alle emozioni personalmente vissute, è chiaro che una grande musica evocherà in modo appropriato i frutti interiori più preziosi della vita vissuta riproponendoli in modo vivido alla nostra meditazione. La bellezza stessa non è tanto un attributo dell' opera quanto qualcosa che emerge da questa esperienza interiore che l' opera suscita. Ma queste sono anche le condizioni ideali per edificare il proprio Spirito e rafforzare le proprie convinzioni morali più autentiche.

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Il "produttivista" si oppone risoluto a conclusioni simili e cerca vie alternative. Quella "formalista", per esempio, gli sembra di gran lunga preferibile. Vediamo di che si tratta.

Per il formalista anche solo l' espressione "comprendere la musica" è quantomeno problematica. La musica ha davvero un senso da comprendere?

Probabilmente no, pensa il formalista. Non siamo affatto autorizzati a trattarla come la metafora di qualcosa, e soprattutto non dobbiamo coinvolgere la vita interiore di chi ha a che fare con i suoni: quando l' interiorità ha il sopravvento tutto si fa oscuro e incomprensibile.

La musica non puo' essere una metafora di qualcos' altro poiché si riferisce solo a se stessa.

Ma cosa significa un' affermazione del genere? Cosa significa affermare che la musica si riferisce solo a se stessa? Cosa significa affermare in modo perentorio l' autonomia della musica?

Eduard Hanslick, il padre nobile del formalismo, sosteneva che la musica è mera forma resa attraverso i suoni. L' architettura musicale e le varie dinamiche strumentali sono le uniche cose che siamo autorizzati a comprendere quando ascoltiamo della musica. 

Coerente con questa impostazione EH ci parla delle musiche utilizzando proprio la metafora architettonica e dinamica. Ma qui cade in contraddizione poiché egli stesso fa un uso insistito di metafore, ovvero di uno strumento appena condannato. Anche per descrivere una mera forma musicale, infatti, si fa uso di metafore! Dire che la musica  sale, scende o accelera, è solo una metafora, in realtà i suoni non fanno niente di tutto cio'.

Il formalista ci chiede di attenerci strettamente al dettato musicale, alla materia dello spartito senza rendersi conto che anche il gergo musicale più stretto è solo una comprensione metaforica di quanto accade. Se proprio vogliamo ridurre la mediazione metaforica non è tanto al musicista che dovremmo rivolgerci quanto al fisico, ma questo è palesemente assurdo.

Nemmeno il formalista, quindi, riesce a fare a meno delle metafore quando comprende la musica. Ma se il formalismo è un utopia, se la metafora è necessariamente sdoganata, tanto vale evitare quelle più sterili, ricorriamo piuttosto a quelle più pregnanti e più in grado di descrivere con pertinenza cio' che vive l' ascoltatore cosciente, anche a costo di rischiare di più in termini di arbitrio.

I formalisti moderni si sono accorti delle contraddizioni dei padri nobili e hanno dovuto giocoforza radicalizzare il loro approccio per poter tenerlo in piedi. 

Per loro, oggi, fare musica equivale a giocare. Del resto in inglese "suonare" e "giocare2 sono la stessa cosa.

Per i formalisti ludici la musica non ci comunica nulla di significativo, la musica è completamente svuotata da ogni metafora, è solo una mera "sintassi sonora" dotata di regole con cui gioca chi ascolta e chi suona. 

Ti annoi? Puoi riempire un cruciverba. Ti annoi ancora? Puoi compilare un sudoko. Il tedio ti assale? Puoi risolvere un rebus... Oppure, in alternativa, puoi pur sempre ascoltare/suonare della musica. In fondo si tratta di attività succedanee le une alle altre, tutte a disposizione del nostro piacere.

Allo "spiritualista" questa visione sembra davvero miserella. 

Come dicevamo, lo "spiritualista" ritiene che la musica possa essere anche compresa. Che la comprensione sia una facoltà autonoma e indipendente. Contro il "produttivista2 ritiene che sia una facoltà scollegata dall' abilità nel riprodurre correttamente i suoni. Contro il formalista ludico ritiene che sia una facoltà scollegata dalla capacità di trarre un mero piacere dai suoni a cui si è esposti.

La visione del formalista ludico però è particolarmente insidiosa poiché il gioco è la specialità dei bambini e l' introduzione alla musica riguarda per lo più proprio loro.

La visione del formalista ludico attrae il formatore poiché grazie al mero gioco riesce ad interagire più facilmente con il discente. 

In un certo senso giocare con la musica costituisce una tappa obbligata per chiunque voglia iniziare il bambino al mondo dei suoni. Il fatto preoccupante è che per la maggioranza dei formatori non esistono tappe ulteriori. 

Per i formatori "ludico/produttivisti" l' evoluzione del discente è molto semplice: costui passa dall' essere un giocatore approssimativo all' essere un giocatore particolarmente abile. Fine. 


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Appunto: parlando di formazione riprendi le 5 fasi del gioco abbinando a ciascuna un aspetto su cui insistere per una corretta formazione all' ascolto musicale...

giochi di ripetizione
giochi di ruolo
giochi di regole
giochi di scoperta (di regole)
giochi di metafora (sulle regole scoperte)
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John Sloboda – La mente musicale

Se la musica fosse un linguaggio, allora, per penetrare il suo mistero, si potrebbero far valere gli strumenti della psicologia cognitiva. Sono strumenti potenti, messi a punto sperimentando cio’ che le persone fanno con la musica, e non quello che dicono di fare. L’ intenzione è quella di comprendere cosa succede nella nostra testa mentre l’ ascoltiamo dicendo “che bello!”.

Ci sono buoni motivi per ritenere che la musica possa essere trattata alla stregua di un linguaggio verbale: come il linguaggio è universale, non esiste cultura che ne faccia a meno; come il linguaggio naturale anche la musica si apprende; come per il linguaggio, i significati non sembrano determinati dai contesti anche se i contesti influiscono sui significati; come il linguaggio, è in grado di produrre serie illimitate di sequenza; come per il linguaggio, i bambini sembrano avere una predisposizione naturale; come nel caso del linguaggio, il mezzo naturale è uditivo-verbale; come il linguaggio, spesso utilizza sistemi di notazione; come il linguaggio, puo’ essere compresa anche da chi non è in grado di riprodurla; come il linguaggio, differisce da cultura a cultura pur conservando una struttura profonda unitaria.

Ma soprattutto la musica, proprio come i linguaggi verbali, presenta tre componenti: fonologia, sintassi e semantica.
Finché Sloboda si lancia nell’ analisi della fonologia e della sintassi tutto fila liscio procedendo al meglio, puo’ persino permettersi continui paralleli con la grammatica generativa di Chomsky facendo un figurone.

Ma quando si arriva alla “semantica” (teorie del significato) i nodi sembrano venire al pettine.

Alcuni, pur di liberarsi dei “nodi” di cui sopra, hanno deciso di rasarsi a zero affermando che “la musica non ha una semantica” essendo un sottosistema chiuso che esaurisce in se stesso la sua funzione. Una specie di grande cruciverbone.
E’ vero che molti capolavori sono stati concepiti come “esercizi”, eppure sono pochi coloro che si limitano a reputarli tali. L’ elemento didattico, così come l’ elemento giocoso, non chiudono il discorso sui significati.

Sloboda, per esempio, si dissocia constatando (è il suo lavoro) come l’ esperienza musicale sia tradotta di continuo e senza arbitri palesi in altre modalità rappresentative.

Dal lato opposto, c’ è persino chi ha tentato pedanti “traduzioni” che abbinavano sequenze musicali ben individuate a stati mentali ben definiti; l’ accusa in genere è stata quella di scegliere esempi ad hoc, magari, nel caso della musica vocale, con l’ “aiutino” del testo. Ad ogni modo la sperimentazione sul campo si è incaricata di fiaccare se non di tagliare le gambe a questa visione.
Passate in rassegna le varie posizioni, Il minimo che si puo’ dire è che i significati della musica siano vaghi.

Se la musica è un linguaggio, sembra essere un linguaggio ben “rozzo”. D’ altronde Darwin la poneva all’ origine come vocalizzazione delle scimmie antropoidi. La parte “linguistica” è andata raffinandosi evolvendo nel linguaggio naturale; difficile però immaginare la componente “musicale” come un sottoprodotto di scarto seguito al raffinamento.

Qualcuno, in cerca di alternative sulle “origini”, ha puntato su una funzione primaria ben precisa della musica: creare coesione sociale. Trasposto all’ oggi ci vengono in mente le adunate oceaniche dei concerti rock, ma noi abbiamo una concezione ben diversa, direi “romantica”, di arte: l’ ascoltatore solitario sprofondato in intima meditazione che viene elevato nell’ animo per aver colto con il cuore e l’ intelligenza un nobile messaggio.

Bisogna rassegnarsi, un linguaggio con significati vaghi è un linguaggio primitivo, ma noi siamo ben lungi dal considerare la musica come qualcosa di barbaro che appartiene intrinsecamente al nostro passato di uomini-scimmia.
Poiché vale esattamente il contrario, il sodalizio tra linguaggio e musica sembra deteriorarsi.
In realtà anche il linguaggio verbale usa spesso espressioni “vaghe”, sarebbe interessante vedere con quale funzione. Forse è proprio qui che dobbiamo fare leva.

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E’ difficile capire a cosa “serva” la “vaghezza”, a prima vista non ha ragione d’ essere, e l’ affermazione perentoria è persino dimostrata con rigore dagli studiosi.

Potrei chiamare “alta” una una persona d’ altezza superiore a circa 1.80 e bassa una persona di altezza inferiore a circa 1.60, e tutti coloro che si collocano nell’ intervallo designarli con espressioni ancor più vaghe. Oppure potremmo decidere di chiamare “alto” chi supera il metro e settantacinque e “basso” tutti gli altri.

Ebbene, l’ economia (dell’ informazione) dimostra che il secondo metodo è più efficiente mentre la pratica opta decisamente sul primo. La precisione “conviene” ma noi scegliamo la vaghezza, perché?

1. C’ è chi dice che la “vaghezza” consente di imbrogliare. Ma la vaghezza è usata anche nei discorsi tra persone con interessi allineati.

2. Qualcuno sostiene che la vaghezza favorisce la sintesi. Ma spesso l’ espressione vaga è anche più prolissa e lavorata di quella precisa.

3. Altri sostengono che espressioni all’ apparenza vaghe sono in realtà precise. Chi dice “vale per vecchi e giovani” vuole dire che “vale per tutti”, espressione dalla precisione analitica. la considerazione ci toglie una castagna dal fuoco, ce ne rimane solo un’ intera padella.

4. C’ è chi sostiene che la vaghezza è comoda per coprire un’ ignoranza. Ma la cosa ha senso qualora non dovesse rientrare nel caso 1, e anche in questo caso un linguaggio probabilistico preserva le incertezze senza pregiudicare il rigore.

L’ ipotesi più corretta sembra allora un’ altra: la vaghezza è un invito alla ricerca comune. Un atto prudente che è anche richiesta d’ aiuto.

Noi spesso siamo vaghi al fine di innescare la comunicazione in modo produttivo, nonché la “ricerca comune” con l’ altro. La nostra ignoranza non riguarda solo l’ oggetto delle nostre affermazioni, quanto il soggetto a cui ci rivolgiamo.

Un esempio triviale puo’ aiutare.

Giovanni deve chiedere a Giacomo di passargli, tra le molte allineate sullo scaffale, le scarpe blu: per il vestito che indossiamo ci vogliono proprio quelle; ma non sa esattamente come Giacomo percepisce il colore “blu”. Se Giovanni fosse preciso comunicherebbe fornendo una definizione analitica di blu secondo i suoi standard. Ma Giacomo, che forse ha ha standard differenti, tradurrebbe analiticamente senza riscontrare corrispondenze, vedendosi a quel punto costretto a una scelta casuale nella speranza di azzeccarla (risultato inefficiente). Con un linguaggio vago (che senza indirizzare con precisione limita vagamente l’ insieme tra cui scegliere), per contro, noi otterremo un risultato migliore, e magari sfrutteremo pure le eventuali competenze di Giacomo circa la miglior tonalità di blu da abbinare al nostro vestito.

La vaghezza serve dunque a facilitare l’ incontro, la presa di contatto e la ricerca comune con un “altro” a cui riconosciamo comunque delle abilità cognitive.

Se la musica è chiamata a esaltare questa funzione linguistica, le conseguenze estetiche non sono da poco, e ognuno tragga le sue.
L’ incontro con l’ “altro” e la frequentazione di territori “poco esplorati” sfrutta al massimo questa predisposizione: l’ elemento della “novità” (originalità) diventa cruciale nella valutazione estetica. Quando il codice musicale si fossilizza, quando la materia e gli interlocutori diventano presenze stantie, allora cessa ogni funzione specifica della vaghezza, che invece è strumento imprescindibile allorché ci spingiamo in avanscoperta per procurarci sempre nuovi incontri, sempre nuove “prese di contatto”.

A costo di cadere nel fanboysm, azzardo la congettura per cui la musica più carica di promesse sia quella non-omologabile, ovvero la musica restia alle classificazioni. Se un musicista è “etichettabile” (pop, rock, classica, jazz…), diffidate, c’ è il rischio che faccia un “uso improprio” della sua (pseudo) arte. E’ un po’ come se si rinchiudesse nelle sue quattro rassicuranti mura anziché uscire, esplorare, fare incontri, ibridarsi. E le cose non cambiano per il passato: i musicisti di valore cono quelli che hanno creato la casella dove ora li vedete sistemati. 

Ma il linguaggio “vago” ha anche un’ altra funzione, ovvero coniugare bugie pietose e autorevolezza a tutto vantaggio del bene sociale. E’ noto infatti che il buon governo richiede di mentire con un genere di menzogna che non esautori, altrimenti, ben presto, la comunità resterebbe senza i suoi migliori amministratori. In merito i tabù sono talmente radicati che il solo utilizzo della parola “menzogna” per descrivere certe pratiche è provocatorio e disturba l’ orecchio, meglio forse allora dire “reticenza”. Il “pifferaio magico” per noi è una figura truffaldina ma si sappia che tutti i politici sono chiamati a suonare il piffero, alcuni lo sanno fare bene altri meno.

Dominare le vaghezze del linguaggio consente la trasfigurazione del “pifferaio magico” in "statista", ovvero in colui che fonde mirabilmente finzione e pragma grazie al sapiente gioco delle sfumature. Ogni sua affermazione deve essere al contempo motivante e “indecidibile”, ogni suo proclama commovente e “inclassificabile”. Proprio come una buona musica.