lunedì 8 novembre 2010

Il nostro povero individualismo

Il Nostro Povero Individualismo

C' è stato un tempo in cui ci avevano creduto in molti.

Schiere di puntigliosi letterati spalleggiavano il lavoro di accaniti filosofi.

Con il coraggio e la precisione dei dinamitardi si erano messi tutti quanti in testa di smontare quella maledetta costruzione psichica che è l' "io", causa prima di tanti mali.

Specie del mal di testa.

Una fosca ombra, 'sto monosillabo, che non ci molla un attimo, neanche quando andiamo al gabinetto.

Un fardello che ingrassa inutilmente pesando su ogni nostro movimento con tutto lo zainetto di responsabilità che ci infila a tradimento sulle nostre innocenti spalle.

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Era una strategia geniale, non c' è che dire: se soffro, perchè eliminare la sofferenza quando posso eliminare l' "io"? Perchè non tentare l' incruento colpo di stato grammaticale?

Per carità, non mancarono i soliti paludati ammonimenti moralistici dei ben noti grilli parlanti, i quali, insensibili alle feroci emicranie che la valle di lacrime ci riserva, osarono obiettare contro la cura proposta del taglio della testa.

Ma perchè preoccuparsi per simili mugolii? Bastarono quattro martellate sul muro ben distribuite per liberarsi dei loro predicozzi stantii.

Tanto poi si dà una mano di bianco e chi s' è visto s' è visto.

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L' artista serio era invece tutto concentrato a strapazzare il pronome in questione. A stiracchiarlo come il pongo per vedere l' effetto che fa.

C' era chi voleva decostruirlo, chi voleva scioglierlo nell' acido (lisergico), chi studiava come farlo sparire dormendo tutta la vita, chi procedeva a collettivizzarlo in modo che fosse possibile riunirsi tutti sotto un unico grande "io". C' era anche chi, adottando sorprendenti strategie inflazionistiche, cercava, con generosa distribuzione, di assegnarne un centinaio a cranio.

Ad un certo punto il mortale nemico sembrava proprio dovesse cedere, il nostro povero "io" atterrito appariva spacciato, appariva come roba vecchia, roba d' altri tempi, la moltitudine dei suoi nemici tendeva le avide mandibole verso quella povera carcassa.

Fragile legno su mare torvo, non sapeva bene che dio pregare.

L' attacco concentrico delle avanguardie letterarie era portato da più fronti e senza tentennamenti. La resa era prossima.

Solo per dovere di cronaca aggiungerò che, mentre la discettazione teoretica su questi temi s' impennava per qualità, la parallela letteratura sperimentale subiva dinamiche ben diverse.

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"Il Fu Mattia Pascal" (appena letto su Radio Tre) fu una delle cannonate più poderose sparate nell' assedio descritto più sopra.

Pirandello, con la gran parte della sua opera, prese parte attiva al sacco dell' Identità, e lo fece con le mostrine del Generale.

Il mio parere è che prese parte anche al fallimento di quell' impresa sciagurata.

Per capire come tutto quell' ambaradan sia andato a ramengo, la lettura del "Fu Mattia Pascal" è caldamente raccomandata.

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Da giovane Lettore desideroso d' intrupparmi e costantemente in cerca di Partito, pensai bene di iscrivermi nel movimento "anti-realista".

Era però necessario adottare "Il Fu" come bandiera.

E perchè no? dicevo. La cosa mi risultava semplice, lo si poteva fare a testa alta senza addivenire a nessun compromesso infamante.

Senonchè, per quanto sia più che onorevole alzare un simile vessillo, è la bandiera stessa a presentarsi taroccata una volta che, garrendo al vento, la puoi osservare meglio dispiegata.

Così distesa ha l' aria di non servire a dovere la causa anti-realista. E non sai come ci rimani male se mentre suoni la carica ti accorgi di alzare uno stendardo che assomiglia in modo imbarazzante a quello del nemico.

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Cerco di spiegare meglio quell' imbarazzo.

Ogni volta che il "Fu" gira alla larga dal progettato nucleo del racconto, allora dà il meglio di sè.

Noi lì abbiamo agio di ammiriare finalmente il passo felpato con cui avanza senza scopo ogni Grande Libro.

Finchè il Pascal è in saldo possesso del documento anagrafico, l' Alta Letteratura ci bacia facendoci mille promesse e raccontandoci cose rare a proposito di eventi quotidiani

Mamma mia, quante fragranze. Che sapori pregnanti schizzano fuori da ogni capoverso. Un rigo, una spezia. E noi assaggiamo tutto con le fiammelle negli occhi e le bollicine nel sangue.

Al lettore arriva a fiotti la clorofilla che lo rinverdisce, giungono in massa quei segnali che lui attende avido da sempre, l' unica cosa che lo ripaga per il tormentoso passatempo che si è scelto.

Sì perchè, quando fa breccia la risatina proprio mentre il muscolo cardiaco si contrae in una stretta, allora lo sai. Sai di respirare l' aria ipossigenata che spira sempre dalle vette del Capolavoro.

E tutto succede mentre, e solo mentre, eventi realissimi, naturalissimi, si abbattono contro l' inettissimo, ma monumentale, "io" del Pascal.

E anche il mio "io" è lì, ben nascosto dietro lo specchio della pagina, tutto preso a fare serrati e spassosi confronti con il suo patetico dirimpettaio di carta.

Meste identificazioni, orgogliose dissociazioni. Le basi da cui giungere di volta in volta a esiti differenti non mancano: i nostri due individualismi spiccano ben definiti e si paragonano come in una naturalissima e costruttiva sinossi.

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Ma poi sulla storia cominciano a fioccare eventi anti-naturali (ce n' è sempre almeno uno ad imbrattare le carte di Pirandello).

Uno in particolare: il Pascal, creduto morto, puo' vivere finalmente come uno Zombie e vagare dentro una vuota sorte.

Bella Idea, non c' è che dire. Ma quando le Idee defenestrano i Fatti non c' è mai da stare allegri.

E non c' è dubbio che quanto più un' Idea è geniale, tanto più "defenestra".

La Moglie, la Suocera, l' Amico Scemo, il Tipo da Bar, il Tipo da Spiaggia, i Tipi in generale e tutta questa cornucopia di lussureggiante biodiversità che mi aveva rallegrato emozionandomi, non puo' più vivere nel Nuovo Mondo Ideale del "rinato".

Perchè il Nuovo Mondo del Rinato è un Laboratorio già stipato dalle speculazioni mentali del Nostro tutto preso ad indagare le sfumature di questa sua nuova artificiosa condizione di liberto.

In una simile dimensione "pensata" cessa ogni possibile abboccamento sorprendente a cui valga la pena di presentarsi per scambiare quattro chiacchere, così, da Lettore a Personaggio.

Il Fantasma di Pascal procede leggero finalmente sgravato dalla mordacchia del suo individualismo.

Non so se provi un qualche sollievo. Certamente la mia intesa con lui ne risente.

Un po', un po' tanto, mi dispiace di aver perso un così edificante termine di paragone.

Quanto alle modeste e fluviali speculazioni da bibliotecario iperaccomandato, con tutto il permesso, se proprio voglio sgranchirmi le sinapsi, a quel punto deposito sul comodino il "Pirandello finito fuori strada" per virare sereno verso Summa Teologica o Settimana Enigmistica.