domenica 2 settembre 2012

L’ ambientalista per come lo conosco

L’ “ambientalista” rispettabile propone in buona fede di combattere il “global warming” attraverso una rettifica dei nostri stili di vita.


Peccato che io “ambientalisti” del genere ne conosca ben pochi.


Quelli di mia conoscenza, invertendo mezzi e fini, propongono piuttosto di rettificare i nostri stili di vita (un “altro mondo” è possibile) agitando lo spauracchio del “global warming”. L’ “alt

ro mondo” è quello socialista riveduto e corretto nell’ ennesima utopia.


Del resto si tratta spesso di personaggi reduci da catastrofici fallimenti ideologici che cercano di riciclarsi ancora una volta dalla parte dei “buoni” e dei “salvatori dell’ universo”.


La prova del nove? Non appena accenni a strategie contro il global warming che non implichino un mutamento radicale negli stili di vita (es: nucleare, gas naturale, geoegineering…) vanno su tutte le furie adducendo pretesti ben poco credibili.

domenica 19 agosto 2012

Perché non andiamo d’ accordo?

Esiste Dio? Chi vincerà il campionato? L’ assassino era capace d’ intendere e volere? L’ omosessualità è un comportamento deviante?

Ci sono molte discussioni su cui non si riesce a raggiungere un accordo stabile, e questo per quanto si rispetti l’ interlocutore. A volte si finisce per accordarsi sul proprio disaccordo. Peccato che il disaccordo di due individui affini sia impossibile a prescindere dalla materia oggetto di discussione, e la cosa è rigorosamente dimostrabile.

Chiariamo cosa s’ intende per “affinità”? Giovanni e Giuseppe sono affini se Giovanni messo nei panni di Giuseppe agirebbe e penserebbe come quest’ ultimo. E viceversa.

Passa un’ auto, a Giovanni sembra rossa a Giuseppe viola.

Con il nostro bel teorema alla mano possiamo fare una previsione certa: nella discussione che segue tra i due si troverà un accordo sul colore dell’ auto. Magari sarà il colore sbagliato, ma di sicuro ci sarà accordo.

Come si procede? Semplice: basterà stilare una serie finita di ipotesi circa quanto è accaduto, dopodiché ciascuno dei due protagonisti stimerà ciascuna delle ipotesi in campo aggiornando poi la sua credenza in base a ai “fatti nuovi”, ovvero alle stime dell’ altro. Aggiornamento dopo aggiornamento si addiverrà necessariamente ad un accordo: si badi bene che non esiste necessariamente un sentiero di convergenza (Giuseppe non sa come cambierà la stima di Giovanni), Per dimostrare che l’ accordo è l’ unica posizione di equilibrio basta notare che solo quando le due stime coincidono non richiedono aggiornamento e quindi introduzione di fatti nuovi.

STRETTA

Non basta però l’ affinità e l’ onestà degli interlocutori, occorre anche la “conoscenza profonda” di queste caratteristiche; ovvero, Giuseppe e Giovanni devono essere onesti, in più Giuseppe deve credere all’ onestà di Giovanni e deve credere che Giovanni creda alla sua onestà e deve credere che Giovanni creda che lui crede all’ onestà di Giovanni, eccetera. Lo stesso deve valere viceversa. Se questa sequela non va all’ infinito, ciascuno dei due non prenderà come sincera e omogenea la stima data dall’ altro e quindi anche in caso di coincidenza casuale delle opinioni ci saranno sempre dei motivi per aggiornarle e farle divergere.

***

Nella vita di tutti i giorni, però, i disaccordi sono molti. Forse l’ accordo richiede tempi troppo lunghi per essere raggiunto. Oppure la persistenza dei disaccordi è spiegabile diversamente:

1. non siamo affini;

2. non siamo onesti di proposito;

3. non siamo onesti perché ci autoinganniamo;

5. pensiamo che almeno una motivazione tra 1, 2 e 3 sia plausibile.

6. pensiamo che che almeno una motivazione tra 1,2,3 e ,4 sia plausibile;

.

.

.

n. pensiamo che almeno una motivazione tra 1,2,3,4… e (n-1) sia plausibile.

Tutte le “n” motivazioni date probabilmente giocano un ruolo ma il mio intuito punta su 1 oltreché su quelle comprese tra 5 e n: noi siamo molto più diversi di quel che crediamo comunemente, o perlomeno qualcuno lo crede, o perlomeno qualcuno crede che altri lo credono, o perlomeno qualcuno crede che altri credano che qualcuno lo crede…. Purtroppo 1 e 5-n implicano una conseguenza spiacevole: anche se esiste una realtà oggettiva e anche se qualcuno la afferra, difficilmente potrà mai comunicarla a chi intende “convertire” se non stabilisce un clima di “fiducia abissale” e la fiducia prescinde dall’ arsenale degli argomenti.

Letture:

http://mercatus.org/sites/default/files/publication/Are_Disagreements_Honest_-_WP.pdf

http://jasonfbrennan.com/RatioScepticism.doc

http://www.philosophyetc.net/2012/10/unreliable-philosophy.html

 

martedì 7 agosto 2012

Legge di natura e diritti naturali

Sul tema regna grande confusione, inutile negarlo.

Quando propugni un diritto scondo natura spunta spesso lo stolto: “allora, se davvero vuoi seguire la tua natura, non dovresti nemmeno mettere gli occhiali”.

Oppure: “se la mia natura è quella di uccidere, comportarmi di conseguenza non dovrebbe essere riprovevole”.

E che dire poi dei problemi circa la naturalezza del comportamento omosessuale?

La natura ha a che fare con il “fine” della cosa in questione. Per chi crede in un universo senza scopo il concetto di “natura” nel senso aristotelico/platonico/scolastico è semplicemente assurdo.

La natura di un cane comprende anche la sua corsa, se un cucciolo nasce senza zampe è del tutto naturale aiutarlo con una protesi artificiale.

Nessun giusnaturalista dirà mai che “agire secondo i diritti naturali” chiuda la questione giuridica. Al contrario, la apre indirizzandola secondo una certa prospettiva.

Poiché l’ uomo è dotato di intelletto, la sua natura comprende anche degli obblighi morali.

Qui lo si dice meglio:

http://edwardfeser.blogspot.it/2012/10/whose-nature-which-law.html

giovedì 26 luglio 2012

Incubo

INCUBO N. 1: Godzilla scende sulla terra e annuncia: cara Umanità, tra poco lancerò questa moneta, se uscirà testa ti estinguo all’ istante, se uscirà croce me ne vado così come sono arrivato.

INCUBO N. 2: Godzilla scende sulla terra e annuncia: cara umanità, per ognuno dei tuoi membri lancerò una moneta: se esce testa macellerò il prescelto, se esce croce lo lascerò vivere. Dopo il settemiliardesimo lancio me ne andrò lasciandovi a piangere i vostri morti.

INCUBO N. 3: Godzilla scende sulla terra e in un incontro a quattr’ occhi ti descrive gli scenari dell’ INCUBO N. 1 e dell’ INCUBO N. 2. Poi annuncia: tra i due ti concedo graziosamente la libertà di scegliere quello che più ti aggrada, dopodiché procederò a realizzarlo.

monster

Probabilmente il “moralista verde” (*) Michele Serra sceglierebbe l’ INCUBO N. 1, ricordo ancora come giustificò la recensione positiva del film “Galline in fuga”: “è un film edificante poiché ci insegna che o ci salviamo tutti o non si salva nessuno”.

Io, invece, propendo per l’ INCUBO N. 2, non so neanche bene il motivo.

Certo che in questi casi le risposte “immotivate” sono le migliori poiché, probabilmente, sottendono una professione morale sincera: i valori dichiarati “a nostra insaputa” sono i più autentici, diffidate dei “valori” che la gente sbandiera o si appunta al petto come medaglie.

Se poi penso più razionalmente alla faccenda mi vengono in mente solo due motivazioni degne di nota.

Motivo per scegliere l’ INCUBO N. 1: le vite perse in “1” sono qualitativamente pari alle vite perse in “2” ma le vite salvate in “2” sono “mezze vite” visto che ciascuno dei sopravvissuti vedrà, in media, perire in modo orribile la metà dei suoi cari. Ricordo che una motivazione del genere fu alla base di una controversa (figuriamoci!) “apologia del genocidio”.

Motivo per scegliere l’ INCUBO N. 2: in “2”, oltre a garantire una quota di sopravvissuti si salvano anche le generazioni future. Qui bisogna aggiungere che per molti le generazioni future non vantano alcun diritto nei nostri confronti (non esistono!). Ma se fosse davvero così che senso avrebbero tanti buoni e sensati propositi volti a “salvare il pianeta”? Un quadrato “moralista verde” (**) non mancherebbe di optare per “2”.

(*) “verde” nel senso di “specializzato in questioni di invidia”.

(**) “verde” nel senso di “specializzato in questioni ambientali”.

martedì 24 luglio 2012

Brutture presentabili

 Colours (Donovan/Van Dyke Parks)

… quando perfino Donovan puo’ essere “coverizzato” meravigliosamente…

BURNT SUGAR (BURNT SUGAR)

… tra il bullismo dei fiati e il vittimismo delle tastiere…

Les collines d'Anacapri (claude debussy)

… quando l’ esotismo siamo noi…

Warholian Wigs (Dirty Projectors )

… ci sono quadri che migliorano se guardati con gli occhiali sporchi…

hey joe (Liz Green)

… il femminicidio più famoso della storia del rock trasformato in mascolinicidio…

LASIK (Matmos)

… a qualcuno piace fritto…

Award The Squadett  (Henry Threadgill )

… e pensare che una volta sti jazzisti erano debolucci sulla parte scritta…

Penelope Home (Sarah Kirkland Sniider)

… canzoni avvolgenti come plaid…

Let X = X It Tango (Laurie Anderson )

… aperitivo con l' androide…

Small Wonder (Baby Dee)

… con tanto di uccellini (che fa molto “idillio”)…

Momentary Expanse (Tristan Perich )

… voglio un mondo senza swing…

Le Banquet Celeste+ Poland (Olivier Messiaen/M...)

… saliamo insieme la scala di Elia…

For Ann (James Tenney)

… dichiarazione d’ amore (di un robot)…

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http://www.goear.com/playlist/ac9d472/bulli/ 

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Dentro:

… pietre che rotolano sul posto…

pietre volanti

… brutture presentabili…

brutture presentabili

… fotografie mediterranee…

immagini mediterranee

… mondi in miniatura…

mondi in miniatura

… gioie domestiche…

 rassettare con gioia

… minacce fino a ieri impensabili…

Easter Egg Hunt

… la giusta leva per sollevare il mondo…

ricerca della giusta leva

… dichiarazioni d’ amore truculente…

dichiarazioni d' amore truculente

… dichiarazioni d’ amore elettrizzanti…

romantici corto circuiti

… memorie di una palla domestica fatta dalla mamma e presa a calci per una vita…

la palla di casa prende vita

… giochi pericolosi con l’ azoto liquido…

giochi pericolosi con l' azoto liquido

… ambientalismo insostenibile…

ambientalismo insostenibile

… arte in saldo…

arte in saldo

venerdì 20 luglio 2012

Oggi parliamo d’ arte

Partiamo con tre domandine da nulla:

A. Cos’ è l’ arte?

B. Cosa distingue un oggetto artistico da un oggetto non artistico?

C. Cosa distingue l’ opera di valore?

Nel 1746 Charles Batteux rispondeva diligentemente:

… l’ arte è una presenza piacevole che imita la natura…

 

Di acqua ne è passata sotto i ponti e simili affermazioni suonano superate, cosicché le questioni tornano impellenti.

A questo genere di interrogativi, il profano reagisce sempre allo stesso modo: lo so, ma se ci penso non lo so più.

Brutto segnale: le difficoltà più aspre si presentano sempre in questa forma! Al punto che non manca mai chi rinuncia a dipanare la matassa, e magari accompagna il suo disimpegno citando il protettore (suo malgrado) dei “pigroni intellettuali”, San Wittgenstein: cio’ di cui non si puo’ parlare, si deve tacere.

Per costoro le “domande di senso” dovrebbero essere accantonate. In effetti c’ è da chiedersi se siano  importanti e se in merito non ci sia un modo soddisfacente  per barcamenarsi tra “bolle parolaie” e “pigrizia intellettuale”.

Di sicuro tacere e girarsi dall’ altra parte non produce l’ inconveniente temuto da molti: il mondo non soffrirà certo di penuria d’ opere d’ arte per il semplice fatto che non sappiamo cosa sia l’ arte; così come lo scienziato si puo’ disinteressare al senso ultimo del suo lavoro (e spesso è auspicabile che lo faccia), lo stesso dicasi per l’ artista;  Barnett Newman lo aveva capito:

… L’ estetica sta agli artisti come l’ornitologia sta agli uccelli…

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Ma perché questo pessimismo quando c’ è un motivo potente per non gettare la spugna? Oltretutto un motivo semplice: il lavoro è già stato fatto, esiste sul punto un solido consenso tra gli esperti.

Vediamolo:

A. L’ arte non “esprime”, non “imita” ma “rappresenta”.

B. L’ oggetto d’ arte non ha peculiarità “formali” o “percettive” ma solo “contestuali”: è il contesto che conferisce statuto d’ arte a un prodotto.

C. Il valore di un’ opera si calcola soppesando le influenze effettive e potenziali sprigionate dall’ opera in relazione alle intenzioni dell’ artista e degli esperti che agiscono in quel contesto.

E vediamo anche il “precipitato” di queste risposte:

1. risolto brillantemente il problema: “ma questo lo sa fare anche mia figlia”;

2. risolto il problema dello “sgradevole” nell’ arte;

3. risolto il problema della comparazione tra generi;

4. risolto il problema di definire l’ arte evitando di mettere da parte interi secoli di storia dell’ arte;

5. cio’ che costituisce “opera d’ arte” puo’ essere formalmente e percettivamente indiscernibile da cio’ che non è tale;

6. giudicare opere nate con prospettive ideologiche e sfondi culturali differenti applicando il medesimo criterio di giudizio conduce a gravi travisamenti;

7. approntato solido baluardo per sbarrare la strada a formalismo, strutturalismo, decostruzionismo e ogni altra “deriva relativista” dell’ analisi estetica;

8. se il contesto è decisivo, concentrarsi su pochi artisti ottunde il giudizio poiché il giudizio è essenzialmente un confronto ampio tra opere e artisti in rete tra loro (predecessori, coevi, epigoni);

9. nella costruzione di una sapienza critica il “tempo dedicato” all’ opera vince sulla mera “analisi formale”: poiché l’ analisi formale dell’ opera non è in grado di produrre un giudizio estetico attendibile, diventa centrale l’ alternativa a questo approccio: frequentare intensamente e a lungo l’ opera immergersi in essa per entrare in contatto con le molte variabili ambientali che la influenzano e che lei influenza.

10. l’ arte di valore assume e ricrea un ethos nella popolazione e nelle élites ad essa contestuali.

11. un ruolo decisivo è giocato dall’ esperto, ovvero da colui che 1. dedica tempo e attenzione nel tentativo di collocare l’ oggetto artistico nel suo contesto e 2. costituisce a sua volta il contesto privilegiato in cui si colloca l’ opera;

12. un giudizio improntato al gusto (bello! brutto!) non è mai un giudizio estetico fondato;

13. perfino l’ ossessione biografica di diana è riabilitata; sul punto sono dunque chiamato a rivedere le mie posizioni, lo faccio con piacere;

Si potrebbe proseguire con l’ elenco, oppure si potrebbe passare alla pratica con qualche “provocazione” specifica: che peso dare al fatto che Bach sia stato dimenticato per secoli, o al fatto che Brahms abbia tanto insistito su una forma rivelatasi storicamente perdente come la sonata, o al fatto che… Ma non mettiamo troppa carne al fuoco.

Non facciamolo anche perché resta un’ altra imbarazzante questione a cui rispondere.

D. A cosa serve l’ arte?

Qui tendiamo a scantonare, abbiamo l’ impressione di “perdere” qualcosa di prezioso guardandola troppo da vicino. Il modo più goffo di scantonare consiste nel sostenere che l’ arte non è mai servita a nulla (l’ art pour l’ art).

La musica, per esempio, a cosa serviva?

Le funzioni originarie ipotizzate sono tante: sottofondo, evasione, autodisciplina, memoria, riflessione, creazione di legame sociale…

Il guaio è che qualsiasi funzione si ipotizzi ci si chiede se non esistesse un modo più “economico” per assolverla.

Esempio: la funzione che raccoglie più consensi tra gli studiosi è quella relativa al “social bonding”: ma non bastava un “giuramento” o qualcosa del genere per legarsi al gruppo? Dovevamo proprio imbarcarci in un simile dispendio di energie? Dovevamo proprio mettere in piedi “rituali” tanto complicati?

Possibile risposta: tutti sappiamo mentire con le parole, pochi lo sanno fare con le emozioni.

Insomma, la musica nascerebbe – non esistevano ancora le intercettazioni e altri metodi sofisticati d’ indagine - come assicurazione sociale contro  simulatori, opportunisti e infiltrati. La musica come primitiva “macchina della verità”, la musica come regno della sincerità. Certo che se a contare è la sincerità, capiamo meglio perché un linguaggio del genere sia disposto a sacrificare la precisione.

lunedì 16 luglio 2012

Oggi parliamo di sesso

C’ è chi sostiene che la diffusione di pornografia calmieri la violenza sessuale, francamente non saprei fino a che punto simili correlazioni siano fondate. Di sicuro, quand’ anche la fruizione di pornografia mitigasse la pratica dello stupro, sarebbe comunque una soluzione “ripugnante”, almeno per molti.

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La pornografia ci imbarazza, perché? Vediamo se puo’ aiutarci a capirne i motivi il contributo di una femminista eretica come Wendy McElroy:

… la pornografia è sesso più mercato, quale delle due cose non vi va bene?…

Vediamo allora separatamentente le due “cose”.

MERCATO:  dietro uno scambio ci sono sempre motivazioni egoistiche e il sesso mal si coniuga con l’ egoismo.

C’ è chi ci crede ma io, francamente, non ne sono convinto.

E’ difficile pensare che un uomo non “coniughi” le due cose ma anche per le donne probabilmente vale la stessa cosa, soprattutto quando le ricerche più attendibili in tema ordinano così le motivazioni  per cui una donna si concede:

1. voglia di concretizzare un’ attrazione;

2.  voglia di sperimentare un piacere fisico;

3. voglia di sentirsi bene;

4. voglia di dimostrare il proprio affetto a una persona;

5. voglia di esprimere il proprio amore a una persona;

6. voglia di dare sfogo a una fascinazione;

7. voglia di dare sfogo a un’ eccitazione;

8. voglia di divertirsi;

9. voglia di concretizzare un amore;

10. impossibilità di trattenersi;

11. voglia di compiacere il proprio compagno;

12. voglia di intimità;

13. voglia di un piacere puro;

14. voglia di avere un orgasmo;

15. voglia di avventura;

E mi fermo qui. Sono motivazioni vere? Di sicuro sono esibite, e quindi di esse non ci si vergogna. Ebbene, a essere generosi solo la motivazione all’ undicesimo posto (e forse quella al nono) lascia trapelare una qualche forma di altruismo.

SESSO: il sesso disgiunto dall’ amore per noi è tabù.

Chi è disposto a crederlo nel 2012? Scommetto che molti, almeno a parole, lo negherebbero con forza.

Oltretutto, è una tesi ben strana vista la “tradizione” che ci ha partorito: bonobo e scimpanzé vivono in promiscuità dedicando gran parte della loro giornata al sesso; probabilmente, lo stesso dicasi per il nostro antenato, l’ uomo cacciatore/raccoglitore. In un certo senso i capelloni della comune anni sessanta erano molto più fedeli alle tradizioni rispetto al gentleman vittoriano tutto impegnato a rispettare e onorare quella “moda recente” (meno di 10000 anni) che sono i vincoli di fedeltà.

Tale “moda neolitica” nei millenni più vicini a noi ha ricevuto l’ avallo e l’ impulso della Chiesa Cristiana, sempre protesa a salvare l’ anima dei fedeli e a tutelare la condizione femminile.

Il binomio “matrimonio d’ amore” e “sesso amoroso” è infatti il grande dono elargito dalla Chiesa Cristiana alla donna: vincolare il sesso maritale all’ amore significava rendere tabù ogni forma di contrattualizzazione dei rapporti intimi, cio’ ha per conseguenza che la donna possa negarsi anche all’ ultimo istante. Naturalmente dò per scontato cio’ che viene confermato al bar come nelle Ivory Tower, e cioè che nel 90% dei casi è l’ uomo a cercare sesso o a lamentare poco sesso nel matrimonio. Questa possibilità di recedere arbitrariamente è una formidabile arma contrattuale all’ interno di un matrimonio poiché consente di far fronte via via a esigenze impreviste e imprevedibili: oggi la moglie vuole che il marito stia più in casa con i figli? Ecco che segnala la sua esigenza a letto standosene nel suo angolino mugugnando. Domani lei si sente soffocata dalla presenza continua del marito e auspica che lui le conceda più spazi? Ecco spuntare dispettosi mal di testa proprio sul più bello. Insomma, se la frequenza dei rapporti fosse fissata a priori (contrattualizzazione) questi trucchetti non sarebbero disponibili con grave nocumento per la sposa. Ma una simile ipotesi è inconcepibile una volta che la connessione sesso/amore viene consacrato dal tabù.

Conclusione: poiché un sentimento di tutela della donna nel matrimonio è ancora molto avvertito, non c’ è motivo di ritenere che un tabù inteso proprio a realizzare quell’ obiettivo si sia realmente indebolito nelle coscienze.

Per quanto si voglia apparire spregiudicati, penso che una simile sacralità sia avvertita ancora da molti, da qui la risposta a Wendy: è la parola “sesso” che imbarazza da morire chi non riesce a stare indifferente rispetto alla pornografia e ad accettarla come la normale rappresentazione di un’ attività umana.

martedì 10 luglio 2012

Storie lasche & Storie tese

A Cogne muore un bambino in circostanze tragiche? Ecco rispuntare nell’ inconscio collettivo i drammi euripidei con tanto di faretti scenografici orientati su Medea.

A Perugia si compie un assassinio tra giovani studenti? Ecco evocata la piccola strega venuta da un paese lontano a portare scompiglio nella sonnecchiante città.

Ad Arcore si danno feste pepate? Ecco saettare la lingua bifida del Drago divoratore di Vergini.

Al Sofitel di NY il capo del FMI disturba la cameriera di colore? Ecco che il rapace Capitale si avventa sull’ inerme Terzo Mondo.

Era tutta una balla? Ecco partire la sguaiata rivendicazione di diritti in favore del “socialmente subordinato”. [… ma quale diritto, in questo caso? Mah, in fondo è di secondaria importanza, un diritto lo si inventa sempre in questi casi… direi che il “diritto alla definizione retrospettiva di stupro indipendentemente dal consenso preventivo” puo’ andar bene, è previsto anche nei gender sudies…]

Qualsiasi cosa succeda, l’ importante è rappresentarla facendola entrare a forza in quelle “storie” che seducono l’ immaginario. I paradigmi non sono poi molti, giusto una decina. Scarsità, uguale semplicità, uguale attenzione delle masse assicurata.

Ma cosa c’ è che non va in quelle “narrazioni”? Nulla, c’ è piuttosto qualcosa che non va nel credere di decifrare il mondo mediante una “narrazione”.

Ogni giorno ciascuno di noi prende un sacco di granchi e la sterminata letteratura sulle lacune cognitive si incarica di spiegarci il perché e il per come: ormai c’ è un bias per tutti i gusti, ma forse, stranamente, manca il bias di tutti i bias: pensiamo che raccontare una “storia” aiuti a decriptare la realtà.

Non che manchino i caveat in merito a questo modo di procedere: c’ è chi s’ impegna a tempo pieno nel mettere il malvezzo alla berlina (vedi qui, quo e qua) ma si tratta di denunce “rimbalzate” sempre con la medesima contro obiezione: solo una “narrazione corretta” puo’ rimpiazzare una “narrazione scorretta”; in fondo la “narrazione” resta l’ unico strumento conoscitivo a nostra disposizione.

Argomento non peregrino, il discorso sulle alternative alla narrazione è cruciale e non sempre chiaro. Ecco allora i due cardini del resoconto anti-narrativo:

1. resoconto fondato sui costi opportunità – Il Mondo è pieno di realtà invisibili – chiamiamoli controfattuali - che, se raccontate, distruggerebbero il phatos della narrazione più avvincente. Eppure si tratta di realtà cruciali per capire come gira il fumo nel mondo in cui viviamo. Ogni nostra ammirevole decisione libera una miriade di silenziose contro-storie che riguardano i costi occulti, così come ogni comportamento abominevole è salvifico per molti che non vedranno mai narrata la loro vicenda. Immaginatevi se Dickens avesse raccontato le sue splendide fiabe “moderne” facendo i conti con la realtà invisibile (storia tesa n. 1):

 [youtube http://www.youtube.com/watch?v=NxBzKkWo0mo]

2. resoconto fondato sulla serendipity – Una buona storia ha bisogno di mettere in primo piano l’ “intenzione” di protagonisti, deuteragonisti e antagonisti. Eppure, un racconto attendibile della realtà è quasi sempre un racconto in cui l’ intenzione della gente ha poco spazio. Ora, la figura dell’ “eroe per caso” puo’ anche presentarsi saltuariamente, ma v’ immaginate che noia se fosse la norma? La regola è talmente ferrea che fatico a trovare eccezioni. Mi viene in mente giusto il Manzoni dell’ assalto ai forni: il suo resoconto letterario sembra coniugare  l’ arte con le leggi del reale come le apprende un pensiero rigoroso (storia tesa n .2):  

[youtube http://www.youtube.com/watch?v=h9QEkw6_O6w]

venerdì 6 luglio 2012

Apocalisse

I cristiani colti, specie se “cristiani adulti”, sentono in modo palpabile che il loro status sociale diminuisce a vista d’ occhio quando in pubblico accennano all’ imminente fine del mondo e, persino all’ interno della comunità cristiana, sono visti con sospetto coloro che ne parlano con malcelato fervore.
Sarà forse per questo che fino a poco tempo fa era ben difficile sentir letta in chiesa una pagina della sublime Apocalisse. Senza contare che in quelle rare occasioni era il Prevosto che s’ incaricava nell’ omelia di scantonare il prima possibile dai temi più imbarazzanti.
Eppure, non è affatto facile cogliere appieno i motivi di una tale ritrosia. In fondo, noi tutti, cristiani e no, ci affacciamo sull’ universo e osserviamo sgomenti un silenzio che inquieta innanzitutto l’ uomo dalla salda ragione: ma come è possibile non incontrare nessuno visto che solo nella nostra minuscola via lattea esistono oltre 100 miliardi di stelle, ognuna con la sua brava dotazione di pianeti? Se davvero la vita è destinata per sua natura a svilupparsi e ad espandersi, Darwin docet, questo silenzio indica solo una cosa: oltre una certa soglia, le civiltà intelligenti sono destinate a collassare. In caso contrario, ci avrebbero già in qualche modo “contattati”.
Con questo non voglio negare la presenza all’ interno della comunità razionalista di una nutrita pattuglia di fulgidi ottimisti ben dotati quanto ad argomenti: costoro ci invitano a ragionare su quale sia l’ universo che con più probabilità ci ospita e rispondono rapidi anche per conto nostro: poiché siamo uomini, l’ universo più probabile è quello che massimizza la presenza umana, o, più in generale, la presenza di vita intelligente. Ergo: viviamo con molta probabilità in un universo in cui abbondano le civiltà marziane, sia le civiltà “inferiori” che quelle “superiori”, e se queste ultime non si fanno vive, avranno i loro motivi: forse coltivano valori mistici e si sono ripiegate su se stesse, forse ci hanno già contattato “imprigionandoci” in una simulazione, chi puo’ dirlo? Diamoci allora una calmata ed evitiamo drammi patetici, l’ Apocalisse non è un destino privilegiato ragionevole da preconizzare.
apocal
Non mi convincono. Perfino un occhiale foderato di rosa avvisterà un gran numero di parti “devitalizzate” nel nostro Universo, anche perché, praticamente, conosciamo da vicino solo quelle! E’ vero, la nostra civiltà è rigogliosa e promettente, domani forse colonizzeremo il cosmo, eppure, inutile negarlo, siamo circondati da vaste zone morte molto meno “promettenti” della nostra, per usare un eufemismo. Ma soprattutto, a rigore, nemmeno possiamo dire se quelle regioni, un tempo, abbiano mai ospitato civiltà avanzate: per quel che ne sappiamo potrebbe essere benissimo così.
Se questo è vero (e chi puo’ negarlo!), esiste una facile formalizzazione del problema: ogni “quartiere immaginabile” dell’ Universo ha una sua vicenda evolutiva in cui, non si sa bene quando, prima o poi interviene la cosiddetta Barriera dell’ Estinzione destinata a far collassare ogni forma di vita ospitata. A volte questa barriera sarà posta all’ inizio del processo (mai nessuna forma di vita), a volte sarà posta in un futuro infinitamente lontano (mai nessuna forma di estinzione). Ma, per quanto ne sappiamo, in questa storia non esistono momenti privilegiati: la Barriera potrebbe collocarsi ovunque.
E nel nostro caso concreto (pianeta terra), dove possiamo ritenere che si collochi?
L’ ingenuo si abbandonerà a uno sconsolato “chi puo’ dirlo?”.
In realtà, a pensarci bene, possiamo dirlo eccome, e la risposta è inquietante.
Ironia della sorte, è proprio il canonico argomento ottimista a condannarci: laddove una popolazione progredisce in presenza di una Diga random che sbarra la vita (è il nostro caso), il momento che con più probabilità stiamo vivendo è quello che precede immediatamente lo sbarramento. Purtroppo, solo in quel momento si massimizza la probabilità di “esistere” e noi giudichiamo queste faccende avendo un’ informazione cruciale: “esistiamo”.
Conclusione: l’ Apocalisse ci attende ed è molto più vicina di quel che si crede comunemente; perché allora tanti imbarazzi nel dare un annuncio che, oltre a essere conforme alla fede, è terribilmente conforme alla ragione?

martedì 3 luglio 2012

Genesi

Robin Hanson ha deciso e i contratti sottoscritti giacciono ora al sicuro nella cassaforte del notaio: una volta morto si farà spiccare chirurgicamente la testa dal fresco cadavere in modo da preservarla surgelata in azoto liquido.

Per quanto tempo? Un secolo? Due, tre? Finché non sarà possibile “uploadare” i dati e le funzioni neuronali del suo cervello su una macchina adeguata. Quella macchina non sarà altro che il nuovo corpo di RH redivivo visto che “penserà”, “gioirà”, “soffrirà”… esattamente come avrebbe fatto lui.

Qualche mese fa il NYT si è occupato della vicenda puntando i fari sul lato pettegolo, ovvero il matrimonio mandato in crisi dalla decisione di cui sopra. Altri (pochi) sono entrati nel merito della complicata questione tecnica contestando la probabilità che qualcosa del genere possa mai avvenire. C’ è poi dietro una questione filosofica interessante quanto impervia. Gli spunti, a essere onesti, non mancano, ma in genere la reazione tipo dell’ uomo della strada è di segno ben diverso, qualcosa tra lo sdegnato e l’ ironico: non riusciamo proprio ad associare un uomo a un corpo tanto strano e questa difficoltà si tramuta spesso in rabbia e condanna. Una specie di paura dell’ ignoto, una xenofobia dovuta al tempo più che allo spazio.

TranshumanMichelangelo

Purtroppo ho verificato che anche in ambienti cattolici si oppone una certa idiosincrasia: non si riesce a discutere pacatamente la faccenda; eppure, lo confesso, nutrivo speranze in qualcosa di diverso: se la difficoltà risiede nell’ “immaginazione” intorno ai corpi, mi chiedo a questo punto come un cattolico pensi ai corpi stra-passati di Adamo ed Eva. Probabilmente, ammettiamolo, erano molto più stravaganti e “impensabili” del corpo stra-futuro di RH. Ecco su cosa si fondava la mia speranza: se c’ è qualcuno che in materia non difetta di “immaginazione”, costui dovrebbe essere il cattolico.

mercoledì 27 giugno 2012

Sono aperte le iscrizioni a giurisprudenza, affrettatevi!

Il nostro povero sistema giuridico è affetto da garantismi inaccettabili che destano scandalo e che passano in cavalleria quasi fossero esenti da ogni critica a prescindere.
Ma lo sapevate che in Italia per essere condannati in sede penale è necessario essere riconosciuti colpevoli - al di là di ogni ragionevole dubbio - del reato specifico per cui siete imputati?!
Non trovate tutto cio’ un cedimento a forme di lassismo garantista massimamente deleterio per la salute e l’ equilibrio di un Paese?
Ecco, l’ ho detto. E che caspita, quel che è troppo è troppo!
La Mafia, per esempio, ha cominciato a reclutare tra i suoi killer solo coppie di gemelli, questo genere di assassini va letteralmente a ruba. Di solito compiono i loro omicidi contemporaneamente in zone diverse della città e lo fanno con irritante sicumera a volto scoperto, certi come sono della loro impunità: l’ importante è fuggire poi a gambe levate evitando di essere bloccati sul fatto; a posteriori, sarà molto arduo stabilire chi ha ucciso chi.
La Corte, infatti, pur sapendo con certezza che entrambi i gemelli sono dei pluriassassini, non saprà mai identificare la vittima del primo gemello, così come sconosciuta rimarrà quella del secondo. O meglio, non si potranno stabilire le specifiche vittime con probabilità significativamente superiore al 50%, mentre, come noto, per un verdetto di colpevolezza è necessario poter superare questa soglia (che sicuramente garantisce un “ragionevole dubbio”).
Il finale è d’ obbligo: la coppia, l’ indomani, sarà di nuovo per le strade a insanguinare la città. La mattanza continua impunita e impunibile.
Bayes-theorem.-007
Ci avete creduto, eh? Scherzavo! Ovviamente.
In realtà la condanna dei gemelli è garantita al limone.
La questione seria, almeno per lo studioso del diritto, è che anche il principio che citavo in apertura è garantito (e guai a chi lo tocca!), così come li principio sacrosanto del “ragionevole dubbio”.
Domanda: ma come è possibile una “convivenza” tra i due principi e la condanna dei gemelli?
Non chiedetelo a me.
A me chiedete piuttosto verso quale scuola superiore indirizzare i vostri figli qualora siano allergici alla logica così come a qualsiasi ragionamento formale.
Magari avevate pensato a qualche Accademia artistica o a Lettere. Stolti!: l’ ideale è Giurisprudenza. Correte a iscriverli.

http://www.thebigquestions.com/2010/11/09/law-school-admissions-test/
http://www.thebigquestions.com/2010/11/10/reasonable-doubts/
http://www.thebigquestions.com/2010/11/11/reasoning-about-whats-reasonable/
http://www.thebigquestions.com/2010/11/12/blinded-justice/
http://daviddfriedman.blogspot.it/2012/11/solving-patent-problemand-much-else.html
http://www.guardian.co.uk/law/2011/oct/02/formula-justice-bayes-theorem-miscarriage




giovedì 21 giugno 2012

Esercizi spirituali per giovani lavoratori – Rimini, maggio 2012

A maggio ho partecipato agli Esercizi spirituali dei Giovani Lavoratori di Cl in quel di Rimini, con don Eugenio Nembrini si trattava di riflettere su queste parole pronunciate all’ inizio dell’ annata da don Julian Carron:
… la realtà è sempre positiva…
Di sicuro non si arrivava impreparati visto che il tema ci aveva “tormentato” per mesi nelle scuole di comunità (da me, per la verità, quasi sempre bigiate con la scusa del mollusco), ne avevo ormai sentite di cotte e di crude, eppure la comprensione piena rimaneva offuscata da una sottile nebbiolina: come puo’ la Realtà – che contiene anche molto “male” – essere positiva in sé? In essa ci sarà del “positivo” e del “negativo”, quel che possiamo azzardarci ad affermare grazie alla fede è la presenza di un “saldo” a nostro favore, ma possiamo davvero andare oltre?
Certo, si puo’ ripiegare su una spiegazione semplice e diretta: pur essendoci sia il “male” che il “bene”, le due essenze non si limitano a guardarsi poiché, spesso, è proprio dal male che origina il bene; ma questa è una spiegazione che tralascia quell’ avverbio sibillino - “sempre” – che a me sembrava il cuore della faccenda.
Nonostante i grandi “ponzamenti” rivieraschi, nonostante il tonificante silenzio alternato al bordone costante di Mozart, Beethoven e… Chieffo, la nebbiolina, devo ammettere, è rimasta fino al termine della tre-giorni, dopodiché, per non lasciare le cose a penzoloni, ho aderito in fretta e furia alla decodificazione più semplice mollando ogni ulteriore riflessione per gettarmi su 730 e bilanci. Le mie urgenze m’ imponevano di entrare nella trama del Reale anziché meditarla dal punto di vista del tessitore.
NYT1
Solo oggi, forse, quella nebbiolina si dirada. Il soccorso imprevisto mi giunge da un’ idea del filosofo Robert Nozick: la “macchina dell’ esperienza”, un oggetto mentale grazie al quale si confutavano le filosofie edoniste e utilitariste, ovvero le filosofie che affermano l’ equivalenza tra “bene” e “piacere”.
Sentite di cosa si tratta: una volta connessi grazie ad alcuni elettrodi impiantati nel cervello a una “macchina dell’ esperienza” opportunamente manovrata da un’ équipe di neuro scienziati, possiamo ricevere da essa ogni sorta di piacere limitandoci a stare in poltrona (per i più facoltosi sono disponibili anche comodissime bare).
La “macchina dell’ esperienza” non esiste nella realtà, ma l’ importante, qui, è che la si possa immaginare, domani, chissà, potrebbe anche esistere qualcosa di analogo, ma tutto cio’ per noi è irrilevante.
Alla cavia dell’ esperimento viene rappresentata vividamente con tanto di particolari proprio questa situazione, dopodiché viene posta la domanda chiave: preferisci connetterti alla macchina per il resto dei tuoi giorni e vivere quindi una vita di piaceri senza fine – nel qual caso firma qui e qui - oppure preferisci rinunciare, uscire da questa stanza e continuare a vivere la tua vita? Perché se così agitato? Calma, non decidere subito, dormici sopra, prendi tutto il tempo che vuoi, consulta chi vuoi e ripassa al laboratorio con la risposta definitiva, dopodiché procederemo secondo i tuoi desiderata.
Molte persone – addirittura la maggioranza! - hanno optato per la seconda alternativa e sono usciti da stanza e bara, dal che, ammettendo che costoro fossero ben consapevoli della scelta, si traggono alcune considerazioni che si riflettono pesantemente sugli Esercizi Spirituali di Rimini.
Infatti, mentre la vita vissuta nella “bara” attaccati alla macchina è fatta di soli piaceri, la vita reale, come ognuno sa, è fatta di piaceri e di dolori; il che significa che la maggioranza delle persone coinvolte nell’ esperimento ha barattato almeno un “piacere” con un “dolore”.
Bell’ affare!, dirà qualcuno, e lo capisco bene: come puoi mai barattare un piacere in cambio di un dolore? Eppure, ci scommetto, noi tutti comprendiamo la scelta operata della maggioranza, magari qualcuno non la condivide ma la comprende e ne è stato tentato; non solo, una volta che la trattiamo alla stregua di una scelta consapevole, c’ è solo un modo per giustificarla: la realtà, per molti, ha qualcosa di positivo in sé, e questo al di là del fatto che ci propini piacere o dolore.
L’ ultimo passaggio è facile facile: una volta comprese con naturalezza le ragioni della “scelta” della maggioranza, diventa scorrevole anche l’ impervia lezione di Carron.
Bene, ora, finalmente, le parole di Carron risuonano forti e chiare: grazie Carron per l’ insegnamento, grazie Nembrini per averci regalato un prezioso tempo di riflessione in grado di spezzare la frenetica routine, ma soprattutto grazie all’ ateo Robert Nozick, che ha chiarito tutto a tutti, qualsiasi sia la fede di chi medita quelle parole solo all’ apparenza esoteriche ma in realtà così umane.

mercoledì 20 giugno 2012

Famolo strano

 

 Bird of Paradise (Moondog)

… il profumo delle pattumiere ben riciclate…

Blasé (ARCHIE SHEPP)

… dove ci si lecca le ferite dopo la guerriglia nel ghetto…

Affirmed (Nathan Salsburg)

… ogni sua schitarrata racconta una corsa di cavalli,  il Grand Prix del Kentucky vinto dal mitico “Affirmed”, che si ruppe entrambe le anche superata la linea d’ arrivo. Fu abbattuto poche ore dopo…

Epic High School (Love Like Delorean...)

… finalmente sintetizzata in laboratorio la pillola della felicità…

Quadri di un'esposizione - estratto (Mussorgskij )

… questi russi, ogni volta che “varcano una soglia” o “entrano in città”, fanno sempre una gran caciara con trombe e campane…

Rickety Ol’ Rollercoaster (LEWIS FLOYD HENRY)

… a metà di un ascolto cerco sempre d' infilare qualcosa un po’  blusey (qualcosa tra Dylan e i Rolling, per esempio)…

Filastine And The Cathedral Of Junk (Filastine And The ...)

… le improvvisazioni elettroniche sono un po’ come il buon senso dei computer…

 insecurity expert (ZEA & XAVIER CHARL...)

… baciamo l’ ancia (del mignolo), comandante…

Signed Curtain (John Wesley Hardin...)

… gli anarcoidi Matching Mole omaggiati tra il serio e il faceto…

Composition 40(O) (Anthony Braxton )

… marcette verso il nulla…

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QUI per ascoltare tutto.

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… oggi parliamo di:

… giochetti d’ infanzia vietati ai minori…

romanticismo coi baffi

… vandalismi fino a ieri impensabili…

vandalismi fino a ieri impensabili

… tecnologie obsolete…

tecnologia obsoleta

… deproteinizzazione della dieta…

la deproteinizzazione della dieta

… ooooohps……..

rassegnazione all' incuria

… conformismi malsani…

obey_dees

… musica solida…

Miseria del noir italico

Contesto per aspiranti scrittori di successo nell’ Italia in crisi:
Scrivete un bel noir ambientato di provincia… ma che sia di “di denuncia”: si tratta di escogitare una trama ingarbugliata che da un qualunque fattaccio di cronaca o d’invenzione…conduca a diramazioni sempre più oscure, a reti di complicità sempre più eccellenti: congiure internazionali, misteri d’Italia, zone d’ombra tra affari e malaffare…
Stile prescritto:
… scoppiettante, tutto mozziconi di frasi al presente indicativo e additamenti da narratore behaviourista. Per i dialoghi, rifarsi al tono di certe serie tv americane, anzi direttamente al doppiaggio italiano, creando uno slang-patacca su cui si avrà cura di innestare, qua e là, un po’ di crudezze dialettali, tanto per far capire che abbiamo letto Gadda e Pasolini…
Obiettivo:
… accostarsi al cuore nero della realtà, alle viscere di un Paese irredimibile, come d’altronde reciteranno diligentemente la quarta di copertina e, al traino, i recensori pigri. A quel punto, manca solo il critico pronto a giurare che il noir è il nuovo «racconto della realtà», ma quello si trova…
Perché siamo finiti tanto in basso?
è un equivoco che va avanti da una sessantina d’anni, da quel 1944 in cui Raymond Chandler, padre nobile del giallo hard-boiled, pubblicò il saggio The Simple Art of Murder. Chandler elogiava Dashiell Hammett per avere strappato il delitto al «giardino di rose del vicario», dove lo teneva ostaggio Agatha Christie, e averlo restituito ai vicoli, in «un mondo in cui i gangster possono dominare le nazioni e poco manca che governino le città»…  Chandler e i suoi molti eredi e imitatori, hanno spacciato per realismo crudo un manierismo stracotto: gangster al posto dei colonnelli, prostitute al posto delle baronesse, detective che invece di impomatarsi i baffi o coltivare orchidee si ubriacano di whisky nel loro ufficio-stamberga, solitari e sconfitti. E già, perché il giallo «realista», oltre che manierista, è anche mitologico: «Sulla strada dei criminali deve camminare un uomo che non è un criminale, né un vigliacco», scriveva Chandler, delineando il ritratto di un cavaliere errante dalla triste figura, un ruvido eroe da western trapiantato nella metropoli, un uomo in lotta con un mondo marcio che mena quasi vanto della propria sconfitta…
Spero che le parole che seguano siano un antidoto sufficiente a tenervi alla larga dal genere:
… «Il noir non è altro che letteratura della realtà»… si dice… qui l’equivoco si complica con l’idea che il genere abbia onerosi compiti extraletterari. Non deve solo interpretare il mondo, deve trasformarlo (la vecchia storia di Marx che capovolge Hegel). È una prosecuzione della lotta politica con altri mezzi, una «contro-narrazione» sovversiva: «Quello che mi interessava, infatti, era maneggiare la realtà (…) si tratta di una scelta letteraria che ci offre  la possibilità di continuare a fare politica attraverso il racconto del Paese». Strumento di lotta o mero succedaneo, a beneficio di quei militanti degli anni Settanta… la fonte del crimine è tutta sociale e politica: «Alla malvagità dell’essere umano, svincolata da questi aspetti, ci credo poco…
Morale:
… E però questo tipo di letteratura, che si vorrebbe immersa nella fornace della realtà, è intrappolata in una stanza degli specchi…  Certo è che la figura letteraria dell’eroe sconfitto, che soccombe al Sistema o racimola trionfi derisori, sembra fatta apposta per sovrapporsi alle mitobiografie dei vecchi insorti e alle mistificazioni del romanticismo ribellistico, creando un vertiginoso gioco di illusioni ottiche… il marxista libertario Manchette disprezzava gli investigatori alla Poirot perché «non risolvono mai il delitto generale di questo mondo»… Il vecchio giallo era irrealistico in tutto ma serbava, per così dire, il realismo del peccato originale, la coscienza di un male che sopravvive a tutte le rivoluzioni: era figlio del pessimismo vero, quello dei moralisti classici. Soprattutto, non s’illudeva di «maneggiare la realtà». Sapeva di maneggiare un giocattolo, e anche in questo era più realista…
 
Dopo avermi levato le parole di bocca sul noir italiano, Guido Vitiello, della cui esistenza fino a ieri ero all’ oscuro, carica il cannone e lo punta contro la componente più arcaica della lobby femminista, la quale spinge per piazzare la figura più retriva della compagnia (Lorella Zanardo) nientemeno che in Rai.
Vabbé, togliamo pure il “nientemeno” e l’ aria ”scandalizzata”, visto che non esiste "segno dei tempi" più esemplare di questo, e se non accade oggi, accadrà sicuramente domani.

Ecco, era solo per dire che questo qui è uno da tenere d’ occhio. Fine.
 
 
 
 
 
 
 

martedì 19 giugno 2012

Cosa c’ è che non va nella pubblicità commerciale?

… molti su questo punto hanno le idee abbastanza chiare: la pubblicità ci fa agire come non vorremmo sospingendoci verso un consumismo materialista che devasta il pianeta…

Ma come tesse i suoi inganni questa moderna Circe? Semplice, ci “vende sogni” e identità.

E qui le cose cominciano a non quadrarmi… sogni e identità sono beni intangibili, ovvero a impatto ecologico pari a zero.

[… ipotizziamo un mondo dove l’ unico bene prodotto siano le borsette: se, grazie alla pubblicità, sono disposto a pagare una borsetta dieci volte il suo valore intrinseco per il solo fatto che “è di marca” e acquisto il “sogno” prima ancora che il bene materiale, cio’ significa che in un mondo senza pubblicità dove l’ unico bene di scambio sono le borsette, a parità di spesa, comprerei nove borsette con tutto quel che ne deriva in termini di “devastazione ambientale”……]

Gli ecologisti dovrebbero gioire e ringraziare, anziché vituperare…

Altra “subdola” strategia pubblicitaria consiste nel ricordare al consumatore cio’ che tralascerebbe se lasciato a se stesso…

Ora non ci resta che capire perché quando questa stessa funzione è svolta da innovatori e imprenditori parliamo della cosa in tono celebrativo anziché riprovevole…

genitori

Entra anche tu nel club degli “spalmatori”:

venerdì 15 giugno 2012

La curva di Laffer dei peccati

Mentre si trovava al ristorante, Arthur Laffer illustrò vividamente la sua teoria a Ronald Reagan – futuro presidente - avvalendosi di una matita e del retro di una busta (avvertenza: si puo’ fare solo con teorie comprensibili e ben comprese): lì sopra disegnò una curva che se solo potesse parlare direbbe: “un fisco esoso ottiene meno di un fisco moderato”. Da quel momento - siamo alla fine dei settanta – l’ economia americana inziò a staccare quella europea inaugurando una nuova stagione (neoliberismo).
laffer
L’ etica cattolica pretende molto dai suoi fedeli (“date tutto ai poveri”, “amate il vostro nemico”, “visitate i carcerati”… insomma: ascoltatevi il discorso della Montagna per proseguire con la lista) ma è indulgente quando si tratta di giudicare; giustificarsi, almeno esteriormente, è facile per noi cattolici: “ho le mie debolezze, non possiamo essere mica tutti dei santi”.
L’ esatto contrario per l’ etica luterana: minimale nelle pretese (“non tradire”, “dona ai poveri che meritano”, “non odiare chi non ti ha fatto nulla di male”…) ma arcigna nei giudizi.
Adesso, premesso che l’ etica migliore è l’ etica “vera”, lasciate che prescinda dalle valutazioni teologiche per concentrarmi su quelle sociologiche.
E qui, ahimè, scopriamo che la curva di Laffer si applica anche ai peccati: un’ etica ambiziosa molto spesso (troppo spesso) ottiene meno di un’ etica austera ma implacabile.
La curva di Laffer rappresenta un rovello costante per noi cattolici, esiste una scappatoia che non mandi tutto all’ aria?
Forse sì: puntare tutto sulla laicità distinguendo nettamente tra peccati-peccati (sesso, idolatria…) e peccati-reati (furto, frode…).
Questa suddivisione offre un doppio vantaggio per i portatori di un’ “etica esosa”: l’ autorità laica aiuterebbe l’ enforcement dei peccati-reati ostacolando la tentazione verso eccessive indulgenze; d’ altro canto, la presenza sovrabbondante di peccati-peccati, ovvero lo specifico cattolico, produrrebbe solo vantaggi per tutti creando un contesto sociale più prevedibile dove per ciascuno è più facile “ricercare la propria felicità”, per dirla con la Costituzione americana.
p.s. forse quest’ ultima parte del ragionamento è un po’ oscura, meglio ricorrere a un esempio: se sono un mandrillo e so che i cattolici tendono ad astenersi dal sesso prematrimoniale, eviterò di perdere il mio tempo corteggiando una beghina, almeno se ci sono altre ragazze che mi attraggono in pari misura; se invece la mia preda è affiliata a una religione che non dà indicazioni perentorie sul sesso prematrimoniale, mi ritrovo spiazzato col rischio di scialacquare tempo ed energie. In altri termini: a parità di libertà, la società con meno incertezze è più efficiente.

martedì 12 giugno 2012

Le ingiustizie della guerra giusta

Forse a causa del fatto che riflettere seriamente sulla politica estera di una nazione mi procura emicranie lancinanti, ne approfitto ogni volta per tagliare la testa al toro e farmi bello autoetichettandomi come "pacifista".
Magari un pacifista insolito: che non andrà mai e poi mai a una “Marcia della Pace”, che non sventolerà mai bandiere arcobaleno, che è disposto a negoziare i suoi principi con insolita facilità tanto è perseguitato dai “se” e dai “ma”; un pacifista tiepido, dunque.

Mi rendo conto che una figura del genere appare ossimorica visto che l’ immagine consueta del pacifista coincide con quella dell' indomito crociato votato a cadere sul campo pur di difendere la suo nobile causa.

Al contrario il mio pacifismo anodino si riduce a questa domanda: “quanti danni secondo te puo’ fare la guerra X?” seguita da una replica che prescinde dalla risposta fornita di volta in volta: “per me di più”. Dopodiché non è detto che parta volontario.

La mia indole radicale (ma non estremista) qui tentenna, lo ammetto, più che per i libri di storia letti, per i film sulla II guerra mondiale visti, pressoché tutti univoci nell’ inscenarla come una guerra giusta. Di fronte a questa propaganda ben orchestrata il mio pacifismo presenta crepe evidenti e, nel tentativo inane di restaurarlo, cerco di ricordare innanzitutto a me stesso le ingiustizie della guerra giusta.
… tra il 1945 e il 1950 l’ Europa è stata testimone del più massiccio episodio di “migrazione forzata”, e forse del più grande spostamento di masse umane nella storia dell’ uomo. Si aggira tra i 12 e i 14 milioni il numero di civili di lingua tedesca – per lo più donne, vecchi e ragazzi sotto i 16 anni – deportati a forza dai loro luoghi di nascita in Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Yugoslavia e Polonia dell’ est… questa massa enorme di persone fu poi lasciata tra le macerie di una Germania in fiamme dopo l’ occupazione alleata affinché si arrangiasse come meglio poteva… il numero di coloro che morirono di stenti in seguito a carestie, malattie, percosse ed esecuzioni non è noto, sebbene stime prudenti ci dicono che circa 500.000 persone persero la vita nel corso dell’ operazione…
… cio’ che più disturba, tuttavia, è che a decine di migliaia perirono in seguito ai maltrattamenti subiti nella vasta rete di campi di concentramento dediti al lavoro forzato allestita dagli alleati in tutta l’ Europa sud orientale… molti dei quali, per esempio Auschwitz e Theresienstadt, non erano altro che vecchi campi nazisti mantenuti in attività ancora per anni dopo la guerra… Ironicamente, a qualche centinaio di chilometri da quei posti infami, i criminali nazisti sopravvissuti venivano portati davanti alla corte di Norimberga per essere processati con l’ accusa di “… deportazione e altri atti contrari all’ umanità commessi contro la popolazione civile…”, il tutto sotto l’ insegna della lotta contro “i crimini contro l’ umanità” … tutto cio’ suona beffardo visto che, secondo ogni parametro ragionevole di giudizio, dobbiamo considerare le “espulsioni” di cui ho detto come una delle più disastrose violazioni dei diritti umani della storia recente…
ariana
… piccola ariana in campo di concentramento…
… nonostante esistano ancora dei sopravvissuti ai crimini, nonostante siano stati commessi in tempo di pace e nel cuore del continente più popoloso del pianeta, rimane questo un episodio stranamente dimenticato da tutti (tranne che dai tedeschi)…
… contraddicendo la retorica ufficiale la quale sostiene che la II guerra mondiale fu intrapresa per salvaguardare le popolazioni civili dalle operazioni belliche, inclusi i civili tedeschi, dobbiamo concludere che migliaia di ufficiali alleati, di burocrati e di tecnocrati collaborarono attivamente alla realizzazione di programmi che, quando posti in essere dai loro nemici, non si esitava a denunciare come contrari a tutti i principi di umanità…