To understand how this might work, one first must realize that our bodies are not operated by an “on and off” switch, meaning that when you die, you don’t necessarily die instantaneously. This shouldn’t be so hard to accept since we’ve all heard examples of people declared legally dead before miraculous (read: defibrillator-enabled) revival. So the “switch” is more like a dimmer. It takes four to six minutes (perhaps as long as ten minutes or up to almost an hour, depending on what source you believe) for the brain to suffocate from lack of oxygen and stop functioning. Now imagine that a human could be captured in that time after the heart stops and before the brain starts to degrade and that he or she could be suspended in this state indefinitely, like hitting pause on the dying process. Let’s say that, hypothetically, the body (or at least the brain) could be revived from that state (“unpaused”) at a time of more advanced technology, a time when the person could be treated for whatever caused the body to start shutting down in the first place—cancer, for example. And if such technology existed, then (in the case where the head is the only thing preserved), the technology for regrowing the body for the brain (or at the very least, creating a bionic one) should reasonably exist as well.
Insomma: oggi, tra morte cardiaca e morte cerebrale, vi ghiacciano il cervello e, domani, quando esisteranno tecniche idonee, ve lo sgeleranno impiantandolo su un computer.
Due considerazioni:
1. come paradiso non è un granché.
2. perché riservarlo agli atei?
Per quanto riguarda il punto due sono dell’ avviso che anche noi cattolici potremmo fruire di questo paradiso in terra in grado di prolungare indefinitamente la nostra vita.
Forse che un cattolico non riconosce se stesso qualora il suo corpo assuma le forme di un computer?
Eppure nessuno più del cattolico è disposto ad accettare l’ esistenza di strani corpi.
Pensate solo al corpo reale di Adamo ed Eva! Come sarà stato?
there’s just one small problem, only a tiny one, not much to worry about really, about a financial transactions or Robin Hood tax. It won’t actually raise any money.
In a modern economy, makes little difference whether we’re talking about the US or Europe, some 40-50% of any marginal change in GDP is tax revenue. If GDP goes up by 1% we expect 0.4, 0.5% of GDP to be tax revenues. If GDP falls then we expect a similar fall in tax revenues. We see this argument being made all the time right now anyway, as all too many people run around saying that it isn’t that spending is too high, it’s that tax revenues have collapsed in the recession. Yes, quite, this is exactly the same point.
So, look at those numbers again. We have a tax which will bring in 0.1% of GDP. That same tax will also cause a 1.76 % fall in GDP and we expect 40-50% of a change in GDP to be taxes. So we have a fall of 0.7 to 0.9% of GDP in tax revenues.
Dispiacerà a chi considera l’ uomo un essere essenzialmente sociale, e ancor di più a chi addirittura lo vede come plasmato dalla società in cui vive.
Fa niente, in assenza di una coltivata solitudine viene a mancare ogni riflessione attendibile.
… dall’ intellettuale metafisico possiamo venire a sapere che dio è morto… dall’ intellettuale tecnico sappiamo tutti i giorni che per motivi tecnici c’ è qualcosa che non si farà e qualche altra cosa che siamo assolutamente costretti a fare… ma l’ intellettuale critico, diversamente dai precedenti, ammette l’ esistenza dei singoli individui… per lui non si tratta di apparenze, o contingenze, o imprevisti malaugurati, errori da evitare, distorsioni soggettive da superare in un’ ottica più vasta e in una prospettiva più elevata… per l’ intellettuale critico la singola vita individuale è un campo e uno strumento di conoscenza ineliminabile… lo scoprirono filosofi come Montaigne e Kierkegaard che non scrissero trattati ma confessioni, diari e autoanalisi… si possono accusare Leopardi o Baudelaire di narcisismo per il fatto di aver parlato di sé e di aver “esplorato il proprio petto” o di aver “messo a nudo il proprio cuore”?… L’ io del critico è uno strumento per essere onesti con gli altri che a loro volta non sono privi di un loro io… l’ intellettuale critico rischia sempre la solitudine innanzitutto perché ne ha un bisogno vitale… anzi la rappresenta pubblicamente come valore pubblico misconosciuto… la verità non è un bene sociale, chi la ama non è adatto alla conversazione, non riesce a trovare un linguaggio che si adatti ai convenevoli… meglio per lui rifugiarsi nella meditazione solitaria…
Ogni intellettuale deve lavorare sodo per rendersi non classificabile e costituire un caso a sé. Quando compaiono segnali di genere, l’ intellettuale sloggia.
Guai fare gruppo, guai firmare manifesti, guai impegolarsi in campagne di boicottaggio. Ma soprattutto, se non si vuole creare una casta, girare al largo dai benefici sindacali.
Ci si rassegni: conoscere significa non esistere, e l’ isolamento è un buon simulacro dell’ inesistenza. Un buon intellettuale dipinge solo autoritratti.
Adesso, alcuni corollari.
L’ intellettuale deve parlare di esperienze comuni appellandosi al senso comune, anche se così facendo assomiglierà di più ad una persona comune che a un intellettuale, ma soprattutto dirà cose che probabilmente non interessano né a Dio, né al Progresso.
Senza uniformarsi ai tabù tanto di moda della Risposta o della Soluzione – parlo di quel sacro terrore che porta l’ intellettuale a porre solo domande quasi fosse un Mike Bongiorno - si eviti comunque di proporre soluzioni generali.
La trappola più insidiosa è quella che scatta quando si chiedono o si forniscono dimostrazioni dell’ ovvio. Quando una domanda è ovviamente sensata, si eviti quindi di uscirsene segnalando gli errori linguistici sottesi che la renderebbero insensata. Si risponda, piuttosto.
Da rifuggire sono sia il volontarismo militante un po’ troppo volontaristico che le idee eccessivamente vaste ed accoglienti.
Spiegate quel che succede piuttosto che esprimere la vostra indignazione un giorno sì un giorno no!
Alla larga dai tecnicismi necessari al funzionamento della macchina sociale. E’ roba che attira solo chi è desideroso di avviarci verso un Progresso alla cui definizione, come tutti i pensatori seri, non è tenuto ad interessarsi. I mezzi lo ossessionano. Vietato pensare agli scopi, quelli vengono da sé.
Si eviti anche quella metafisica disossata dalle parole d’ ordine che richiedono di essere urlate esistenzialmente nel tentativo di sfrondarle da un gergo mistico che le rende tanto vaghe.
Rassegnatevi: “la poesia non fa succedere niente”. La solitudine, di conseguenza, porta solo vantaggi.
La gente è pettegole, vuole sempre esempi concreti. Da evitare con cura sono Foucauld e Derrida, nonché tutta la risma di pensatori secondo cui ogni organizzazione è repressione. Stare alla larga pure da Glucksmann, Bernard-Henry Lévy o Hitchens, ovvero dal cosiddetto giornalista titanico, quel genere di intellettuale che tiene d’ occhio tutti i conflitti del pianeta insegnandoci quotidianamente cosa cova sotto la cenere e perché tutto si tiene.
Alfonso Berardinelli – Che tipo d’ intellettuale sei? – Nottetempo
Fin qui seguo facilmente l’ autore, addirittura con punte di entusiastica adesione qua e là.
Lo seguo per quanto sia riuscito a decifrare il pensiero di chi si mostra più concentrato sull’ introspezione che sul nitore concettuale dell’ esposizione. E non escludo che nella mia parafrasi abbondino forzature e aggiustamenti in grado di corroborare la digestione di un pasto tanto vario e calorico.
Peccato che sul finale si sbielli e il congedo s’ imponga. In particolare quando in modo accorato si chiede all’ intellettuale di non limitarsi a porsi fuori dalla società, ma di andare oltre ponendosi contro la società in modo da trasformare la sua preziosa solitudine in una nobile misantropia.
Ecco, quando Montaigne e Baudelaire esplorano il proprio petto forse non lo si potrà dire, ma in questo caso sì, caro Berardinelli… in questo caso si puo’ proprio parlare tranquillamente di narcisismo.
Credere nella religione tradizionale africana equivaleva a giocare sempre in difesa. Non c’ era una dottrina a cui appellarsi; c’ era soltanto il sentimento del valore dei costumi antichi, della sacralità della terra natale. Assomigliava, in dimensioni ridotte, al conflitto in atto tra cristianesimo e paganesimo nel quarto e quinto secolo, all’ epoca della conversione del mondo classico. Il paganesimo non poteva diventare una Causa. In favore dei vecchi dèi e dei loro templi si poteva al massimo dire che esistevano da sempre e che avevano reso un buon servizio all’ umanità. Il cristianesimo, per contro, poggiava su un fondamento filosofico e poteva essere spiegato. La religione tradizionale africana non aveva dogmi; si esprimeva nelle sue pratiche e in cose come i cento amuleti che gli stregoni offrirono a Meutsa I prima della battaglia navale con i Wavuma.
V.S. Naipaul
All’ epoca in cui la squadra del cristianesimo mieteva trofei ovunque, era trascinata all’ attacco da un centravanti di peso – la ragione.
La ragione affiancava al sentimento una solida dottrina. La ragione collegava la Causa con l’ Effetto, la ragione procurava uno stabile fondamento filosofico.
Con questa punta di diamante tutto era possibile e il cristianesimo conquistò la coppa del mondo. Le sue coorti atteggiate a testuggine sfondavano le linee nemiche facendo volare per aria le bancarelle zeppe di amuleti.
La strategia – ora… da qualche secolo - è quella di svendere il nostro bomber rassegnandoci al catenaccio.
Certo, è una testa calda, a volte crea problemi nello spogliatoio, ma una volta venduto perderemo per sempre l’ occasione di disciplinarlo.
[… se ci mutiliamo della ragione come potremo denunciarne gli abusi?…]
Non trovate che sia esagerato confinare il ragionamento sulla fede ad esperienza adolescenziale che evapora una volta che al liceo s’ incontrano Marx, Freud e Nietzsche?
Si finisce per sedimentare istinti che posti davanti ad una pretesa “conoscenza” fanno scattare il deleterio riflesso di bollarla a prescindere come strumento di potere e causa di superbia.
Su questa via l’ intelligenza si degradata passando da dinamico trapezio in grado di proiettarci nelle braccia di un altrettanto dinamico catcher a trampolino rabberciato che ci slancia all’ insù verso il nulla quando va bene, all’ ingiù verso il lastrico di una piscina prosciugata quando va male.
Leggendo il libro di Valter Binaghi e Giulio Mozzi – 10 buoni motivi per essere cattolici, mi sembra però di cogliere un certo fervore per il cambio di strategia.
I due blogger cattolici puntano molto sulla bellezza del racconto evangelico.
L’ atto di fede sembra essere innanzitutto l’ adesione a narrazioni meravigliose ed appaganti. Il cattolicesimo come bella immaginazione.
C’ è la favola triste della cacciata dall’ Eden e c’ è la favola terribile del diluvio universale. Poi ce ne sono molte altre di fattura altrettanto pregevole. Rapiti da questo fascino, sorvoliamo con naturalezza sulle incongruenze.
Ok, mi viene da dire, ma mentre nelle favole accadono tante cose prodigiose che c’ incantano, cosa succede nella realtà?
Rinunciando al nostro centravanti diventa difficile giocare partite del genere.
Non per questo, secondo gli autori, la voglia di dirsi cattolici scema; al contrario, monta perché… la storia della creazione è avvincente e aspettare la fine del mondo mantiene alta la tensione umana.
Perché la vicenda di Gesù è un’ appassionante storia d’ amore con un unico comandamento: ama!
Dubbio (mio): siamo sicuri però che l’ amore mondano sia svincolato dal fare il bene? E che il fare il bene nel mondo implichi anche una riflessione operativa e un calcolo? E’ da escludersi che l’ intenzione lastricherà mai alcuna via diretta all’ inferno?
Nel suo tran tran sboccia cio’ che ha di meraviglioso la banalità dell’ umano.
Puo’ farlo grazie alla normalità di Gesù, grazie alla vita appartata condotta fino alla soglia estrema del "gran finale", grazie al Gesù figlio di un piccolo imprenditore che impara un mestiere sul bancone del falegname pestandosi le dita con il martello. Un bravo ragazzo che sbaglia, soffre, inciampa, si rialza… e sempre in compagnia.
Peccato che, chiamati al passo successivo, ovvero a riconoscere il banale umano che tutti i giorni affonda i suoi gomiti nei nostri fianchi, anziché simpatizzare e intenerirsi per le mille manchevolezze che lo affliggono, si preferisce esorcizzarlo dipingendo lo sprezzante quadretto di una piccola borghesia dietro la cui maschera si occultano mille meschinità riprovevoli.
Altra riserva mi permetto di porla sul sospetto gettato di continuo verso ogni forma di umana organizzazione esteriore di chi vive la fede (nel mirino è la Chiesa istituzionale).
Operazione che stride con l’ omaggio alla carne.
Cosa significa organizzarsi se non far campare la carne? Non è un caso se persino il corpo puo’ essere sommariamente descritto come un’ organizzazione naturale.
Una volta accettata l’ incarnazione e l’ uomo-dio, la forma non puo’ più essere del tutto bandita nel discorso sulla fede. Ostinarsi a farlo segnala un’ ostia mal trangugiata.
Passiamo alla Grazia.
Nell’ atto di fede la Grazia gioca un ruolo decisivo, ok. La cosa è ben sottolineata.
Ma insistere nello svilire l’ azione dell’ intelligenza e della psicologia in queste faccende, deprezza quanto di umano c’ è in quell’ atto. Per evitare un simile rischio si potrebbe far notare come tutti i giorni ognuno di noi, indipendentemente dalle sue affiliazioni, compia atti di fede formalmente simili a quello cattolico senza che intervenga alcuna grazia. Basta il senso comune!
In altri termini, qualsiasi uomo ha dimestichezza con l’ atto di fede, qualsiasi uomo esperisce ogni giorno il naturale legame che quell’ atto intrattiene con la ragione. Questo Signor Qualsiasi potrebbe essere disorientato se ci impuntiamo su un desertificante monopolio da conferire alla Grazia.
Chiudo.
Narrazioni, immaginario, favole, bellezza…
E il vero, che fine ha fatto? Così come il reale, sembra defilarsi un po’ troppo in questo resoconto.
Il nostro centravanti non c’ è più, e forse questo incide sulla reticenza.
Come si lega la bellezza al vero? A quanto pare non grazie alla naturalezza visto che “il pensiero naturale non ci serve a nulla”. Una pratica cruciale resta dunque in buona parte inevasa.
Possiamo davvero lasciare tutto slegato e puntare una posta tanto elevata sull’ appagamento estetico?
Mmmmmmmmmm.
Ho paura che chiudendosi in difesa prima o poi un gol lo becchiamo.
Come al solito l’ entusiasmo con cui si obietta prende la mano, e alla fine il quadretto fornito è orribilmente deforme.
Non ci sono, infatti, solo perplessità. Tutt’ altro.
Dapprima fatemi notare come i coautori ci tengano a distinguere i loro testi. Chissà, forse la scelta non dipende solo dall’ irriducibile differenza stilistica (leggiadro quello di Mozzi, puntuale quello di Binaghi).
Sta di fatto che in alcune pagine più che in altre, non posso negarlo, agiscono potenti anticorpi in grado di opporsi virilmente alle derive paventate. Basti pensare a quando si parla del cristianesimo come mito compatibile con teologia e scienza, o quando si depreca l’ inane sociologismo che riconduce il male alla cattiveria, o alla brillante e interamente condivisibile tirata contro Mancuso e il Modernismo.
The problem is that outlawing IT and enforcing the law rigorously ensures that share prices (or whatever the asset is) do NOT...repeat NOT...reflect all the information available about their future profitability. This argument is quite persuasive to me.
Woody Allen non ha mai fatto mistero di collocare il cinema europeo parecchie spanne sopra quello americano. A partire dalla tradizione (cito a memoria):
“nel confrontare i nostri Maestri con quelli europei mi cresce dentro un senso di vergogna… è qualcosa di disarmante… eravamo così ingenui… e non abbiamo mai recuperato…”.
Quella mania di tagliar giù con l’ accetta semplificando tutto. Ma soprattutto quella mania delle storie di schiavizzare ogni scena per renderla funzionale al racconto.
Se in un film americano Tizio incontra Caio, l’ ascoltatore è meglio che se l’ annoti in fretta sul taccuino mentale, perché la cosa avrà ripercussioni. E se non sarà così, il film sarà da qualificarsi come sfilacciato e dispersivo.
In un film europeo, non è per niente detto che le cose stiano in questi termini, anzi. Quand’ anche l’ incontro sia a posteriori giudicabile come radicalmente gratuito, avrete assistito a un sofisticato effetto realtà destinato a nobilitare la pellicola.
Con una battuta: nei film europei, di tanto in tanto, ci si puo’ infilare un sonnellino.
Diciamolo più chiaramente: sarà che ha perso un mucchio di guerre, sarà che ne ha combattute molte senza raccapezzarsi (partendo di qua e finendo di là), sarà che ne ha viste di tutti i colori, ma l’ europeo medio, per usare un eufemismo, tende a credere che la realtà sia a dir poco labirintica.
Un modo efficace per esprimerlo consiste nel conferire un posto d’ onore alla fortuna.
Woody rende un tiepido omaggio ai suoi maestri facendo del caso un protagonista assoluto di questo bel film.
Un caso domato, per la verità, che agisce nella storia anziché sulla storia.
In altri termini: Woody non tira i dadi per decidere la sequenza successiva, il suo è un film girato all’ americana: pulito, coeso e coerente (almeno se ci dimentichiamo che esistono anche i tabulati telefonici).
Chris, il classico bravo ragazzo, dopo averla illusa, uccide sia l’ amante che lo ossessionava rifiutandosi di abortire, sia una vecchia (per sviare le indagini); torna dalla ricca e ignara moglie che con tutta la famiglia è al settimo cielo da nove mesi perché lei finalmente è restata incinta. E’ giunta l’ ora di sgravarsi! La fortuna s’ incaricherà di trasformare il piano raffazzonato e l’ azione maldestra di un incensurato, nell’ omicidio perfetto. A farne le spese sono sia le vittime (trucidate) che il colpevole (in fondo avrebbe voluto lavarsi l’ anima pagando il fio).
Chris ha cavalcato per tutto il film una tigre idrofoba che, proprio al momento di disarcionarlo e azzannarlo, si trasforma come per incanto in un ciuchino mansueto.
Ed ecco presentarsi il labirinto: al ritorno dall’ ospedale lui si sofferma sulla creaturina: deve fingere di gioire per una cosa di cui non puo’ gioire ma che in fondo lo fa gioire. In altri termini, le sozzure lo costringono a fare cio’ che avrebbe fatto spontaneamente.
E intanto noi ci ascoltiamo della grande opera. Ma l’ omaggio non è alle fiammeggianti cabalette, bensì allo sfrigolio dei vecchi dischi. I portentosi sentimenti mediterranei inscenati al Metropolitan, covano anche a latitudini spaziotemporali diverse ma si ripropongono sotto una coltre di polvere, proprio come la musica riprodotta da quei dischi usurati. Il sangue sparso dalla passione con gestualità impulsiva, ora è sparso da una vigliaccheria catatonica.
Si evita con cura di retribuire equamente le anime coinvolte e far quadrare i conti: il delizioso amaro in bocca con cui Woody ci lascia è tutto europeo.
Un retrogusto da conservare intatto proteggendolo da ogni insidia dello humor, che qui come non mai è tenuto a distanza siderale.
Richard Dawkins has emerged as the enfant terrible of the movement known as the New Atheism. His best-selling book The God Delusion has become the literary centerpiece of that movement. In it Dawkins aims to show that belief in God is a delusion, that is to say, "a false belief or impression," or worse, "a persistent false belief held in the face of strong contradictory evidence."1 On pages 157-8 of his book, Dawkins summarizes what he calls "the central argument of my book." Note it well. If this argument fails, then Dawkins' book is hollow at its core. And, in fact, the argument is embarrassingly weak.
It goes as follows:
1. One of the greatest challenges to the human intellect has been to explain how the complex, improbable appearance of design in the universe arises. 2. The natural temptation is to attribute the appearance of design to actual design itself. 3. The temptation is a false one because the designer hypothesis immediately raises the larger problem of who designed the designer. 4. The most ingenious and powerful explanation is Darwinian evolution by natural selection. 5. We don't have an equivalent explanation for physics. 6. We should not give up the hope of a better explanation arising in physics, something as powerful as Darwinism is for biology. Therefore, God almost certainly does not exist.
This argument is jarring because the atheistic conclusion that "Therefore, God almost certainly does not exist" seems to come suddenly out of left field. You don't need to be a philosopher to realize that that conclusion doesn't follow from the six previous statements.
Indeed, if we take these six statements as premises of an argument intended to logically imply the conclusion "Therefore, God almost certainly does not exist," then the argument is patently invalid. No logical rules of inference would permit you to draw this conclusion from the six premises.
A more charitable interpretation would be to take these six statements, not as premises, but as summary statements of six steps in Dawkins' cumulative argument for his conclusion that God does not exist. But even on this charitable construal, the conclusion "Therefore, God almost certainly does not exist" simply doesn't follow from these six steps, even if we concede that each of them is true and justified. The only delusion demonstrated here is Dawkins' conviction that this is "a very serious argument against God's existence."2
So what does follow from the six steps of Dawkins' argument? At most, all that follows is that we should not infer God's existence on the basis of the appearance of design in the universe. But that conclusion is quite compatible with God's existence and even with our justifiably believing in God's existence. Maybe we should believe in God on the basis of the cosmological argument or the ontological argument or the moral argument. Maybe our belief in God isn't based on arguments at all but is grounded in religious experience or in divine revelation. Maybe God wants us to believe in him simply by faith. The point is that rejecting design arguments for God's existence does nothing to prove that God does not exist or even that belief in God is unjustified. Indeed, many Christian theologians have rejected arguments for the existence of God without thereby committing themselves to atheism.
So Dawkins' argument for atheism is a failure even if we concede, for the sake of argument, all its steps. But, in fact, several of these steps are plausibly false in any case. Take just step (3), for example. Dawkins' claim here is that one is not justified in inferring design as the best explanation of the complex order of the universe because then a new problem arises: Who designed the designer?
This objection is flawed on at least two counts.
First, in order to recognize an explanation as the best, one needn't have an explanation of the explanation. This is an elementary point concerning inference to the best explanation as practiced in the philosophy of science. If archaeologists digging in the earth were to discover things looking like arrowheads and hatchet heads and pottery shards, they would be justified in inferring that these artifacts are not the chance result of sedimentation and metamorphosis, but products of some unknown group of people, even though they had no explanation of who these people were or where they came from. Similarly, if astronauts were to come upon a pile of machinery on the back side of the moon, they would be justified in inferring that it was the product of intelligent, extra-terrestrial agents, even if they had no idea whatsoever who these extra-terrestrial agents were or how they got there.
In order to recognize an explanation as the best, one needn't be able to explain the explanation. In fact, so requiring would lead to an infinite regress of explanations, so that nothing could ever be explained and science would be destroyed. So in the case at hand, in order to recognize that intelligent design is the best explanation of the appearance of design in the universe, one needn't be able to explain the designer.
Second, Dawkins thinks that in the case of a divine designer of the universe, the designer is just as complex as the thing to be explained, so that no explanatory advance is made. This objection raises all sorts of questions about the role played by simplicity in assessing competing explanations—for example, how simplicity is to be weighted in comparison with other criteria like explanatory power, explanatory scope, plausibility, and so forth. If a less simple hypothesis exceeds its rivals in explanatory scope and power, for example, then it may well be the preferred explanation, despite the sacrifice in simplicity.
But leave those questions aside. Dawkins' fundamental mistake lies in his assumption that a divine designer is an entity comparable in complexity to the universe. As an unembodied mind, God is a remarkably simple entity. As a non-physical entity, a mind is not composed of parts, and its salient properties, like self-consciousness, rationality, and volition, are essential to it. In contrast to the contingent and variegated universe with all its inexplicable physical quantities and constants (mentioned in the fifth step of Dawkins' argument),3 a divine mind is startlingly simple. Certainly such a mind may have complex ideas (it may be thinking, for example, of the infinitesimal calculus), but the mind itself is a remarkably simple entity. Dawkins has evidently confused a mind's ideas, which may, indeed, be complex, with a mind itself, which is an incredibly simple entity.4 Therefore, postulating a divine mind behind the universe most definitely does represent an advance in simplicity, for whatever that's worth.
Other steps in Dawkins' argument are also problematic; but I think enough has been said to show that his argument does nothing to undermine a design inference based on the universe's complexity, not to speak of its serving as a justification of atheism.
Several years ago my atheist colleague Quentin Smith unceremoniously crowned Stephen Hawking's argument against God in A Brief History of Time as "the worst atheistic argument in the history of Western thought."5 With the advent of The God Delusion the time has come, I think, to relieve Hawking of this weighty crown and to recognize Richard Dawkins' accession to the throne
Chi combatte le centrali nucleari ne teme i costi, chi le difende parla di “preoccupazioni esagerate”.
In realtà il principale ostacolo a fare chiarezza sul tema sono gli interventi governativi, specie quelli che limitano la responsabilità dei gestori. In assenza di interventi i gestori dovrebbero acquistare un’ assicurazione privata e lì potremmo costatare se possono permettersela.
La situazione è ancora peggiore quando è lo stesso governo ad accaparrarsi la gestione delle centrali.
Sussidiare l’ agricoltura è un cattivo affare, forse non esiste questione dove il consenso degli esperti è tanto forte, eppure…
Eppure, evidentemente, i pochi beneficiati riescono a organizzarsi a danno dei molti.
Tra questi molti ci sono i tassati colpiti per raccogliere i sussidi, ma anche i consumatori colpiti dagli alti prezzi.
Tanto più l’ agricoltore è di grande (e ricco) dimensioni, tanto più godrà dei sussidi. L’ ennesima ingiustizia di una misura che distorce l’ economia rendendola meno efficiente.
Le politiche contro la discriminazione degenerano inevitabilmente in “affirmative action”, non è infatti possibile applicare il comandamento: non discriminate!
Solo che l’ affirmative action ha dei costi suoi propri:
1. penalizza i soggetti migliori;
2. penalizza in particolare i soggetti migliori che appartengono alle minoranze;
3. fomenta il risentimento;
4. distrae dalla contrattualistica privata, vera soluzione del problema;
5. disincentiva l’ hard working;
6. disincentiva le assunzioni 8per evitare grane).
Come se non bastasse le minoranze non ricevono un vero aiuto, lo testimoniano bene le evidenze circa i vari gap: il loro recupero è lento e dovuto a altri fattori).
Politicamente l’ operazione è difficile, e cio’ resta vero anche se la spesa improduttiva abbonda.
In questo gioco a passarsi il cerino, la scuola che fine fa?
Dalle colonne del Corriere Maurizio Ferrera dice che non andrebbe toccata:
tagliare è un obbligo, sulla scuola un delitto
Si, ok. Ma come rispondere allora a Caplan?:
Economists are finally waking up to the fact that many people are overqualified for their jobs. You don't need a college degree to be a baggage porter or bellhop, but according to the Bureau of Labor Statistics, 17% of them have a bachelor's degree or more. So do 15% of taxi drivers and chauffeurs - and 14% of mail carriers. Even if you insist that what you learn in college is broadly useful on-the-job, can you really believe that it makes you better at putting letters in mailboxes? Once you drink this Kool-aid, though, you're on a slippery slope. If you admit that "Some jobs really don't require a college education," it's hard to deny the harsher fact that "Some jobs don't require a high school education either." Take baggage porters and bellhops. What did they learn in their last four years of high school that makes them more productive in their jobs? If you answer, "A strong work ethic," think again. Which actually builds a better work ethic: goofing off in high school with the other kids who don't plan to go to college? Or hustling for tips as a bellhop? On average, I freely admit, the return to education remains fairly high. But themarginal return is a different story. Students determined to finish college - or high school - probably aren't going to remain overqualified for long. It's the borderline students, I conjecture, who get stuck in jobs that don't require their formal credentials. We should accept this fact - and stop encouraging and subsidizing these borderline students to finish high school and college. Someone has to carry baggage. Shouldn't it be high school drop-outs?
Certo, si parla degli USA. Ma non possiamo girarci dall’ altra parte visto che da noi il fenomeno è anche più marcato!
Senza una risposta puntuale ha poco senso opporsi ai tagli.
Troppo spesso i tagli alla scuola vengono interpretato come un taglio al nostro futuro, il che equivale ad una profanazione di altari consacrati.
Ma le cose stanno davvero così?
Come minimo siamo di fronte ad una semplificazione strumentale:
… the great secular faith of our age is the idea that education is the key to economic growth, swelling both an individual’s bank balance and expanding a nation’s GDP… Look at Switzerland. It has one of the lowest higher-education enrolment rates in the world, yet it has a fantastic economy… look at a mistatement… given lawyers’ high wages, having more lawyers would surely mean that there are more and more people earning more and more dough, and therefore in total, society is becoming more and more wealthy…‘[This] would suggest that the fastest way to boost growth would be to send everyone to law school’. Which is clearly ridiculous…
Un libro da leggere: Does Education Matter?: Myths About Education and Economic Growth, by Alison Wolf
Le incertezze inerenti gli affari con l’estero hanno suggerito a molti paesi di adottare cambi fissi, ma i cambi variabili hanno molto più senso.
Le gravi crisi nelle bilance dei pagamenti sono evitate proprio grazie ai cambi variabili: con essi i mercati hanno l’ opportunità di dare l’ allarme per tempo e riequilibrare la situazione grazie a manovre di svalutazione.
Nelle società moderne si ritiene che il governo debba provvedere a definire il matrimonio includendo in esso un certo numero di contratti.
Questo però non sembra necessario, il governo potrebbe limitarsi a definire una contrattualistica di default da cui accordi privati possano deviare. Lasciamo che del matrimonio si occupino soggetti diversi dal Governo, la Chiesa Cattolica, per esempio. Tutto cio’ farebbe piazza pulita di una serie di problemi, pensiamo solo al matrimonio tra omosessuali.
Il gold standard garantisce tutti dell’ inflazione, ma a volte l’ inflazione serve, per esempio per uscire dalla cosiddetta “trappola della liquidità”.
In un mondo che si “stabilizza” mediante deflazione, la tesaurizzaziono diventa un investimento fruttuoso drenando risorse alla crescita.
La produzione d’ oro non è detto che sia costante, anche questo è fonte d’ instabilità.
La storia ci ha insegnato che il gold standard spesso ha funzionato male e il ritardo nel suo abbandono viene indicato tra i motivi della Grande Depressione.
L’ ottimo è dato da una politica monetaria accorta realizzabile solo in assenza di gold standard. Sarà mai possibile? Molti libertari credono di sì.
Già Conrad e Céline hanno raccontato il fastidioso tiepidume che emana dall’ incubatrice in cui s’ infila il viaggiatore europeo una volta doppiate le Canarie.
Costui non ci mette molto a capire che comincia una vita con l’ handicap in un mondo suscettibile da un momento all’ altro di dissoluzione irrazionale.
Naipaul segue le orme dei maestri esibendo una straordinaria abilità nell’ avvolgere l’ intero continente africano in una pellicola di sudiciume e apatia che non lascia traspirare alcunché rendendo tutto sudaticcio.
Si termina la lettura del suo libro con il fiato corto e una gran voglia di colonialismo.
La speranza è al lumicino, per scamparla si anela un posto alla Nestlé.
La città africana?
Non smette mai di estendersi.
Prima il verde scuro della foresta primordiale. Poi il verde tenero dii una terra stanca che ha dato frutto più volte.
Poi ancora una tangenzialina che ti fa ballare scuotendoti fin dentro le ossa mentre getti continue occhiate ai relitti di autocarri stracarichi abbandonati ai bordi della strada.
Infine un dilagare incontrastato di baracche, lamiere ondulate e spazzatura in decomposizione; il resto è polvere, crudeltà, privazioni.
L’ arrivo notturno è contrassegnato dai pochi deboli neon che tengono in vita il quartiere. Al mattino ti imbatti invece nei donnoni africani che passano e ripassano lo straccio con estrema lentezza sempre nello stesso punto stando nella loro tipica postura piegata alla vita a gambe dritte: sono più interessate ad origliare i discorsi intorno che ad altro.
Unica libagione: l’ acqua piovana. Prospera la capra e chiunque viva di niente fino al giorno del macello.
Una maledizione demografica ha colpito il paese: sembra che solo i tarati si riproducano in modo forsennato.
In questi termitai il traffico è immobile: un’ esperienza stremante. Le strade, una volta usciti dall’ arteria principale, hanno un tracciato incerto tra cumuli d’ immondizia. Sui motorini si viaggia in due, in tre… cosa probabilmente vietata in epoca coloniale. In caso di sosta lungo un fossato maleodorante, la ricerca di penombra per degustare il vino di banana sarà fatica sprecata: il terreno sgombro facilita l’ avvistamento dei serpenti.
Il commercio è disseminato ovunque, ma sempre appesantito dalle trattative, irrisorio e incentrato sulla paccottiglia. Nelle botteguzze la pomata per il cancro al seno affianca quelle per la sifilide e la gonorrea. Frotte di bambini disertano la scuola e vengono spediti in strada per combinare piccoli traffici, sebbene facciano tutto controvoglia. Per lo più passano la giornata in ozio: sono i figli di un qualche boom (petrolio?) tenuti in vita giusto dalle nuove norme igienico-sanitarie. Sono bambini privi di risposte perché i genitori, ovvero coloro che normalmente danno le risposte, sono loro stessi in sofferenza.
Le case hanno la facciata piena di cartelli umilianti: “chi abita qui non paga l’ affitto”, “casa sottoposta a sequestro per inadempienza”.
Ma i mali non derivano tanto dalla cattiveria, quanto dal rincoglionimento pervasivo. Ad ogni angolo, un crocchio di gente in ciabatte se ne sta abbonacciato sotto la pioggia manco si trattasse di gnu nella savana. Girando per il calderone t’ imbatti di continuo in una folla brulicante dedita ora allo schiamazzo, ora alla cantilena. Una folla orfana da tempo di un capo branco calmo ed assertivo.
In ambito politico sono governati da belve.
In ambito culturale predominano i salotti in cui si blaterara unicamente di identità africana. Sono neri come la notte e si credono arabi. Vorrebbero costruire una loro epica ma come si fa? Qui tutto è un debole fango, tutto è fradicia terra rossa in perenne disfacimento. Questo paese sembra un palinsesto che si estingue ad ogni stagione delle piogge. La maledizione di una civiltà priva di scrittura la senti nell’ aria. Scrittura? Ma se non conoscevano neanche la ruota! Quel senso di frustrazione, quel senso d’ inferiorità, quella vergogna per le loro stesse capanne di paglia che provarono fin da subito dopo l’ arrivo degli inglesi, tutto puo’ essere nascosto solo da piccole rabbie effimere.
Il primitivismo lo subodori già al nastro bagagli dell’ aeroporto di Lagos. Cos’ è quello sgargiante assembramento nel punto esatto in cui i bagagli fuoriescono? Non sarebbe più logico distribuirsi lungo il nastro anziché dar vita a tumulti immotivati; ma il nigeriano non intende ragioni. Forse l’ apparizione della valigia risveglia un senso miracolistico e si è indotti a stiparsi per presidiare la magica soglia.
Poi, fuori dall’ aeroporto, quel che era disagio si trasforma in vero e proprio straniamento. I quartieri si confondono, con quei nomi dalle vocali così intercambiabili.
Le fogne traboccano ogni momento e i rivenditori di cibi cotti si limitano ad arretrare le loro bancarelle dal bordo della strada. La puzza e i profumi, il freddo e il caldo si avvinghiano in un nauseabondo miscuglio. Benvenuti in Africa!
Ogni tanto sul pattume sozzo spunta un gattino incredibilmente pieno di grazia. Un miraggio.
Girerai per strada con i tuoi vestiti bianchi divenuti grigiastri dopo il primo bucato con l’ acqua indigena. Mangerai molti cibi sulla cui origine è meglio non indagare. Se non lo farai, perché sei venuto fin quaggiù? Entrerai in un bar con il ventilatore arrugginito. Dopo aver dato qualche mancia il locale comincerà a pullulare di straccioni in cerca della questua. Ti tornerà in mente la cabina della nave di Una notte all’ opera dei fratelli Marx, che si riempie di gente in modo inverosimile.
Tutto è corrotto, a partire dalle guide.
Ti chiedono cifre spropositate con grande tranquillità. Si accontentano poi di un decimo. In loro compagnia ti sembra di sentire scattare un tassametro taroccato. Come imbonitori ti annunciano con enfasi: “questo sito culturale è di estrema importanza”. E così dicendo esauriscono le loro riserve di lingua inglese. Ma quanto ti fanno girare prima di confessare che non sanno la strada! Sanno però cosa vuole il turista dal Cicerone, cosicché puntano molto sull’ effetto pruriginoso: come è stato castrato Tizio e come è stato essicato Caio.
Il prezzo contrattato cambia invariabilmente al momento della dazione; ma non di poco! Del resto nel discuterlo, non procedono per piccoli incrementi, ma raddoppiano di brutto! Le valute, poi, fluttuano e un prezzo fissato in euro si trasforma magicamente in sterline (mai il contrario). Se poi nella contrattazioni esponi le tue ragioni, abbandonano la modalità interattiva per fare lunghi discorsi zeppi di informazioni apparentemente slegate e buttate lì al solo scopo di estenuarti con la complicità del caldo. Ad ogni modo, qualsiasi sia la cifra convenuta, è abbastanza chiaro che le contrattazioni non sono mai chiuse del tutto. Mostrarsi indifferenti al denaro puo’ essere fatale.
Ogni percorso in loro compagnia diventa labirintico, ogni gesto quotidiano si trasforma in impresa. Stai su una barca in cui qualcuno rema contro, lo senti. L’ ostruzionismo è palpabile.
Si rivolgono a te in una lingua raffinata e criptica. Puntualmente viene ventilata l’ idea che una mancia sarebbe opportuna per sbloccare la situazione e fare un passo in avanti. Ma alla meta mancano centinaia di passi.
Per uscire dai garbugli e tornare in albergo non resta che affidarsi alla fortuna degli sprovveduti. C’ è un dio anche per questo.
Una volta arrivato qui ti senti vicino alle scaturigini della vita, ritorni all’ inizio di tutto, nel pozzo senza fondo delle superstizioni. Ti accosti ad una religiosità dalla natura inafferrabile.
L’ africano è sempre pronto a buttarsi prono in terra quando passa l’ indovino del quartiere, e il consigliere d’ amministrazione in abito scuro della Lever laureato in Inghilterra non fa eccezione.
I luoghi religiosi, non servono tanto alla meditazione, quanto piuttosto alla richiesta di benefici. E il personale religioso si adegua.
L’ indovino da cui vieni condotto usa lo scacciamosche con perizia: nell’ ascoltarti segnala gradimento, comprensione e riesce persino a farti capire con delicatezza che ti stai dilungando un po’ troppo. Ora che tocca a lui parla drammatizzando in modo parossistico gli eventi che ti riguardano: hai estremo bisogno del suo intervento. Le tue disgrazie eccitano i presenti compiaciuti (in africa esiste sempre una corte che non lascia mai solo il turista). Poi, sebbene tu non l’ abbia contraddetto, ripete nuovamente da capo i pericoli che ti insidiano e le raccomandazioni. Se sminuisci facendo il fatuo non troverai collaborazione di sorta in nessuno. Parole che se ascoltate a freddo non ti avrebbero mai colpito, ora ti scuotono. Capisci come sia assolutamente necessario che un mito poggi su altri miti. Dal muro, intanto, occhieggia rassicurante l’ iscrizione all’ albo professionale. Vorresti ragionare ad alta voce per non cadere in confusione, ma non puoi appartarti. Insomma, entri da loro con un problema e ne esci con dieci. Un po’ tipo i nostri dentisti quando vai per l’ igiene orale.
I templi si susseguono, e se vuoi visitarli devi entrare scalzo rassegnandoti ai funghi che contrarrai. Ma cosa sei venuto fin qui a fare altrimenti? Molto meglio che le febbri tifoidi e il colera. Stai calmo, cio’ che vedrai in questi attimi frettolosi ti resterà nell’ animo e diventerà sempre più magico con il passare degli anni. Intanto offri il tuo uovo (che si mangerà il pitone nel giro di un giorno).
Laggiù la modernità è la circoncisione con la Gillette anziché con la scheggia di canna.
Laggiù la modernità equivale al cristianesimo, e la religione costituisce l’ unica attività intellettuale.
Ma anche il cristianesimo cede a forme degradate.
Per sbarazzarsi degli spiriti, la chiesa deve riconoscerne l’ esistenza e fare esorcismi. Il che aumenta la confusione.
Le chiese hanno nomi altisonanti che si sforzano di non essere ripetitivi (Mountain of Fire, The Redeemed Church of God, Christ Apostle Church…). Le funzioni durano quattro ore allo scopo, sembra, di utilizzare quantità industriali d’ incenso. L’ incenso procura un gran divertimento ed è il piatto forte della messa! L’ uso dell’ incenso attira fedeli sempre nuovi, anche se l’ uso del latino ne fa scappare almeno altrettanti.
Ma la scelta della religione dipende da fattori trasversali. Esempio, se in famiglia c’ è un parente addetto ai sacrifici rituali, la carne in tavola è garantita e la scelta di fede è obbligata.
Per donne e animali è una vita di legnate.
Capisci subito come mai non si vedono circolare cani e gatti: costituiscono l’ oggetto privilegiato del teppismo infantile. Hanno appena torturato e deriso una ridicola cagnetta magra con le mammelle gonfie.
Gli africani non amano gli animali, pochi sfuggono alla loro noncurante crudeltà. Solo nei parchi sono al riparo dai tormenti.
Molto gradite sono le risse fra scimpanzé, che vengono sobillate in ogni modo, magari fornendo loro una colazione imprevista. In questi casi i primati fanno un baccano pazzesco e menano colpi potenti che risuonano a distanza, tutto si trasforma in un grottesco squittio, la gioia indistinguibile dal dolore. Ma gli stessi scimpanzé costituiscono un piatto prelibato: “carne di boscaglia”, la chiamano gli indigeni, i quali, a dargli un fucile e a lasciarli fare, si divorerebbero tutta la fauna del continente.
Il cavallo scartato per il polo viene messo in libertà e comincia a nutrirsi come puo’, perlopiù dell’ onnipresente immondizia. Diventa sempre più scheletrico finché un giorno noti un gruppo di scimpanzé che gli rovista nella pancia. Impietosita, la moglie di un diplomatico cominciò a sparare in testa a questi esemplari. Oggi, fortunatamente, esiste una ONLUS che si dedica a tempo pieno a sparare in testa ai cavalli abbandonati. La storia si ripete per i levrieri inadatti alla corsa, ma queste povere bestie sono tanto gracili che spesso bastano le fiondate dei monelli per liberarsene.
Per bastonare le donne, invece, esiste una divinità mandinga apposita: Mumbo Jumbo.
L’ africano è (era) poligamo e tra le mogli, come si sa, si scatenano spesso risse. Al che il marito, via skype o via cellulare, chiede l’ intervento di Mumbo Jumbo (di solito un amico di famiglia disposto a travestirsi). Quando la maschera arriva in casa, individua le responsabili o prende un paio di mogli a caso, le porta ancora piagnucolanti sulla piazza, le denuda e le riempie di sganassoni e pedate tra l’ ilarità e lo scherno della folla radunata a godersi il diversivo. L’ ambulanza chiude la festa mentre l’ amico incassa lo cheque.
Naipaul riserva uno sprezzo sincero solo alle brutture di oggi. La brutalità del passato sembra avere un rango differente, viene narrata piuttosto con rispettosa meraviglia. Viene ridotta ad elaborata ritualità di corte. Un crudo tassello di civiltà compiute.
Nonostante l’ ammirazione, evita con cura di propinarci una versione romantica dei culti tradizionali, sa bene che in passato la gente veniva uccisa come selvaggina, sa bene come molti monumenti non siano altro che piramidi di teschi e ossa, sa bene come l’ estasi della guerra fosse tra le più ricercate, sa bene come la stregoneria si regga su un reverente terrore e sull’ arbitrio. Sa bene come, diversamente dai mussulmani e dai cristiani, quella cultura non conosca il perdono.
Anzi, l’ arbitrio è l’ autentico veleno che ammorba la società tribale. Viene detto chiaro e tondo. L’ incertezza che procura blocca ogni istinto costruttivo. Quante storie giungono puntualmente ad una svolta che suona all’ incirca così: “… e poi perdemmo tutto perché la tribù della nostra famiglia fu accusata di aver fatto uso di incantesimi contro il dignitario della tribù rivale…”. La gente è convinta che la malaria, una delle maggiori cause di morte, sia da imputare alla stregoneria. Per loro non è uno scherzo: come possono ridere di cio’ che temono?
Tutto vero. Ma era pur sempre una cultura! E la rottura di quei freni culturali ha dispensato solo caos e anarchia. Con le nuove religioni il popolo diventa insubordinato e la democrazia, poi, non ha fatto che completare l’ opera aumentando lo smarrimento.
Naipaul è un anziano conservatore dall’ animo sospettoso e a volte persino meschino.
Ma tutto cio’ che c’ entra? E’ forse il più grande scrittore vivente, anche per questo la lettura del suo libro sull’ Africa regala un piacere unico.
Come certe strade in leggera discesa ti fanno sembrare un grande ciclista, una prosa che scorre su un impercettibile declivi ti fa sembrare un lettore di razza: non ne hai mai abbastanza, divori interi volumi senza sforzo e non temi le distanze. In un certo senso questo post, così infarcito di accenni a situazioni estreme, non rende giustizia di un testo che è invece morbido, sinuoso, con tante storie che si incastonano l’ una nell’ altra senza traumi. Che distanza dalle brillanti trovatine estemporanee con cui noi blogger tentiamo di attrarre l’ attenzione! Parlo di una virtù che è propria solo dei grandi narratori-maratoneti: Tolstoj, Flaubert…
Di fronte al talento adamantino, il conservatorismo passa decisamente in secondo piano. Direi di più, di fronte a tanta felicità espressiva, come non sospettare che l’ ideologia non sia al servizio della bellezza?
E’ proprio vero, chi non riesce a godersi l’ arte, cerca di consolarsi polemizzando con essa. E allora, ecco che all’ incontro clou del festival di Mantova, la solita intervistatrice sempre in cerca del colpaccio, davanti ad uno scrigno di tesori che chiedeva solo di essere scoperto, ha privilegiato la polemicuzza (come si sarà capito da quanto ho riportato, gli spunti non mancano) facendo scattare l’ irascibilità prima e il mutismo dopo.
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Dentro l’ Africa, c’ è un’ Africa che si chiama Etiopia. Per riabilitare quel misto di antiquato e moderno di cui diffida tanto Naipaul, mi raccomando proprio all’ Etiopia e alla meravigliosa sintesi della musica di Mulatu Astake riveduta e corretta dagli Heliocentrics.
Mulatu Astake and the Heliocentics – Inspiration information
Ci sono molti modi per redistribuire le risorse prodotte dalla società. il peggiore consiste nell’ adottare un sistema di tassazione progressiva. Privilegiando il ricco rispetto al ricchissimo non si aiutano i poveri ma si distorcono e di molto le scelte economiche.
Altri caldeggiano l’ adozione di misure sul genere del salario minimo. Peggio che andar di notte: qui i più deboli non solo non vengono aiutati ma vengono danneggiati rendendo più difficile il reperimento di un lavoro.
Non resta che garantire a tutti un reddito minimo: se si vuole davvero dare una mano a chi sta più indietro lo si faccia direttamente senza tanti infingimenti che spesso non fanno altro che nascondere secondi fini più o meno meschini.
Avere un piano regolatore viene considerato spesso essenziale, ma non è così: molte metropoli sono sorte ordinatamente e spontaneamente senza bisogno di alcun piano regolatore.
Cio’ non signidìfica che fossero assenti delle regole, solo che si trattava di regole uguali per tutti e non decise arbitrariamente a tavolino dalla politica, anzi, meglio, dai burocrati. Un gran risparmio, soprattutto in termini di corruzione del sistema.
La compravendita di cubature e diritti a inquinare completa l’ ordine dell’ urbanistica spontanea.
L’ ordine dei piani regolatori è spesso artificioso e arido, gli esempi sono molti e molto diffusi: certe architetture moderne decise dall’ alto incarnano la vera bruttura del nostro tempo. Al contrario, certi apparenti disordini, con tutta la vitale umanità che sprigionano, danno un senso di sicurezza e di calore.
Quando usi la parola privatizzazione, la gente si fa dura d’ orecchi. Smette di ascoltare; e se proprio non puo’ esimersi, fioccano i pregiudizi.
Perché allora non fare leva sull’ ipocrisia e sostituirla con una parolina più friendly, per esempio responsabilizzazione?
Il pregiudizio frettoloso arriva al punto che se spingi per privatizzare la scuola italiana ti danno come minimo del clericale. Vieni trattato come un crociata: vuoi fare un favore ai preti!
Lo so bene perché, vivendo vicino a dei ciellini, sento la crescente ostilità verso chiunque osi intraprendere iniziative privatistiche nel campo dell’ istruzione. E’ dura lavorare stando sempre in trincea. E’ una Sarajevo, i cecchini sono appostati dietro ogni montagnola e si sta come d’ autunno sugli alberi le foglie.
… Director Lotta Rajalin notes that Egalia places a special emphasis on fostering an environment tolerant of gay, lesbian, bisexual and transgender people. From a bookcase, she pulls out a story about two male giraffes who are sad to be childless — until they come across an abandoned crocodile egg… The school does everything possible to obliterate traditional gender roles, including a refusal to use the words “him” and “her”…
that there’s a long waiting list for admission to Egalia, and that only one couple has pulled a child out of the school.
Jukka Korpi, 44, says he and his wife chose Egalia “to give our children all the possibilities based on who they are and not on their gender…To even things out, many preschools have hired “gender pedagogues” to help staff identify language and behavior that risk reinforcing stereotypes.
Piace? Non piace?
Lasciamo perdere il merito, c’ è qualcosa di più importante.
Se conosco i miei polli, infatti, chi simpatizza con lo strano frutto, non simpatizza affatto con la pianta che l’ ha prodotto.
Quando si parla di finanza molti invocano subito più regolamentazione, spesso senza sapere che questo è di gran lunga il settore più regolamentato delle economie moderne.
Non solo, non esiste evidenza seria che dimostri come una finanza regolamentata sia più efficace di una meno regolamentata.
Impedire alle banche di fallire presenta molti inconvenienti.
1. Il numero ideale di fallimenti non è mai zero.
2. Se al settore verranno offerte garanzie ci saranno problemi di moral hazard: le banche prenderanno troppi rischi.
3. La regolamentazione introdotta per arginare il moral hazard di solito è facilmente aggirata mediante innovazioni finanziarie.
4. Il regolatore, quando va bene e si escludono i casi di malafede, è intrinsecamente ignorante, meglio non affidarsi troppo a lui.
5. A volte la cosa migliore è togliere regole, non metterle. A cominciare dalla famosa regola che impedisce di sospendere i rimborsi dei depositi in caso di “panico”.
Basterebbe un’ analisi delle recenti crisi per illustrare in modo vivido le tare a cui ho accennato.
Nei post precedenti mi sono innamorato delle spiegazioni che mettono l’ invidia al centro dei comportamenti umani.
Molti non sono d’ accordo. Ricordo anche di aver sentito non so più dove confutazioni che hanno del geniale.
Esempio. Se gli uomini sono invidiosi e quindi interessati alla ricchezza relativa, perché i politici si vantano tanto di aver aumentato la ricchezza assoluta?
Sarebbe più logico che si rivolgessero alla gente dicendo: “Votate per me. Sono in carica da quattro anni e le cose non sono mai andate così male!”.
Nessuno voterebbe chi ha peggiorato la propria situazione economica, ma chi entra in cabina sa già che è migliorata.
Proclamando di aver peggiorato quella degli altri, un politico si renderebbe solo interessante agli occhi di un invidioso.
La confutazione fila, senonché postula che l’ invidia si presenti allo stato puro; è facile invece che porti con sé l’ ipocrisia: l’ invidioso non vuole essere trattato come tale e un politico che lo facesse in modo scoperto potrebbe pagarla cara.
L’ abbinamento non è solo facile, è anche logico: l’ invidia è un sentimento socialmente distruttivo e occultarlo con l’ ipocrisia conviene sempre.