martedì 23 novembre 2010

Capire la mente cattolica II

Con il capitolo II, ELV sembra buttarla in filosofia.

Ripropongo la sua accusa suddividendola in due parti:

1. Quando il cattolico dice "credo in Dio" non sa in realtà di cosa parla, questo per il fatto che la parola "Dio" non è intelleggibile, trattasi infatti di un concetto indefinibile; per esempio, cosa significa "eterno"? Boh. Così come ha ben poco senso la parola "credo" quando è usata come la usano i Cattolici, ovvero per significare una certezza.

In un certo senso è vero che per parlare di Dio dobbiamo ricorrere a metafore, ed è anche vero che Dio in gran parte è Mistero.

Detto questo, l' accusa si regge bene solo se si adotta una prospettiva "materialista".

Dicendo "Dio" ci manca un riferimento naturale che i sensi possano cogliere, Dio non è avvistabile da alcun telescopio e cio', agli occhi del materialista, lo rende un concetto insensato.

Ma noi, credenti o no, utilizziamo spesso concetti che non hanno riferimenti nel mondo naturale, penso ora a "mente", "coscienza", "responsabilità", "causa", "numero" e molti altri. Difficile dire che siano concetti senza senso o che siano in qualche modo riducibili naturalisticamente, anche se proprio in questo consiste la tortuosa fede dei materialisti.

Andiamo avanti, perchè mai Dio non sarebbe definibile? E le trenta pagine che Richard Swinburne dedica alla definizione del concetto di Dio nel suo ormai classico "The existence of God"? E la definizione formale di chi, da Anselmo a Godel, si è impegnato nella dimostrazione dell' esistenza divina?

Il fatto che un concetto non sia definibile in modo completo non significa che sia insensato. Tutti i giorni maneggiamo concetti del genere senza considerarli insensati.

Ancora un passo, perchè mai non potremmo cogliere il senso di una parola come "eterno"?

D' accordo, non possiamo sperimentare con i sensi l' "eternità", ma, a riprova di quanto dicevamo, un limite del genere puo' allarmare giusto un materialista!

Per tutti gli altri un concetto come "infinito" è da noi bene o male compreso, in caso contrario molta matematica farneticherebbe.

Con Swinburne direi di più, si tratta di un concetto talmente familiare per la mente umana che, semplificando le spiegazioni fondate sul concetto di "Dio", finisce per renderle razionalmente preferibili rispetto alle spiegazioni concorrenti.

Veniamo ora alla parola "credo".

Per respingere l'accusa basterebbe notare come anche il non credente in molti frangenti usi questa parola proprio per esprimere qualcosa di vicino alla certezza.

Pensiamo a questa domanda: "vivo in un Matrix o in una realtà?". Noi, credenti o meno, non ci poniamo nemmeno l' interrogativo, diamo per scontata la risposta. Eppure è una risposta fondata sulla "credenza".

Altra domanda che potrei pormi: "tu hai una mente come ce l' ho io?": altra risposta scontata, altra "credenza".

E adesso la seconda accusa.

2. Ammesso che l' espressione "credo in Dio" abbia senso, molti credenti non sanno quel che dicono quando la pronunciano.

Su questo posso concordare, il credente oggi non è abituato a riflettere sulle basi razionali della sua fede, ma devo aggiungere che i cattolici, proprio in virtù di cio' che la loro fede domanda, sono anche i più attrezzati per rimediare all' inconveniente.

... continua...