Il quartetto d’ archi dei Brooklyn Rider accompagna la cantautrice Christina Courtin. Vecchi compagni di banco 10 anni prima alla Juilliard School hanno deciso che le strade intraprese non erano poi così differenti.
Il quartetto d’ archi dei Brooklyn Rider accompagna la cantautrice Christina Courtin. Vecchi compagni di banco 10 anni prima alla Juilliard School hanno deciso che le strade intraprese non erano poi così differenti.
Tra altalene e fette di prosciutto… everyday is an holly-day…
AAVV - Rave On Buddy Holly
Katja Grace minimizza Lakoff.
George Lakoff has argued that metaphors underlie much of our thought and reasoning:
The science is clear. Metaphorical thought is normal. That should be widely recognized. Every time you think of paying moral debts, or getting bogged down on a project, or losing time, or being at a crossroads in a relationship, you are unconsciously activating a conceptual metaphor circuit in your brain, reasoning using it, and quite possibly making decisions and living your life on the basis of your metaphors. And that’s just normal. There’s no way around it! Metaphorical reason serves us well in everyday life. But it can do harm if you are unaware of it.
A different bike path by Moominmolly
Images also seem to play a big part in most people’s thought. For instance when I think ‘I should go home soon before it gets dark’ there are associated images of my hallway and a curve of the bike path in evening light. I wonder how much the choice of such images influences our behaviour. If the image was of my sofa instead of my hallway, would I be more motivated? If the word ‘dog’ brings to mind an image of a towering beast I saw once, am I less likely to consider purchasing a dog of any kind than if it brings to mind something rabbit sized? If ‘minimum wage’ brings to mind a black triangle of dead weight loss, am I less likely to support a minimum wage than if it brings to mind an image of better paid workers (assuming my understanding of economics and society are the same)? This seems like something people must have studied, but I can’t easily find it.
It seems likely to me that such images would make some difference. If it is so, perhaps I should not let the important ones be chosen so arbitrarily (as far as my conscious mind is concerned).
La gara sostituisce il beuty contest nell’ assegnazione delle licenze TV, lo ha deciso il governo Monti.
Mossa saggia degli esperti? No, solito trucchetto per incassare il “pizzo di Stato”.
Si dirà: ma come! Lo Stato da padrone dell’ etere fa legittimamente pagare il suo uso.
E perché mai lo Stato dovrebbe essere padrone dell’ etere?
Non esistono valide ragioni visto che l’ etere non è certo un bene pubblico.
Caso mai lo è la regolamentazione che ne disciplina l’ uso, ma quella s’ incarna proprio nel “beuty contest”.
Trucchetti del genere per raggranellare quattro soldi sono comprensibili, tutto fa brodo. Ma che vengano ostentati da chi sulla fronte porta stampato: “finalmente giustizia è fatta” indigna anche chi ha smesso di indignarsi da un bel po’ di tempo.
Quando tra vari prodotti in concorrenza esistono solo minime differenze qualitative, la pubblicità diventa decisiva.
Siano dentifrici, detersivi o profumi, la pubblicità fa la differenza: non potendo puntare sulla sostanza si ripiega su altro. In particolare, si abbinano al prodotto degli status che siano appetibili al consumatore.
Sembra proprio che una dinamica simile spieghi la sorte di certi servizi educativi: anche qui le ridotte differenze in termini di qualità richiedono massicci investimenti pubblicitari.
Preciso subito: in questo caso il termine “pubblicità” va virgolettato. Si lavora più che altro sulla “fama”, sul “credito”, sulla “reputazione”.
Potete rendervi conto immediatamente di quanto dico mediante una piccola introspezione personale.
Domandatevi: in che condizioni vorrei trovarmi (o vorrei che si trovasse mio figlio)?
Due ipotesi: 1. preparazione università di Macerata e titolo Bocconi o 2. preparazione Bocconi e titolo università di Macerata?
Io non ho dubbi, scelgo il caso 1 perché ritengo che apra le prospettive più promettenti, e questo a conferma di quanto sopra: in ambito educativo l’ abito conta spesso più del monaco.
Ma la guerra non è solo fra università, anche l’ istruzione superiore in sé investe molto in termini pubblicitari: oggi chi non ha almeno una laurea è malvisto e le stesse aziende esibiscono orgogliose il loro staff di prestigiosi plurilaureati.
Vorrei solo precisare che non depreco quel che in passato è stato chiamato “bisogno indotto”. Punto altrove il mio dito.
Tra il “dentifricio” e l’ “università”, infatti, c’ è una differenza fondamentale: nel primo caso la costruzione dell’ immagine è a carico del produttore. Ma nel secondo caso? Mi sa proprio che è a carico di tutti.
Mi sbaglio?
1. Che importanza rivestono le “regole” nell’ educazione di un bambino? Incideranno in qualche modo sull’ adulto che sarà o si limiteranno a facilitare l’ organizzazione familiare (e il benessere dei genitori)?
2. Partendo dal presupposto che le regole siano necessarie, e dovendo indicarne tre, quali sceglierebbe in ordine di importanza?
3. Come capire la differenza tra un “bisogno” e un “capriccio”?
4. Partendo dal presupposto che esistano comportamenti dei genitori dannosi per i figli, e dovendo indicarne tre, quali indicherebbe in ordine di importanza?
5. Secondo lei, il bambino medio che oggi nasce in un ambiente non patologico, rischia maggiormente di essere trascurato o sovra accudito? In altri termini, in che senso dobbiamo rettificare l’ immaginario che riceviamo dall’ambiente?
6. Qual è lo stile educativo che ci propone? Puo’ indicare, per chiarezza, un’ alternativa sostenuta autorevolmente e in buona fede che ritiene rispettabile pur se opposta alla sua visione?
Sara & Riccardo
Tra le politiche ambientali più popolari rientra quella volta a proteggere specie in via di estinzioni. Di solito lo si fa limitando la proprietà privata attraverso proibizioni.
Niente di più sbagliato: occorre più proprietà, non meno. Se le specie hanno un qualche valore l’ affare è certo. Qualora il mercato non riesca a protegere le specie in questione avremmo una preziosa informazione: per la società quella specie non merita di essere protetta.
L’ Africa fornisce buone conferme sul funzionamento di questa strategia.
Una politica alternativa richiede di risarcire i danneggiati. In questo caso, per lo meno, i costi sono espliciti e la voce dei tartassati potrebbe farsi sentire.
Pensate ad un ospedale che lavora per produrre profitti. La cosa a molti ripugna, e lo stesso dicasi per le scuole.
Ma perché?
A rifletterci bene non esistono motivazioni convincenti per supportare in modo ragionevole questa intuizione.
Le cose stanno un po’ come per il volontariato: perché mai impegnare se stessi in forme di volontariato quando le stesse funzioni potrebbero essere svolte in modo più adeguato – nonché più economico – da un professionista?
Per me, in questi casi, la cosa più naturale è pensare ad una particolare forma di vanità.
In alternativa potrei pensare che per molti la voglia di sacrificare se stessi ha la precedenza sull’ aiuto reale da dare al prossimo.
Altre idee?
Il classico paralogismo del dilettnte suona così: la borsa crolla, il mercato è inefficiente.
Un commento.
Do Crashes Support or Disprove 'Rational' Markets?
Noneconomists tend to think 'rational markets' is patently absurd, pointing to various asset bubbles such as the internet bubble, the recent housing bubble, or the 1987 stock market crash. That is, most people think extreme events are evidence against rational markets.
Malkiel and Shliefer once took opposite sides of the market efficiency debate in the Wall Street Journal. Dutch and Royal Shell trade on two separate exchanges. These different listings by law apportion a 60:40 split of cash flows and thus should trade as such, but indeed they vary by as much as 30% from this fundamental equivalence. Shleifer calls this a ‘fantastic embarrassment’ to the efficient markets hypothesis, yet Malkiel also notes it as being within his bands of reasonableness. To me, this highlights that much of this debate gets into semantics, and such debates are rarely fruitful (Wall Street Journal, 12/28/00).
To assert markets are irrational or inefficient, however, one needs to propose a measure of 'true value', and then show that actual market prices diverge from this. As classically worded by economists, any test of market efficiency is a joint test of a market model and the concept of efficiency. Thus, your test may merely be rejecting your market model, not efficiency. You may think this is unfair, but it's simple logic, and you have to deal with it. It is essential to have a specific alternative, because how do you know they are wrong unless you know the right answer? With hindsight, prices that were once really high, now not, were 'wrong', but one has to be able to go back in time and show the then-consensus was obviously wrong. Thus, if you propose, say, some metric of P/E, or dividend payout ratios, that is fine, but then presumably there will be some range of P/Es that, when breached, generate inevitable mean-reversion thus demonstrating the correctness of the P/E ratio. Actual arbitrage, in the form of strategies that generate attractive Sharpe ratios, are necessary, and this is very hard to do.
One big issue in tests of whether prices are 'right' or not is the Peso Problem. The term 'peso problem' has a long history, and I have seen the term attributed to several people, in any case it was first applied to the fact that the higher interest rate one received in the Mexican Peso for decades, was erased in a single day in 1977 when the Peso was devalued by about 45%. In 1982 Mexico did it again. Thus, decades of seemingly higher returns could have merely been the expected probability and size of these devaluations. As these probabilities are small, they are often not seen 'in sample', and the standard errors on these probabilities are sufficiently high that it is very difficult to see if they are sufficient to explain, or even over-explain, a certain return premium. That is, when you have a 1% or 5% chance, annually, of a 75% depreciation, the appropriate offset is 0.75% or 3.75%, a big difference.
Tom Rietz used the 'peso problem' 1988 to explain the anomalously high equity premium puzzle, then estimated around 6%. Big events aren't anomalies, but rather explanations in the rational markets paradigm. Recently, Robert Barro noted that historically, there has been about a 2% chance of a 15% to 45% GDP decline, which would probably cause equity markets to fall 90%. The implication is that many return premiums are really a mirage. Further, volatility is totally rational, not too high, because reasonable, rational people will disagree as to the specific probability, and as they move from a consensus of a 2% to a 5% probability of disaster, the price fluctuates wildly.
Such events are not proof against efficient or rational markets, but rather, supports it, because estimating the probabilities of these important events is clearly very difficult. A rational market should move a lot as people change their estimation that, say, the next Microsoft is extant in a set of internet stocks (with potential future market cap of $200B), or that a worldwide Depression is likely. The Peso Problem literature goes back to the 1980's at least, and fits within the rational market approach as one of the main reasons things that appear anomalous actually are rational. If you think extreme events invalidate rational markets, this implies one has a lot of certainty for the magnitude and probability of highly improbable events, which is not very compelling (eg, what is the probability of a second leg in the current financial crisis? 1%? 10%? 50%?).
Andre Shleifer and Larry Summers once wrote that “[i]f the efficient markets hypothesis was a publicly traded security, its price would be enormously volatile" —-too volatile, supposedly. Presumably Shleifer and Summers think economists are rational and understand that the rational consensus around a proposition can and does vary wildly around the truth. So why can’t market participants also be considered rational and yet have their collective opinions vary wildly over time and space? Truth is a very slippery concept, and whatever it may be for various propositions, it is something reasonable people can often agree to disagree, in aggregate and at different times.
In 2001 the New York Times had two articles by different authors on behavioral economics. The story was a cliche: a stolid conventional wisdom experiences a Kuhnian shift, lead by a small band of outsiders willing to flout traditional ways. The behavioralists reject "the narrow, mechanical homo economicus" and instead argue that " that most people actually behave like . . . people!" One articled noted "Some Economists [the behavioralists] Call Behavior a Key", implying that previously economists never were concerned with 'behavior'. This straw-man smack down has continued in the financial press to this day, and meanwhile, there are no canonical models of asset pricing based on behavioralist insights, merely explanations for well-known anomalies like momentum, size, and value, that were documented outside this literature.
Danny Kahneman, co-author of the Behavioralist Bible Judgement Under Uncertainty: Heuristics and Biases (a book published in 1982 about work mainly from the 1970s) went on to win the Nobel Prize in 2002. Herbert Simon, won the Nobel Prize in 1978 for his insight that humans have limited computing power, and so often satisfice in their optimization. In my dissertation back in 1994, I had to put 'behavioral economics' is scare quotes, but it has been part of conventional wisdom for at least a decade now. It's all grown up now, and shouldn't be judged on its potential anymore. One should apply behavioral biases to market 'data' (not anecdotes, or highly parochial experiments).
Crashes are interesting, but people's obsession with them highlights the hindsight bias more than a real-time, generalizable bias. Prices fluctuate more than we would like. But is it too much? The future is very uncertain, and in the US where so many prominent financial researchers work, we tend to forget we had a very fortunate 20th century (2-0 in World Wars!). Looking at history, where many countries have seen their equity indices get zeroed out (Hungary, Russia, China, Chechoslovakia, Poland), and some centuries are peaceful(13th in Europe) others horrific (14th in Europe), who's to say whether the stock market should be twice, or half, its current level with that sort of state space
Un uomo che ha molto con sé guarda chi non ha nulla, si commuove e dà.
C’ è forse un gesto più semplice?
… passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede al locandiere, dicendo: «Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò…
Due uomini, uno che chiede e uno che soccorre.
Generosità e semplicità si scortano continuamente.
Ma lo stesso gesto puo’ prodursi anche in assenza di generosità. In questi casi però irrompe una nuova protagonista che reclama tutta la scena per sé: la burocrazia.
Per comprendere al meglio questo “aiuto senza generosità” dimentichiamoci allora le parabole evangeliche per affidarci ad altri racconti, per esempio il Welfare di Frederick Wiseman.
La burocrazia dell’ aiuto, come tutte le burocrazie, è fatta di soffitti bassi, luci al neon a distesa, code sfiancanti e un ottundente brusio che, come un acido corrosivo implacabile, si mangia l’ anima delle persone.
Difficile uscire come si è entrati.
Quando tanti drammi s’ incrociano cessa ogni effetto drammatico.
Quando il postulante diventa un semiprofessionista, ribrezzo e compassione si mescolano in un impudico abbraccio.
La parolina detta al momento giusto, la potenziale rognosità del soggetto, l’ aggressività ben collocata fanno scoccare l’ assegno dell’ assistenza.
Il posto dell’ aiuto è comunque un posto da cui ciascuno vuol scappare il prima possibile per darsi al più presto una ripulita. Specialmente gli “aiutati”, che hanno, tra gli altri, un bisogno impellente: dimenticare l’ umiliazione.
Per venire loro incontro ci si è inventati persino un pallido e insufficiente sostituto della generosità: la proliferazione dei diritti.
Tutti scappano appena possono dal non-luogo dell’ aiuto, tranne chi non è venuto per i buoni pasto, o per i buoni affitto, o per i buoni sanità ma per un po’ di compagnia e per tornare uomo grazie ad un vivificante slancio razzista che per un attimo ridona parola, ascolto e sicurezze. Ecco, questi qui per farli sloggiare devi proprio spintonarli fuori.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=coqFE3dx9S0]
Non avete pagato il pizzo e i sicari della mafia intendono darvi una lezione; una volta scoperti tentate la fuga infilandovi in un vicolo cieco ma vi hanno visto e vi inseguono, siete ormai con le spalle al muro, sono in cinque e da pochi passi scaricano le loro mitragliette su di voi.
Dopo la raffica infinita vi accorgete di essere illesi, tutte le pallottole vi hanno solo sfiorato.
A questo punto potete 1) o tentare di spiegarvi in qualche maniera quanto accaduto o 2) liquidare la faccenda come una casualità: vi hanno semplicemente mancato.
Quale vi sembra l’ atteggiamento più sensato?
Quella appena descritta è una buona analogia dell’ Uomo nell’ Universo, lo sostiene il filosofo John Leslie: l’ estrema improbabilità di questo universo e della nostra esistenza puo’ essere spiegata o accettata come casuale.
Dall’ analogia traspare in modo evidente quale sia l’ atteggiamento più ragionevole. Come potremmo infatti mai pensare ad una casualità?
D’ altronde il concetto di “multiverso” testimonia che anche gli scienziati duri e puri tentano di darsi una spiegazione. Gli universi paralleli, infatti, non sono osservabili per definizione, la scienza dovrebbe disinteressarsene, eppure la loro esistenza è postulata al fine di togliere casualità alla origine dell’ universo in cui viviamo.
A questo punto Leslie si chiede: ma la spiegazione teista non è forse più semplice di quella cervellotica degli infiniti universi paralleli?
Conoscete Mr Turing? Ebbene, propose un metodo semplice semplice per verificare se un computer è degno di essere considerato intelligente come un uomo.
Su quella falsariga possiamo elaborare un piccolo test per verificare se un “fazioso” è degno di essere ascoltato in un dibattito.
L’ inversione dei ruoli diventa centrale.
non uccidere
Giovanni e Giuseppe sono due gemellini nati con parecchi problemi. Giuseppe ha il cervello gravemente lesionato ed è praticamente un bambino morto. Giovanni ha un cervello funzionante ma un corpo martoriato. I medici, con l’ assenso dei genitori, decidono di trapiantare il cervello di Giovanni sul corpo di Giuseppe (ormai morente) migliorando decisamente le sue condizioni di vita.
Nascono tre gemellini con gravi problemi: Giovanni, Giuseppe e Giacomo. Giuseppe e Giacomo hanno un emisfero cerebrale lesionato, mentre il corpo di Giovanni è gravemente compromesso. Si decide così di disconnettere i due emisferi del cervello di Giovanni e trapiantare il primo nel corpo di Giuseppe in sostituzione di quello danneggiato. Il secondo andrà a Giacomo. Siamo stati fortunati, i trapianti sono compatibili.
Stessa situazione del secondo, senonché Giuseppe e Giacomo stanno morendo, il loro cervello è compromesso. Si decide di espiantarlo e di trapiantare un emisfero cerebrale di Giovanni sul corpo di Giuseppe, e l’ altro sul corpo di Giacomo. Forse già sapete che si puo’ vivere abbastanza bene anche con un solo emisfero opportunamente supportato.
Lo sapevi che, in percentuale sul PIL, l’ Italia è il paese che per la ricerca dà di più alle Università?
I veri maestri della nota ribattuta sono loro. Fine del discorso.
Ostinato senza essere ossessivo, caparbio senza essere ansiogeno, il loro suono si deposita nell’ orecchio dell’ ascoltatore leggero come la raffica dei fiocchi di neve sul lastrico.
Ma anche il lavoro sulla saturazione timbrica sbalordisce; pochi dominano altrettanto bene quell’ alchimia sensoriale.
E chi andava a pensare, poi, che nel riverbero di una distorsione chitarristica potesse albergare una vita tanto rigogliosa?
Dopo questo disco lo sappiamo per il semplice fatto che possiamo dire d’ averla vista con le nostre orecchie.
Nessuna aveva osato porsi la domanda se Mozart potesse migliorare ascoltando la lezione di Ali Farka Turé?
Ma rispondere è inutile, di sicuro ora disponiamo di una musica in più da ascoltare. E anche il Mozart originale ci guadagna.
Now Ensemble – Awake
p.s. déja vu
Cryonics! Gentilmente offerto dalla Alcor spa:
To understand how this might work, one first must realize that our bodies are not operated by an “on and off” switch, meaning that when you die, you don’t necessarily die instantaneously. This shouldn’t be so hard to accept since we’ve all heard examples of people declared legally dead before miraculous (read: defibrillator-enabled) revival. So the “switch” is more like a dimmer. It takes four to six minutes (perhaps as long as ten minutes or up to almost an hour, depending on what source you believe) for the brain to suffocate from lack of oxygen and stop functioning. Now imagine that a human could be captured in that time after the heart stops and before the brain starts to degrade and that he or she could be suspended in this state indefinitely, like hitting pause on the dying process. Let’s say that, hypothetically, the body (or at least the brain) could be revived from that state (“unpaused”) at a time of more advanced technology, a time when the person could be treated for whatever caused the body to start shutting down in the first place—cancer, for example. And if such technology existed, then (in the case where the head is the only thing preserved), the technology for regrowing the body for the brain (or at the very least, creating a bionic one) should reasonably exist as well.
Insomma: oggi, tra morte cardiaca e morte cerebrale, vi ghiacciano il cervello e, domani, quando esisteranno tecniche idonee, ve lo sgeleranno impiantandolo su un computer.
Due considerazioni:
1. come paradiso non è un granché.
2. perché riservarlo agli atei?
Per quanto riguarda il punto due sono dell’ avviso che anche noi cattolici potremmo fruire di questo paradiso in terra in grado di prolungare indefinitamente la nostra vita.
Forse che un cattolico non riconosce se stesso qualora il suo corpo assuma le forme di un computer?
Eppure nessuno più del cattolico è disposto ad accettare l’ esistenza di strani corpi.
Pensate solo al corpo reale di Adamo ed Eva! Come sarà stato?
E’ che anziché incassare ci si perde (parola della commissione europea):
there’s just one small problem, only a tiny one, not much to worry about really, about a financial transactions or Robin Hood tax. It won’t actually raise any money.
In a modern economy, makes little difference whether we’re talking about the US or Europe, some 40-50% of any marginal change in GDP is tax revenue. If GDP goes up by 1% we expect 0.4, 0.5% of GDP to be tax revenues. If GDP falls then we expect a similar fall in tax revenues. We see this argument being made all the time right now anyway, as all too many people run around saying that it isn’t that spending is too high, it’s that tax revenues have collapsed in the recession. Yes, quite, this is exactly the same point.
So, look at those numbers again. We have a tax which will bring in 0.1% of GDP. That same tax will also cause a 1.76
% fall in GDP and we expect 40-50% of a change in GDP to be taxes. So we have a fall of 0.7 to 0.9% of GDP in tax revenues.That is, we gain 0.1% and lose 0.7%.
Alcune istruzioni per il lavoro intellettuale.
La prima: isolarsi.
Dispiacerà a chi considera l’ uomo un essere essenzialmente sociale, e ancor di più a chi addirittura lo vede come plasmato dalla società in cui vive.
Fa niente, in assenza di una coltivata solitudine viene a mancare ogni riflessione attendibile.
… dall’ intellettuale metafisico possiamo venire a sapere che dio è morto… dall’ intellettuale tecnico sappiamo tutti i giorni che per motivi tecnici c’ è qualcosa che non si farà e qualche altra cosa che siamo assolutamente costretti a fare… ma l’ intellettuale critico, diversamente dai precedenti, ammette l’ esistenza dei singoli individui… per lui non si tratta di apparenze, o contingenze, o imprevisti malaugurati, errori da evitare, distorsioni soggettive da superare in un’ ottica più vasta e in una prospettiva più elevata… per l’ intellettuale critico la singola vita individuale è un campo e uno strumento di conoscenza ineliminabile… lo scoprirono filosofi come Montaigne e Kierkegaard che non scrissero trattati ma confessioni, diari e autoanalisi… si possono accusare Leopardi o Baudelaire di narcisismo per il fatto di aver parlato di sé e di aver “esplorato il proprio petto” o di aver “messo a nudo il proprio cuore”?… L’ io del critico è uno strumento per essere onesti con gli altri che a loro volta non sono privi di un loro io… l’ intellettuale critico rischia sempre la solitudine innanzitutto perché ne ha un bisogno vitale… anzi la rappresenta pubblicamente come valore pubblico misconosciuto… la verità non è un bene sociale, chi la ama non è adatto alla conversazione, non riesce a trovare un linguaggio che si adatti ai convenevoli… meglio per lui rifugiarsi nella meditazione solitaria…
Ogni intellettuale deve lavorare sodo per rendersi non classificabile e costituire un caso a sé. Quando compaiono segnali di genere, l’ intellettuale sloggia.
Guai fare gruppo, guai firmare manifesti, guai impegolarsi in campagne di boicottaggio. Ma soprattutto, se non si vuole creare una casta, girare al largo dai benefici sindacali.
Ci si rassegni: conoscere significa non esistere, e l’ isolamento è un buon simulacro dell’ inesistenza. Un buon intellettuale dipinge solo autoritratti.
Adesso, alcuni corollari.
L’ intellettuale deve parlare di esperienze comuni appellandosi al senso comune, anche se così facendo assomiglierà di più ad una persona comune che a un intellettuale, ma soprattutto dirà cose che probabilmente non interessano né a Dio, né al Progresso.
Senza uniformarsi ai tabù tanto di moda della Risposta o della Soluzione – parlo di quel sacro terrore che porta l’ intellettuale a porre solo domande quasi fosse un Mike Bongiorno - si eviti comunque di proporre soluzioni generali.
La trappola più insidiosa è quella che scatta quando si chiedono o si forniscono dimostrazioni dell’ ovvio. Quando una domanda è ovviamente sensata, si eviti quindi di uscirsene segnalando gli errori linguistici sottesi che la renderebbero insensata. Si risponda, piuttosto.
Da rifuggire sono sia il volontarismo militante un po’ troppo volontaristico che le idee eccessivamente vaste ed accoglienti.
Spiegate quel che succede piuttosto che esprimere la vostra indignazione un giorno sì un giorno no!
Alla larga dai tecnicismi necessari al funzionamento della macchina sociale. E’ roba che attira solo chi è desideroso di avviarci verso un Progresso alla cui definizione, come tutti i pensatori seri, non è tenuto ad interessarsi. I mezzi lo ossessionano. Vietato pensare agli scopi, quelli vengono da sé.
Si eviti anche quella metafisica disossata dalle parole d’ ordine che richiedono di essere urlate esistenzialmente nel tentativo di sfrondarle da un gergo mistico che le rende tanto vaghe.
Rassegnatevi: “la poesia non fa succedere niente”. La solitudine, di conseguenza, porta solo vantaggi.
La gente è pettegole, vuole sempre esempi concreti. Da evitare con cura sono Foucauld e Derrida, nonché tutta la risma di pensatori secondo cui ogni organizzazione è repressione. Stare alla larga pure da Glucksmann, Bernard-Henry Lévy o Hitchens, ovvero dal cosiddetto giornalista titanico, quel genere di intellettuale che tiene d’ occhio tutti i conflitti del pianeta insegnandoci quotidianamente cosa cova sotto la cenere e perché tutto si tiene.
Alfonso Berardinelli – Che tipo d’ intellettuale sei? – Nottetempo
Fin qui seguo facilmente l’ autore, addirittura con punte di entusiastica adesione qua e là.
Lo seguo per quanto sia riuscito a decifrare il pensiero di chi si mostra più concentrato sull’ introspezione che sul nitore concettuale dell’ esposizione. E non escludo che nella mia parafrasi abbondino forzature e aggiustamenti in grado di corroborare la digestione di un pasto tanto vario e calorico.
Peccato che sul finale si sbielli e il congedo s’ imponga. In particolare quando in modo accorato si chiede all’ intellettuale di non limitarsi a porsi fuori dalla società, ma di andare oltre ponendosi contro la società in modo da trasformare la sua preziosa solitudine in una nobile misantropia.
Ecco, quando Montaigne e Baudelaire esplorano il proprio petto forse non lo si potrà dire, ma in questo caso sì, caro Berardinelli… in questo caso si puo’ proprio parlare tranquillamente di narcisismo.
Credere nella religione tradizionale africana equivaleva a giocare sempre in difesa. Non c’ era una dottrina a cui appellarsi; c’ era soltanto il sentimento del valore dei costumi antichi, della sacralità della terra natale. Assomigliava, in dimensioni ridotte, al conflitto in atto tra cristianesimo e paganesimo nel quarto e quinto secolo, all’ epoca della conversione del mondo classico. Il paganesimo non poteva diventare una Causa. In favore dei vecchi dèi e dei loro templi si poteva al massimo dire che esistevano da sempre e che avevano reso un buon servizio all’ umanità. Il cristianesimo, per contro, poggiava su un fondamento filosofico e poteva essere spiegato. La religione tradizionale africana non aveva dogmi; si esprimeva nelle sue pratiche e in cose come i cento amuleti che gli stregoni offrirono a Meutsa I prima della battaglia navale con i Wavuma.V.S. Naipaul