E' concesso in questa sede odiare un libro?
Allora, con tutti i crismi dell' ufficialità, vorrei mettere alla berlina il libro Cuore. Puah.
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Finalmente l' ho fatto. Che liberazione
Eppure non sono del tutto soddisfatto, non mi sento vendicato, dovrei dirlo un po' meglio.
Siccome l' esecrazione si manifesta alla giusta magnitudo solo se accompagnata dal suo fratellino gemello, l' amore...
...farò in modo che l' insoddisfacente sprezzatura del libro Cuore, si esprima al meglio grazie all' omaggio deferente tributato all' anti-Cuore per eccellenza: Pinocchio.
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Pinocchio è un Franti che si salva.
Ah ah, sono salvo. Tiè Garrone, tiè Bottini, tiè a tutti i piccoli patrioti-vedette-scrivani, e crepi anche De Amicis e crepi con lui tutta l' Italia Unita.
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Me lo chiedo da sempre.
Che bisogno ci sarà mai di avere una trama, a cosa serve uno sceneggiatore, che me ne faccio del plot se tanto, ormai ne sono quasi certo, mi interessa solo una storia fatta di due soli snodi:
lui sembra che non ce la faccia, ha tutte le carte in regola per non farcela, non ha nessuna possibilità di farcela, lo dicono tutti, lo dice De Amicis, il Presidente, il Papa Cattolico, il Papa Laico, il TG1, il TG2 e il TG3, la TV a reti unificate, il Professore, il Direttore, il Sondaggista, lo Scienziato e lo Statista ...
...invece ce la fa.
Evvaaii.
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Solo la corda di una lira ispirata sa accompagnare con tatto e discrezione il viaggio del predestinato al fallimento.
L' impresa non è facile. Che si sia di fronte ad uno "spacciato" deve essere sempre più evidente senza che niente trapeli in modo esplicito.
Raccontare i talenti per il naufragio non è semplice. E' tutta una questione di posture, di interiezioni, di gesticolazioni, di sospirazione, di occhiate, di istinti repressi, di riflessi abortiti, di minuzie comportamentali e sintattiche.
Ma solo il grande artista sa creare quel vuoto di stomaco che dà lo spiazzante e implausibile salvataggio del reietto, l' annichilimento imprevisto di quello che credavamo il solido pardagma del destino greco.
E, detto tra di noi, non c' è niente di meno promettente che un Ciocco di Legno.
Chiunque abbia sbagliato puo' rimettersi in carreggiata, d' accordo. Ma qui siamo di fronte ad una multiforme scapestraggine, ad una birba matricolata, a un monellaccio, a uno svogliato, a un vagabondo con tutta la sua sequela di fallimenti morali reiterata e disperante.
E oggi questa diperazione è ancor più validata di ieri. Visto il discredito in cui è caduta la pedagogia delle legnate umilianti, l' insuccesso di quel mariuolo che ne riceve parecchie, è telefonato.
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In presenza di educatori lassisti, ricordo che con qualche frignatina ben allocata, era facile bigiare l' asilo.
Allora me ne stavo in cameretta tutta la mattina ad ascoltare i dischi delle fiabe.
Ma Pinocchio non lo mettevo su tanto volentieri. Era una fiaba inquietante per me. In una speciale classifica horror precedeva anche La Piccola Fiammiferaia, nonchè tutti gli Andersen.
Era una Fiaba con "tempi" anomali e sincopati, proprio laddove il bigiatore pivellino richiederebbe una regolarità cronometrica da orologio svizzero.
La catarsi, per quanto attesa come in ogni fiaba, tardava ad arrivare.
E dopo aver atteso ben oltre la scansione consueta, ancora non arrivava nulla. La cosa era intollerabile. Il tempo passato con il cuore in gola era decisamente eccessivo.
Una simile condizione poteva andare bene per Giamburrasca, ragazzino nato e costruito per abitare tutta la vita nel paese delle marachelle, un paese, il suo, senza orecchie d' asino e con Pappa col Pomodoro a go go.
Ma con Pinocchio no, su Pinocchio incombe qualcosa di terribile, si sente continuamente odore di Apocalisse, nel suo mondo è al lavoro una qualche escatologia, fin dall' inizio pulsa l' agnizione.
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Se Pinocchio fosse un racconto "di formazione" (Bildungsroman), sarebbe stato facile e gradevole archiviarlo nello scaffale di competenza per poi disporsi rilassati ad ascoltare, per esempio, la deliziosa multivocalità di Paolo Poli.
Ma nei romanzi "di formazione" si descrive una serie di prove attraverso cui il soggetto immaturo si trasfigura per ripresentarsi alla comunità finalmente adulto.
Nel nostro caso invece l' esito finale è un bambino in carne ed ossa. Il contrario di un adulto.
Per quel che ne so io non esiste un apprendistato per diventare bambini. Non esiste un apprendistato per nascere.
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La meta finale è un "bambino", un' "anima". Ci viene raccontata la conquista dell' anima. Ci viene racontato il sogno/incubo di un embrione.
E se in questa vicenda c' è una vera volontà proiettata verso la meta finale è la volontà di Geppetto...
Inoltre, nel bel mezzo di tutte queste tempeste uterine, latita la capacità di apprendere.
Pinocchio sembra in balia degli elementi, non impara, non progredisce. Ha fallito troppe volte e, oltretutto, sempre nell' affrontare la stessa prova. Non possiamo dire di essere al cospetto di un "discente".
Il burattino cade subito alla prima tentazione e non arriva alla scuola. Ma anche se ci fosse arrivato non avrei scommesso una lira su di lui. Mi dispiace ma è così.
Quando uno cade una volta, due volte, tre volte nella medesima trappola, allora diremo di lui che è proprio una testa di legno.
Zeno Cosini, uomo abbandonato ormai dalla provvidenza, non smetterà mai di fumare, lo capiamo dalla grande arte di Svevo.
Pinocchio, burattino scortato dalla provvidenza, non smetterà mai di fare marachelle, lo capiamo dalla grande arte di Collodi.
Poi invece smette: è la grandissima arte di Collodi.
E' l' arte di chi ha saputo far smettere di fumare Zeno Cosini, di chi ha redento Franti, di chi ha rinsavito Don Chishiotte...
Collodi, pessimista disperato e vate dell' assurdo, oltre che dalla propria arte, è aiutato dalla sua originale concezione. Scrive sempre avendo in testa il finale con Pinocchio impiccato. Sono i bambini, portatori di mistero e speranza, che subissano il "Giornale" di lettere ottenendo la Resurrezione.
Non si tratta di appendice estranea da sequel, sorprendentemente Collodi riparte rinvigorito nell' ispirazione e convertito nell' ideologia.
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Tutte operazioni già tentate, ma con il trucco: ci si limitava a riabilitare il comportamento consueto del "disperato" cambiando l' ottica di osservazione.
Franti veniva giustificato nelle sue marachelle, eravamo noi a convertirci, non lui.
La follia di Don Chishotte diventava gioiosa e non meno grave della nostra, anzi, smascherava la nostra. Addirittura veniva ripresentata come una forma di lucidità superiore.
Eravamo noi però a dover abbandonare i quieti lidi della grigia normalità con tutti i parametri che la descrivono.
Ma con Pinocchio espedienti del genere vengono messi da parte.
Pinocchio è la storia di un miracolo a sorpresa: una Testa di Legno promossa nel Paradiso della normalità.
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A fare i bravi s' impara, e alla fine ci si becca anche l' applauso.
Ma conquistarsi l' anima è un vero colpo di scena della Grazia. Lo spettatore spiazzato non riesce nemmeno ad applaudire.
E in questo silenzio attonito di noi spettatori Pinocchio sguscia fuori dal grembo e corre via a vivere la sua vita di uomo in carne ed ossa fatta di molti errori conditi con qualche sporadico successo.